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lunedì 29 gennaio 2024

IN RICORDO DI BRUNO SEGRE

di Giorgio Amico e Roberto Massari

(da Vento Largo [https://cedocsv.blogspot.com] del 28 gennaio 2024)

Questa mattina ho trovato nella posta una bella lettera di Roberto Massari sulla figura di Bruno Segre, che si chiudeva con l'invito di dedicargli un articolo su Vento largo. Lo faccio ben volentieri, usando le sue stesse parole. Io non saprei usarne di migliori e più adatte.

Caro Giorgio,

leggo sul Corriere di oggi [28/1/24] che è morto Bruno Segre, alla bella età di 105 anni.

Ne avevo perso memoria, pur avendo mantenuto una corrispondenza con lui per alcuni anni e pur essendo stato lettore del suo Incontro finché il giornale è esistito. Non immagini quanti pezzi di articoli da conservare ho ritagliato da quel giornaletto vecchio stile, stampato come Bandiera rossa degli anni ’60.

Ricordo ancora che in ogni numero c’era la pubblicità ai francobolli Bolaffi, che era chiaramente un modo per finanziare il giornale da parte di qualcuno che gli voleva bene. Segre infatti era massone e fiero di esserlo. E sul giornale questo si vedeva a ogni numero.

Ebbene, nella colonna che oggi il Corriere gli ha dedicato, non si accenna minimamente a questa sua militanza massonica che invece fu per lui molto importante. È una sciocca autocensura.

Il giornale era anticlericale in maniera nettissima, era in prima linea per i diritti civili (Segre era stato una punta della lotta per il divorzio), per la memoria dell’Olocausto (Segre era ebreo) e per le libertà democratiche (il comandante «Elio» era stato partigiano).

Insomma un ex partigiano ebreo, massone, anticlericale e veramente democratico che ci ha lasciato senza che la cultura italiana gli renda l’onore che si sarebbe meritato.

La buona notizia è che è campato 105 anni (come Lévi-Strauss).

Fossi in te gli dedicherei un articolo in  Vento Largo ( e se vuoi puoi anche usare queste mie parole).

Roberto

Cosa altro aggiungere? Noto solo che, come Il Corriere, anche altri giornali, vista la levatura culturale e morale del personaggio, hanno dedicato grande spazio alla notizia della morte di Segre. La Repubblica ne parla con un denso articolo nelle pagine della cultura, mettendone in luce le doti di rigoroso intellettuale, di esponente di punta delle grandi battaglie laiche come quella del divorzio. Ricordandone la militanza partigiana, lo definisce già nel titolo "Un simbolo dell’antifascismo". Toni analoghi usa il Manifesto che insiste particolarmente sul grande impegno pacifista di Segre. Peccato che, oltre che concordi nell'elogio, le tre autorevoli testate siano egualmente concordi nel tacere che Bruno Segre oltre che partigiano, antifascista, difensore accanito delle libertà, fosse massone, membro autorevole del Grande Oriente d'Italia che lo commemora sulla sua pagina web ricordando come nel 2020 fosse stato insignito della massima onorificenza massonica proprio per il suo instancabile costante impegno in difesa della libertà e dei diritti dei cittadini.

Non è comunque una novità. Dei massoni sulla stampa italiana si parla solo se il nome dell'interessato è accompagnato da un avviso di garanzia. Allora quella appartenenza, anche se non c'entra nulla con gli eventuali addebiti, non solo non viene taciuta, ma enfatizzata, scritta a lettere cubitali nel titolo dell'articolo. Un segno di come profondo resti il pregiudizio antimassonico nel nostro paese. D'altronde perché stupirsi? Fino agli anni Sessanta e al Concilio Vaticano Secondo nelle prediche domenicali e sulle pagine delle riviste cattoliche la Massoneria era definita "Sinagoga di Satana" a sottolineare il legame diretto con quei "perfidi giudei" il popolo deicida che non poteva essere perdonato. Bruno Segre, ebreo e massone, si è battuto per tutta la sua lunga vita contro questi pregiudizi, essendo stato in gioventù testimone diretto di quali orrori potesse provocare l'odio ideologico e il fanatismo.

Bruno Segre se ne è andato nella giornata dedicata alla Memoria. Lo salutiamo con affetto fraterno, ricordando come negli anni bui del terrore nazista in tutta Europa si svolse una feroce caccia ai massoni che a decine di migliaia, trentamila solo dalla Francia occupata, furono deportati e uccisi nei campi di sterminio.

