Nonostante l’ampio prestigio riscosso nell’antichità, non è
stato il Vangelo di Tommaso a entrare nel Canone neotestamentario, bensì quello
di Giovanni, pur essendo stato considerato meno importante nei primi tempi del
Cristianesimo. Il testo giovanneo entrò nel Canone con qualche difficoltà - sia
per la sua difformità dai tre Sinottici, sia per certi elementi suscettibili di
essere considerati di tipo gnostico - ma vi entrò. Del Vangelo di Tommaso,
prima che venisse ritrovato tra gli antichi libri copti trovati in Egitto a Nag
Hammadi nel 1945, si sapeva solo che era stato dichiarato apocrifo per il fatto
di presentare (anche’esso) elementi di tipo gnostico.
Due parole
d’inquadramento sull’aggettivo “apocrifo” (ἀπόκρυφος). Originariamente
voleva dire nascosto, segreto e, se applicato a un testo, significava riservato
a iniziati capaci di intenderlo. Di modo che anticamente aveva un carattere del
tutto neutro in ordine all’attribuzione del valore. Ma quando nel II secolo si
sviluppò il contrasto fra le correnti gnostico-cristiane e quella che si andava costituendo come
“Grande Chiesa”, i polemisti di quest’ultima iniziarono ad attribuire alla
parola il significato negativo che si è poi perpetuato. Non stupisce quindi che
per un fanatico intollerante come Tertulliano (n. 155?) il termine “apocrifo”
fosse equivalente a falso, senza mezzi termini[1];
mentre Origene, per esempio, ancora si mantenne su una posizione più
equilibrata poiché, pur usandolo col valore di “non-canonico”, sostenne che non
tutto il contenuto degli apocrifi era da respingere[2].
Progressivamente, infine, “apocrifo” acquisì la connotazione di inaffidabile,
dottrinalmente ambiguo, se non addirittura eterodosso o eretico.
Differenze dai Vangeli
canonici e problema della datazione
Dal punto di vista formale la prima differenza che si
riscontra nel testo attribuito a Tommaso rispetto agli altri Vangeli sta nella
totale assenza di struttura narrativa: si compone solo di detti o “loghia” di
Gesù (da λόγια) dei quali 79 su 114 in
comune con i Sinottici.
Il primo e importante problema posto da questo Vangelo
riguarda la datazione, non solo per motivi di precisione storico/scientifica,
ma soprattutto a causa del suo contenuto, come in seguito si dirà. Per un certo tempo è prevalsa la tesi che lo datava
successivamente al I secolo, ma oggi non appaiono più tanto eccentriche le
conclusioni di chi considera almeno il suo nucleo più antico risalente al 60
d.C.[3];
cioè alla stessa fascia temporale cui apparterrebbe il Vangelo di Marco, almeno
secondo la temporalizzazione ancora vigente in ambiente accademico. Tuttavia
nemmeno può escludersi che quest’opera risalga addirittura al 40 d.C.: la sua
maggiore arcaicità risulterebbe proprio dalla struttura non-narrativa.
Elaine Pagels, una delle maggiori studiose del Cristianesimo
originario e dei testi di Nag Hammadi (personaggio tutt’altro che amato dalla
Chiesa cattolica), argomenta che il Vangelo di Giovanni conterrebbe una
confutazione di quello di Tommaso, con l’ovvia conseguenza che quest’ultimo
sarebbe sicuramente anteriore all’opera giovannea. A tutto ciò deve aggiungersi
un fatto ulteriore, suscettibile di incidere in modo notevole sulla scheda
cronologica dei testi evangelici finora vigente: sono state individuate
comunanze fra alcuni loghia riportati
da Tommaso e passaggi delle Epistole di Paolo, di quelle che gli studiosi
ritengono con certezza anteriori alla redazione dei Vangeli canonici.
