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martedì 3 aprile 2012

CRISTIANESIMI V, di Pier Francesco Zarcone

GESÙ NELL’ISLAM

Questa volta non trattiamo, in termini di rivisitazione critica, aspetti dei Cristianesimi, bensì quell’argomento assai poco conosciuto in Occidente fra i non-specialisti che è il ruolo di Gesù nella religione islamica. Lo stereotipo corrente lo ha occultato, e non sarà male contribuire alla sua confutazione. D’altro canto si tratta pur sempre di una religione semita che ha palesemente alle spalle sia l’Ebraismo sia il Cristianesimo.
Minareto di Gesù della moschea Omayade di Damasco
Nel Corano a Gesù (Īsā ibn Maryam; Gesù figlio di Maria) viene attribuito un ruolo di assoluta rilevanza: egli non è un semplice profeta (nabī), bensì un inviato di Dio (rasūl Allāh)[1], l’ultimo prima di Muhāmmad, e faceva parte della sua missione per l’appunto preannunciarne la venuta. La menzione di Gesù da parte dei musulmani è sempre accompagnata dall’espressione “Su di lui la pace [di Allāh]” (alayhi as-salām), affine a quella usata per il profeta Mohammed (salla Allahu ‘alayhi wa-sallama: “Dio lo benedica e lo salvi”). Egli è parola di Dio (kalima min Allāh)[2] e suo spirito (rūh min Allāh)[3]; Messia (al-masīh) e servo di Dio (‘abd Allāh). Ma, per quanto esaltato, viene considerato soltanto un essere umano, quand’anche vicino a Dio, e

«eminente in questo mondo e nell'altro e uno dei più vicini a Dio (Sura 3, 45). (...) Rifiutano la fede a Dio quelli che dicono: “il Cristo, figlio di Maria, è Dio”. Rispondi loro: “Chi potrebbe impedirlo a Dio, se Egli volesse annientare il Cristo figlio di Maria, e sua madre e tutti coloro che sono sulla terra?”» (Sura 5, 17)

Secondo una tradizione messianica sunnita Gesù tornerà sulla Terra alla fine dei tempi, annunciando lo yawm al-dīn, ovvero il Giorno del Giudizio ultimo, e si crede che egli apparirà dove oggi sorge il “minareto di Gesù” (manār ‘Īsā), che fa parte della moschea degli Omayyadi di Damasco. 
Dicevamo che per il Corano Gesù non è né figlio di Dio né a Dio assimilabile. E questo viene formulato a chiare lettere:

«Rifiutano la fede a Dio quelli che dicono: “il Cristo, figlio di Maria, è Dio”. Rispondi loro: “Chi potrebbe impedirlo a Dio, se Egli volesse, di annientare il Cristo figlio di Maria, e sua madre e tutti coloro che sono sulla terra?» (5, 17).

Pur tuttavia il Corano ripropone la sua nascita miracolosa da una vergine:

«E quando gli angeli dissero a Maria: “O Maria! In verità Dio t'ha prescelta e t'ha purificata e t'ha eletta su tutte le donne del creato... O Maria, Iddio t'annunzia la buona novella di una Parola che viene da Lui, e il cui nome sarà il Cristo, Gesù, figlio di Maria, eminente in questo mondo e nell'altro e uno dei più vicini a Dio”... O mio Signore! rispose Maria, “Come avrò mai un figlio se non m'ha toccata alcun uomo?", rispose l'angelo: “Eppure Dio crea ciò che Egli vuole: allorché ha deciso una cosa non ha che da dire: Sia! ed essa è”» (4, 157-58).

Un non-musulmano potrebbe obiettare che, affermandosi la concezione di Gesù per intervento dello Spirito di Dio, dovrebbe trovare spazio nell’Islam, almeno sul piano formale, un concetto similare a quello di “Figlio di Dio”. In astratto e potenzialmente è vero, ma questo passo ulteriore la teologia islamica non l’ha mai fatto. Anzi, l’Islam ha nettamente separato la concezione da parte di Maria per intervento divino da una possibile divinizzazione di suo figlio. Il Corano, ferma restando l’esaltazione della grandezza di Gesù - a differenza di Muhāmmad, infatti, egli col permesso di Dio ha compiuto miracoli (Sura 5, 110) – nel quadro del rigido monoteismo ha anche effettuato una chiara e formale presa di distanza dal trinitarismo cristiano:

«O Gente del Libro! non siate stravaganti nella vostra religione e non dite di Dio altro che la verità! Che il Cristo Gesù figlio di Maria non è che il Messaggero di Dio, il suo Verbo che egli depose in Maria, uno Spirito da lui esalato. Credete dunque in Dio e nei suoi messaggeri e non dite: Tre! Basta! E sarà meglio per voi! perché Dio è un Dio solo, troppo glorioso e alto per avere un figlio! A lui appartiene tutto quel ch'è nei cieli e quel ch'è sulla terra, Lui solo basta a proteggerci!» (Sura 4, 171).

