La scuola
Le scuole democratico-libertarie basano la
loro esistenza su 3 concetti base:
1)
le lezioni come scelta
2)
la costruzione di regole condivise
3)
l’assenza dei voti
1) le scuole
democratico-libertarie accolgono abitualmente bambini e ragazzi, di entrambi i
sessi, dai 3 ai 18 anni. L’idea centrale attorno alla quale tali scuole
prendono forma è di offrire ai ragazzi la possibilità di scegliere se
frequentare le lezioni o no. Alla base
vi è il presupposto secondo cui le attività scolastiche sono un’offerta e non un obbligo. Questa
scelta, in forte contrasto con tutto ciò che abitualmente associamo alla
scuola, si basa sulla profonda convinzione che ogni bambino sia competente. Non
si parla quindi solo di disciplina, ma soprattutto di autodisciplina, mentre il percorso di apprendimento diventa una scelta e non la risposta alle
aspettative di qualcun altro (il genitore, la società, gli insegnanti e
così via). Le scuole democratiche, quindi, propongono e sostengono l’importanza
della libertà di scelta nell’apprendimento perché è un passaggio fondamentale
per la costruzione dell’autostima.
L’assenza di imposizioni porta a scoprire una motivazione intrinseca nei
ragazzi, talmente forte da spingere ad imparare con gioia e a non dimenticare
più ciò che si è appreso, consentendo di collegare teoria e pratica anche nel
quotidiano. In una scuola democratico-libertaria, gioco libero, lettura libera
e conversazioni libere costituiscono alternative alle lezioni e vanno
considerate di pari valore educativo. Si ritiene infatti che esse stimolino i
diversi aspetti dell’intelligenza o ,meglio, le intelligenze multiple. L’assenza di obblighi per quanto riguarda
l’apprendimento e l’organizzazione del tempo trascorso a scuola non significa mancanza
di regole e disciplina, tutt’altro.
2) Nelle scuole
democratico-libertarie il numero di regole da rispettare è molto alto e
l’autodisciplina di ogni ragazzo sorprendente. Le regole vengono proposte,
discusse e votate da studenti e insegnanti nel corso di una riunione comune. Si
tratta di un’assemblea a cui partecipano tutti i soggetti della scuola, inclusi
i genitori, che per motivi lavorativi tendono invece a non essere presenti. Ciò
che viene votato ha valore per tutti e ogni persona presente ha diritto ad un
voto e ogni voto, sia esso espresso dagli insegnanti o dagli alunni, pesa in
eguale misura. Ogni assemblea è gestita da un moderatore scelto tra gli
studenti a rotazione tra coloro che si sono resi disponibili. Il moderatore
presenta un ordine del giorno elaborato tenendo conto delle mozioni raccolte
durante la settimana tramite apposite schede di cui tutti possono usufruire. I
regolamenti possono essere cambiati o rivisti se, con il passar del tempo,
risultano inadeguati o insoddisfacenti. La scelta di attribuire eguale valore al voto degli insegnanti e
degli alunni, si basa sulla convinzione che tutti fanno parte della stessa
comunità e lavorano per raggiungere i medesimi obbiettivi: fare esperienze,
imparare e crescere. E’ molto interessante osservare come i bambini imparino a
presentare delle proposte che nascono dai loro bisogni e non dal desiderio di
compiacere un insegnante o di farsi belli di fronte alla classe. Che cosa
accade se qualcuno non si attiene alle regole ratificate dall’assemblea? In
questo caso entra in gioco il secondo strumento democratico, ovvero il comitato di giustizia, che può
intervenire come parte dell’assemblea oppure come organo indipendente. E’ un
organismo composto dai ragazzi stessi che, a rotazione , rivestono questo
ruolo. Si tratta di un gruppo di alunni che, con la supervisione di un
insegnante nelle vesti di uditore, ascoltano con serietà e pazienza le parti
interessate, cercando di farle riflettere e di far capire le motivazioni
reciproche. Solo nei casi più complessi o in presenza di recidivi, si attivano
delle punizioni. Le punizioni possono consistere nell’obbligo di pulire i vetri
di alcune aule della scuola oppure di fare un turno di due ore in cucina per la
preparazione del pranzo o, ancora, nel divieto di giocare al computer per una
settimana. La centralità dell’assemblea e del comitato di giustizia si riflette
nel nome stesso di scuole democratiche. In questi laboratori di apprendimento
la democrazia non si studia e non si frammenta all’interno della routine
scolastica, ma la si vive e la si mette in pratica nella strutturazione
complessiva dell’esperienza.
3) Un altro
elemento che accomuna le diverse scuole democratico-libertarie è l’assenza dei voti. Questa scelta è
condivisa da numerosi metodi pedagogici alternativi a quello istituito dal
curriculum statale. Scrive a questo proposito don Milani : “dopo un mese della
vostra scuola (quella statale) l’infezione aveva preso anche me. A scuola
durante le interrogazioni sentivo il cuore fermarsi. Auguravo agli altri quello
che per me non volevo. Durante la lezione non ascoltavo più. Pensavo già
all’interrogazione dell’ora seguente (…). A casa non mi accorgevo se la mamma
stava male. Non domandavo notizie dei vicini. Non leggevo il giornale. La notte
non dormivo.”