Orbene, se Paolo sembra conoscere il testo di Tommaso,
l’ovvia conclusione è che questo Vangelo sia stato cronologicamente il primo; e
non quello di Marco, cui finora è stata attribuita la priorità temporale[4].
Attualmente si sta affacciando altresì l’ipotesi della sua redazione durante la
vita di Gesù (non vi si parla infatti né
della sua morte né della missione affidata agli Apostoli). Anzi l’ipotesi
prospettata dalla Pagels sul rapporto fra il Vangelo di Tommaso e il Vangelo di
Giovanni è che quest’ultimo sia stato scritto per confutare quello di Tommaso[5].
E altresì pone la questione (condivisibile) relativa a quali sarebbero state le
conseguenze per la configurazione del neonato Cristianesimo se la Chiesa avesse
inserito nel Canone il Vangelo di Tommaso (solo quello o anche quello). Nel
senso che inevitabilmente noi leggeremmo i Sinottici e il testo giovanneo alla
luce di Tommaso.
La
provocazione è palese, ma non infondata, giacché
mira ad evidenziare la diversa prospettiva assunta dal Vangelo di Tommaso, e i
problemi da essa posti. Infatti il Vangelo di Tommaso rivela una forma di
Cristianesimo delle origini più ricca e complessa di quanto si fosse in
precedenza ritenuto.
Detto in
sintesi, in tale Vangelo Gesù non esorta tanto a credere in lui quanto a
cercare di conoscere Dio mediante le capacità di cui siamo in possesso poiché
creati a immagine del Padre. Sul piano dottrinario, poi, anche Tommaso (come del
resto Giovanni) identifica Gesù con la luce divina primordiale (di cui parla Genesi 1,3), e lo considera luce di Dio
in forma umana; ma Tommaso presenta un aspetto peculiare assente in Giovanni:
per lui la luce incarnata in Gesù è condivisa “naturalmente” da ogni essere
umano proprio per via del suo essere immagine e somiglianza con Dio. Gesù si
presenta come colui che apre un ciclo di salvezza divina ed è fonte di criteri
d’illuminazione degli esseri umani contro il male e l’ingiustizia. Il sentore
di gnosticismo è nato da qui, ma in realtà le parole di Gesù riferite da
Tommaso (o chi per lui) non starebbero male in bocca a un grande guru induista.
Ciò crea una
contrapposizione anche verso Paolo, il quale ha fatto della resurrezione il
cardine della fede religiosa cristiana e della redenzione; invece il Vangelo di
Tommaso pone tale cardine nell’insegnamento spirituale, etico ed esistenziale
di Gesù; nel percorso di realizzazione della pienezza umana da lui additato. Un
ulteriore aspetto è che il Regno di Dio viene inteso come una realtà spirituale
immediata e già presente, e non una realtà futura o ultraterrena.
Ma se si analizzano i contenuti dei due Vangeli in questione e
si valuta la situazione ecclesiale cristiana quando fu imposto il Canone, ci si
rende subito conto che Tommaso doveva restare fuori, mentre alla fin fine era
più funzionale Giovanni, a prescindere dalle perplessità che aveva suscitato in
origine.
Gnosticismo o
Protocristianesimo?
Considerare gnostico tout
court il Vangelo di Tommaso (cioè attribuibirlo alla corrente spirituale
storicamente fiorita nel Mediterrano fra il I e il IV secolo) è discutibile,
perché seppure presenti una linea di base affine alla Gnosi mediterranea,
tuttavia in merito al conseguimento della salvezza sviluppa motivi non
esclusivi di quella corrente culturale. Rifiutare gli sterili sacrifici rituali
e additare la via della consapevole ricerca della propria divinità interiore - esistente
quand’anche ignorata - affinché pure la carne ridiventi Spirito, sono tutti
elementi comuni all'Induismo, al Buddismo, al Sufismo islamico, oltre che
all’universo delle realtà esoteriche inquadrabili in quella che taluni hanno
definito la “Gnosi eterna”.
