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sabato 30 giugno 2012

UN’AUTOCRITICA DI GIORGIO CREMASCHI, di Michele Nobile e Gino Potrino


Riportiamo questa dichiarazione di Giorgio Cremaschi perché dice la verità. E la verità, per una volta tanto, viene detta da qualcuno che ha fatto parte integrante dell’apparato Cgil e Fiom. Ci piace anche il fatto che finalmente si senta una voce autocritica, anche se solo per i tempi più recenti (cioè per la speranza infondata che la revisione governativa e parlamentare del diritto del lavoro sarebbe stata fermata da un moto popolare). Per un’autocritica sul passato della Fiom/Cgil – per lo meno dal 1969 in poi - vale la pena di attendere ancora. Ma prima o poi bisognerà arrivarci.

Che in Italia si faccia autocritica è un fatto notevole per la sua rarità, se non sconosciuto. Siamo invece abituati a scivolare sul ghiaccio di svolte e svoltine la cui sola motivazione è tenere a galla chi dovrebbe affondare; e siamo nell’ambiguità di due ex ministri e molti sostenitori dell’ultimo governo di centrosinistra che pretendono di costruire Syriza in Italia. Questi ministeriali sarebbero più credibili se almeno facessero «un passo indietro» prendendosi una lunga vacanza. 
Cremaschi descrive come le direzioni di Cisl, Uil e anche Cgil abbiano contribuito a costruire una sconfitta storica per i lavoratori. Tuttavia non si tratta della sconfitta delle direzioni sindacali perché esse non rappresentano gli interessi dei lavoratori bensì quelli del capitale sopra i lavoratori. Oramai la posizione istituzionale della burocrazia sindacale non deriva più dalla sua capacità di mediare tra gli interessi dei lavoratori e quelli del capitale, ma dalla gestione delle batoste destinate ai loro iscritti
Lo stesso vale per il PD, i cui meriti precedenti presso il capitale nazionale e internazionale, a partire dallo smantellamento dell’Iri fino alle manovre per l’entrata nell’eurozona, offuscano quelli di Berlusconi, ora narratore di barzellette sulla possibile uscita dall’euro e il ritorno alla lira.
Cremaschi promette di non avere più niente a che fare col PD e siamo disposti a credergli. Temiamo, però, che altri nella sua area mentano facendo la stessa promessa.
Si tratta ora di riflettere sull’interrogativo posto da Cremaschi e capire perché la risposta non sia stata neanche lontanamente all’altezza della sfida, traendone delle indicazioni per il presente. Certamente le direzioni sindacali hanno le loro responsabilità. Ma non si tratta solo di questo. Di sconfitta in sconfitta, dal meno peggio al sempre peggio è il quadro di un’epoca e di un’intera casta politica (inclusa la sottocasta dei Forchettoni rossi) che entra in gioco. Fin dove sarà disposto a spingersi Cremaschi in questo riesame del quadro? E fino a dove sono disposte ad autocriticarsi le correnti politiche sulle quali si appoggia al momento? Anch’esse hanno fatto parte, più o meno continuativamente, del miraggio elettoralistico che continua ad avvelenare l’atmosfera politica dell’antagonismo sociale.
Michele Nobile

È paradossale che nel periodo di massima crisi da molti decenni a questa parte del capitalismo internazionale e di quello nostrano in particolare - perché in Italia la crisi  economica si avvita con quella del sistema politico inetto e corrotto della cosiddetta “Seconda repubblica” - la borghesia possa adottare le misure più drastiche senza trovare la benché minima resistenza nel mondo del lavoro e nelle organizzazioni politiche e sindacali che dovrebbero rappresentarlo. Il paradosso però è solo apparente, se si guarda alle condizioni attuali valutando la linea di tendenza almeno degli ultimi due decenni e si rifugge da una valutazione impressionistica e statica.
La sinistra politica come l’abbiamo conosciuta sino alla fine del secolo scorso non esiste più: quella maggioritaria - di provenienza Pci, Psi -  è passata ormai da tempo armi e bagagli al liberismo più smaccato, alla difesa delle compatibilità del capitalismo, se non alla reazione vera e propria in varie questioni sociali, culturali, religiose, giudiziarie.
Mentre la grossa parte di ciò che restava dell’ex-estrema sinistra (dalla gruppettistica degli anni ’70 a Democrazia proletaria arrivando a Rifondazione e alla cristallizzazione della sottocasta dei Forchettoni rossi) ha tristemente concluso il suo declino imbarcandosi nell’ultimo governo Prodi del 2006, per essere poi punita dal suo stesso elettorato nelle elezioni del 2008.
Cremaschi ha conosciuto tutto ciò e ne ha fatto parte integrante, anche se “nobile”. Diciamo che ne è stato a suo modo un’espressione ideologica in campo soprattutto sindacale.
Ciò va ricordato perché spesso ci si dimentica di tenere adeguatamente conto dell’involuzione del sindacato, di anni e anni di accordi a perdere, di scioperi senza costrutto o senza obiettivi e di concertazione subalterna che lo hanno portato a trasformarsi in ciò che è al momento: un carrozzone burocratico che imbriglia tutte le spinte al conflitto che vengono dalla sua base per spostarle sul terreno della mediazione politica finalizzata al mantenimento dei propri privilegi di apparato – vedi partecipazione a una marea di commissioni paritetiche assieme alle controparti, vedi distacchi sindacali pagati dagli enti, vedi l’enorme giro di affari che ruota intorno ai centri di assistenza fiscale  e ai patronati che sbrigano “gratuitamente” le montagne di scartoffie che la burocrazia fa gravare ad arte  sulla testa dei cittadini.
Anche il sindacalismo di base - che dalla fine degli anni ’80 aveva cercato di dare una risposta alla capitolazione del sindacalismo confederale - si dibatte in una crisi senza sbocco fra tentazioni di adeguamento all’andazzo corrente e resistenze generose ma minoritarie che al massimo incidono - e non potrebbe essere altrimenti, viste le forze in campo - solo su situazioni locali. E comunque, anche questo tipo di sindacalismo ha fatto propria la prassi di convocare gli scioperi (a volte fintamente “generali”) indipendentemente dal conseguimento concreto di risultati, sia pure modesti o modestissimi. Questa prassi, che col tempo contribuisce a demoralizzare il fronte dei lavoratori in lotta, ha in genere delle finalità propagandistiche, di concorrenza tra sindacati di base e di esibizionismo dei gruppi dirigenti (che non a caso sono inamovibili, sempre gli stessi ormai da decenni e in saldo controllo dei rilspettivi apparatini).
Per non parlare dei piccoli gruppi politici collocabili nell’area dell’ex-estrema sinistra che, con tutto il rispetto per i singoli militanti, non incidono per nulla (e anche loro con gruppi dirigenti inamovibili per decenni, nei casi storicamente più antichi), mentre presentano un’immagine caricaturale della prospettiva rivoluzionaria, della sua elaborazione teorica, dell’apparato partitico, del concetto stesso di militanza politica.
Ed ecco l’utilità che mi sento di riconoscere nella dichiarazione di Cremaschi, perché essa afferma più o meno esplicitamente che sarebbe ora di cominciare a chiedersi che cosa si possa fare, se non sia necessario un passo indietro da parte di chi ancora vuole resistere all’offensiva borghese e costruire qualcosa che abbia la massa critica per far ripartire le mobilitazioni dei lavoratori, difendere i gruppi sociali falcidiati dalla crisi ecc. Non sarà la demagogia o gli scioperelli convocati senza obiettivi precisi e irrinunciabili a cambiare la situazione, il rapporto di forze: il debito pubblico, i profitti degli speculatori e la crisi delle banche continueremo a pagarli noi, eccome. Marchionne potrà continuare a irridere le rare sentenze che difendono qualche residuo diritto del mondo del lavoro chiamandole “folcloristiche”, la ministra Fornero potrà continuare col suo fare sprezzante a sgretolare pezzo per pezzo quello che si era faticosamente ottenuto con decenni di lotte e la borghesia nel suo complesso continuerà ad ingrossare le file dell’esercito industriale di riserva  che userà per rimpinguare i suoi profitti quando la congiuntura tornerà favorevole.
Gino Potrino

