Non è facile parlare di Shoah. C'è della magia in questo film, e la magia non si può spiegare. Abbiamo letto, dopo la guerra, un gran numero di testimonianze sui ghetti, sui campi di sterminio; ne eravamo sconvolti. Ma oggi, vedendo lo straordinario film di Claude Lanzmann, ci accorgiamo di non aver saputo niente [...] non avrei mai immaginato una simile mescolanza di orrore e di bellezza. Certo, l'una non serve a mascherare l'altro, non si tratta di estetismo: al contrario, essa lo mette in luce, con tanta inventiva e tanto rigore che siamo consci di contemplare una grande opera. Un puro capolavoro.
(Simone de Beauvoir)
I. Dei massacri di Hitler e di Stalin
La coscienza mercantile/ipocrita della macchina/cinema ha sovente parlato della Shoah... quasi sempre lo ha fatto senza toccare la paura, il terrore l’angoscia profonda del popolo ebraico umiliato e offeso nei campi di sterminio nazisti... né Il diario di Anna Frank (1959) di George Stevens, Schindler’s list (1993) di Steven Spielberg, né tantomeno La vita è bella (1997) di Roberto Benigni... hanno in qualche modo sfiorato la reale condizione di milioni di innocenti bruciati nei forni crematori hitleriani... la connivenza della chiesa cattolica con il nazismo, la cecità strategica, compromessa, interessata degli alleati, la complicità dei “Circoli ebraici” con i loro assassini (in principio commerciavano l’espatrio in Palestina a colpi di denaro o oro che solo i ricchi potevano permettersi, come racconta il filosofo Hans Jonas)... hanno permesso l’attuazione della “soluzione finale” degli ebrei secondo quanto aveva scritto nel libro La mia battaglia, Adolf Hitler, un caporale pazzo asceso al potere con il sostegno della “buona borghesia” germanica e delle industrie tedesche (Siemens, Krupp, Thyssen, Bayer...). Ricordiamolo. La mia battaglia è stato un bestseller, quasi una Bibbia per i tedeschi del tempo, ed è ancora molto venduto alle nuove generazioni di imbecilli con la svastica in testa e il manganello nel culo. Gli scritti/proclami di Stalin, per i comunisti dissidenti (con l’approvazione del più grande e bastardo partito comunista europeo, il Pci), hanno sortito la stessa devastazione di anime e le galere siberiane si ingoieranno oltre venti milioni di persone.
Un’annotazione. Gli alleati sapevano dei campi di sterminio già nel 1941-42 e mai hanno bombardato un metro di rotaia per impedire che i treni carichi di ebrei arrivassero alle camere a gas. La chiesa cattolica (eccetto qualche prete che aveva preso il Vangelo sul serio) ha benedetto i cannoni nazisti e a fine guerra, per mezzo della Croce Rossa, ha permesso a molti assassini di espatriare in Sud America. I “Circoli ebraici”, eccetto le insurrezioni eroiche di Varsavia, Treblinka, Auschwitz, Sobibor... (ma ce ne sono state altre a Lodz, Vilnius, Cracovia)... non hanno favorito le rivolte in armi... e nemmeno i centri della resistenza tedesca, polacca, ungherese, francese, italiana... si sono molto spesi per impedire la catastrofe ebraica... la “resistenza ebraica”, cioè gli ebrei che hanno fatto la lotta armata ci sono stati ma (come dice lo storico ebreo Raoul Hilberg) erano una minoranza coraggiosa che l’odio nazista ha tentato invano di cancellare dalla storia.
Il regista di Shoah, Claude Lanzmann (Parigi, 1925), ebreo non osservante (dice lui), è un personaggio singolare dentro e fuori la cultura ebraica... nel 1943 entra nella resistenza francese e per le sue azioni dirette contro l’usurpatore nazista gli viene assegnata una medaglia della Resistenza, nominato cavaliere della Legion d’onore e commendatore dell’Ordine nazionale del Merito... negli anni ’50 insegna all’università di Berlino, è amico di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir (della quale fu compagno dal 1953 al 1959)... da allora collabora alla rivista Les Temps Modernes (fondata da Sartre e Beauvoir) e ne è ancora il direttore. La sua filosofia anticolonialista lo affianca alle lotte per l’indipendenza algerina, tuttavia molti dei suoi lavori scritti o filmati non scalfiranno le contraddizioni e le ingerenze di Israele sulla Palestina. Gli israeliani non sembra abbiano compreso che il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese è il medesimo dei loro padri scacciati da tutti i paesi... non è Dio che libera da ogni colpa, è l’uomo che rispetta l’altro, il vero, l’autentico interprete della libertà di tutti gli uomini.