Giorgio


Vento largo, 28 gennaio 2024



Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

sabato 27 gennaio 2024

HITLERO-COMMUNIST ROOTS OF TODAY’S «LEFT-WING» ANTISEMITISM

by Roberto Massari


(January 27, 2024, Holocaust Memorial Day)


BILINGUE: ENGLISH - ESPAÑOL

link all'italiano: http://utopiarossa.blogspot.com/2024/01/radici-hitlerocomuniste-dellattuale.html#more


The first Hitlero-communism

By «Hitlero-communism» one should mean the political thought that emerged in the summer/fall of 1939 when the Nazi and Soviet totalitarian regimes allied to invade Poland and annex various countries in Eastern Europe, thereby triggering the Second World War. The followers of Hitlero-communism (in Russia and worldwide) then endorsed all subsequent Russian invasions (Baltic countries, Finland, Czechoslovakia, Afghanistan, etc.) up to the current one in Ukraine. At the core of Hitlero-communism, both old and new, lies the pre-modern (if not medieval) idea that Russia was and still is legitimized in carrying out such annexations because it exercises a historical right by reclaiming territories that belonged to the Tsarist Empire. This position - reactionary in the fullest sense of the term - is found expressed more or less unconsciously in current justifications for Putin’s aggression in Ukraine and will likely apply to any potential future aggressions (starting with the Baltic countries).

The Soviet alliance with Nazism lasted from August 1939 to June 1941, the nearly two years during which the project of anti-Jewish extermination took definite shape, initiated even before the Pact and culminating in the so-called «Final Solution», systematized in the Wannsee Conference of January 1942. One of the «necessities» addressed by this extreme choice of Nazism was that about 1.7 million Jews lived in the part of Poland assigned to the Third Reich by the Pact with Stalin: a Jewish population that Nazism intended to annihilate, following plans and guidelines implemented long before, well-known to Stalin and the Soviet leadership.

To establish some dates: the first Auschwitz Konzentrationslager became operational in June 1940, in the midst of collaboration between Nazis and Soviets; the one in Chełmno (considered the first extermination camp) in December 1941, six months after the Nazi breach of the Pact. These and other Polish extermination camps (like Treblinka, Sobibór, Bełżec) began to operate «late» (in 1942, «Aktion Reinhard») because their planning became possible only after the joint invasion of Poland in September 1939. However, their construction took place during the almost two years of alliance with the Ussr: indeed, that alliance made them possible. It would be a serious error in historical perspective to date the beginning of the Holocaust from there because anti-Jewish persecutions had begun in Germany in the 1930s; for example, the Buchenwald camp, located in the German Thuringia, was operational from July 1937.

RADICI HITLEROCOMUNISTE DELL’ATTUALE ANTISEMITISMO «DI SINISTRA»

di Roberto Massari


(27 gennaio 2024, Giornata della Memoria)


Il primo hitlerocomunismo

Per «hitlerocomunismo» deve intendersi la corrente di pensiero politico che sorse nell’estate/autunno 1939, quando i totalitarismi nazista e sovietico si allearono per invadere la Polonia e annettere vari paesi dell’Europa orientale, scatenando così la Seconda guerra mondiale. Gli adepti dell’hitlerocomunismo (in Russia e nel resto del mondo) hanno poi approvato tutte le successive invasioni russe (Paesi Baltici, Finlandia, Cecoslovacchia, Afghanistan ecc.) fino a quella odierna dell’Ucraina. Alla base dell’hitlerocomunismo, vecchio e nuovo, vi è l’idea premoderna (per non dire medievale) che la Russia fosse e sia ancora legittimata nel compiere tali annessioni perché eserciterebbe un suo diritto storico riprendendosi i territori appartenuti all’Impero zarista. Questa posizione - reazionaria nel più pieno senso del termine - la si ritrova espressa più o meno inconsapevolmente nelle giustificazioni attuali per l’aggressione putiniana all’Ucraina e varrà ancora per eventuali possibili future aggressioni (a cominciare dai Paesi baltici).

L’alleanza sovietica col nazismo durò da agosto 1939 a giugno 1941: sono i quasi due anni che videro prendere forma definitiva al progetto di sterminio antiebraico, avviato ancor prima del Patto e che sfocerà nella cosiddetta «soluzione finale», sistematizzata nella Conferenza di Wannsee di gennaio 1942. Una delle «necessità» alle quali rispondeva questa scelta estrema del nazismo fu che nella parte di Polonia assegnata al Terzo Reich dal Patto con Stalin vivevano circa 1.700.000 ebrei: una massa di popolazione ebraica che il nazismo intendeva sterminare, secondo progetti e linee guida messe in opera già da tempo, e ben note a Stalin e al gruppo dirigente sovietico.