La costituzione esce dalle fabbriche
di Giorgio Cremaschi
(28 giugno 2012)
[redazione del sito www.rete28aprile.it]

Il 20 maggio 1970 veniva approvato lo statuto dei lavoratori. Allora si disse, usando una frase di Di Vittorio, che la Costituzione varcava finalmente i cancelli dei luoghi di lavoro.  Oggi ne esce, con la controriforma del lavoro suggellata dalle dichiarazioni tecnicamente reazionarie della ministra Fornero. Il lavoro non ha più diritti e non e' più un diritto, può solo essere il premio di chi vince la competizione selvaggia nel mercato e nella vita.
Di fronte a questa drammatica sconfitta sento prima di tutto il bisogno di scusarmi per la parte che ho in essa. Tempo fa avevo scritto e detto che di fronte all' attacco all'articolo 18 avremmo fatto le barricate. Pensavo ancora alla Cgil guidata da Cofferati dieci anni fa e alle rivolte dei sindacati e del popolo greco oggi. Non e' stato così, mi sono sbagliato sono stato troppo ottimista. E ora subiamo la più dura sconfitta sindacale dal dopoguerra senza aver combattuto in maniera adeguata.
Colpa dei lavoratori impauriti e ricattati dalla disoccupazione e dalla precarietà? No colpa dei dirigenti di quello che una volta definivamo movimento operaio ed in particolare di quelli della Cgil.  Non e' vero infatti che su questo tema non ci fossero spinte alla mobilitazione. E' vero anzi il contrario. A primavera era cresciuto un movimento diffuso nelle fabbriche con adesioni agli scioperi anche di iscritti a Cisl e Uil. C'era stata la manifestazione Fiom del 9 marzo a Roma e quella promossa dal NoDebito a Milano. La Cgil aveva proclamato 16 ore di sciopero. Certo erano ancora avanguardie di massa quelle che si mobilitavano, ma il loro consenso era diffuso e trasversale, maggioritario nel paese. Uno sciopero generale della portata delle lotte del 2002 era alla portata ed avrebbe aperto un fronte complessivo con il governo, mettendo in gravi difficoltà Cisl e Uil e ancor di più il partito democratico. Ed e' per questo che non si e' fatto. La squallida mediazione definita tra i partiti di governo si e' trasferita sul progetto di legge, Cisl e Uil hanno accettato e la Cgil ha finito di opporsi. E, fatto ancor più grave, ha accettato la mediazione che cancellava l'articolo 18 facendo finta di aver vinto. A quel punto la prospettiva di una unificazione delle lotte e' saltata e anche la Fiom ha drasticamente ridimensionato la propria iniziativa. Il movimento si é quindi ridotto a singole azioni di lotta, da ammirare ringraziare, ma insufficienti a pesare sul quadro politico. Tante fabbriche metalmeccaniche, prime la Same e la Piaggio han continuato eroicamente a scioperare. I  sindacati di base hanno generosamente scioperato il 22 scorso. Ma non poteva bastare, tenendo conto anche del terribile regime informativo che censura ogni dissenso mentre ossessivamente grida: viva  monti, viva l'euro, viva il rigore.
La giornata del voto ha così rappresentato la sconfitta. Con poche centinaia di persone davanti Montecitorio divise a metà', e con gli organizzatori della Cgil che mettevano la musica rock ad alto volume per coprire le voci dell'assemblea spontanea che si stava svolgendo in una parte della piazza.
Sì io sento il bisogno di scusarmi per questa sconfitta e per come e' maturata, anche se credo di aver fatto tutto quello di cui sono capace per impedire che le cose andassero così.
Ora abbiamo il modello Marchionne esteso a tutto il mondo del lavoro e dobbiamo ricostruire potere e forza. Non sarà facile ma ci dobbiamo provare, ancor di più noi che siamo consapevoli della portata di questa sconfitta. Senza fare sconti a chi ne e' più responsabile nel sindacato, e senza dimenticare mai più la colpa di monti  e del Pd che lo sostiene. Dei  quali dovremo essere solo intransigenti avversari.

Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

venerdì 29 giugno 2012

ES LA CRISIS ECONOMICA EUROPEA UN SIMPLE 'MEME'?, por Yuri Zambrano


LOS ANTECEDENTES

Para el primero de enero de 1999, la UE (Unión Europea) y una comisión especial bajo la mira de Jacques Santer había tomado una seria decisión apoyada en el tratado de Amsterdam (Firmado el 2 de octubre de 1997): Once países de la UE adoptaban el euro, como una medida financiera esperanzadora y unificadora de economías (entre comillas).

De esa manera, El Banco Central Europeo (BCE) asumía la responsabilidad de la política monetaria de aquella medida “unificadora” y Grecia se sumaba a estos once países un par de años después (2001), durante la coordinación de la comisión europea presidida por Romano Prodi que finalizaría hacia 2004.

Las crisis económica en un país, incrementa la posibilidad de crisis en otros. Un estudio hacia finales del pasado siglo XX realizado por los economistas Barry Eichengreen y Andrew Rose de la universidad de Berkeley y el analista Charles Wyplosz, describió alrededor de 20 crisis cambiarias en economías industrializadas entre 1959 y 1993, como si se tratara de una cuestión contagiosa.  Robert Schiller, economista de Yale University, demostró que entre 1919 y 1987, los mercados financieros tenían un comportamiento “tipo reacción en cadena” respecto a momentos de crisis.   

¡Eso no es una panacea academicista, al contrario, es una mera secuela neuromemética !

Hoy lo podemos ver, porque los mass media nos lo inyectan como ineluctable y letal “viral meme”.  Así le llaman al efecto tequila, al efecto dominó del Han-Seng, Nikkei y demás efectos 'Sambas' que nos venden los encargados de DESINFORMAR los avatares mercantiles y manipular la info descaradamente.  Si cae el Dow Jones, el vuelo de la mariposita tiene su efecto en Irian Jaya, Tombuctú, Patagonia o en la Antártica; es por eso que el Nóbel Daniel Kahneman, refiere con justa razón que los mercados siempre van a tener algo de caótico. Y en ese campo aleatorio, por supuesto, todo puede ser posible.

LAS LECCIONES

Pero el punto de estas cuartillas, es considerar la crisis mediterránea como un “efecto invernadero-epidemiológico”.

Es decir, los antecedentes económicos como bien cita  Michele Nobile en sus "lecciones de la crisis"  tienen varios puntos por donde empezar a desmadejar este nudo gordiano.

Pese a que la lección uno de Michele, dice que NO existen nexos entre crisis, debemos ver esto como una CONTINUA LUCHA DE CLASES tal y como Nobile, lo cita.  La lucha de clases, es fundamental para entender el proceso de crisis en los Balcanes (incluso agudizado por los fenómenos de inmigración y gitanismo balcánico y asiático al norte de Grecia).

El proceso de crisis ibérico, no es la excepción.  España no se ha curado de la inopia heredada de la guerra civil y de las diferencias del retrógrado franquismo bien camufladas por los pseudo-socialismos gobernantes o bajo la batuta Juancarlos-monárquica. Es del vox populi, reconocer que hay un campesinado influyente en la sociedad española dominante en la decisión electoral, que la inversión extranjera vapulea esta riqueza nacional con manufactura propia y que el continuo mercado migratorio aunado a una precaria inversión extranjera y una dudosa producción tecnológica, hace que el pueblo esté a merced de la clase gobernante (pidiendo en estos días su “polémico Rescate financiero”).  En otras palabras la crisis hipotecaria española que demostró sus abismos desde 2007 (e incluso antes) sigue teniendo cáncer entre sus grutas y esto será muy difícil de curar, pese a los esfuerzos de bancas ostensiblemente fuertes como Santander o BBVA que facturan importantes cuentas en euros en el ranking bursátil, siendo reconocidas como bancas realmente poderosas a nivel europeo y mundial (esto cumple con la segunda y tercera lección: a partir de los 80’s se RE-definen las prioridades de la política monetaria internacional, fortaleciendo una 'especie de neoglobalización' o sea, una expresión política CON determinada evolución estructural capitalista fortaleciendo las relaciones de fuerza entre los grupos de poder; Nobile Dixit).

