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lunedì 25 aprile 2011

«PULIZIA DI CLASSE: IL MASSACRO DI KATYN» DI VICTOR ZASLAVSKY, di Andrea Furlan

Il 23 agosto 1939 fu firmato il Patto di collaborazione fra Germania nazista e Unione Sovietica (accompagnato dai protocolli segreti sulla spartizione della Polonia e altri territori) che determinerà un cambiamento dei rapporti di forza all'interno dell'Europa a favore della Germania, consentendo a Hitler di invadere la "sua" parte di Polonia e a Stalin la "sua", dando avvio in tal modo al più grande massacro della storia, cioè la Seconda guerra mondiale.
Il Patto, meglio conosciuto con il nome dei ministri degli Esteri Molotov e Ribbentrop, stabiliva la spartizione della Polonia e delle Repubbliche Baltiche in zone d'influenza tra la Germania di Hitler, che invaderà la Polonia il 1º settembre 1939, e l'Unione Sovietica di Stalin, che occuperà il 52% del territorio polacco assegnatole dal Patto due settimane più tardi, esattamente il 17 settembre 1939. A causa di questo accordo scellerato, il popolo polacco conoscerà sulla propria pelle, pagando prezzi altissimi in perdite di vite umane, l'occupazione militare da parte delle due dittature più feroci che la storia dell'umanità abbia mai prodotto.
Nel contesto delle vicende militari che accompagnarono la duplice invasione della Polonia, nella foresta di Katyn - località situata presso la città di Smolensk, nell'estrema Russia occidentale - si consumò nel marzo 1940 l'eccidio di 21.847 persone, fra militari e civili polacchi, per mano dell'Nkvd, la famigerata polizia politica sovietica. L'eccidio è stato documentato in varie pubblicazioni, ma qui ci limitiamo a presentare un libro prodotto in Italia da un grande storico di origini russe, in cui si descrive in modo documentato quanto accadde a Katyn e si chiarisce quali siano state le responsabilità politiche, etiche e morali di quell'orrendo massacro: è un libro edito da il Mulino nel 2006 - Pulizia di classe: Il massacro di Katyn (pp. 144, € 11,00) - scritto dallo storico e sociologo Victor Zaslavsky.
L'autore, nato a San Pietroburgo il 26 settembre 1937, è uno storico russo naturalizzato canadese che si è specializzato nello studio dei rapporti tra Italia e Unione Sovietica, e in particolare tra Pci e Pcus, dal 1945 al 1989. Laureato in Storia presso l'Università di San Pietroburgo, ha insegnato Sociologia politica alla Luiss di Roma, è autore di numerosi libri storici riguardanti l'Urss e una delle sue ricerche principali è contenuta nel libro Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, edito sempre da il Mulino nel 1997 e scritto in collaborazione con la moglie Elena Aga Rossi. Zaslavsky si è spento a Roma il 26 novembre 2009, all'età di 72 anni.
La vicenda narrata nel libro di Zaslavsky è stata descritta recentemente molto bene anche dal film del celebre regista polacco Andrzej Wajda - Katyn - distribuito in Italia nel 2009.
Attraverso le 144 pagine che compongono il libro, Zaslavsky è riuscito ad analizzare e descrivere i fatti pubblicando la documentazione che comprova in maniera incontrovertibile le responsabilità sovietiche nell'eccidio. Gli avvenimenti di Katyn, che per oltre quarant'anni sono stati oggetto di depistaggi e falsificazioni grossolane operate dalla propaganda sovietica, sono uno di quei fatti in cui l'accertamento della verità storica si è potuta definire sino in fondo solo dopo il crollo dell'Urss. Come Zaslavsky pone in risalto nel suo libro (che è anche un'opera di denuncia), senza la complicità delle potenze occidentali, in primo luogo gli Stati Uniti fino agli anni '50 e la Gran Bretagna fino al 1989, i sovietici non avrebbero potuto addebitare l'eccidio ai nazisti. Furono questi che per primi scoprirono le fosse comuni a Katyn quando Hitler decise di rompere l'accordo con Stalin, scatenando l'Operazione Barbarossa e invadendo la Russia, ma la macchina propagandistica sovietica addossò loro l'eccidio, anche se perlomeno in Polonia tutti sapevano che erano stati i sovietici a compierlo. Sia Roosevelt che Churchill erano a conoscenza di ciò che era accaduto a Katyn, essendo stati informati dal rapporto elaborato dall'ambasciatore britannico Owen O'Malley presso il governo polacco in esilio. Ma le due superpotenze, per ragioni di realpolitik legate all'alleanza militare antinazista con l'Urss, lasciarono che le menzogne sovietiche su Katyn facessero il giro del mondo.