  
Il sacro testo islamico presenta una cristologia adozionista forse non casuale (osservazione che nessun fedele musulmano farebbe, ma che viene spontanea a ogni studioso di religioni che non creda nella rivelazione coranica). Pochi sanno che il primo a incoraggiare Muhāmmad circa la veridicità delle rivelazioni da lui ricevute fu il cognatoWaraqa ibn Naufal, che era un cristiano non ellenista (infatti leggeva le Scritture in aramaico), probabilmente un giudeo-cristiano. D’altro canto sono in pochissimi a focalizzare il fatto che quando Muhāmmad iniziò la sua predicazione, nella penisola araba c’erano stati ben sei secoli (600 anni!) di presenza di un Cristianesimo arabo – inizialmente giudeo-cristiano a cui si aggiunsero poi influenze ariane, nonché nestoriane e anticalcedoniane.
Molte tribù beduine avevano abbracciato il Cristianesimo, fermo restando che sul livello qualitativo di questa adesione – oltre a non saperne quasi nulla – si possono nutrire dubbi a motivo della travolgente vittoria islamica nella Penisola araba, quand’anche conseguita con le armi. I principali centri di irradiazione del cristianesimo in Arabia furono l’Abissinia, lo Yemen e la Siria. Verso il 570 il generale cristiano Abraha, muovendo dallo Yemen e cercando di conquistare la Mecca, aveva invaso l’Higiaz, regione in cui già esistevano almeno due tribù cristiane (i Giudàm e gli Udhra). Anche alla Mecca vi erano dei cristiani[4], e alcuni appartenevano alla principale tribù cittadina, quella dei Quraish (cioè la stessa del profeta Muhāmmad).
Molto attivi nel proselitismo erano gli anticalcedoniani, che avevano fondato varie chiese e, lungo le strade percorse da pellegrini, anche monasteri. Lo stesso dicasi per i Nestoriani, che avevano anche istituito delle scuole in molte città arabe. Naturalmente tutte queste divisioni e rivalità non giovavano affatto all’ulteriore estensione ed al radicamento del Cristianesimo tra le popolazioni locali. Tuttavia particolarmente i Nestoriani ottennero buoni successi temporanei, grazie al prestigio conseguito dal loro monastero di Hira (costruito nel V secolo), tanto che durante la gioventù di Muhāmmad proprio il re di Hira, Numán, si convertì al Cristianesimo nestoriano.
Ci si può chiedere come mai – nonostante una tale consolidata presenza – la crisi spirituale in cui versava la penisola araba quando Muhāmmad iniziò la sua predicazione non avesse trovato sbocco nel Cristianesimo. Probabilmente ciò non è avvenuto per almeno due ragioni: a) l’eccessiva identificazione esistente in quel tempo fra il Cristianesimo e l’Impero bizantino; e quindi, in ragione dei legami istituzionali fra Chiesa e Impero, con la non astratta conseguenza di finire in vincoli di dipendenza politico/spirituali da Costantinopoli in caso di conversioni di massa al Cristianesimo; b) l’eccessiva complicazione teologica provocata dal livello a cui erano giunte le controversie cristologiche; avendo presente il grado di incomprensione a cui si era giunti fra teologi alessandrini, antiocheni e costantinopolitani, è facile immaginare la difficoltà richiesta dal cercare di fare capire a interlocutori di lingua araba di che si stesse trattando e quale profitto ne avrebbero potuto ricavare aderendo al Cristianesimo.
Probabilmente non è sbagliato sostenere che la motivazione sub a) esercitò un forte ruolo negativo soprattutto nella parte settentrionale della penisola araba. Per le relazioni abbastanza strette e frequenti con la vicina Siria gli Arabi erano ben al corrente di quanto accadeva ai dissidenti religiosi di quel paese a opera delle autorità bizantine: persecuzioni violente e feroci, espulsione di monaci e civili, prigioni e torture. E anche verso gli Arabi cristiani non ortodossi l’atteggiamento di Costantinopoli fu improntato a un’autolesionistica prepotenza. Esempio tipico fu quanto accadde al capo arabo Harith, di simpatie – diciamo – “monofisite”, che era stato prezioso alleato dell’Impero d’oriente contro i Persiani nelle guerre per il controllo della Siria. La sua vicenda attesta altresì l’entità dei progressi fatti anche in ambito cristiano-arabo dal monoteismo rigido, e quindi quanto fosse fertile il terreno per la successiva predicazioni islamica. Nel 536. infatti, Harith si recò a Costantinopoli sottoponendo all’Imperatore una dichiarazione teologica dottrinariamente bizzarra, ma proprio per questo interessante. In essa a un certo punto si diceva che