LAS PROBABILIDADES
Si nos atenemos a una quinta lección, estaríamos de acuerdo a que este meme, llamado crisis ―y que afecta inevitablemente a Italia (e.g., CDS o certificados de depósito, otros sofismas de la banca italiana) ―, está aun en aguas turbias. Debemos estar concientes de que, de esta crisis no se sale con el uso de la fuerza de la economía política, sino CON UNA PARTICIPACION CONSUETUDINARIA Y CONSTANTE DE UNA SOCIEDAD MAS UNIDA buscando derrocar los modelos anticuados de monopolio económico (ver gráfica desde 1990, certificados de depósito, y para comprender economía contempo-irlandesa, ver artículo de Nobile, Lehman Brothers vs. Anglo Irish Bank).


Para ello, tanto en Grecia, como en los demás países con alarma sísmica “antiEuro”, se deben ajustar los estatutos económicos gubernamentales, o políticas macroeconómicas (Policies).  Estas normas, según Nana Nestoros, activista y analista económica del proceso de crisis político-económico en todos los países balcánicos; se deben seguir los pasos del pueblo y empezar desde las bases, es decir, haciendo la demanda del cambio, desde la óptica de la canasta familiar. O lo que es lo mismo, EL PUEBLO, HA DE SER EL ENCARGADO DE EXIGIR LAS DEMANDAS DE CAMBIO DE FORMA URGENTE Y  RADICAL, a sus gobernantes, independientemente de su grado inmanente de corrupción, que ya sabemos es parte del sistema neoglobalizador.  Para eso, insiste Nestoros, los referendums exigidos por el mismo pueblo mancillado de la Eurozona, podrían ser herramientas democráticas para detener el arrollador tren de esta quasi-imparable crisis.

Sin embargo, tal referéndum puede ser un arma de doble filo: un ejercicio democrático de tal magnitud, empíricamente hablando inclina la balanza a favor de sistemas pro-imperialistas.  La incitación libertaria de Giorgio Cremaschi, líder de una facción izquierdista del CGIL, el mayor sindicato metalúrgico italiano discutido por Roberto Massari, es una invitación insurgente a trabajar con las masas. Allí como bien se cita,  es obligatorio considerar, no solo el tema de la salida del euro, sino también que il referendum papandreico sulle misure economiche, podría ser un error grave, « più grave in termini ideologici e culturali». Lo que debemos promulgar es la tarea básica del fortalecimiento de las bases en la lucha de masas contra las medidas de austeridad. En ese tenor, “fortalecer OPERATIVAMENTE esas masas”, en lugar de un referéndum puede ser la opción pragmática de lucha. Ya que un referéndum en términos democráticos, debilita la causa. Por eso, las demandas deben ser de cambio urgente y radical!! como se cita arriba.  Lo que se necesita por supuesto es sin duda, LA MOVILIZACION DE LOS TRABAJADORES DESDE LAS BASES!, y esta movilización por supuesto, debe ser “imperativamente pragmática”.

La pregunta abierta se queda. ¿Qué pasaría en los mercados mundiales, si en cuestión de semanas-meses, Grecia cuestiona su permanencia en medio del maremagnum que ofrece la débil otrora esperanza económica de la Eurozona? Afectaría esto, acaso los mercados asiáticos o los demás países adheridos a la UE en 2004 (República Checa, Estonia, Chipre, Letonia, Lituania, Hungría, Malta, Polonia, Eslovenia y Eslovaquia)? Tal vez, la respuesta tenga muchas opciones y elucubraciones de los expertos analistas económicos, incluidas las posiciones burocráticas del líder del Eurogroup, Jean Claude Juncker.  Si el BCE y la Comisión Económica de la UE, no provee las garantías esenciales, eventualmente la alarmista y catastrofista posición de la desaparición del Euro, podría ser más visible hacia 2016.

Es claro, que una crisis capitalista como la que nos ocupa, será siempre una ocasión para que se dé el clásico asalto patronal, como si fuera un botín de guerra, asociado ambiguamente a la fuerza mancomunada con la Tercera Internacional estalinista, lo que relaciona objetivamente las ya citadas lecciones Nobilistas.

Así pues, este no es un problema simple de intercambio monetario ni siquiera de un eventual compacto fiscal o un programa de crecimiento y estabilidad. Se trata de un problema más serio. ES UN CONDICIONANTE DE IDENTIDAD NACIONAL, es quizá ese motor donde el orgullo de la lucha de clases debe ser más notorio, pues ella puede ser la causa sin duda, donde las clases gobernantes, siempre aseguran su capital y el resultado será la inevitable desaparición de la clase media a nivel global.  Y todo esto se podría arreglar con protocolos (al menos pro-meméticos, pero parece que eso es muy difícil de concebir en quienes ostentan el poder); aplicando una buena macroeconomía política “homogénea”, con estrategias vanguardistas y sobretodo pensando en una mejora de la calidad de vida en el proletariado.

REFERENCIAS

Arestis P & Sawyer M (2008) A Critical Reconsideration of the Foundations of Monetary Policy in the New Consensus Macroeconomics Framework, Cambridge Journal of Economics, Vol. 32, No. 5, September.
Blackmore S (2009) Memetics does provide a useful way of understanding cultural evolution: In Contemporary Debates in Philosophy of Biology,   Chichester, Wiley-Blackwell,  255-72
Kahneman D (2002) Maps of Bounded Rationality: a perspective on intuitive judgment and choice. Center for History of Science at the Royal Swedish Academy of Sciences.  In  Frangsmyr T (Ed.), Nobel Prizes 2002: Nobel Prizes, Presentations, Biographies, & Lectures. Almqvist & Wiksell Int;  416–499 Stockholm.
Eichengreen B,  Rose A &  Wyplosz C (1996), Contagious Currency Crises: First Tests ,Scandinavian Journal of Economics 98 (4), pp. 463-84
Schiller R Comovements in Stock Prices and Comovements in Dividends (1989) Journal of Finance, 44, 719-729 
The Economist, June 16, 2012 Economist.com/blogs/freeexchange
Vítor Constâncio (2012) Contagion and the European debt crisis, by, Banque de France, Financial Stability Review, April 2012
Zambrano Y (2011) Neuroepistemology: The NET: Cognitive and Emotional Implications  http://www.abstractstosubmit.com/ibro2011/abstracts/main.php?do=YToyOntzOjU6Im1vZHVsIjtzOjY6ImRldGFpbCI7czo4OiJkb2N1bWVudCI7aTo0OTt9&psArchive=mim571a980j3oh3lpp7fjpgdq1  International Brain Research Organization. 8 Th. World Congress of Neuroscience, Firenze, It.

Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com


mercoledì 27 giugno 2012

LA NETA DE LA CULTURA EN UN PAÍS TAN CERCA Y TAN LEJOS, por Tito Alvarado

La verità sulla cultura di un paese così lontano da Dio e così vicino agli Usa.

(18 de septiembre del 2011)

En un principio pensé titular este artículo; La neta de la cultura en un país que se mueve, pero no avanza, luego estimé que desde la propia visión, que desde México se tiene del país, es de donde debía salir el título de este escrito, que intenta dar cuenta, en general, del fenómeno de la cultura. Es real que el país se mueve, pero no avanza, como también es real que el país se desangra, pero no muere o que el país necesita soluciones que no se asumen. En definitiva México hoy es un país que se mueve en estancos cerrados, pero parece ser un país abierto a todas las probabilidades. Nada es mágico ni ocurre por azar o capricho, hay una línea de conducta que se acumula en una u otra dirección hasta que la realidad produce lo que hoy es México, un país que tiene todo y es nada, un lugar ideal para vivir, donde la vida no tiene sentido.