I film di Lanzmann contengono uno spirito libertario di non poco conto... a vedere Porquoi Israel (1972), Shoah (1985), Tsahal (1994), Un vivant qui passe (1997) o Sobibor, 14 ottobre 1943, 16 heures (2001)... si avverte la forza del pensiero non ortodosso del regista, un’alterità filosofica che non contempla altari né peccatori... i suoi film denunciano la perversione delle moderne forme di tirannia, antisemitismo e distruzione sistematica (non solo) del popolo ebraico. A leggere in profondità l’opera di Lanzmann si coglie anche la sua visione dell’esistenza, l’affrancamento con gli ultimi, gli sfruttati, gli offesi... c’è una tensione, uno sdegno, un’indignazione contro l’arroganza del potere nel suo fare-cinema che lo proietta sui crinali della disobbedienza civile, una posizione culturale che non giustifica l’obbligo politico a conformarsi alla volontà della maggioranza. Lanzmann, come Hannah Arendt o Martin Buber, si accosta alla necessità e desiderio di liberazione di tutte le popolazioni violate e anche se, principalmente, si occupa della questione ebraica cancellata dalla ferocia nazista, nel suo cinema sbordano schegge di libertà intellettuale che gli permettono di vedere le cose della storia sotto il loro vero aspetto... ci fa comprendere che l’attività di conoscere, disvelare, demistificare la morale dominante è un’attività di costruzione del mondo.
II. Shoah
Il film di Claude Lanzmann, Shoah (1985), che significa «catastrofe», rifiuta il concetto di Olocausto, che vuol dire «sacrificio», è un capolavoro della storiografia cinematografica, restituisce al popolo ebraico la memoria, la parola e la dignità sulla realtà tragica dei campi nazisti (in Polonia) e appartiene alla storia infame dell’umanità. Lanzmann lavora al documentario per oltre dieci anni... Rai Tre lo trasmette nel luglio 1987 (alle tre del mattino), Raisat Cinema lo replica il 27 gennaio 2003... nel 2007 Einaudi pubblica il documentario in DVD insieme al libro che contiene la sceneggiatura... nel 2010 la 01 Distribution lo pubblica in quattro DVD con una videointervista di Moni Ovadia e uno scritto di Simone de Beauvoir sul crimine impunito del nazismo che delinea, con la grazia che le è propria, l’innocenza del divenire di chi non ha voce.
La durata di Shoah è di oltre nove ore (613 minuti), la tenerezza, la dolcezza, la bellezza che esprime è abbacinante, commovente, amorosa... contiene in sé i grandi genocidi commessi dall’uomo sull’uomo... quello dei Cartaginesi e dei Galli annientati dai Romani, gli Avari cancellati da Carlo Magno, gli Indios sterminati dai Conquistadores o i Pellerossa trucidati dagli Americani del Nord... tuttavia non si vedono mucchi di cadaveri, corpi infilati nei formi crematori, fucilazioni di massa e fosse comuni... non ci sono immagini di deportati sui treni o appena scesi sulle piattaforme di Auschwitz, Treblinka o Sobibor... la macchina da presa si aggira su ciò che resta dei campi di sterminio polacchi, del ghetto di Varsavia, delle rovine di qualcosa di efferato che ancora si percepisce in quei luoghi spettrali... Lanzmann intervista i sopravvissuti (Sonderkommando), i nazisti (SS) e i polacchi dei paesi vicino ai campi che sono stati testimoni del genocidio (preziosa è l’intervista con lo storico Raul Hilberg, autore de La distruzione degli ebrei d’Europa)... ciò che ci resta addosso è il senso di impotenza, disgusto e collera verso l’intera politica internazionale che ha permesso tanta barbarie.