Durante il processo di Norimberga i sovietici presentarono una delegazione medica che asseriva che l'eccidio non era avvenuto nel 1940, ma nel 1941, scagionando così i sovietici e incolpando i nazisti. La commissione nominata a Norimberga non mise agli atti le prove molto deboli presentate dai sovietici, ma allo stesso tempo - in maniera pilatesca - dichiarò che non era suo compito cercare i colpevoli per l'eccidio di Katyn. Le prove documentarie delle responsabilità sovietiche in quell'orrendo massacro - eseguito a sangue freddo, con un colpo alla nuca di migliaia di riservisti polacchi, senza processo e senza emettere nei confronti dei prigionieri nessun capo d'accusa - sono emerse dagli archivi sovietici quando se ne cominciò a rendere accessibile una parte, durante la perestrojka gorbacioviana.
Si è così potuto accertare chiaramente che l'ordine di fucilare i prigionieri di guerra polacchi - che erano rinchiusi dentro i campi di Kozelzk, Starobelsk e Ostaskov, nella foresta di Katyn - fu impartito dall'intero Politburo, e precisamente dai suoi sette membri: Stalin, Molotov, Berija, Kaganovič, Vorošilov, Kalinin e Mikojan. Ordine indirizzato all'Nkvd, decretato con la delibera del Comitato centrale del Pcus il 5 marzo 1940. L'ordine prese addirittura alla sprovvista gli stessi agenti della polizia segreta che si trovavano a Katyn, visto che all'inizio i prigionieri venivano utilizzati dai sovietici come manovalanza per la costruzione della rete ferroviaria. Solo in un secondo momento fu deciso di eliminarli.
La tesi di fondo di Zaslavsky è che a Katyn vi sia stata da parte sovietica una vera e propria operazione di pulizia etnica "di classe". Lo confermerebbe il fatto che la maggioranza degli omicidi furono realizzati contro i riservisti, contro cioè quella parte della popolazione polacca che era stata richiamata alle armi durante la guerra, ma che di professione non erano affatto militari, bensì avvocati, medici, proprietari terrieri e imprenditori o dipendenti statali. Furono fucilati anche uomini dell'esercito, generali, colonnelli, tenenti e militari semplici. Ma l'accanimento di Stalin e dei suoi, secondo Zaslavsky, mirava ad eliminare quei settori della società polacca che si dimostravano riluttanti ad accettare l'occupazione sovietica, perché questa avrebbe portato alla distruzione dell'identità nazionale della Polonia e alla completa sottomissione dei polacchi all'Urss.
A tale proposito sono eloquenti le dichiarazioni di Molotov davanti al Soviet supremo, dopo che l'invasione della Polonia era stata compiuta dall'Armata rossa: «La Polonia, questo bastardo nato dal trattato di Versailles, ha cessato di esistere». E non va nemmeno dimenticato che per occultare agli occhi del mondo la parte segreta del Patto con i nazisti, Stalin non dichiarò ufficialmente guerra alla Polonia, al contrario di quanto fece Hitler. L'Urss giustificò l'invasione della Polonia come atto di difesa della popolazione ucraina e bielorussa nei confronti dei nazisti.