Testo ricco di ardente misticismo, lo ha definito Marcello
Craveri, che però lo esamina da un punto particolare come conseguenza della
scelta di farlo risalire alla prima metà del II secolo. Ragion per cui non lo
valuta secondo la diversa luce inerente alla sua possibile contemporaneità con
i canonici o addirittura alla sua anteriorità. Risulta comunque del massimo interesse una sua
considerazione:
«A scagionarlo dalla grave accusa di “eresia”, dovrebbe
bastare il fatto che molte affermazioni di esso, ispirate allo gnosticismo,
trovano esatta rispondenza in passi di Giovanni e delle lettere paoline. La
conclusione può essere che, al momento della primitiva stesura dei Vangeli di
Tommaso e di Giovanni e delle lettere di Paolo, la tendenza all’interpretazione
gnostica era ancora perfettamente legittima, ma che in Giovanni e Paolo essa è
rimasta in parte soverchiata da altri motivi, mentre in Tommaso essa appare
prevalente, anzi esclusiva»[6].
Se si tiene per ferma la datazione al I secolo, la ricaduta
di questo Vangelo sui primi tempi successivi alla morte di Gesù porterebbe a
una correzione della mappatura delle posizioni all’epoca in campo. Il
Protocristianesimo, cioè, sarebbe stato composto da Giacomo e i suoi seguaci,
di stretta impostazione giudaica; dagli ellenisti; dalla corrente di pensiero
di Giovanni; da quella di Paolo di Tarso; e dalla corrente di Tommaso, che potrebbe
apparire in qualche modo alternativa al giudeo-cristianesimo della comunità di
Gerusalemme. Ad ogni buon conto il testo di Tommaso non manifesta nessun
distacco od ostilità verso Giacomo il Giusto, tant’è che il loghion 13[7]
- esaltandolo addittura come concretizzazione dell’archetipo del “giusto” - ne
proclama senza mezzi termini il primato come guida della comunità dopo la dipartita
di Gesù. Per inciso, i Vangeli in cui si evidenzia il primato di Giacomo (e non
di Pietro) sono stati dichiarati tutti apocrifi.
Il Gesù del Vangelo di
Tommaso
Ci si potrebbe anche chiedere se Tommaso rappresenti davvero
una linea a sé stante, oppure se non costituisca solo il lato esoterico del originario
del Protocristianesimo, ovvero il suo insegnamento segreto. Ipotesi non
peregrina, in quanto risulta dai medesimi Vangeli canonici che Gesù riservava a
suoi discepoli la conoscenza dei misteri del Regno di Dio (Mt. 13, 11), e nel Vangelo di Marco (4, 20) si dice una cosa il cui
tenore gnostico balza subito all’attenzione:
«A voi è dato il segreto del regno di Dio, a quelli invece
che sono fuori tutto si fa in parabole, affinché guardando guardino e non
vedano, e ascoltando ascoltino e non sentano (...) E i seminati sul terreno
buono sono coloro che ascoltano la parola e l’accolgono e fruttificano al
trenta e al sessanta per cento».
Alcuni dei detti di Gesù contenuti nel testo di Tommaso sono
riportati anche da Matteo e Luca, mentre altri sono estranei ai Sinottici. La
Pagels, studiando le concordanze e le conflittualità fra i Vangeli di Giovanni
e di Tommaso, ha messo in evidenza come siano queste ultime a prevalere,
risultando quindi le due differenti rispettive vie spirituali. Per entrambi
Gesù è la luce che illumina l’umanità, e essi invitano (a differenza del
Sinottici) a volgersi non già alla fine dei tempi, quanto e soprattutto al loro
inizio (Gv. 1, 3; Tm. log. 18). Ma la grande differenza
sta nel fatto che per Giovanni la luce divina è propria di Gesù, mentre per
Tommaso appartiene a tutti gli esseri umani, perché creati a immagine e
somiglianza di Dio, e tutti sono in grado di conoscerlo. Un forte accento,
infine, è posto da Tommaso nel presentare il Regno di Dio come realtà spirituale
in atto, e non come evento futuro o luogo dell’al di là (log. 3, 51 e 113)[8].
