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martedì 10 luglio 2012

DIAZ - DON’T CLEAN UP THIS BLOOD (Daniele Vicari, 2012), di Pino Bertelli

a Myriam e Ulisse

che ci guardano calpestare le rose di campo

e chiedono giustizia al crimine di lesa felicità per i ragazzi della terra...

a mia nonna partigiana,
mi ha insegnato che un uomo ha diritto di guardare un altro uomo dall'alto,
soltanto per aiutarlo ad alzarsi...

a Carlo Giuliani,
non laveremo mai questo sangue...


Ouverture in forma di eresia

“Avevo il diritto di viverla, quella felicità. Non me lo avete concesso.
E allora, è stato peggio per me, peggio per voi, peggio per tutti...
Dovrei rimpiangere ciò che ho fatto? Forse. Ma non ho rimorsi.
Rimpianti sì, ma in ogni caso nessun rimorso”.
Jules Bonnot

[in tempi non sospetti Bonnot aveva compreso che rapinare una banca
è un atto criminale quanto fondarla, e più di ogni cosa
che la polizia è il braccio armato di ogni potere
e i suoi crimini restano sempre impuniti!].


I. Il solo poliziotto buono è quello seppellito da una risata!

C’era una volta la polizia che in un paese occidentale si rese colpevole del più grave attentato contro la democrazia (fondata su sessantamila morti della Resistenza) dopo la seconda guerra mondiale... era il 2001, nell’ultimo giorno del G8 a Genova. Un’ondata persone (di ogni ceto sociale) si era riversata nella città Medaglia d’oro della Resistenza per dissentire sulle trame, i disegni, gli imbrogli che otto capi di Stato stavano pianificando a danno dell’intera umanità... il popolo non ci stava e mostrava nelle strade il proprio dissenso... uomini, donne, ragazzi cantavano, ballavano, si stringevano insieme e gridavano contro i responsabili del disastro universale che “un altro mondo è possibile”.
È vero, c’erano anche i dissidenti del “blocco nero”, incappucciati che tiravano sassi, davano fuoco alle auto, spaccavano le vetrate delle banche... tutte cose che, al meglio, emergono dalla furia montante di questo tempo dove la domesticazione della società consumerista/spettacolare marchia il disagio armato/finanziario che la governa... al peggio, contenitori di inclusioni poliziesche mascherate sul versante del dissidio... infatti la solerte polizia italiana, gli uomini dei servizi segreti, i “robocop” dell’ordine pubblico si sono ben guardati di fermare questa minoranza di agitatori e non ne hanno deviato le intemperanze, né li hanno arrestati per violenze ai danni del popolo tutto. C’eravamo, abbiamo visto e fotografato le “giornate di Genova”. Abbiamo preso anche un’immagine di poliziotti euforici in posa sulla carcassa di una macchina bruciata che alzano i fucili al cielo in segno di vittoria. Dove regnano la costrizione, il ricatto e la violenza, gli indignati annunciano (con ogni mezzo necessario) l’arte (in rivolta) di non essere governati, né di governare in questo modo e a questo prezzo.