I voti generano
spesso ansia e confusione perché inducono a misurare il proprio valore di
persona. In famiglia, nel gruppo di amici, nella società si è instaurata una sorta di identificazione più o meno
evidente tra voto e riconoscimento. Nelle scuole democratiche , invece che
sul voto, si pone l’accento sul percorso
d’apprendimento che ogni ragazzo ha intenzione di svolgere. Ogni scuola
adotta proprie modalità per rappresentare l’osservazione, le trasformazioni e
lo sviluppo costante dell’apprendimento. In alcune realtà i ragazzi si
incontrano ogni settimana con un insegnante-tutor che li aiuta ad analizzare e
valutare i progressi ottenuti a scuola. A fine anno le famiglie ricevono una
lettera dello stesso tutor in cui viene raccontato il processo di crescita
relazionale, sociale e di apprendimento del figlio. Questo metodo previene
l’instaurarsi di una competizione distruttiva tra i ragazzi perché ognuno è
consapevole di seguire un proprio percorso che non è valutato né migliore né
peggiore di quello di un altro, ma viene cucito addosso ad ognuno. Alle
lezioni, quindi, partecipano bambini e ragazzi in base al loro livello di
preparazione e non all’età. In tal modo scompare il concetto di un determinato
programma da svolgere in uno specifico momento evolutivo dell’alunno. Questo
approccio determina che, oltre agli insegnamenti tradizionali come italiano,
scienze, matematica, geografia, storia ecc. facciano parte della scuola anche
altre proposte: educazione ambientale, cura di un orto, espressione corporea attraverso
il gioco, la danza e il teatro, laboratori artistici-artigianali che utilizzano
l’argilla, il feltro, il legno.
(Questo brano è
tratto dal libro Liberi di imparare,
di Francesco Codello e Irene Stella, aam terranuova edizioni)
Conclusioni personali
All’inizio della
mia “carriera” d’insegnante avevo già in mente un tipo di scuola e di rapporto
con i ragazzi molto differente: non mettevo mai i voti, decidevo con loro il
lavoro, tenevo conto dei loro desideri, non punivo e cercavo di non esercitare
mai alcun tipo di autorità. Era la fine degli anni ‘80 e non m’interessavo di
politica né tantomeno conoscevo la pedagogia libertaria: era tutto spontaneo.
Da qualche anno sono venuto a conoscenza di tali tipi di scuola e ne sono
rimasto stupefatto… Avevo trovato le basi etiche, pedagogiche e ideologiche che
giustificavano il mio modo d’insegnare facendomi sentire più forte e sicuro. Ma
io lavoro nella scuola statale e qui cominciano i dolori, i tentennamenti, i
dubbi, i turbamenti e anche le sconfitte e i problemi (tanti) soprattutto con i
dirigenti scolastici ma anche con i colleghi, i genitori e gli alunni, questi
ultimi abituati ormai ad agire solo sotto la pressione di comandi e imposizioni
dall’alto. Adottando metodi libertari spesso, ma fortunatamente non sempre, mi
trovo a non essere capito dagli alunni che confondono libertà con licenza e
così facendo credono che nelle mie ore tutto sia lecito. E’ capitato così che
mentre con alcune classi (soprattutto le Prime della scuola media) tutto filava
liscio, con altre (specialmente le Terze della scuola media) la vita scolastica
era disordinata e caotica costringendomi purtroppo a metodi più tradizionali e
quindi più autoritari. Perché con le prime classi era possibile mentre con le
terze spesso no? Credo che, secondo la mia esperienza, quando ancora sono poco
scolarizzati, con meno anni alle spalle, i ragazzi e le ragazze conservino una
mente più libera, una maggiore voglia di sperimentare e un desiderio di
riuscire a tirar fuori il meglio di sé sotto la guida responsabile di un
insegnante- facilitatore, non padrone, mentre, arrivati in terza media
l’abitudine a ubbidire a comandi e regole decise da altri prende il
sopravvento, spegnendo quella vivacità intellettuale e quella disponibilità a
sperimentare che invece rimane viva i primi anni della scuola secondaria. Ho
vissuto esperienze bellissime lo scorso anno in un piccolo paesino di provincia
con classi poco numerose e colleghi disponibili, mentre, quest’anno in una
città più grande e problematica con classi molto affollate e un clima da
caserma mi trovo molto peggio e sto rischiando di non essere né capito né
accettato, soprattutto dai più grandi abituati da troppo tempo ormai ad
ubbidire solo agli ordini degli adulti. Anche il rapporto con i colleghi e soprattutto
con il dirigente scolastico ha un peso molto forte nel riuscire a mettere in
atto metodi educativi sperimentali e soprattutto alcuni dirigenti non ne
vogliono sapere né di educazione democratica né di metodi non autoritari.
Il problema più
grande non solo nella scuola ma nella società è la paura: paura di tutto ciò
che è diverso, innovativo, che infrange tabù, regole e status quo e tale paura
si trasforma in chiusura degli occhi e delle orecchie anche se si capisce che
la strada vecchia è dissestata e non porta in una giusta direzione, cioè,
quella di far uscire dal percorso scolastico veri cittadini attivi a capire
prima e trasformare poi un mondo completamente sballato, ingiusto, non libero e
assolutamente non democratico. Comunque lotterò per far conoscere le mie idee e
le modalità di educazione libertaria perché credo con tutte le mie forze che se
non si cambia alla radice sia l’educazione in famiglia sia a scuola,
cresceranno solo ragazzi e ragazze pronti a sottostare alle regole sociali loro
imposte senza nessuno slancio di cambiamento e miglioramento. Non dobbiamo
educare dei sudditi ma dei cittadini autonomi, responsabili, liberi e felici.