Il Gesù del Vangelo di Tommaso è un personaggio propenso a
parlare in un modo assai più criptico rispetto alle parabole presenti negli
altri Vangeli: a volte lo stile ricorda molto i koana del Buddismo zen: cioè quei detti formalmente oscuri con cui
i maestri cercano di provocare nell’allievo l’illuminazione (satori), oppure una maggiore e superiore
consapevolezza di sé e della realtà, mediante una sorta di corto circuito
razionale provocato dalle evidenti limitate capacità del pensiero razionale di
fronte alla complessità del reale soggiacente alle apparenze[9].
Si pensi al famoso loghion 19:
«Beato colui che era prima di divenire».
L’affermazione della presenza dell’immagine di Dio nella
persona umana, assunta come base per l’effettiva rinascita, scandalizzò Ireneo,
ma sarebbe poi diventata fondamentale per la concezione bizantina ortodosssa sulla
divinizzazione dell’uomo, insieme alla mistica esicasta della “luce taborica”.
Ne riparleremo a proposito dell’esicasmo. Nell’essenziale loghion 50 del
Vangelo di Tommaso, Gesù dice ai discepoli:
«Se vi chiedono; “da dove venite?”, rispondete: “veniamo
dalla luce, dal luogo in cui la luce si autogenerò, si innalzò e si manifestò
nella loro immagine”. Se vi chiedono:”chi siete?”, rispondete: “Siamo i suoi
figli e siamo gli eletti del Padre vivente”».
Differenze di Tommaso con
Giovanni
Per questo Gesù non invita a credere in qualcosa, ma a scoprire
il proprio divino tesoro interiore (log. 70), a cercare il contatto con Dio.
Giovanni, invece, invita a credere in Gesù (20, 31). In un altro testo di Nag
Hammadi, affine al Vangelo di Tommaso - Il
Libro di Tommaso il contendente - Gesù dice, in una prospettiva olistica:
«Chi non conosce se stesso non conosce nulla, ma chi conosce
se stesso conosce simultaneamente la profondità di tutte le cose» (138, 7-19).
Del Vangelo
di Giovanni non deve ingannare la parte (1, 1-14) in cui si dice che nel Lógos era la vita e la vita è la luce
degli uomini, giacché subito dopo sottolinea che l’umanità non ha riconosciuto
questa luce. In questo modo la luce divina viene a porsi come un dato esteriore
all’essere umano, calato dall’alto; e per questo Giovanni addita, come via di
uscita, la fede in Gesù.
Per Tommaso, al contrario, questa luce è consustanziale alla
persona umana. Non vi è dubbio che la tesi dell’affinità (usiamo questa parola
proprio per la sua indeterminatezza) tra l’essere umano e Dio sia pericolosa
per le istituzioni religiose. E per quanto, sul piano teoretico, essa faccia
parte del patrimonio teologico di molte religioni, tuttavia laddove esistano (o
siano esistiti) assetti istituzionali forti, la ricerca personale del divino
interiore è sempre stata guardata con sospetto, quando non scoraggiata o
addirittura combattuta. Inoltre è di tutta evidenza che l’assunzione da parte
della chiesa giovanneo/paolina del dogma del peccato originale e della sua trasmissione
anche ai discendenti dell’umanità originaria, costituisce un ulteriore
elemento, anzi un presupposto, per collocare barriere contro la ricerca
interiore del divino da parte della singola persona.