I corpi di polizia, lo vogliamo ribadire, nella storia dei movimenti che chiedono un futuro migliore e meno feroce per le prossime generazioni... sono come i ratti su cumuli di spazzatura al servizio di istituzioni, partiti, chiese, politici conniventi con il crimine organizzato... i poliziotti (sotto copertura della politica) fanno cantare la libertà sul filo della mannaia, sono mercenari in divisa sempre a difesa del profitto di pochi. “Il manganello rischiara il cervello” dice il poliziotto-medico nel film di Vicari (Diaz, 2012), mentre tortura una ragazza tedesca colpevole soltanto di chiedere il rispetto dei diritti umani. Una sola violenza è una violenza di troppo, perché contiene tutte le barbarie che sono state e quelle che verranno.
Gli otto “grandi” del saccheggio mondiale parlavano a loro nome e dei loro bravacci del “mercato finanziario”, i trecentomila dissidenti erano schierati a fianco di milioni di persone che in ogni parte della terra soffrono guerre, fame, miseria e tutto per permettere a una minoranza di saprofiti di saccheggiare dignità, ricchezza e bellezza di interi paesi. L’uomo nasce libero ma dovunque è in catene... le democrazie dello spettacolo e i regimi comunisti (le religioni monoteiste, gli eserciti, gli indici delle Borse internazionali, i concorsi a premi televisivi, il cane del presidente della repubblica, il canarino un po’ tonto di Monti, la gatta un po’ zoccola della Fornero...) sono dispositivi/strumenti della politica del profitto perseguiti dalle multinazionali, i veri devastatori del pianeta. Solo ciò che è giusto per il bene comune è legittimo. Il dispotismo dei partiti e la menzogna elettorale non lo sono in nessun caso.
Una democrazia partecipata, diretta o consiliare è la sola via da intraprendere perché si realizza nelle volontà sociali del popolo. Le bande mafiose che hanno fatto il covo nei partiti, nei governi, nelle banche... vanno combattute e sconfitte... il popolo deve esprimere il proprio volere nelle scelte dei rappresentanti con pubbliche assemblee e non subire imbecilli imposti dai partiti... solamente il bene comune è il fine da innalzare sopra ogni decisione democratica. “I partiti sono organismi pubblicamente, ufficialmente costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verità e della giustizia” (Simone Weil) e vanno soppressi.
Il bene comune, la giustizia, la verità non riguardano i partiti... la politica dei partiti acceca, rende servi, complici dell’arroganza, spinge anche le persone oneste all’accanimento più crudele contro gli innocenti... la soppressione dei partiti politici è necessaria, sono il cancro della società, i veri cani da guardia di tutti i poteri... l’economia terroristica del consumo poggia sui loro servigi e i grandi poteri utilizzano questi buffoni infatuati della propria incompetenza per perpetuare gli interessi dei ricchi a discapito di una società di liberi e uguali. I politici vanno esposti al pubblico ludibrio e sepolti nel sudario dei loro misfatti... il debutto della bellezza comincia dove la crudeltà di ogni forma di autoritarismo crolla e ha inizio la vita autentica.