«La Trinità è una Divinità, una Natura e una Essenza; quelli che non accetteranno questa dottrina devono essere colpiti da anatema».

Di fronte alla ripulsa dei teologi bizantini Harith li tacciò di eresia. La triste sorte di suo figlio Mundhir che, pur essendo stato un fedele e prezioso alleato di Costantinopoli, vi finì tradotto in catene scatenando così una rivolta araba contro i Bizantini, fu un ulteriore scacco per l’Impero romano.
Come ha scritto Adolf Schlatter,

«la Chiesa giudea si estinse solo in Palestina, ad ovest del Giordano. Comunità cristiane con costumi giudei continuarono a esistere, invece, nelle regioni orientali: nella Decapoli, nella Batanea, tra i nabatei, nella periferia del deserto siriano e anche in Arabia, completamente isolate dal resto del cristianesimo (...). Nessuno dei leader della Chiesa imperiale poteva immaginare che stava per arrivare il giorno in cui questo cristianesimo da essi disprezzato avrebbe sconvolto il mondo e distrutto una gran parte del sistema ecclesiale da essi costruito; quel giorno arrivò quando Mohammed fece propria l’eredità conservata dai cristiani di origine ebraica – la loro coscienza di Dio, la loro escatologia che annunciava il giorno del Giudizio; i loro costumi e le loro leggende – e in qualità di “Inviato di Dio”, dette vita a un nuovo apostolato»[5].

Circa la morte di Gesù sulla croce, il Corano contiene una posizione di tipo docetista (cioè fondata sull’apparenza), negando che sia stato lui a salire sulla croce:

«Hanno detto: Abbiamo ucciso il Cristo, Gesù figlio di Maria, messaggero di Dio, mentre né lo uccisero né lo crocifissero, bensì qualcuno fu reso ai loro occhi simile a Lui ... ma Iddio lo innalzò a sé, e Dio è potente e saggio» (Sura 4, 157-58).

