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martedì 20 dicembre 2011

La manifestazione di Firenze dopo la strage dei senegalesi, di Antonio Marchi


Caro Roberto,
ho fatto bene ad andare a Firenze alla manifestazione dei "senza patria" in risposta all'assassinio di Diop Mor e Samb Modou e dei tre feriti senegalesi, vittime dell'odio razziale di una classe politica di marca leghista che ha armato la mano dell'assassino. Lo sforzo è stato ripagato da una giornata di incontri, di sguardi, di colori di parole sussurrate e gridate, di una forza imponente che ha dimostrato di essere "padrona" (oltre il suo numero citato dai giornali - 30/35.0000 - e mortificato dalla questura 12/15.000) della piazza e in prospettiva capace di risolvere da sé lo scontro in atto. Una massa in movimento che ha preso coscienza di sé (...).

Sulla manifestazione: 
Già prima di mezzogiorno piazza Dalmazia si riempiva di gente. La pelle è nera tinta di bianco od olivastro, di varia provenienza (maggioritaria la provenienza dal Sud - Ass. 3 febbraio di Napoli su tutte) età, sesso e colore politico nella città di Dante a dare lezioni di democrazia. 
L'angolo dove sono stati ammazzati Diop Mor e Samb Modou è stato trasformato in un altare, pieno di fiori e fogli scritti in varie lingue che segnano la solidità che ha ancora il suffragio ai morti, comunque siano andate le cose. Parole di profonda religiosità e umanità, disegni di bambini colorati appesi al muro, ceri e candele a coprire il marciapiede, quasi a ridare quello spazio lavoro a chi brutalmente è "stato privato". 
Col passare dei minuti in piazza il via vai di presenze si faceva sempre più insistente e già alle 14 la manifestazione era pronta per partire. Prendevano corpo le associazioni e gli schieramenti più politicizzati con bandiere, striscioni, gonfaloni dei comuni e cartelli nei quali apparivano le foto dei due senegalesi morti e le loro famiglie (molto bella la foto della moglie e figlia del compianto Diop Mor). Associazioni di volontariato, forze sociali e politiche con i loro striscioni, ma i più erano i senza "patria e bandiere", solo la parola li associava agli altri. Comunemente urlata, cantata e danzata nel corteo: "basta razzismo". Altre, "il razzismo uccide", "c'è una sola identità la nostra comune umanità", "difesa della dignità di chiunque viva", via i "fascisti da Firenze", "chiudiamo casa Pound" ecc. Nel chiassoso prepararsi di una manifestazione che si presentava già imponente all'inizio c'è fierezza e orgoglio, una capacità di rappresentanza che è una novità per tempismo e convinzione per come hanno preso la testa del corteo che poteva essere scippata dalla rappresentanza del PD fiorentino (c'erano Bersani e Bindi oltre a Ferrero e Landini). Partito il corteo, che si è subito dimenticato della promessa di renderlo silenzioso, è esploso in tutta la sua ricchezza, e nel chiassoso ripetersi di parole, preghiere e canti si scioglieva anche la rabbia iniziale. Alla tensione prendeva il sopravvento la gioia di sentirsi in tantissimi (di molto oltre le previsioni), protetti da una solidale e sincera presenza di una città che ha fatto muro ai lati della strada e che è stata vigile e partecipe del suo avvenimento. 
Il vero servizio d'ordine, infatti, lo hanno fatto Loro: cittadini spettatori interessati ai lati del percorso che si sentono partecipi di una protesta che è anche la loro, perchè anche loro umiliati e vittime della barbarie xenofoba e razzista. Non c'è odio, non c'è rancore che traspare sulle loro facce, c'è una nobiltà che non conoscevo nel loro comportarsi dentro e fuori il corteo, anche nei momenti di tensione; anche quando l'arroganza del potere poliziesco sbarra la strada (a difesa del "piacere festaiolo" per non disturbare le compere dei frequentatori dei negozi del centro storico) al proseguimento del corteo umiliandolo e facendolo deviare per uno stretto corridoio vicino all'arrivo di piazza Santa Maria Novella che è talmente gremita da non poterlo contenere, non c'è che una "civile" protesta.
Il tanto calore, la contentezza per la riuscita della manifestazione, il sentirsi tutti a casa propria, figli della stessa madre terra e partecipi di una svolta, anche in un paese che di razzismo vive e vegeta, potersi gustare quel finale di un pomeriggio speciale, spregiudicatamente tiepido, con lo sguardo all'insù, aspettando i botti di fine anno e più che i discorsi finali interessa il guardarsi attorno. 
Adelante.
Antonio
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