II. Diaz. Non lavate questo sangue

Il cinema italiano vaga attraverso gli schermi/video come una puttana sfiorita in un mondo senza marciapiedi (alla maniera di Cioran, filosofo con la fascinazione per l’ineducazione) e in questo tempo dove anche gli stupidi possono diventare primi ministri, papi, presidenti della repubblica o segretari di partito... l’indignazione può diventare un grimaldello etico/estetico che infrange l’angoscia, la paura e la violenza prodotti dall’ordine costituito sul sistema di disordini che ha contribuito a provocare... politici senza destino, tecnici dell’impoverimento concentrazionario [la ricchezza della banche, dio è con noi! e anche il manganello] sono i precetti di una regale sciatteria nella quale sonnecchiano le vestigia pedagogiche di dittature combattute e sconfitte con insurrezioni popolari... la funzione di educare le masse al silenzio o alla domesticazione collettiva sembra vacillare... l’oppressione mercantile e l’iniquità dei poteri che la sostengono cercano nuovi linciaggi ma le giovani generazioni irrompono nella scena pubblica e danno inizio allo smantellamento delle crudeltà istituzionali.
Il film di Daniele Vicari, Diaz, è un lavoro poco commestibile per i consumatori di illusioni... racconta alcuni episodi avvenuti durante gli scontri del G8 a Genova nel 2001 e mai dimenticati... si tratta dell’irruzione “a mano armata” dei giannizzeri dello Stato nella scuola Diaz e dei metodi di tortura che hanno riservato ai ragazzi de/portati nella caserma di Bolzaneto (in Italia la tortura non è perseguibile, si legge nei titoli di coda). Le opinioni, i contrasti, i dibattiti che il film ha suscitato ci interessano poco... sono tutte schermaglie dialettiche nate e morte all’interno della carta stampata o nei salotti televisivi dove anche il conduttore sembra davvero commuoversi di tanto sangue versato dai ragazzi, donne, vecchi del Social-Forum... così, tanto per fare un po’ presenzialismo all’acqua di rose e alzare la vendita dei giornali e gli indici di ascolto. In vero Diaz tocca le corde profonde della memoria umiliata e offesa della democrazia, mostra, senza gridare, l’ipocrisia di una tragedia costruita nelle alte sfere della politica e per la quale nessuno ha pagato (né poliziotti, né questori o ministri che hanno deciso il massacro).
Il docu-film di Vicari è un rizoma di microstorie che confluiscono nella scuola Diaz e tra le mura della caserma di Bolzaneto... c’è quella del giornalista della “gazzetta di Bologna” (Elio germano), di Alma (Jennifer Ulrich), l’anarchica tedesca che si occupa delle persone disperse e arrestate negli scontri di piazza, di Nick (Fabrizio Rongione), il manager che si interessa di economia solidale, arrivato a Genova per seguire il seminario dell’economista Susan George. Nella Diaz capita anche il pensionato, militante della CGIL (Renato Scarpa), insieme a tanti anziani aveva preso parte ai cortei pacifici del G8 e si trova a passare lì la notte. Ci sono inoltre anarchici (francesi, finlandesi, italiani), il “blocco nero”, il vicequestore aggiunto del primo reparto mobile di Roma (Claudio Santamaria) e centinaia di altri protagonisti che incrociano i loro destini nella notte del 21 luglio 2001.
I fatti sono quelli conosciuti anche dall’ultimo ubriaco che staziona nei cessi del parlamento... poco prima della mezzanotte quattrocento poliziotti irrompono nella Diaz dove ha sede il Genova Social-Forum e danno inizio al pestaggio di quanti si trovano nella scuola (alcuni avvocati, giornalisti, testimoni dell’aggressione dicono che i “poliziotti sembravano drogati”, una pratica usata dai soldati nelle battaglie all’”arma bianca” e mai abbandonata). Si distinguono per ferocia il VII nucleo del reparto mobile di Roma, gli agenti della Digos e i celerini di carriera... i carabinieri circondano l’edificio e lasciano picchiare persone che con le mani alzate gridavano “pace”, “non violenza”, “rispetto dei diritti umani”... in poco meno di dieci minuti (questo è il tempo della storia, nel film la durata è più amplificata) novantatrè persone sono bastonate e arrestate, diverse delle quali finiscono in ospedale e/o nella caserma di Bolzaneto. Qui i “bravi ragazzi” della polizia (la citazione del film di Scorsese sui gangsters newyorchesi, Quei bravi ragazzi, è d’obbligo) continuano il pestaggio, le vessazioni, le torture... alcuni “black bloc“ che si erano nascosti in un bar per tutta la notte escono nella strada e si trovano davanti a un campo di battaglia... una di loro entra nella scuola, vede l’efferata devastazione della polizia, prende un pezzo di cartone, ci scrive sopra — “Non lavate questo sangue” — e lo attacca al vetro di una finestra... di lì a poco arrivano i giornalisti, filmano, fotografano, raccolgono i segni dell’operato della polizia e iniziano a diffondere (non sempre con l’afflato e lo sdegno necessario) i misfatti della Diaz.