Hablar de cultura es, en primer lugar, hablar de una imposibilidad y de varias constataciones según sea la perspectiva del que habla. Imposible ponerse de acuerdo sobre una definición de Cultura que sirva a todos los propósitos de análisis de la cultura y su papel en lo que hace y es el ser humano en un momento social dado. Las constataciones dicen relación con la necesidad de aclarar en qué sentido estamos hablando de cultura, otras constataciones son que en un país existen y coexisten muchas culturas, culturas que responden a un patrón de conducta, deseado o no, en un momento y lugar preciso. En este sentido podemos hablar de cultura de la violencia, cultura de la corrupción, como de cultura regional o cultura de las soluciones que nada solucionan o cultura del desprecio por la realidad del ser humano medio, etc, etc.

Para entendernos, necesario es definir que significado le damos a la palabra cultura.

En los tiempos que corren el mayor diccionario enciclopédico está en internet, he recorrido muchas páginas en busca de una definición, para mi sorpresa encontré de todo, que es casi lo mismo que decir nada. Seguimos en el limbo de que no existe una definición que recoja, de una manera aceptable para todos, lo que se quiere significar con la palabra cultura. Diferencias más, diferencias menos, el pantano sigue allí, salvo que en cualquier pantano crecen hermosas flores.

La Unesco, en 1982, declaró:
“…la cultura da al hombre la capacidad de reflexionar sobre sí mismo. Es ella la que hace         de nosotros seres específicamente humanos, racionales, críticos y éticamente comprometidos. A través de ella discernimos los valores y efectuamos opciones. A través de   ella el hombre se expresa, toma conciencia de sí mismo, se reconoce como un proyecto  inacabado, pone en cuestión sus propias realizaciones, busca incansablemente nuevas significaciones, y crea obras que lo trascienden.
(UNESCO, 1982: Declaración de México)
Un bella flor en el pantano. En resumen se nos dice que cultura es la creación cultural, esto no define lo que es cultura sino que da cuenta de lo que dentro de una cultura se produce como objetos y hechos culturales.

En una de las tantas páginas visitadas alguien responde a la pregunta: ¿Qué entendemos por Cultura? , en los siguientes términos:
“Cultura es todo lo que existe en el mundo, y que ha sido producido por la mente y la mano       humana. Por ejemplo, las fiestas, los alimentos, los sistemas políticos, la manera de pensar, la ropa y las modas, los medios de convivencia, el daño al medio ambiente, la manera de jugar al fútbol, la guerra y las armas, los actos humanitarios… Todos éstos son productos culturales porque han surgido de la creación humana y de su manera de entender, sentir y vivir el mundo, lo mismo que el Internet, que en los últimos años ha revolucionado la conducta humana cambiando la manera de pensar y coadyuvando al desarrollo global intercultural a velocidad impensable. Por eso también se dice que la cultura es la forma, para bien o para mal, como el ser humano ha modificado la naturaleza.”
En síntesis, cultura es una forma de ver el mundo e interactuar con él, es toda intervención y/o creación humana, material o inmaterial (creencias, valores, comportamientos y objetos concretos), que identifica a un determinado grupo de personas, unificándolo entre si y haciéndolo distinto de otro grupo. Dicho de otro modo, cultura es la manera como los seres humanos desarrollamos nuestra vida y contribuimos a modificar el mundo en la parte donde habitamos o irradiamos nuestra acción; por tanto, cultura es también el desarrollo, intelectual o artístico como un producto cultural específico de la cultura general. Es un sello de identidad y diferencia.

La cultura no existe al margen de la sociedad, toda sociedad humana es una cultura, pero a la vez en toda sociedad existen diversidades culturales, si entendemos el conjunto de la sociedad como una organización, dentro de ella la cultura serían los valores que posibilitan el movimiento de esa organización, los valores que la perpetúan, dándole continuidad, y los valores que la cambian, dándole adaptabilidad, pues la cultura recoge un legado histórico y agrega nuevos aportes e incide en la sociedad reformulando a su vez la sociedad y la cultura. Es una producción colectiva y esa producción es un universo de significados, transmitidos por la familia y las instituciones ideológicas de la sociedad, y está en constante formulación y reformulación de contenidos y resultados concretos.

Con frecuencia se dice que el ser humano es social y se da por sabido lo que eso significa. Lo social del ser humano está dado por la imposibilidad humana de vivir al margen de otros seres humanos. Cada uno de nosotros necesita del concurso de otros para la satisfacción de sus necesidades y cada uno de nosotros participa en el proceso social, es decir en los resultados de una cultura. Cada ser humano es social (entendido el hecho social como una imposibilidad y muchas necesidades), es decir, se integran a la cultura, a la sociedad, y esta lo integra a él. Cada ser humano es parte de una cultura y desde ella contribuye a que esta sea lo que es, mediante la aceptación de lo que hay o mediante su lucha por modificar lo existente.

Adquirir y ser parte de una cultura dada es un proceso de socialización que se da desde el nacimiento y forma a las personas en miembros de una cultura. Este es el proceso que convierte progresivamente a un recién nacido, con un muy limitado repertorio de conductas, en un sujeto social autónomo, más o menos capaz de desenvolverse por si mismo en el mundo en el cual vive. Mediante este proceso de socialización el ser humano adquiere una identidad, un sentido de  pertenencia a una cultura y unas determinadas capacidades para responder socialmente, como el idioma, los hábitos, las costumbres y alguna especialidad que le permite una mejor inserción en la sociedad, es decir le permite una mejor participación en la cultura de la cual es parte integrante. En este proceso también se transmiten los “valores” sociales, que son los valores de la clase dominante.

Cada ser humano es una individualidad con una personalidad única y por lo mismo, siendo un ser social que comparte el mundo junto a otros siete mil millones de seres humanos, es una persona única con una conducta social única, es decir cada ser humano, teniendo los valores de la sociedad, siendo parte de una cultura dada, tiene su propia forma de participar. Esta unicidad de conducta le da la falsa noción de creer que desde su unicidad no puede hacer nada por cambiar el mundo o que lo suyo tiene mayor valor que lo del otro, es la falsa conciencia, la ideología que le permite aceptar como natural lo que es antinatural, justificando lo injustificable, conformándose con “un destino” definido por otros, viéndose a si mismo mejor o peor de lo que realmente es.

Este ser social, diverso en su unicidad, confronta los dilemas del diario vivir con la cultura adquirida del medio en que vive, esta cultura tiene los sellos indelebles de la ideología dominante y tiene su base social en la forma en que los seres humanos interactúan unos con otros. Como la característica fundamental del ser humano es el trabajo, el ganar el sustento, estas relaciones humanas tienen como base las relaciones que se dan en la producción de bienes materiales y, a veces, bienes espirituales o intelectuales. La cultura no está al margen de la sociedad, pues nada se produce al margen de la sociedad. Por lo mismo podemos decir que no hay acto humano al margen de la cultura. Distinto es el valor moral o inmoral que determinada cultura tenga, como así mismo es algo completamente distinto lo moral o inmoral de la actuación de cada individuo dentro de una cultura X. Uno de los elementos que se deben tener en cuenta para entender las particularidades de lo cultural y lo moral – inmoral, lo valorativo, es el contexto social en que se producen.

Volviendo a la definición de cultura que manejamos, debemos decir que la cultura es una red de significados que permite, a las personas que la comparten, darle sentido tanto a sus prácticas como a sus producciones sociales y a la vez entender el sentido que los otros aportan. En esencia queremos decir que la cultura es un contexto social de producción e interpretación de significados y que, como es un contexto social, hay tantas culturas como sociedades (en su acepción más general) y grupos sociales (en su acepción más particular).

Desde los inicios de la vida humana hasta nuestros días de deshumanización de la vida en sociedad, hay una larga acumulación de cargas semánticas atribuibles a las palabras y estas son un intento de comunicación que da cuenta de la relación entre los seres humanos y entre estos y la naturaleza.