Nel Vangelo di Filippo (II secolo) a proposito del battesimo
c’è un passaggio (59) che chiarisce e rafforza la linea di Tommaso, e che in
una visione retrospettiva vale come fotografia di un successivo fenomeno di
massa che ormai connota il Cristianesimo. Si dice in Filippo:
«Se qualcuno scende nell’acqua e ne esce fuori senza aver
ricevuto nulla e dice: “io sono cristiano”, egli si è appropriato del nome; ma
se riceve lo Spirito Santo, ha il dono del nome. Chi ha avuto il dono, non ne è
più privato; ma chi se l’è appropriato, gli viene tolto».
In buona sostanza ciò riconferma la parabola dei talenti, e
significa una lotta al quietismo cristiano che la Chiesa dopo il I secolo non
poteva accettare, perché avrebbe implicato privilegiare la qualità sulla
quantità. In una prospettiva esoterica, invece, si privilegiano invece la
qualità, conformemente alla realtà iniziatica di cui ciascuno è portatore.
La ricerca personale del
divino interiore
Il Cristo del Vangelo di Tommaso, più che un maestro di
saggezza e di sapienza (e infatti egli rifiuta espressamente questo ruolo)[10]
è un esperto della maieutica spirituale. Egli non offre risposte e credenze,
bensì fornisce indirizzi per un processo di ricerca interiore, che in fondo non
persegue nulla che non ci sia già: solo che è ignorato dal soggetto che lo
contiene. Si tratta della realtà luminosa del proprio Sé:
«Se porterete alla luce quello che è dentro di voi, quello
che porterete alla luce vi salverà. Se non porterete alla luce quello che è
dentro di voi, quello che non porterete alla luce vi distruggerà» (log. 70);
e proprio per questo la persona nella sua ricerca deve saper
separare l’utile dall’inutile[11]
con rispetto e umiltà. Il costante richiamo spirituale all’unità (cioè il fare
uno di due: log. 22)[12]
ha un significato nello stesso tempo gnoseologico e ontologico, perché si tratta
dell’unità luminosa delle origini; è l’unità transpersonale col tutto, e quindi
con Cristo:
«Gesù disse: Io sono la luce che sovrasta tutte le cose. Io
sono il tutto. Da me tutto è venuto e a me tutto giunge. Spaccate un legno e io
sono lì. Sollevate una pietra e lì sotto mi troverete» (log. 77).
Questo in fondo si salda con l’impostazione gnostica per cui
chi realizza la gnosi
«non è più un cristiano, ma un Cristo»[13].
Tutta questa impostazione spiega perché il Gesù del Vangelo
di Tommaso parli del Regno di Dio come di una realtà già esistente e interiore[14].
Vi è anche da rilevare che in tale Vangelo si presenta la questione - già
accennata nel capitolo sulla Gnosi - circa l’elemento femminile in Dio. Gesù vi
distingue fra i propri genitori terrestri (Maria e Giuseppe) e quelli celesti:
il Padre divino e la Madre, cioè lo Spirito Santo (log. 108). È interessante
notare che la Gnosi cristiana abbia dato una sua interpretazione del fatto che
Gesù sia “nato da una Vergine”. Questa vergine non sarebbe stata la madre
fisica, Maria, bensì lo Spirito Santo. Il Cristo del Vangelo di Tommaso punta a
preparare i suoi seguaci a una nuova vita, con prospettiva diversa, e traccia
un’immagine di quello che dovrebbe essere la persona decisa a seguire i suoi
insegnamenti:
«La persona prefigurata in essi è immortale: l’adepto non
assaporerà la morte (insegnamenti 1, 11, 18, 19, 111) e regnerà per sempre
(precetto 2), come individuo con doni e poteri straordinari. Il soggetto
preannunciato da Gesù beneficia di una forma di vita preesistente (precetto
19), che ha origine dalla luce e ad essa farà ritorno (precetti 24 e 50), e si
manifesta in un’immagine eterna e invisibile (precetto 84). Questa persona vive
nel mondo in modo distaccato, come in transito (precetto 42) o addirittura come
un viandante senza casa (precetto 86), pur comprendendo chiaramente la
distinzione tra il mondo ipotizzato in queste massime e il mondo materiale
circostante (precetto 47; vedi anche 56, 110, 111). Tale soggetto lavora
duramente per trovare l’interpretazione dei precetti, ma scopre in questa
difficile opera una fonte di vita (precetto 58). Le parole di Gesù costruiscono
una sorta di persona divinizzata, unita a lui per mezzo della sua bocca
(precetto 108), con una condizione più elevata di quella di Adamo (precetto 85),
meritevole perciò di entrare in rapporto più intimo con Gesù nella stanza
nuziale in cui vivono tutti ni solitari (precetto 75). La finalità ultima di un
individuo è trovare quel riposo (precetti 50, 51, 60, 90) che viene dalla conoscenza
dei segreti e delle realtà nascoste della vita (precetti 5 e 6)»[15].