Né poliziotti, né questori, né il ministro della giustizia pagheranno mai per questa profanazione della dignità di un popolo, molti di loro saranno premiati con l’avanzamento di grado e il responsabile di questo massacro annunciato sarà elevato a capo dei servizi segreti di questa Italia dell’impostura, della cialtroneria e del manganello facile. Nuove resistenze sociali però stanno avanzando dai bordi della società più umana e, come un tempo mai dimenticato, quando i partigiani contribuirono alla fondazione di una nazione nuova, vanno ad incrinare le ingiustizie della repressione e prima o poi daranno a questi squallidi untori della violenza parassitaria la sorte che meritano.
Diaz è un film sincero, a tratti commovente... Vicari mostra anche che non tutti i poliziotti sono belve (il vicequestore del reparto mobile di Roma), si sofferma sulla piccola storia d’amore tra una ragazza spagnola e un ragazzo del Social-Forum (abbastanza di maniera) e ritaglia la bonarietà operaia del pensionato (un po’ troppo ingenua a dire il vero) che in qualche modo si interseca alla curiosità cronachistica del giornalista di Bologna. Straordinaria è la figura dell’anarchica Alma... le spaccano i denti e la umiliano nella caserma di Bolzaneto ma non perde mai la bellezza della sua non-violenza. La madre di Alma viene in Italia a riprendersi la figlia... si commuove quando la vede uscire dalla caserma insieme ad altri stranieri pestati dalla polizia... le sorride piangendo, Alma si copre con la mano la bocca ferita e sale (in uno splendido rallentamento) sul pullman che la porterà fuori dal suolo italiano, espulsa come indesiderabile.
L’affabulazione filmica di Diaz è particolare... Vicari intreccia frammenti documentali e costruzioni attoriali con sapienza... la cinecamera è veloce, tratteggia gli eventi con cura e i picchiatori della polizia sono sottolineati con estrema veridicità... i ragazzi del “blocco nero” sono visti con il giusto distacco, “compagni che sbagliano”, forse... tuttavia all’interno di un tessuto urbano in devastazione progressiva (quello della globalizzazione neoliberista che produce povertà e disuguaglianze profonde) è difficile arginare rabbia e disobbedienza di ragazzi che non hanno nulla da perdere se non le loro catene.
La sceneggiatura di Vicari e Laura Paolucci è tratta dagli atti dei processi e conferisce al film quell’aura di giustizia sociale propria al grande cinema italiano del Neorealismo fino a quello d’impegno civile degli anni settanta. Il montaggio di Benni Atria è convulso, di notevole bellezza espressiva e lascia leggere il film nella sua drammaticità senza sottolineare troppo gli strappi del racconto. La musica di Theo Teardo si addossa all’accadere con grazia, non è mai spalmata a favore della sequenza d’effetto. La fotografia di Alessandro Bandinelli e Emanuele Gherardo Gossi (in collaborazione con Vicari) è insolita per la retorica filmica italiana... sgranata, segnata da istanze documentarie, restituisce una visione d’insieme di singolare carattere autoriale. Il rallenty della bottiglia che scatena il massacro della Diaz rimanda non poco al Kubrick di Odissea nello spazio e intorno a questa citazione Vicari costruisce l’intero film. I vertici istituzionali prendono a pretesto gli oggetti (bottiglie d’acqua, lattine di birra, scatole di cartone...) che alcuni ragazzi tirano contro le auto della polizia e decidono la mattanza della Diaz in nome della “sicurezza di Stato”.
Diaz è un ritratto compiuto dei “fatti di Genova”... “la vera realtà è sempre irreale” (Kafka, diceva), il vero resta incollato agli occhi dello spettatore più attento, quello che rifiuta l’angheria del predone e il fatalismo del rassegnato... fa domande, non pretende risposte... rimanda al primato della coscienza il diritto di dissentire o di approvare le malversazioni della polizia e dei capi di Stato... i “mangiamerda” in divisa sono intersecati a ecumenici discorsi istituzionali e (con dovizia d’intenti poetici) il film si affranca al coraggio e alla bellezza di pezzi di popolo che non chiedono (a faccia scoperta) vendetta né perdono ma la conquista di una società di liberi e uguali. A guisa di chiusura e per una ballata tutta ancora da cantare (ovunque c’è un manganello che si abbatte su uomo libero): non bisogna prendersela con i vermi per eliminare la sozzura politica nella quale proliferano e li tiene a libro paga per bastonare i dissidi sociali... occorre spazzare via i tribuni, i burocrati, i voltagabbana che incensano la propria mediocrità nelle cloache dei governi e restituire ai popoli la bellezza, la giustizia, l’accoglienza e il diritto di vivere un’esistenza più giusta e più umana. Sia lode ora a uomini di fama.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 23 volte aprile 2012

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