Cada idioma es una respuesta cultural al medio en que se ha desarrollado ese idioma, entre las muchas dificultades gramaticales que cada uno registra, enfrentamos dos tipos de problemas que  dificultan el proceso comunicacional, uno es que muchas veces una palabra resiste varios significados y el otro es que hay significados que se definen con varias palabras. Este detalle confunde o deja espacios grises que posibilitan una interpretación errónea de lo que se ha querido significar.

Aparte de este detalle de incomunicación, nos encontramos con que el idioma de uso común, no es compartido en la misma medida por todos, unos muchos dominan poco el habla y unos pocos lo dominan mucho. La comunicación va de un acto que se ejerce hacia un público que se entiende está en condiciones de comprender el mensaje hasta el acto ejercido sin público definido, asumido como una generalidad manipulable, entonces se entregan mensajes ambivalentes, se oculta parte de la verdad, se aseguran hechos que no son, se recurre a palabras comodines que pueden dar diversos significados envueltos en una aureola de misterio y respeto. Se informa sin informar, se pretende que el interlocutor crea algo, no que sepa una verdad, se le dirige para que llegue a conclusiones falsas asumidas como verdaderas. En este sentido el acto de comunicación pierde su esencia que es transmitir significados.

Todo acto de comunicación, que es una intención de transmitir significados, se transforma en un acto fallido, pues junto al hecho del no pleno uso del idioma, es decir el hecho de no entender todos los significados, no comprender plenamente todos los mensajes escritos y hasta no ejercer el deleite de la lectura sistemática, se agrega la intencionalidad manipuladora de quien emite un mensaje, con el propósito de producir una respuesta que le sea favorable.

Es el uso y el abuso del lenguaje lo que en parte nos ha permitido llegar a ser lo que somos y también en cierta forma es el lenguaje lo que nos permite estar donde estamos, son sus valores y sus dobles sentidos y sus ambivalencias que permiten el entendimiento, la mala interpretación, la manipulación y la duda, siempre y cuando nos detengamos a analizar lo dicho por el otro, asunto que no siempre es posible, pues mucho de la comunicación se hace en breve espacio ya sea para dar una orden o para entregar una información reducida y con ella producir una respuesta. Un análisis pasa por cierta capacidad, cierto interés, tanto de quien comunica como de quien recibe la comunicación y esto, en la mayoría no se da. Decimos libertad y entendemos algo que generalmente no existe, pues en la sociedad humana nadie puede ser absolutamente libre, estamos todos supeditados a tres tipos de menoscabo de la libertad: la cultura que impone ciertas conductas y castiga otras, la economía que imposibilita a muchos disfrutar de “su libertad” y la naturaleza que impone condicionamientos como la temperatura, la geografía con sus obstáculos y/o los desastres “naturales” . Decimos democracia para significar un derecho que en realidad es simplemente un juego que se repite cada cierto tiempo sin que logre ser la expresión de un derecho ni una participación ni un respeto pleno por la voluntad de la mayoría, Es la minoría que detenta el poder la que impone sus decisiones al resto.

Una cultura, que es transmisión de significados, es también historia acumulada, es pasado y presente, es proyección de futuro, pero sobre todo es memoria y olvido. Se recuerda lo poco, que puede ir de lo impactante, trascendental, hasta llegar a lo trivial, sin trascendencia y se olvida lo mucho, que en esencia es la historia toda de los hechos acontecidos en un largo periodo.

Yendo a la neta de la cultura en el México de hoy podemos resumir ocho puntos esenciales:
1. De un tiempo remoto, perdido en lo incierto, y muchas veces meramente especulativo, se va formando lo que hoy tenemos como país llamado Estados Unidos Mexicanos, más conocido como México. Es decir hay tremendas lagunas de formaciones culturales cuyo pasado se ha perdido, es como si viniéramos de la nada. Para remediar esta incógnita se levantan voces interpretativas, pero la verdad sigue siendo otra, pues ninguna de esas interpretaciones o conocimientos parciales puede transmitirnos una hora de lo que fue la vida en cada una de esas culturas.
2. Desde que hay un conocimiento más certero de lo pasado se comprueba que la cultura ha resistido
luchas intestinas, guerras fratricidas, asesinatos políticos, desmanes del poder, resistencia de pocos a nombre de las mayorías, siempre sin voz. La historia la cuentan los vencedores y por supuesto viene con la visión de ellos.
3. Si la cultura es todo lo que existe en el mundo, y que ha sido producido por la mente y la mano humana, también es lo acumulado, la historia con sus aciertos, perjuicios, prejuicios, desaciertos, omisiones, represiones, luchas y actos sublimes, que aunque no se cuenten oficialmente, están presentes en la gente en forma de mitos. En este sentido el México actual es la suma de su historia con sus oscuridades y luces.
4. Esta historia es, desde la revolución mexicana a la fecha, una historia de transgresiones, corrupción y asesinatos. Como también es de la ideología que de un lado posibilita esa historia y estos resultados hasta la ideología que lo justifica.
5. Toda cultura es la suma y en esta suma hay la rebelión, la revolución, el cambio necesario, la visión conciliatoria, la negociación, la ingenuidad de creer en los que son enemigos de la verdad y también está lo sublime de la creatividad puesta al servicio de una causa y/o los resultados del quehacer cultural. Esto último, por mucho brillo que tengan algunos intelectuales, no es lo dominante.
6. Lo dominante en el México actual es la corrupción como característica cultural. La corrupción está ahí como la madre de todos los males.
7 De aquí se deriva el que muchos sean víctimas, que miren para otro lado, que sobrevivan a pesar de todo, que asuman el conformismo y lo peor de todo es que la corrupción aumenta a un ritmo mayor que los recursos del país. La corrupción institucionalizada por el partido muchos años en el poder (PRI) ha degenerado ahora en el mayor y peor negocio de México; el Narco, con sus criminales variantes de acumulación originaria, como ser: el narcotráfico, el asesinato selectivo, el control del aparato represivo y político del país, el rapto de personas, sea para cobrar un rescate sin devolver al raptado o para que estos trabajen como esclavos.
8. El Gobierno ha emprendido una guerra que no está en condiciones de ganar, llegando a niveles mayores de bestialidad en la guerra del narco contra el escaso poder del gobierno y de este contra los narcos en creciente control de la economía y el aparato del estado por medio de la policía, el ejército y el poder legislativo.

A esto hemos llegado en muy poco tiempo. La vida en sociedad está en peligro, el país todo puede desintegrarse y quedar en manos del más fuerte, que aunque debilitado hoy, aún está en condiciones  de hacer nuevas guerras y someter voluntades. Como vemos, estamos pasando del México tan cerca de Estados Unidos y tan lejos de Dios al México con el infierno dentro y sin ningún cielo a la vista.

Salvo que la solución última y óptima es la cultura. Para que así sea quienes están en esa cultura deben verla como un arma de mortal efectividad. Ningún ejército del mundo ha ganado jamás una guerra contra todo un pueblo. En México estamos lejos de lograr que el pueblo mexicano ejerza su fuerza en defensa de si mismo, al contrario los narcos han logrado una proximidad de identidad y hasta de solidaridad con la gente que los ve menos peores que el gobierno y sus aparatos represivos e ideológicos.

La neta de la cultura hoy es que desde la cultura se debe, se puede (falta que se quiera), asumir la defensa de México en lo mejor de su cultura, aquello que ha sido manipulado, ocultado, olvidado intencionalmente, aquello que es identidad es hoy salvación. Para ello debieran darse algunas premisas como parte del proceso de las soluciones:

I) Armar un movimiento cultural que asuma el rescate de lo mexicano, en el respeto por las diversas culturas y con propuestas de sociedad sin los patrones mentales que han posibilitado llegar hasta donde hoy estamos. Este es el lugar posible que se encuentra en la confluencia de un lago y unos errantes viajeros que ven como un águila devora una serpiente.
II) A la ideología del desprecio anteponer la ideología de las soluciones. El problema no está allí para impedir el paso, está para asumir la audacia de la solución.
III) Parte de las soluciones es que quienes sufren las consecuencias de los desmanes de los poderes en juego se vean como la solución, en el poder de ser ya no más espectadores sino actores de su propio destino.