Per fissare delle date: il primo dei Konzentrationslager di Auschwitz divenne operativo dal giugno 1940, cioè nel pieno della collaborazione tra nazisti e sovietici; quello di Chełmno (considerato il primo lager di sterminio) nel dicembre 1941, cioè sei mesi dopo la rottura del Patto da parte nazista. Questi e altri campi di sterminio polacchi (come Treblinka, Sobibór, Bełżec) cominciarono a operare «tardi» (cioè nel 1942, «Aktion Reinhard») perché la loro progettazione fu possibile solo dopo l’invasione congiunta della Polonia nel settembre 1939; ma la loro costruzione si realizzò nel quasi biennio dell’alleanza con l’Urss: anzi, fu proprio quell’alleanza che li rese possibili. Sarebbe, però, un grave errore di prospettiva storica datare di lì l’inizio dell’Olocausto perché le persecuzioni antiebraiche erano iniziate in Germania negli anni ‘30: il lager di Buchenwald, per es., situato nella Turingia tedesca, era operativo dal luglio 1937.

Insomma, rispetto alla politica di sterminio antiebraico del nazismo, almeno tre cose furono subito chiare a chi voleva vederle allora (o che speriamo voglia cominciare a vederle chiare oggi): 1) Nello stringere il Patto con Hitler, ai sovietici non interessò minimamente il destino degli ebrei in Germania e nel resto d’Europa: delle persecuzoni antiebraiche non parlarono in documenti, atti ufficiali e sulla stampa. 2) I sovietici non ebbero la benché minima esitazione ad abbandonare quasi due milioni di ebrei polacchi nelle mani di chi intendeva sterminarli. 3) La fraternizzazione staliniana col Terzo Reich richiese che anche sull’Olocausto polacco calasse il silenzio stampa (oltre all’avvio della collaborazione delle rispettive polizie nelle consegne reciproche di prigionieri o nelle deportazioni di interi gruppi etnici).

domenica 21 gennaio 2024

LENIN: FONDATORE DELLA ČEKA E PRIMO RESPONSABILE DELL’ANTIRIVOLUZIONE RUSSA (II parte)

di Roberto Massari


TRILINGUE: ITALIANO - ENGLISH - ESPAÑOL


Era il dicembre 1917…

La Čeka fu fondata il 7(20) dicembre 1917, meno di sei settimane dopo la conquista del potere da parte del soviet di Pietrogrado, avvenuta il 25 ottobre (7 novembre per il calendario gregoriano che la Russia adotterà a fine gennaio 1918). Era passato quindi solo un breve periodo da quel grande rivolgimento politico e sociale, eppure il gruppo dirigente bolscevico, con Lenin in prima fila, già pensava a come avocare unicamente a sé, con uno strumento classico di morte e segretezza, il potere politico conquistato dal proprio partito.

Ma di che partito si trattava a dicembre 1917?

Un partito di quadri, senza dubbi. E un partito di  combattimento, anche se ancora al di sotto su tale piano degli standard del principale partito concorrente (i socialisti-rivoluzionari). Nel complesso, marxista «di sinistra», con molto dogmatismo (stile Seconda internazionale), attenuato o arricchito dalle interpretazioni che del marxismo davano le sue principali teste pensanti (alcuni dei migliori intellettuali russi). Era però anche in balìa delle oscillazioni ideologico-filosofiche di Lenin (ormai giunto in privato e segretamente all’hegelismo, come si verrà a sapere non prima del 1929), ma senza che ciò si ripercuotesse sensibilmente sulle scelte immediate. Fondato su un forte senso di autodisciplina, rigidamente gerarchico e tutt’altro che democratico, il partito era ciononostante dotato di una vivace dialettica interna che a tratti si sarebbe potuta definire addirittura effervescente. 

Nel quindicennio di vita del Partito, le divergenze su questioni tattiche non erano di certo mancate, a cominciare dalla baraonda fondativa nel 1903. Ma il più delle volte esse si erano manifestate apertamente, salvo essere poi risolte con manovre, compromessi e qualche espulsione. Le divergenze si erano viste soprattutto dopo l’esperienza fallimentare del bolscevismo nel 1905 (Prima rivoluzione russa e primo Soviet della storia), nella questione del rapporto con i menscevichi, per gli espropri delle banche nel Caucaso e così via.

sabato 20 gennaio 2024

LENIN: FONDATORE DELLA ČEKA E PRIMO RESPONSABILE DELL’ANTIRIVOLUZIONE RUSSA (I parte)

di Roberto Massari


TRILINGUE: ITALIANO - ENGLISH - ESPAÑOL


Cento anni fa moriva Lenin, ormai prigioniero di Stalin e senza più rapporti con il mondo esterno. Nelle ultime settimane prima della conquista del potere era stato il dirigente di una Rivoluzione iniziata a febbraio e terminata tra dicembre 1917 e gennaio 1918. Insieme a Trotsky e al gruppo dirigente bolscevico, Lenin fu il principale responsabile per la trasformazione di quella grande conquista dell’umanità in una Antirivoluzione che avrebbe poi aperto la porta alla Controrivoluzione staliniana.

