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domenica 2 ottobre 2011

EDUCARE ALLA LIBERTA’ (IV E ULTIMA PARTE), di Alessandro Gigli


La scuola

Le scuole democratico-libertarie basano la loro esistenza su 3 concetti base:
1)      le lezioni come scelta
2)      la costruzione di regole condivise
3)      l’assenza dei voti

1) le scuole democratico-libertarie accolgono abitualmente bambini e ragazzi, di entrambi i sessi, dai 3 ai 18 anni. L’idea centrale attorno alla quale tali scuole prendono forma è di offrire ai ragazzi la possibilità di scegliere se frequentare le lezioni o no.  Alla base vi è il presupposto secondo cui le attività scolastiche sono un’offerta e non un obbligo. Questa scelta, in forte contrasto con tutto ciò che abitualmente associamo alla scuola, si basa sulla profonda convinzione che ogni bambino sia competente. Non si parla quindi solo di disciplina, ma soprattutto di autodisciplina, mentre il percorso di apprendimento diventa una scelta e non la risposta alle aspettative di qualcun altro (il genitore, la società, gli insegnanti e così via). Le scuole democratiche, quindi, propongono e sostengono l’importanza della libertà di scelta nell’apprendimento perché è un passaggio fondamentale per la costruzione dell’autostima. L’assenza di imposizioni porta a scoprire una motivazione intrinseca nei ragazzi, talmente forte da spingere ad imparare con gioia e a non dimenticare più ciò che si è appreso, consentendo di collegare teoria e pratica anche nel quotidiano. In una scuola democratico-libertaria, gioco libero, lettura libera e conversazioni libere costituiscono alternative alle lezioni e vanno considerate di pari valore educativo. Si ritiene infatti che esse stimolino i diversi aspetti dell’intelligenza o ,meglio, le intelligenze multiple. L’assenza di obblighi per quanto riguarda l’apprendimento e l’organizzazione del tempo trascorso a scuola non significa mancanza di regole e disciplina, tutt’altro.
2) Nelle scuole democratico-libertarie il numero di regole da rispettare è molto alto e l’autodisciplina di ogni ragazzo sorprendente. Le regole vengono proposte, discusse e votate da studenti e insegnanti nel corso di una riunione comune. Si tratta di un’assemblea a cui partecipano tutti i soggetti della scuola, inclusi i genitori, che per motivi lavorativi tendono invece a non essere presenti. Ciò che viene votato ha valore per tutti e ogni persona presente ha diritto ad un voto e ogni voto, sia esso espresso dagli insegnanti o dagli alunni, pesa in eguale misura. Ogni assemblea è gestita da un moderatore scelto tra gli studenti a rotazione tra coloro che si sono resi disponibili. Il moderatore presenta un ordine del giorno elaborato tenendo conto delle mozioni raccolte durante la settimana tramite apposite schede di cui tutti possono usufruire. I regolamenti possono essere cambiati o rivisti se, con il passar del tempo, risultano inadeguati o insoddisfacenti. La scelta di attribuire eguale valore al voto degli insegnanti e degli alunni, si basa sulla convinzione che tutti fanno parte della stessa comunità e lavorano per raggiungere i medesimi obbiettivi: fare esperienze, imparare e crescere. E’ molto interessante osservare come i bambini imparino a presentare delle proposte che nascono dai loro bisogni e non dal desiderio di compiacere un insegnante o di farsi belli di fronte alla classe. Che cosa accade se qualcuno non si attiene alle regole ratificate dall’assemblea? In questo caso entra in gioco il secondo strumento democratico, ovvero il comitato di giustizia, che può intervenire come parte dell’assemblea oppure come organo indipendente. E’ un organismo composto dai ragazzi stessi che, a rotazione , rivestono questo ruolo. Si tratta di un gruppo di alunni che, con la supervisione di un insegnante nelle vesti di uditore, ascoltano con serietà e pazienza le parti interessate, cercando di farle riflettere e di far capire le motivazioni reciproche. Solo nei casi più complessi o in presenza di recidivi, si attivano delle punizioni. Le punizioni possono consistere nell’obbligo di pulire i vetri di alcune aule della scuola oppure di fare un turno di due ore in cucina per la preparazione del pranzo o, ancora, nel divieto di giocare al computer per una settimana. La centralità dell’assemblea e del comitato di giustizia si riflette nel nome stesso di scuole democratiche. In questi laboratori di apprendimento la democrazia non si studia e non si frammenta all’interno della routine scolastica, ma la si vive e la si mette in pratica nella strutturazione complessiva dell’esperienza.
3) Un altro elemento che accomuna le diverse scuole democratico-libertarie è l’assenza dei voti. Questa scelta è condivisa da numerosi metodi pedagogici alternativi a quello istituito dal curriculum statale. Scrive a questo proposito don Milani : “dopo un mese della vostra scuola (quella statale) l’infezione aveva preso anche me. A scuola durante le interrogazioni sentivo il cuore fermarsi. Auguravo agli altri quello che per me non volevo. Durante la lezione non ascoltavo più. Pensavo già all’interrogazione dell’ora seguente (…). A casa non mi accorgevo se la mamma stava male. Non domandavo notizie dei vicini. Non leggevo il giornale. La notte non dormivo.”
I voti generano spesso ansia e confusione perché inducono a misurare il proprio valore di persona. In famiglia, nel gruppo di amici, nella società si è instaurata una sorta di identificazione più o meno evidente tra voto e riconoscimento. Nelle scuole democratiche , invece che sul voto, si pone l’accento sul percorso d’apprendimento che ogni ragazzo ha intenzione di svolgere. Ogni scuola adotta proprie modalità per rappresentare l’osservazione, le trasformazioni e lo sviluppo costante dell’apprendimento. In alcune realtà i ragazzi si incontrano ogni settimana con un insegnante-tutor che li aiuta ad analizzare e valutare i progressi ottenuti a scuola. A fine anno le famiglie ricevono una lettera dello stesso tutor in cui viene raccontato il processo di crescita relazionale, sociale e di apprendimento del figlio. Questo metodo previene l’instaurarsi di una competizione distruttiva tra i ragazzi perché ognuno è consapevole di seguire un proprio percorso che non è valutato né migliore né peggiore di quello di un altro, ma viene cucito addosso ad ognuno. Alle lezioni, quindi, partecipano bambini e ragazzi in base al loro livello di preparazione e non all’età. In tal modo scompare il concetto di un determinato programma da svolgere in uno specifico momento evolutivo dell’alunno. Questo approccio determina che, oltre agli insegnamenti tradizionali come italiano, scienze, matematica, geografia, storia ecc. facciano parte della scuola anche altre proposte: educazione ambientale, cura di un orto, espressione corporea attraverso il gioco, la danza e il teatro, laboratori artistici-artigianali che utilizzano l’argilla, il feltro, il legno.