A salvare questi adepti non è quindi la Chiesa, ma la parola
di Gesù messa in pratica. Si forma comunque una comunità spirituale fra di
essi, ma a livello di libera confederazione di fatto, dovuta al percorrere la
stessa via. Ben diversa sarà la storia delle chiese cristiane.
[1] De pudicitia, 10, 12.
[2] Lettera a Giulio Africano, 9; Commentario a Matteo, 23,
27-28.
[3] Richard Valantasis, Il Vangelo
di Tommaso, Arkeios, Roma 2005, p. 31.
[4] E. Pagels, Il Vangelo segreto di
Tommaso, Mondadori, Milano 1994.
[5] Ibid., p. 49.
[6] M. Craveri (a cura di), I
Vangeli apocrifi, Einaudi, Torino 1990, p. 482.
[7] I discepoli chiedono a Gesù:
«Sappiamo
che tu ci lascerai: chi sarà grande sopra di noi? Gesù rispose loro: Dovunque
andrete seguirete Giacomo il Giusto, colui a motivo del quale sono stati creati
il cielo e la terra».
[8]
Comunque anche in Luca c’è un passo di tenore similare all’impostazione di
Tommaso (Lc. 17, 20-21).
[9] Il
Mediterraneo orientale di quell’epoca era culturalmente assai meno isolato di
quanto avverrà poi nell’alto Medioevo; era anzi un crocevia di traffici e
correnti culturali con e dall’Oriente. Ad Alessandria era ben noto l’attivismo
missionario dei buddisti, e non mancavano coloro che avevano una qualche
conoscenza dell’induismo brahminico.
[10] «Io
non sono il tuo maestro, tu infatti hai bevuto e ti sei inebriato alla fonte
zampillante ce io ho custodito» (log. 13).
[11]
«L’uomo è simile a un pescatore saggio che gettò la rete in mare e la ritirò
piena di pesciolini. In mezzo a essi il pescatore saggio trovò un pesce grande
e buono. Allora rimise nel mare tutti i pesciolini e senza esitare si tenne il
pesce grande. Chi ha orecchie per intendere, intenda!» (log.8).
[12] «Quando
di due farete uno e renderete l’interno identico all’esterno e l’esterno
identico all’interno e l’alto identico al basso, e fare una cosa sola del
maschio e della femmina, di modo che il maschio non sia maschio e la femmina
non sia femmina, quando farete occhi al posto di un occhio, una mano al posto
di una mano, un piede al posto di un piede, un’immagine al posto di
un’immagine, allora entrerete [nel Regno]» (log. 22).
[13]
Vangelo di Filippo, 67.
[14] «I
discepoli gli chiesero: quando verrà il Regno? Non verrà perché l’aspettate.
Non diranno: Ecco è qui, oppure Ecco, è là. Piuttosto il Regno del Padre è
sparso su tutta la terra, ma gli uomini non lo vedono» (log. 113).
[15] Richard Valantasis, Il Vangelo
di Tommaso. Versione copta integrale commentata, Arkeios, Roma 2005, pp.
28-9.
Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com