La vera personalità politica di Lenin è soffocata da oltre un secolo di falsità. Si parla di suoi grandi contributi teorici, ma la sua ideologia passò dal narodničestvo all’amore per Plechanov, per Kautsky, per Bogdanov e infine molto ingenuamente per Hegel. Mai per i contributi teorici di Trotsky e Rosa Luxemburg. Cambiò in continuazione le idee politiche sul partito, sullo Stato, sui soviet, sui comitati di fabbrica, sull’economia e sulla natura del socialismo affidandosi al più puro empirismo. Fu un vero centrista, maestro della tattica. Arrivato al potere creò subito segretamente la Čeka per combattere i socialisti-rivoluzionari che erano ancora maggioranza nei soviet. Per lo scioglimento dell’Assemblea costituente fu criticato in vita da Rosa Luxemburg. Ma in realtà Lenin liquidò subito anche i soviet e i comitati di fabbrica. A Kronštadt soffocò la Terza rivoluzione russa. Capì troppo tardi l’errore che aveva fatto nel concedere tanto potere a Stalin.

Su Lenin e la Rivoluzione russa ho scritto vari libri. Dall’ultimo - Se questi sono uomini… Dalla Čeka a Kronštadt al Gulag - ho tratto alcune pagine iniziali che propongo soprattutto per i giovani perché imparino a diffidare delle leggende che vengono ancora ripetute su Lenin e il bolscevismo, in genere con grande disonestà intellettuale.

(r.m.)  


Teoria leninista della Čeka

«...della Čeka!? Scusa, ma non era... del partito?!».

Sì lo era ed è sempre stata del partito, in ossequio a una leggenda immarcescibile che, sorta nei primissimi anni del Novecento e in una ben precisa circostanza storica (testo principe il famigerato Che fare?), si è poi tramandata in tutta la letteratura del e sul «comunismo». Tutta o pressoché tutta. Talmente radicata in passato nell’inconscio collettivo di massa - grazie all’opera infaticabile dell’intellighenzia di sinistra mondiale - da contagiare anche storici ed esegeti d’ogni provenienza (compresi intellettuali anticomunisti nelle loro più svariate accezioni). Tutti pronti a difendere o a esorcizzare una presunta «teoria leninista del partito» (bolscevico, ovviamente) che invece non è mai esistita.

Eppure non richiederebbe un grande sforzo intellettuale verificare 1) Che il Che fare? fu scritto nel 1901-1902 per una discussione sulla tattica (iskrista), nel quadro della polemica contro uno sparuto gruppo di economicisti (grosso modo «operaisti» d’epoca, al II Congresso del Posdr nel 1903, poi dissoltisi), come confermò lo stesso Lenin nella lettera a Ivan Ivanovič Radčenko (1874-1942) del 9(22) luglio 1902. 2) Che Lenin l’aveva in parte già contraddetto prima del Congresso con la «Lettera a un compagno» del settembre 1902. 3) Che lo stesso Lenin lo ripudiò esplicitamente nel 1907 (raccolta Dodici anni), e 4) che non si è mai concretizzato in una qualche organizzazione politica.

In breve: non è mai esistita una teoria leninista del partito e quindi nemmeno un Partito leninista nel senso proprio del termine. È esistita invece un’organizzazione leniniana, di cui Lenin fu sempre il capo, anche se un paio di volte dovette faticare per restarlo; ed essa cambiò nome e fisionomia a seconda delle necessità del momento. Basti solo pensare alla trasformazione epocale rappresentata dal passaggio dalla clandestinità alla situazione di dualismo di poteri del dopo Febbraio 1917 o dal partito di quadri di professione alle leve di massa del 1920-23, fino alla smisurata «leva Lenin» del 1924.

domenica 14 gennaio 2024

LA RUSSIA COME IMPERIALISMO AGGRESSIVO

UN CONFRONTO COL TERZO REICH E L’UNIONE SOVIETICA 1939-40

di Michele Nobile

 

Questo articolo riprende il discorso del precedente «Gli obiettivi di guerra di Putin e la Grande guerra patriottica 1941-5», http://utopiarossa.blogspot.com/2023/08/gli-obiettivi-di-guerra-di-putin-e-la.html 

 

1. È giustificabile il confronto fra la politica estera nazista e quella di Putin?