I documenti sovietici presentati da Zaslavsky mostrano la crudeltà con la quale i sovietici trattavano i prigionieri di guerra polacchi, come procedevano sistematicamente alla deportazione delle famiglie di militari, agenti di polizia, guardie carcerarie, alti funzionari dello Stato polacco, agenti segreti, imprenditori e proprietari terrieri nella regione sovietica del Kazakistan, dove il loro esilio sarebbe durato un decennio. Secondo le stime contenute nel libro, le deportazioni dei famigliari dei prigionieri di guerra ammontano a 22-25 mila persone tra donne, vecchi e bambini. Molti di loro morirono di fame e di stenti o a causa delle condizioni climatiche che incontravano in quella parte di Siberia, alle quali non erano certo abituati. Gli unici polacchi superstiti delle deportazioni e delle reclusioni nelle carceri russe furono liberati solo dopo che la Germania nazista ebbe invaso l'Unione Sovietica, altri rimasero per sempre nel Gulag. Anche l'ordine di deportazione dei famigliari dei prigionieri di guerra fu impartito personalmente da Stalin ed eseguito dal gruppo dirigente sovietico dell'Ucraina, che aveva come Segretario generale Nikita Chruščëv.
Il padre della destalinizzazione aveva enormi responsabilità nell'eccidio di Katyn. Nella sua relazione al XX congresso del Pcus, in cui per la prima volta rivelò alcuni dei crimini compiuti da Stalin contro il popolo russo, Chruščëv non menzionò mai l'eccidio di Katyn. Negli anni seguenti egli s'impegnò attivamente per impedire la consultazione dei documenti riguardanti sia il patto Hitler-Stalin, sia il massacro di Katyn. Anche per questo Zaslavsky dedica interamente l'ultimo capitolo del libro a) all'analisi delle cause che hanno portato le potenze occidentali a tacere per mezzo secolo sulle responsabilità dei sovietici nell'eccidio del popolo polacco a Katyn, e b) alla reticenza da parte di Gorbačëv, durata fino al 1989, nel non voler pubblicare i documenti inerenti quella vicenda.
Il lavoro di Zaslavsky è un grande contributo storico e di riflessione politica complessiva su cosa sia stato lo stalinismo. Al pari del lavoro di Conquest sul periodo del Grande Terrore e delle purghe staliniane, egli è riuscito non solo a fornire uno spaccato di storia che per mezzo secolo è stata occultato o mistificato in accordo alle esigenze della propaganda sovietica, ma anche a fornirci altri validi strumenti per comprendere ancora meglio la personalità di Stalin, in particolare i meccanismi di controllo politico e di potere che il dittatore georgiano riuscì a costruire in Urss sfruttando e stravolgendo a proprio favore le conquiste della rivoluzione d'Ottobre.
Questo libro, come quello di Conquest e molte altre ricerche che sarebbe qui lungo elencare (senza dimenticare anche i materiali prodotti da compagni di Utopia Rossa), rappresenta un ennesimo invito a riflettere sulle ragioni per le quali la prima rivoluzione socialista della storia, resa possibile dal concorso di forze marxiste e libertarie nella prospettiva unitaria di «Tutto il potere ai soviet», si sia potuta trasformare in una dittatura sanguinaria, macchiatasi di orrendi crimini contro l'umanità. Non possono esserci più dubbi che le prime e principali responsabilità di questa tragedia storica siano da ricercare nelle scelte politiche compiute dal Partito bolscevico all'indomani stesso della Rivoluzione: scelte che, spalancando la porta alla dittatura del partito unico e alla fine di qualsiasi forma di democrazia (non solo operaia), impedirono la costruzione del socialismo e favorirono il processo controrivoluzionario della burocrazia. Da Kronštadt a Katyn c'è un drammatico filo di continuità che questo libro conferma e del quale la maggioranza di ciò che resta del movimento operaio internazionale non riesce ancora a prendere coscienza.

aprile 2011

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