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martedì 15 maggio 2012

LA BATTAGLIA DEI PAPELITOS, di Enzo Valls


In ricordo del disegnatore Carlos Loiseau, in arte Caloi, scomparso il passato 8 maggio ad Adrogué (provincia di Buenos Aires).



Vuole la storia popolare del calcio argentino che, nel 1961, un gruppo di tifosi ebbe l’idea di organizzare un particolare festeggiamento dell’ingresso in campo della propria squadra del cuore - il Quilmes -, consistente in lanciare, ogni simpatizzante, una certa quantità di papelitos (piccoli pezzi di carta), in modo da creare una copiosa pioggia di coriandoli che scendesse dagli spalti in modo vistoso. L’idea era bella ma difficile da realizzare, anche se, per la verità, ai tifosi del calcio sembra che nulla risulti impossibile: bisognava scovare tonnellate di carta, poi tagliarla in rettangolini più o meno regolari, distribuirli e, inoltre, spiegare a ogni simpatizzante cosa dovevano fare e in quale momento. Per la carta ebbero un’altra bella pensata: chiesero alla famosa fabbrica di birra locale, omonima della città e della squadra, se per caso non avessero delle etichette della birra ormai in disuso. Ne avevano circa cento milioni, e potevano dargliele, ma gli amministratori della birreria rimasero di stucco quando questo gruppo di tifosi dissero loro che le avrebbero prese tutte.
L’idea fu un successo e piacque così tanto - prosegue la leggenda - che presto questa pratica dilagò non soltanto tra le squadre argentine ma in molti altri paesi, soprattutto latinoamericani. E anche se, spesso, l’inondazione del campo di gioco con queste centinaia di migliaia di pezzi di carta creava alcune difficoltà e ritardava l’inizio delle partite, a nessuno era venuto in mente di pensare che fosse qualcosa da abolire. Tanto meno per il presunto fatto di offrire una cattiva immagine degli argentini.
Ci volle l’arrivo dell’ultima dittatura e la vetrina dei Mondiali ’78 per tentare, non di vietare questa pratica, poiché era ovvio che sarebbe stato impossibile, bensì di montare una campagna che, unita ad altre che presentavano l’Argentina del terrore di Stato come il Paese delle Meraviglie, convincesse il popolo argentino a comportarsi più civilmente davanti agli occhi del mondo. Il portavoce ideale di questa campagna era il più famoso cronista di calcio dell’epoca, José M. Muñoz, che assunse questo ruolo con grande impegno, che andava oltre i Mondiali e oltre il calcio, giacché l’anno successivo si fece portavoce, assieme ad altri giornalisti, della campagna che tentò di impedire la visita in Argentina del Comitato internazionali sui Diritti umani de la OEA.

E se Muñoz era il più famoso cronista sportivo argentino dell’epoca, il personaggio di strisce umoristiche più celebre era Clemente, un simpatico e surreale essere vagamente somigliante a un papero, ma senza ali, né mani, le cui caratteristiche fondamentali, oltre ad incarnare alcuni dei “vizi” argentini più popolari, era l’adorazione per le donne prosperose, le olive (diventate personaggi pure esse) e, naturalmente, il calcio. Il suo disegnatore, Carlos Loiseau, in arte Caloi, con grande intuito e non poco coraggio, capì che era lui, o meglio, Clemente, chi doveva rappresentare la voce che, in modo molto indiretto ma inequivocabilmente popolare, si esprimeva attraverso questi lanci di papelitos. Per quasi tutto quel fatidico ’78 ebbe luogo questa strana ma seguitissima battaglia: da un lato un cronista sportivo schierato con l’ordine e la disciplina benpensante e militaresca, e dall’altra un buffo personaggio dimostratosi da subito più di acciaio che di carta, nonostante la sua caratteristica indolenza. Per Clemente il cognome del suo avversario passò ad essere “Murioz”, gioco di parole con il verbo morir, e dalla striscia domenicale incominciò la sua scherzosa arringa a favore del popolare e tipico festeggiamento dei papelitos.
La polizia arrivò al ridicolo di voler confiscare i giornali che ogni tifoso portava allo stadio Monumental il giorno dell’inaugurazione dei Mondiali, ma quando la squadra argentina entrò in campo e i papelitos scoppiarono in una pioggia albiceleste, tutti capimmo che Clemente aveva vinto non soltanto sulla carta, ma anche sull’erba. A dargli una mano ci furono i cartelloni luminosi dello stadio, evidentemente non controllati dall’AFA (Associazione argentina del calcio), sui quali apparì l’immagine di Clemente e la scritta: “Tiren papelitos, muchachos”. Muñoz non ebbe altro rimedio che riconoscere la sconfitta e, non ricordo se in quella partita inaugurale o in un’altra successiva, davanti al sempre più crescente fenomeno, disse qualcosa come: “E va bene, ragazzi, lanciate questi benedetti papelitos…!” Clemente aveva condotto quella che è stata forse la prima battaglia vincente contro la dittatura.


L’8 maggio Caloi ci ha lasciato per sempre. Aveva 63 anni. Clemente non aveva età e forse non ce l’avrà mai, perché continuerà ad incarnare eternamente lo spirito vagamente anarchico ma mai individualista del popolo più vero. A entrambi va il mio commosso ricordo.

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