2. Estendere il confronto: il Patto Hitler-Stalin come base delle aspirazioni geopolitiche sovietiche.

3. Hitler, Stalin, Putin: catastrofi geopolitiche e genocidio.

4. L’utilizzo strumentale dei «compatrioti» e la colpevolizzazione delle vittime. 

 

1. È giustificabile il confronto fra la politica estera nazista e quella di Putin?

Dopo l’invasione russa, nel 2022 il socialista ucraino Taras Bilous scrisse che,

                                                 

«Piaccia o no, la Russia oggi ha più cose in comune con il Terzo Reich che con l’Unione Sovietica. Non considero fascista il regime di Putin, ma in questo caso è davvero difficile evitare parallelismi. In entrambi i casi abbiamo un impero che perse il confronto globale, con il quale, dopo la vittoria, il nemico si comportò in modo arrogante e in cui si radicarono sentimenti revanscisti. Una società che non accettò le perdite territoriali e sostenne l’uso della forza militare bruta per riconquistare territorio.

Nonostante il suo autoritarismo, le deportazioni e i massacri, l’Unione Sovietica offrì al mondo un preciso progetto progressista. Il regime di Putin promuove solo il conservatorismo, il nazionalismo aggressivo e la divisione del mondo in sfere di influenza delle “grandi potenze”. In questo senso, nonostante tutte le differenze, il Terzo Reich è l’analogia più vicina alla Russia di Putin»1

 

Ovviamente, accostare la politica di Putin a quella di Hitler ha un immediato valore polemico. Ad esempio, per caratterizzare il regime russo, in Ucraina hanno coniato il termine rašizm (раши́зм) che combina la pronuncia inglese di Russia con fascismo (фашизм), evocando così non solo il fascismo russo (російський фашизм) ma anche il razzismo. Il che è pure ironico, considerando che l’aggressione all’Ucraina iniziò con l’invasione e l’occupazione della Crimea nel 2014, in risposta a quello che il Cremlino definiva un «colpo di Stato» messo in atto da «neonazisti». Tuttavia, al di là della rabbia e della polemica, esistono motivi reali per cui possa essere utile mettere a confronto Russia e Terzo Reich? 

Oltre che nella propaganda bellica russa contro l’Ucraina, l’uso strumentale degli epiteti «fascista» e «nazista» è assai frequente nella propaganda di giustificazione degli interventi militari occidentali del dopo-guerra fredda. Tuttavia, per caratterizzare come fascista o nazista un regime o un partito non bastano militarismo, nazionalismo e autoritarismo, altrimenti le categorie fascismo e nazismo perdono significato e si degradano a meri insulti. 

martedì 2 gennaio 2024

DISCUSSION ON ISRAEL


Answer to Albertani
by Roberto Massari
 
ENGLISH - ESPAÑOL - FRANÇAIS - DEUTSCH - РУССКИЙ

Dear Claudio, 
as you well know, in recent times and before your article, Red Utopia [Utopia Rossa] had already published some texts openly talking about a single, multi-ethnic, democratic, secular and if necessary even federal state. And I am pleased that you favorably quote similar positions from anti-Zionist, leftist or simply democratic Israelis or Jews (moreover, positions that are not new but have always existed), which coincide so with ours. You recall that Martin Buber also had an analogous or similar position – a binational democratic state – but, so far as I know, he never denied the legitimacy of existence of the State of Israel, however critical he may have been on UN Resolution 181.
Let us come to your article, starting with the question of the legitimacy of existence of the State of Israel.
This state, which came into being in 1947-48, in a legal sense has a more than legitimateexistence, because this legitimacy came to it by the highest supranational body that exists in the world: the United Nations (be it good or bad, and good or bad that decision was). It was not an act of military occupation or territorial conquest by force. Nor was it a compromise of colonial powers, as it was for Iraq, Syria and Jordan, whose borders were largely decided at the table (primarily by Britain) by drawing lines on the map. The birth of Israel (Resolution No. 181) was voted on Nov. 24, 1947 by a majority of the countries then members of the UN: 33 in favor (including the USSR, and this is crucial that we do not forget, and certainly not out of my sympathy for an anti-Semite like Stalin), 13 against (mostly Arab or Muslim states) and 10 abstained. The resolution also included the establishment of a Palestinian state and other clauses that were disregarded (by Israel, but not only, including the UN).