A prenderne il suo sarebbe stato o Simone il Cireneo o Giuda Iscariota (!). Comunque nella teologia islamica la questione non ha dato adito a soverchie problematiche anche per il diverso ruolo che viene attribuito a Gesù nell’economia globale dell’Islamismo.  L’Islam sunnita attende la seconda venuta di Gesù in una cornice apocalitica, come Mahdi nel gorno del giudizio finale e universale. Il detto sunnita “non abbiamo altro Mahdi che Īsā” esprime la polemica contro gli gli sciiti, per i quali invece il Mahdi sarà l’Imam nascosto.
Spesso i musulmani di una certa cultura, per sostenere la concezione musulmana su Gesù con fonti extracoraniche – il che sul piano formale ha sempre un certo effetto, trattandosi di riferimenti “non di parte” – si richiamano al cosiddetto Vangelo di Barnaba.
Secondo gli studiosi occidentali esso non andrebbe però confuso con l’apocrifo omonimo menzionato nel Decretum Gelasianum della fine del V secolo, che con tutta probabilità si riferiva a un altro testo, i cosiddeti Atti di Barnaba. Quand’anche costoro si sbagliassero, si tratterebbe sempre di un’opera tarda. Infatti il Vangelo di Barnaba a cui fanno riferimento gli islamici risulta essere un’opera di gran lunga posteriore di cui fu scoperto un manoscritto nella Biblioteca Papale nel 1590, e l’opera fu poi citata per la prima volta dal filosofo irlandese John Toland (1670-1722) nel 1718 in una controversia fra cristiani e musulmani.
Questo Vangelo di Barnaba sostiene che Gesù non era figlio di Dio, ma un semplice profeta venuto tra gli uomini, mentre Mohammed era il profeta per eccellenza. L’autore vi si definisce uno degli apostoli ma il testo è pieno di anacronismi, errori grossolani sulla storia e la geografia della Palestina del primo secolo, improbabili riferimenti a costumi e concetti sconosciuti ai tempi di Gesù, e anche alcune contraddizioni rispetto al Corano. L’autore dimostra anche una certa ignoranza del greco, negando a Gesù il ruolo di Messia, e nello stesso tempo chiamandolo “Cristo”, che poi è la stessa cosa. A febbraio di quest’anno (2012) l’agenzia turca Anadolu e il quotidiano Hurriyet hanno dato notizia della scoperta, da parte della polizia turca, di un’antica Bibbia (vecchia di almeno 1.500 anni) scritta in aramaico che contiene il Vangelo di Barnaba e del fatto che su di esso il Vaticano ha chiesto di poter effettuare una perizia. Il Tribunale di Ankara ha inviato questo reperto al Ministero della Cultura, il cui titolare Ertugrul Gunay ha annunciato che dopo il restauro ci sarà l’esposizione pubblica del libro.  
Comunque sia, fin dai primi tempi dell’Islam nella polemica contro i Cristiani ha trovato uno spazio sempre maggiore la tesi delle manipolazioni effettuate sui testi evangelici; tema che l’esegesi evangelica moderna si ritrova davanti non esistendo più gli originali. Inizialmente l’accusa era fatta estendendo arbitrariamente all’Antico Testamento e ai Vangeli lo stesso modello di formazione del Corano: vale a dire la rivelazione a un profeta di un testo bell’e fatto, poi trasmesso di generazione in generazione. Si prescindeva, quindi, dal diverso iter di formazione storica dei testi biblici.
Uno dei punti cardine di questa polemica islamica riguarda l’asserito preannuncio che Gesù avrebbe fatto della successiva venuta di Muhāmmad. In buona sostanza, si asserisce che Gesù avrebbe annunciato l’invio di un períklutos, ovvero di un “degno di lode”, che a seguito della manipolazione è diventato il paráklitos, il consolatore, cioè lo Spirito Santo. In arabo períklutos è ahmad, parola che fa parte del nome di Muhāmmad.
Questa tesi pervenne a un livello qualitativo ben maggiore nell’Iberia musulmana del X-XI secolo con Ibn Hazm (994-1064). Nel suo Kitâb al-Fisal (Libro della distinzione) egli innanzi tutto fece una ben fondata notazione: l’assenza negli stessi Vangeli usati dai Cristiani di varie caratteristiche della loro religione, come il passaggio del giorno festivo settimanale dal sabato alla domenica, l’abolizione della circoncisione e il permesso di mangiare carne di maiale e altri cibi proibiti dalla Legge mosaica, atteso che lo stesso Gesù aveva dichiarato (Mt. 5, 17) di non essere venuto ad abrogare la Torah. Inoltre Ibn Hazm sottolineò con vigore come riguardo ai Vangeli fossero assenti quei rigorosi criteri di verifica testuale e delle testimonianze inerenti ai testi che invece erano stati adottati dai primi Califfi quando si trattò di effettuare una sicura collazione dei versetti coraniche e dei detti (hadith) di Muhāmmad affinché i fedeli disponessero di un testo unico e non opinabile. La logica quindi la sua conclusione: 

«sebbene i musulmani siano obbligati a onorare la rivelazione ricevuta da Gesù, non possono essere certi che una qualsiasi parte dei Vangeli sia l’autentica riproduzione di questa rivelazione»[6].