(Questo brano è tratto dal libro Liberi di imparare, di Francesco Codello e Irene Stella, aam terranuova edizioni)

Conclusioni personali

All’inizio della mia “carriera” d’insegnante avevo già in mente un tipo di scuola e di rapporto con i ragazzi molto differente: non mettevo mai i voti, decidevo con loro il lavoro, tenevo conto dei loro desideri, non punivo e cercavo di non esercitare mai alcun tipo di autorità. Era la fine degli anni ‘80 e non m’interessavo di politica né tantomeno conoscevo la pedagogia libertaria: era tutto spontaneo. Da qualche anno sono venuto a conoscenza di tali tipi di scuola e ne sono rimasto stupefatto… Avevo trovato le basi etiche, pedagogiche e ideologiche che giustificavano il mio modo d’insegnare facendomi sentire più forte e sicuro. Ma io lavoro nella scuola statale e qui cominciano i dolori, i tentennamenti, i dubbi, i turbamenti e anche le sconfitte e i problemi (tanti) soprattutto con i dirigenti scolastici ma anche con i colleghi, i genitori e gli alunni, questi ultimi abituati ormai ad agire solo sotto la pressione di comandi e imposizioni dall’alto. Adottando metodi libertari spesso, ma fortunatamente non sempre, mi trovo a non essere capito dagli alunni che confondono libertà con licenza e così facendo credono che nelle mie ore tutto sia lecito. E’ capitato così che mentre con alcune classi (soprattutto le Prime della scuola media) tutto filava liscio, con altre (specialmente le Terze della scuola media) la vita scolastica era disordinata e caotica costringendomi purtroppo a metodi più tradizionali e quindi più autoritari. Perché con le prime classi era possibile mentre con le terze spesso no? Credo che, secondo la mia esperienza, quando ancora sono poco scolarizzati, con meno anni alle spalle, i ragazzi e le ragazze conservino una mente più libera, una maggiore voglia di sperimentare e un desiderio di riuscire a tirar fuori il meglio di sé sotto la guida responsabile di un insegnante- facilitatore, non padrone, mentre, arrivati in terza media l’abitudine a ubbidire a comandi e regole decise da altri prende il sopravvento, spegnendo quella vivacità intellettuale e quella disponibilità a sperimentare che invece rimane viva i primi anni della scuola secondaria. Ho vissuto esperienze bellissime lo scorso anno in un piccolo paesino di provincia con classi poco numerose e colleghi disponibili, mentre, quest’anno in una città più grande e problematica con classi molto affollate e un clima da caserma mi trovo molto peggio e sto rischiando di non essere né capito né accettato, soprattutto dai più grandi abituati da troppo tempo ormai ad ubbidire solo agli ordini degli adulti. Anche il rapporto con i colleghi e soprattutto con il dirigente scolastico ha un peso molto forte nel riuscire a mettere in atto metodi educativi sperimentali e soprattutto alcuni dirigenti non ne vogliono sapere né di educazione democratica né di metodi non autoritari.
Il problema più grande non solo nella scuola ma nella società è la paura: paura di tutto ciò che è diverso, innovativo, che infrange tabù, regole e status quo e tale paura si trasforma in chiusura degli occhi e delle orecchie anche se si capisce che la strada vecchia è dissestata e non porta in una giusta direzione, cioè, quella di far uscire dal percorso scolastico veri cittadini attivi a capire prima e trasformare poi un mondo completamente sballato, ingiusto, non libero e assolutamente non democratico. Comunque lotterò per far conoscere le mie idee e le modalità di educazione libertaria perché credo con tutte le mie forze che se non si cambia alla radice sia l’educazione in famiglia sia a scuola, cresceranno solo ragazzi e ragazze pronti a sottostare alle regole sociali loro imposte senza nessuno slancio di cambiamento e miglioramento. Non dobbiamo educare dei sudditi ma dei cittadini autonomi, responsabili, liberi e felici.