La implementación de estas premisas puede revestir diversas variantes, eso ya es asunto de quienes asumen la osadía de enfrentar los ojos duros de la muerte y es creación heroica que las generaciones actuales deben implementar con la mayor audacia y rapidez. De no ser así, ya no habrá mucho que defender, pues habremos perdido la guerra por una cultura humana a la altura de las mejores potencialidades humanas.

¡Creadores a crear la salida! ¡Ahora, qué mañana es tarde!

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martedì 26 giugno 2012

RESOLUCIONES DEL V CONGRESO DEL PROYECTO CULTURAL SUR

La Habana, Cuba, 20 al 24 mayo, 2012

Como preámbulo de estas resoluciones conviene recordar algunos párrafos de la convocatoria al V Congreso: “Nunca antes la humanidad estuvo tan al borde de su colapso como civilización, nunca antes la vida misma se ha visto tan amenazada, paradójicamente, por quienes tienen la facultad de entender, estudiar y reproducir los mecanismos de la vida.” Estas eran las palabras iniciales de la convocatoria al IV Congreso SUR, realizado en Ayacucho. Estas palabras no han perdido vigencia, lo cual no es un mérito, sino un desafío para el arte de encontrar las soluciones, un desafío para el fermento de una cultura de cambio.

Otro párrafo agregaba: “En tanto trabajadores de la cultura tenemos la triple misión de: entregar las claves para el cambio, iluminar las puertas de salida de la imaginación en la gente y reconocernos en la humanidad doliente que clama un cambio. Sin ser dioses tenemos la tarea de construir en seis periodos de trabajo la posibilidad de un mundo distinto.”

Y en eso estamos, unos adelantados, otros marcando el paso y algunos obnubilados por los problemas sin aparente solución. Ahí está la realidad o eso que tenemos por realidad, con sus guerras de rapiña, con las cientos de formas de decir basta, con las tropelías que desde los poderes se hacen contra la vida. Falta una cultura humana a la altura del intelecto y la potencialidad humana. Falta humanizar al ser humano.

Sin ser una propuesta partidista es una propuesta política, o mejor dicho sin ser una propuesta política es una propuesta partidista, pues nuestro partido y nuestra política es el ser humano en su dimensión de creador de nuevas realidades, en la tarea nuestra de crear los mecanismos para el desarrollo de la potencialidad de creación del ser humano y en la tarea de dotarnos de una cultura que respete las diferencias y convierta a todos en actores.

Grande y complejo es el cometido, como complejo es el momento como grande puede ser el nuevo destino de la humanidad. Es desde nuestras múltiples realidades que podemos, debemos y queremos producir el milagro de lo necesario para avanzar juntos como entes creadores.”

Al evaluar lo positivo y lo negativo desde el IV Congreso realizado en Ayacucho, octubre del 2010 a la fecha, se constata que hay avances y retrocesos. Se encarece analizar los retrocesos y perseverar en ellos avances.

La discusión en este V Congreso indica que se tiene mucho más claro el papel de agentes de cambio que podemos y debemos jugar desde el trabajo cultural, como también se asume la misión de cambiar los paradigmas. Hoy se requiere hacer las cosas de distinta manera, pues queremos resultados nuevos, hoy es más necesario que nunca iniciar el proceso por el desarrollo de las mejores potencialidades humanas y para ello una de las vías es la participación plena de cientos de miles de creadores que también son organizadores y promotores. Sumarlos a todos es nuestro objetivo de largo plazo.

Se ha tomado nota del Congreso realizado en Guanajuato y se llama a los SURes de México a realizar un encuentro en el plazo más breve posible para limar asperezas, unificar criterios y comenzar los trabajos para un Segundo congreso en alguna fecha del próximo año.

Llamamos a los SURes de Venezuela, Argentina, Brasil, Perú, así como otros países donde existe más de un núcleo, a la realización de un Congreso nacional de consolidación y crecimiento, como trabajo preparatorio al VI Congreso internacional de Proyecto Cultura SUR.

Se resuelve continuar con la puesta en marcha y/o ampliación de Equipos de trabajo para actualizar el Sitio web internacional de SUR y Muro libre, así como las respectivas coordinaciones de SUReditores, Disco Sur, Palabra en el mundo y otras iniciativas que puedan surgir.

Acerca de los temas discutidos se ha resuelto:
I) Herramientas de trabajo
1 Consolidar los existentes SUReditores (La Habana, Montreal, Lomas de Zamora, Caracas, Digital), mediante una coordinación y circulación de la información al respecto de los libros editados.
2 Publicitar en cada libro lo realizado por cada uno de los SUReditores, dedicando para ello las páginas posteriores al índice.
3 Propiciar la creación de nuevos SUReditores y Disco SUR (existen dos en Ciudad de México y se anuncia su creación en Caracas) como herramientas para la difusión de escritores y músicos.
4 Ampliar SUReditores digital, con a lo menos tres compañeros. Se recuerda que el objetivo es editar tanto libros en formato digital exclusivo, como digitalizar los libros editados por los distintos SUReditores, con previa autorización de su autor.
5 Buscar soluciones para asegurar la distribución nacional e internacional de los libros y discos editados, así como encontrar las vías para la crítica y/o reseña.
6 Dar los pasos necesarios para contar en el más breve plazo con una revista Virtual.
7 Abrir un periodo de discusión al respecto, al mismo tiempo se buscará a las personas idóneas para asumir el trabajo editorial y logístico de la misma.
8 Apoyar la puesta en marcha de la radio SUR por internet que gerenciará SUR Ciudad de México.

II) Funcionamiento, crecimiento y estrategias
1 Buscar la forma de legalizar la existencia de SUR, según corresponda  a las leyes de cada país o estado, sea como país con capítulos en diversos lugares, sin perder de vista que cada núcleo es autónomo, o de manera independiente.
2 Apoyar toda iniciativa local para utilizar las más diversas formas de hacer llegar al más vasto público los resultados de nuestro trabajo.
3 Modificar los estatutos en cuanto al Consejo directivo internacional y dar paso a una Presidencia colegiada con siete miembros en igualdad de condiciones.
4 Continuar con los esfuerzos para sumar sumándonos con cientos de miles de personas y organizaciones que desarrollan, en diversas latitudes y condiciones, un trabajo cultural.
5 Darle a cada una de nuestras acciones y eventos la seriedad que requiere y organizar su difusión por todos los medios posibles.
6 Trabajar los temas de la memoria en concordancia con las realidades a superar en cada caso.
7 Buscar formas atractivas de hacer participar a la gente, desde sus preocupaciones y esperanzas, para que estas se vean en su potencial humano.
8 Reafirmar la idea Sur en el respeto a la diversidad cultural, a la naturaleza y a la vida en el planeta.
9 Sumar a miles personalidades del accionar cultural y social como miembros honorarios de Proyecto Cultural SUR.

III) Financiamiento
1 Recomendar la adaptación a la realidad local de los lineamientos para una política de financiamiento.
2 Recomendar a cada núcleo que asuma sin temor la discusión en profundidad de lo relativo a contar con diversas formas de financiamiento. Una de ellas puede ser al aporte económico mensual o anual de cada uno de los miembros.
3 Propiciar que cada una de nuestras líneas de trabajo sea auto sustentable.