Elie Wiesel, futuro premio Nobel, ragazzo internato ad Auschwitz, in un suo libro giustamente celebre (La notte) se la prende anche con Dio: «Ma perché, ma perché avrei dovuto benedirlo? Tutto in me si rivoltava. Per aver fatto morire migliaia di bambini nelle fosse? Per aver fatto funzionare sei forni crematori giorno e notte, anche il Sabato e nei giorni di festa? Per aver creato nella sua infinita potenza Auschwitz, Birkenau, Buna e tante altre fabbriche di morte? Come avrei potuto dirGli: "Sii Benedetto, o Signore, re dell’Universo, che ci hai eletto tra i popoli per venire torturati giorno e notte, per vedere i nostri padri e le nostri madri, i nostri fratelli finire al crematorio? Sia lodato il Tuo Santo Nome, Tu che ci hai scelto per essere sgozzati al tuo altare? […] Ma questi uomini, che Tu hai tradito, che Tu hai lasciato torturare, sgozzare, gassare, bruciare, cosa fanno? Pregano davanti a Te! Lodano il Tuo Nome! […] Non imploravo più. Non ero più capace di piangere. Mi sentivo al contrario, molto forte. Io ero l’accusatore, e Dio l’accusato. Avevo aperto gli occhi ed ero solo al mondo, terribilmente solo, senza Dio, senza uomini; senza amore né pietà». Lanzmann non è meno indignato con quanti non hanno fatto nulla per mettere fine a questa ingiusta repressione... nelle interviste ricorda la prima regola insegnata a Primo Levi da una SS ad Auschwitz: «Niente perché». Il regista non dimentica nemmeno la complicità del popolo tedesco con lo sterminio... tutti sapevano e anche se non c’era un ordine scritto la burocrazia della morte era ben organizzata... i treni arrivavano in orario, gli ebrei dovevano pagare il biglietto (di solo andata) come le gite sociali, alle stazioni dei paesi, delle città attraversate dai convogli la gente vedeva ma nessuno voleva sapere niente di tale orrore... l’antisemitismo era profondo, esisteva nei carnefici del regime e tra il popolo... tutti volevano la stessa cosa, la distruzione totale degli ebrei.
Shoah non è solo un documentario... la tessitura filmica di Lanzmann intreccia diversi generi (western, racconto psicologico, gangster movie, commedia sociale...) ma evita con cura l’horror o il sentimentalismo all’italiana, specialmente, dove tutto finisce a rose e confetti (con Dio e con lo Stato)... né tantomeno la macchina da presa di Lanzmann si accorda alle stupidaggini filmiche dei Tarantino, De Palma, Spielberg o Coppola... la fotografia (Dominique Chapuis, Jimmy Glasberg, William Lubtchansky) è frammentaria, occasionale, tuttavia restituisce appieno l’epica non solo figurativa dell’intero film. Il montaggio (Ziva Postec e Anna Ruiz, per una sequenza a Treblinka) è davvero eccellente... conferisce all’insieme una sorta di sinfonia visiva e più di ogni cosa riesce a riportare - nella “ricucitura” delle ridondanze espressive - il dolore di un’epoca (se pensiamo alla lunghezza del film, è qualcosa di straordinario). I numerosi premi che Shoah ha ricevuto si debbono certo alla lucidità architetturale di Lanzmann, tuttavia l’uso emozionale della macchina da presa (il rapporto del regista con i personaggi intervistati) e la sapienza di montaggio hanno molto contribuito a tanti riconoscimenti e trascolorato il film in opera d’arte.
Gli interpreti di Shoah sovente si commuovono, s’interrompono, fuggono di fronte alle domande pertinenti e insistite del regista... ci riportano al loro dolore... quando uno era ragazzo e con le catene ai piedi cantava una canzoncina per le SS o l’altro che tagliava i capelli alle donne, ai vecchi, ai bambini che venivano spinti nelle camere a gas e si voleva uccidere... il racconto dell’uomo che invitava gli internati alla rivolta nel campo (impedita dall’incomprensione dei “Circoli ebraici”) e riesce a fuggire ci porta all’interno di una situazione confusa della politica ebraica, anche grottesca... come la storia narrata da uno dei protagonisti dell’insurrezione nel ghetto di Varsavia, ai quali la resistenza polacca rifiuta di dare loro le armi... le conversazioni con le SS sono rubate... alla maniera dei film di spie americani, ma Lanzmann fa di quelle immagini sporche, slabbrate, sgranate... l’anatomia banale e servile di milioni di persone prone a un regime tra i più brutali che l’umanità abbia mai generato. Shoah è l’apogeo di un “cinema orale” e si configura in immagini quasi surreali, impressioniste, sulfuree... si oppone a tutte le violenze fatte alla verità e confuta tutte le apologie del male... denuda la detestazione per la vita dell’ordine costituito (non solo quello nazista) e restituisce dignità, fraternità accoglienza a quanti sono passati per i camini della storia e con la loro morte hanno gridato che il male governa il mondo... il modo di morire, uccidere, massacrare, informa sul contenuto dell’educazione professata dai valori dominanti in ogni tempo e in ogni storia del potere... gli uomini in amore sanno bene che il giusto e l’ingiusto sono solo convenzioni che riducono l’uomo in schiavitù... occorre gettare al vento gli imperativi sociali, religiosi, ideologici e farsi carico di smascherare, insorgere, combattere contro l’ordine dell’universo mercantile/politico che continua a partorire stragi, neocolonialismi, brutturazione del genere umano, per non dimenticare.
19 volte febbraio 2011
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