Al riguardo si deve ricordare anche l’apporto critico contenuto nel Kitâb al-milal wa’n-nihal (Libro delle religioni e delle sette) di ash-Shahrastânî (m. 1153), al quale non sfuggì il ruolo di Paolo di Tarso nell’aver scompigliato la realtà del Cristianesimo dopo essersi autoeletto apostolo.
In merito all’essere da tempo stabilmente musulmani i paesi in cui maggiore era stata la diffusione del Cristianesimo (Anatolia, Siria, Palestina e Transgiordania, Egitto e Africa settentrionale) si possono fare delle considerazioni almeno di tipo “formale”, partendo da un dato di fatto: la grande espansione islamica, di quella che si potrebbe chiamare l’ondata araba – con ciò intendendosi non tanto la conquista quanto il radicamento – ha riguardato territori asiatici, nordafricani e iberici che non erano certo tra i più arretrati nel vecchio Impero romano. In essi l’islamizzazione non è avvenuta mediante l’uso della forza, anche perché i conquistatori arabi ricavavano forti introiti fiscali dalla popolazione cristiana (ed ebrea), essendo essa sottoposta a un regime di protezione in qualità di “gente del Libro” (ahl a-kitāb): sono i dimmiyyun (i protetti) e a fronte di questo status devono pagare annualmente (Cor. 9, 29) una tassa fondiaria (kharág), se proprietari di terre, e una capitazione personale (gizyah). Di modo che l’interesse dei nuovi dominatori per le conversioni in massa era palesemente antieconomico.
Non può non balzare all’attenzione una coincidenza: dei territori oggetto di conquista musulmana – comprendendo le aree della successiva espansione turca (selgiuchida prima, e ottomana poi) si sono profondamente islamizzate quelle ostili al governo di Bisanzio e in cui prevalevano interpretazioni dei Cristianesimo “non-ortodosse” per Costantinopoli e Roma (Arianesimo, Nestorianesimo, Monofisismo), oppure concezioni di tipo manicheo (il Bogmilismo in Bosnia, Macedonia, Bulgaria). Di fronte all’Islamismo ci si sarebbe aspettati una forte resistenza a motivo del fatto che tutte e tre queste forme di Cristianesimo “eterodosso” esprimevano comunque gradi diversi di “divinizzazione” di Gesù. Ma così non è stato.
C’era forse qualcosa nelle teologie di queste forme di Cristianesimo che all’atto pratico ha favorito la resa al monoteismo radicale dell’Islam, che si presentava come sintesi e inveramento delle precedenti religioni “abramiche”, a prescindere da dato esteriore dell’appassionata partecipazione popolare alle dispute teologiche? Capirlo oggi non è per nulla facile, e si può solo argomentare – senza presumere che i risultati siano verificabili o falsificabili – sulla base dei pochi dati disponibili. Al riguardo privilegiamo quelli ideologici, atteso che le motivazioni socioeconomiche dell’ostilità a Costantinopoli non giustificano l’avvenuta islamizzazione, massiccia e stabile. Sul piano ideologico colpisce una costante: tutte e tre le forme di Cristianesimo di cui trattasi, pur con presupposti diversi, erano ostili all’equilibrio trinitario di tipo bizantino. E nelle loro cristologie in vario modo il divino finiva col soverchiare nettamente l’umano. Talché – non essendo in grado di sapere come il vissuto popolare avesse inteso il significato delle varie posizioni “eterodosse” – si potrebbe pensare che (agevolata dalla grande considerazione coranica per Gesù) la negazione islamica della sua piena divinità passasse in secondo piano in ambienti dove predominavano concezioni in cui la natura divina non si mescolava (o mal si mescolava) con quella umana.
Inoltre, per gli ambienti in cui era prevalso il monofisimo c’è da domandarsi fino a che punto nel sentire popolare fosse ben chiara la “distinzione” fra persona del Padre e persona del Lógos, oggettivamente tutt’altro che facile da tradurre in termini accessibili partendo dalle raffinate, elaborate e complesse concettualizzazioni conciliari.

Īsā ibn Maryam; Gesù figlio di Maria
[1] 61, 6.
[2] 3, 39; 4, 171.
[3] 4, 171.
[4] Si narra che quando Muhāmmad conquistò la Mecca nel 630, nelle pareti interne della Kaaba trovò dipinti cristiani, che fece cancellare tranne quella di Maria con il bambino Gesù. Questo dipinto scomarve solo nel 683, a causa di un incendio che distrusse l’originario edificio della Kaaba.
[5] A. Schlatter, Geschichte der ersten Christenheit, Gütersloh 1926, pp. 376 ss.
[6] W. Montgomery Watt, Cristiani e Musulmani, Il Mulino, Bologna 1994, p. 91. Naturalmente Ibn Hazm non affronta le problematiche (oggettivamente esistenti) circa la correttezza della collazione delle sure coraniche, disposta dal califfo Othman, tanto che esiste una corrente estremista sciita sostenitrice dell’avvenuta manipolazione del sacro testo. Sulla questione da tempo è stata “messa la sordina”, ma essa esiste, indipendentemente dal fatto che nella pratica anche gli sciiti abbiano finito con l’accettare il Corano nel testo attuale. Si crede, però, che alla fine dei tempi il Corano apparirà nella sua completezza e integralità. 


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