IV) Comunicaciones
1 Valorar como positiva y apoyar la propuesta de Rocío Alvarado de dedicar una semana de sus vacaciones a dar cursos de diseño de página web, blogs, uso de Ubuntu, instalación de Linux y temas relacionados. En un mes a partir de la publicación de estas resoluciones debiera estar resuelto quienes son los dos primeros países a beneficiarse con esta iniciativa.
2 Abrir un periodo de sugerencias de tres meses, a partir de le recepción de estas resoluciones, para mejorar la presentación y contenido de la página SUR internacional. http://proyectoculturalsur.net/
3 Nominar un grupo de compañeros con los conocimientos adecuados para atender la página.
4 Promover una mayor participación en nuestro espacio común en Facebook. Un método simple es visitar el espacio http://www.facebook.com/pages/Proyecto-Cultural-Sur/155891277789459 y hacer click en me gusta.
5 Saludar la iniciativa del Congreso SUR Guanajuato de hacer un catastro de miembros con sus respectivos currículos.
6 Hacer un catastro de medios, es decir, revistas, periódicos, radios, blogs, centros culturales, galerías etc. que nos puedan brindar espacio.
6 Recomendar el uso de las redes de contacto para promover los logros, tanto individuales como de cada núcleo de trabajo cultural.
7 Priorizar el contacto personal en nuestras comunicaciones, para ello se recomienda usar mucho más el Skype y el correo electrónico.
8 Enviar con una periodicidad, en lo posible mensual, actualizaciones de como va el trabajo, tal como lo ha estado haciendo Sur Caracas.
9 Insistir en que cada núcleo tiene el deber ineludible de comunicar los eventos, logros y resultados, en general a todos, y enviar un resumen, en particular, a los otros SURes.

Generales
1 Llamar a todos los SURes a participar más activa y creadoramente en el Festival Internacional Palabra en el mundo, que cada año termina justo cuando comienza el Festival Internacional de Poesía de La Habana.
2 Saludar y difundir la realización en Medellín del evento por la diversidad, que se desarrollará del 17 al 19 de octubre del 2012.
3 Llamar a cada uno de los miembros de SUR para que asuma un compromiso personal con el quehacer post Congreso.
4 Insistir en la necesidad de legitimarnos como creadores, esto dice relación con que se nos vea como creadores serios y exige de nosotros hacernos visibles con todos los medios a nuestro alcance.
5 Organizar una memoria del V Congreso con las fotos que quienes participaron han sacado. Cada delegada o delegado enviará, en el plazo de tres semanas, una evaluación del congreso de a lo menos media página a un máximo de dos. La fotos y las evaluaciones formarán parte de libro de la memoria del V Congreso.
6 Saludar la incorporación a SUR del Movimiento Abrace y de todos los compañeros que desde Aguadilla, Cajar, Coro, El Tigre, Medellín, Morelia y otros diversos puntos de México comienzan este nuevo andar. Así como valorar a todos aquellos que han manifestado su deseo de contribuir, tanto al éxito de SUR como del Festival Palabra en el mundo.
7 Se ha informado de tres propuestas: una presentada por Antonio Rosa en el sentido de crear un curso de aprendizaje rápido que pudiera llamarse Super aprendizaje; la segunda presentado por Juan Manuel Torres Bada y que dice relación con un generador de electricidad, cuya implementación tiene algunas dificultades y podría tomar un tiempo de cinco a diez años, pero será parte importante de nuestro aporte a las soluciones que el mundo requiere; la tercera presentada por Ulises La Madrid, del Centro provincial de Artes plásticas y diseño, que cuenta con varias galerías, en el sentido de organizar diversas muestras de artistas plásticos y fotógrafos mexicanos en La Habana.
8 Los compañeros de Cuba y Venezuela acordaron organizar un encuentro binacional en julio o agosto en Caracas.
9 Se recomienda que el VI Congreso y los futuros Congresos se realicen sin otro evento que no sea el Festival de Arte y Cultura, es decir el espacio para mostrar nuestras creaciones, que debe transcurrir en espacios y horarios distintos al Congreso.
10 Debido a la ausencia de la delegación de Venezuela y el no contar con un compromiso tangible, se traslada la sede del VI Congreso, 2014,  a El Salvador. En el plazo de un año se debe tener una información amplia de las posibilidades de su realización y una fecha estimativa.
11 Se recomienda organizar un evento Pre Congreso en El Salvador que incluya Centro América y Panamá como una forma de fortalecer el trabajo y la formación de núcleos SUR y que el VI Congreso cuente con una activa participación de los SURes de estos países.
12 El VII Congreso, 2016, se realizará en Colombia, el 2014, en el VI Congreso, evaluaremos sus posibilidades y se definirá donde realizar el VIII Congreso el año 2018.
13 Se resuelve dar paso a una Presidencia colegiada, para tal efecto se acuerda cambiar en los estatutos lo relativo al consejo de dirección de SUR e incorporar la figura de Presidencia colectiva.
14 La Presidencia internacional SUR tiene el mandato de facilitar el trabajo local, su periodo será desde el V congreso (2012) hasta el inicio del VI (2014) y quedaría compuesta por los siguientes compañeros:

Alex Pausides de La Habana, Cuba,
Arturo Cordero de Ahuachapan, El Salvador,
Damaso Martínez de Buenos Aires, Argentina,
Delia Magaña de Ciudad de México, México,
Irma Rivera de Guanajuato, México,
Lucy Ortiz de Vancouver, Canadá y
Tito Alvarado de Montreal, Canadá.

En cada congreso se elegirá una nueva Presidencia para el periodo siguiente, indistinto que algunos sean confirmados, como también se podrá ampliar o reducir su número. La presidencia no tiene poder resolutivo, si tiene una misión: la de apoyar el trabajo local.

Finaliza el V Congreso el miércoles 23 de mayo del 2012, a las 10:40 de la noche en la Sala Villena de La UNEAC, La Habana, Cuba.
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venerdì 22 giugno 2012

UNA NUEVA ADHESIÓN A UTOPÍA ROJA DESDE LA CIUDAD DE MÉXICO, por Roberto Massari y Yuri Zambrano


Es con gran alegría que presento a las compañeras y compañeros la adhesión a Utopía roja de Yuri Zambrano, de ciudad de México. Neurocirujano de profesión, escritor, uno de los principales animadores del Festival Mundial de los Poetas, intelectual creativo en muchos campos, anticonformista radical, utopista revolucionario, compañero de ideas y de esperanzas, gran amigo personal y todo un mundo interior por descubrir.
Me hace muy feliz que también Yuri entre a formar parte de esta linda familia de Utopistas rojos (es decir aquellos que, en espera de revolucionar el mundo, se revolucionan mientras tanto a sí mismos) y pienso que también nuestro comité de redacción internacional está por enriquecerse con una nueva pluma (perdón, computadora…) importante.
En general los compañeros que adhieren al proyecto internacional de UR se expresan en su propio idioma o en idiomas “internacionales” de fácil acceso, que luego, a veces, traducimos al castellano, al italiano, etc. Yuri ha querido darnos una sorpresa, escribiendo éste su primer mensaje rojoutópico en italiano y un poco de español - el famoso itañol. Sería un crimen traducir un texto tan sincero y por lo tanto lo dejo como Yuri lo escribió, agradeciéndole en nombre de Dante Alighieri y sus sucesores por el esfuerzo realizado.
¡Bienvenido Yuri!
Un abrazo.
Roberto Massari

UNA NUOVA ADESIONE A UTOPIA ROSSA/ROJA DA CITTÀ DEL MESSICO
È con grande gioia che presento alle compagne e ai compagni l'adesione a Utopia rossa di Yuri Zambrano, di Città del Messico. Neurochirurgo di professione, scrittore, uno dei principali animatori del Festival Mondiale dei Poeti, intellettuale creativo in molti campi, anticonformista radicale, utopista rivoluzionario, compagno di idee e di speranze, grande amico personale e tutto un mondo interiore da scoprire.
Sono felice che anche Yuri entri a far parte di questa bella famiglia di Utopisti rossi (vale a dire di coloro che, in attesa di rivoluzionare il mondo, rivoluzionano intanto se stessi) e penso che anche il nostro comitato di redazione internazionale stia per arricchirsi di una penna (pardon, computer...) importante.
In genere i compagni che aderiscono al progetto internazionale di UR si esprimono nella propria lingua o in lingue "internazionali" di facile accesso, che poi a volte traduciamo in castellano, in italiano ecc.
Yuri ha voluto farci una sorpresa, scrivendo questo suo primo messaggio rossoutopico in italiano e un po' in spagnolo - il famigerato itañol. Mi sembrerebbe un crimine tradurre un testo così sincero e quindi lo lascio come Yuri l'ha scritto, ringraziandolo a nome di Dante Alighieri e i suoi successori per lo sforzo che ha compiuto.
Benvenuto Yuri!
Un abbraccio
Roberto Massari

Roberto Massari y Yuri Zambrano
Gracias por la invitación [a ser parte del comité de redacción internacional].  Como ya he contestado a Enzo, me siento completamente rosso e utópicamente comprometido.  Mi sento più rosso che mai.
Quindi, tutto rosso, disposto a combattere per la libertà e la fratellanza tra i popoli, le ingiustizie e ciò che resta a venire, 
En efecto, y siguiendo las preguntas de Roberto, il mio impegno politico come scrittore non ha confini, come non li ha il mio cuore. Così, mi dà orgoglio, un privilegio, una grande soddisfazione sapere che siamo nella stessa corsia, tenendo lo stesso treno e soprattutto allo stesso tempo.
Utopia Rossa farà parte del mio pensiero costante e, naturalmente, sto accettando formalmente d'essere corrispondente dal Messico, che significa impegno serio, lavoro e rilancio del movimento con tutti i mezzi possibili.   Acepto, pues, la corresponsalía desde Mex.
La nostra bandiera sventola senza pietà nei prossimi anni!!!!!
Abrazos fratelli.
Yuri

DECLARACION UNIVERSAL
Hacia una Fraternidad Más Humana y Solidaria
(Leído y adoptado en La Habana, durante el Festival Internacional de Poesía, mayo de 2012)

Yuri en La Habana durante la lectura de esta Declaración
La esencia del ser en toda la extensión de la palabra es la poesía.
De hecho, la concepción del ser humano es una poesía que radica en el amor y la empatía entre dos almas naturalmente poéticas.
Hoy, los aquí reunidos, nos inclinamos con corazón y mente profundamente sensible por una nueva civilización poética en pro de la paz y la equidad fraterna entre los pueblos.
Por eso, en la contingencia de ese espacio-tiempo, estamos aquí “En Defensa De La Humanidad para desbordar el tsunami interno que nos hace gritar a cada momento, Vivamos la Poesía, démonos la mano, es tan fácil el abrazo…
Hoy la poesía navega a cuatro vientos y a toda velocidad en el etéreo espacio de las piedras, donde debajo de cada lito, encontramos un poema.  Hoy la poesía busca que esas piedras, trasieguen el alma y profundicen en una paz inagotable.  Todos los humanos aquí presentes y que nos siguen en otras latitudes, saben de nuestro constante deseo de transformar ese espíritu en, aún más poesía, en un delirante gesto de hermandad.
Romper, barrer, hacer poesía. Amar, --hacer el amor con la palabra y con el acto, es hacer poesía--, quebrar los diques y las cadenas es parte inmanente del constante quehacer poético y en cada actitud poética, en cada implosión nuestra, tenemos un santuario para resembrar en el poema que está a nuestro lado, en el humano que nos ve y al que tenemos que develarle la poesía y re-sembrársela como parte de ese único universo globalmente poético que tanto añoramos.
 El antecedente inmediato a este esfuerzo mundial y colectivo entre todos los aquí presentes, quienes en incansable lucha demostramos una vez más, hoy, que NO estamos solos, es la declaración de paz y fraternidad universal “WFP- Festival Mundial de la Palabra”  – ‘Poetas en Resistencia’, llevada a cabo al finalizar 2011, en el Santuario Poético de Ixchel, Diosa Maya de la Luna y la Fertilidad, Señora de las Mareas  y Madre de todos los dioses, Patrona del tejer poético y del Arte de curar el alma.
 Por tanto fecundar santuarios poéticos en el mundo, es una forma emblemática, el símbolo perenne y viviente del sembradío de la poesía a través del transcurso espaciotemporal del universo.
Allí vamos, en tránsito e incansables. Con la alegría que nos vio nacer en el primer verso hermanable, creando el ambiente idóneo que sabemos, cuesta trabajo, pero que no nos doblamos.  En lo santuarios se siembra esa luz y todo se vuelve pragmatismo poético, acciones poéticas con fines netamente humanos, lejos de la demagogia y la antipatía natural del ser humano.  
¡ Debemos sembrar, sembrar y resembrar, y cuando estemos cansados de sembrar, que no nos quede otra… que volver a sembrar!
La civilización contempo esta condenada y va inequívocamente  dirigida y sin frenos hacia esa perpetua "destrucción-evolución" del individuo, debida a ese motorcito interno con el que genéticamente deviene la condición humana. Para enfrentar esa infección letal y altamente virulenta, nosotros los poetas en defensa de la humanidad, contamos con la absoluta certidumbre, todos y sin excepción, los que trabajamos en esto con alma corazón y vida, que lo único que puede cambiar ese predestino, casi post-destino, es la poesía. 
La fuerza de la palabra es ese post-destino y nosotros somos la herramienta para lograrlo.  Tenemos el ímpetu y la poderosa, la poderosa fuerza para martillar a cincel tal hecatombe de cambio que significa la transformación mutua.
Hagámosle caso a esta convocatoria “EN DEFENSA DE LA HUMANIDAD”, nuestra conciencia poética es más que un grano de arena, es esa mariposa que vemos pasar rumbo a Varadero y ocasiona el tsunami que todos añoramos en las placas tectónicas más profundas de nuestras conciencias.  Incluyamos nuestra energía en ese pensamiento, vivamos una nueva dimensión poética.
Nuestro verso, nuestras letras, nuestro empuje no inmovilizará los negocios fraudulentos solventando fratricidas guerras del “civilismo natural”, ni extirpará del mundo aquellas mentes obscenas que convierten en jirones de poesía las imágenes de niños y sociedades completas en hambrunas con olor a muerte y devastación.  Un poema no le dirá a quienes mueven al mundo con el fantasma utópico del dinero, desuniendo familias en los Balcanes o promoviendo guerras en Centroáfrica y Asia Central,  alimentando el dolor humano de quienes aun vivimos en las tierras que nos vieron nacer; que detengan el himno de su gloria.  
¡NO! Un poema, una acción poética constante, simplemente nos alimentará en esa resistencia. Un poema da frutos a la velocidad de la luz en esa resistencia ancestral del monje tibetano antes de arder como tea humana manifestando su desacuerdo contra la represión arbitraria al que su pueblo es sometido durante ya tres generaciones. Un poema tengo fe, hará creer en el contagio de que aun estamos vivos. Y la resistencia poética, al final del túnel nos hermanará para enfrentar esos temores que nos avasallan, pero que insisto, no nos vencerán, mientras exista la palabra hecha verso.
Ese verso que camina, que besa el sol y acaricia la luna, que nos mueve al amor y a la fraternidad universal. Preparemos nuestro espíritu, démosle más alas de las que ya le hemos previsto.
Creemos en la quasi-infinita creatividad del poeta, en su pericia, en su preclara estimación por un mundo mejor, en su belleza interior inextinguible, en su solidaridad de lucha constante en busca de un mundo más ético, pletórico de equidad y de abrazos como lluvia proverbial.
La inexpugnable santidad del poeta hará mella pronto en el vulnerable muro de quienes nos agraden en nuestros derechos de expresión, en nuestro afán de libertad, que a gritos despega vuelos extraoceánicos y etéreos muy por arriba del plomo, el TNT, los neutrinos radiactivos y las amenazas nucleares que tratan de rompernos el alma, pero que insisto, quedan inermes ante nuestras fuerzas.
Vamos en busca de esos santuarios que se encuentran en cada uno de nosotros y re-sembrémoslos en cada congénere, abramos el camino con el amable corazón poético. NO es un sueño. DESPERTEMOS CUANTO ANTES, y entre más antes, mejor! La realidad, fraternos poetas, está al lado de nosotros.  En el abrazo, en la actitud de sembrar poesía a ultranza, con la lanza de nuestras plumas, de nuestra palabra. Encontremos el santuario interno, la nueva dimensión del Homus Poeticus, en defensa de la humanidad !!!


          YURI  ZAMBRANO
                      WFP -  FESTIVAL MUNDIAL DE LA PALABRA








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