di Roberto Massari
[Voce tratta dall’edizione italiana - a cura di R. Massari & M. Nobile - dell’abbecedario realizzato collettivamente dalle Brigate editoriali di solidarietà, Ucraina dalla A alla Z, fresco di stampa e in arrivo in libreria, in vendita al prezzo politico di 7 €]
Il Libro nero di Putin (opera di vari autori e autrici, coordinato da Galia Ackerman e Stéphane Courtois) fornisce utili materiali di lavoro e importanti elementi storiografici per definire la natura dell’attuale regime moscovita.
Fondamentale, per es., è la descrizione di come Putin riuscì a imporre un compromesso agli oligarchi plurimiliardari (in dollari) che sotto El’tsin si erano appropriati di imprese e settori dell’economia russa, influenzando direttamente le istituzioni politiche: essi poterono continuare a prosperare purché subordinati al potere politico. Il primo strato del nucleo di potere dell’élite di Putin è formato da ex colleghi e amici del Kgb, i cosiddetti siloviki (cиловики: i funzionari della sicurezza, spionaggio, forze armate). Questi, a loro volta, costituiscono un’altra frazione dell’oligarchia russa, il cui potere economico risiede nel controllo delle imprese statali, innanzitutto del settore dell’energia e del complesso militare-industriale.
Importante è anche tutta la parte sull’omofobia organica del regime putiniano che col passare degli anni, invece di attenuarsi, sta diventando sempre più esclusivista e integralista. Essa si avvia ad essere l’ideologia più antigay (anti-Glbt) e più sessuofobica (contro la libertà sessuale nel senso più generale e moderno del termine) che esista al mondo, dopo quelle molto più reazionarie di origine islamica (Iran, Afghanistan, Uganda ecc.).
Terzo tema fondamentale è l’analisi dell’integralismo religioso di Kirill e della Chiesa ortodossa russa che, nel suo sostegno fanatico alla guerra in Ucraina, sembra una copia della Chiesa cattolica ultrafascista durante la guerra d’Abissinia (Etiopia) o della Chiesa protestante nella Germania nazista. Ma sotto certi profili è peggio di entrambe perché c’è l’aggravante del tempo trascorso da allora, la crescita di coscienza civile nelle altre due principali correnti del Cristianesimo e anche perché le guerre coloniali non si fanno più tanto alla leggera come nel passato. (Considero «coloniali» le guerre di conquista territoriale, distinte da quelle «imperialistiche», miranti cioè ad ampliare le aree d’influenza, ad aprire nuovi mercati, a ostacolare potenze concorrenti. Quella di Putin è ancora una guerra coloniale.)
Nel libro sono riportate molte prove sulla riabilitazione di Stalin che è in atto e che cresce ogni giorno di più. Non certo lo Stalin presunto «comunista», ma il dittatore totalitario, erede dello zarismo e dei suoi miti euroasiatici, invasore di popoli circonvicini, autore di alcuni dei peggiori crimini contro l’umanità. Putin si colloca ormai apertamente sulla sua scia, rinnegando apertamente il poco di democratizzazione che la Russia aveva vissuto dopo il 1991. Rientra in tale quadro la sua decisione di chiudere Memorial, sia per impedire che continui ad emergere tutto l’orrore del passato stalino-brezneviano, sia per liberarsi di potenziali scomodi testimoni che potrebbero un giorno collaborare con il tribunale internazionale che dovrà giudicare i suoi crimini di guerra.
Molti altri temi sono toccati con imponente documentazione storiografica e, se ancora vi fossero dei dubbi sul carattere criminale dell’aggressione russa all’Ucraina, questo libro li distrugge definitivamente.
Gli hitlerocomunisti ovviamente non leggeranno mai nemmeno questo libro, come hanno sempre evitato di leggere tutti gli altri, prodotti nell’arco di quasi un secolo. Se lo facessero, forse smetterebbero d’essere hitlerocomunisti. Così invece non rischiano d’essere sfiorati nemmeno dall’ombra del dubbio.
Il guaio è che anche i finti pacifisti non lo leggeranno, perché scatenerebbe in loro un tremendo complesso di colpa nel rendersi finalmente conto di quali crimini si stanno rendendo moralmente complici rifiutando di aiutare la resistenza ucraina.
Leggendo tra le righe, dal libro si può ricavare anche un filo di speranza, benché paradossale. Essa è dovuta al fatto che Putin e gli oligarchi stanno veramente esagerando con le loro mire da Impero zarista in pieno sec. XXI. Si vede chiaramente che essi non sono in grado di leggere (capire) la situazione internazionale in cui sono immersi, non sono in grado di misurarsi con le opposizioni se non reprimendole e non danno l'impressione di poter reggere a un’eventuale esplosione di collera popolare. Insomma, a differenza del capitalismo postdemocratico degli Usa, della Germania, della Gran Bretagna ecc., il capitalismo oligarchico e totalitario di Putin sembra essere rappresentato da uno di quei regimi che, quando crollano, il giorno dopo non ne rimane più nulla.
Solo il ricorso alla minaccia nucleare purtroppo fa la differenza coi regimi totalitari del passato. E forse questa è la cosa più nera in questo libro su Putin già nerissimo per conto suo...
• Galia Ackerman-Stéphane Courtois (a cura di), Il libro nero di Putin, Mondadori, Milano febbraio 2023 [Le livre noir de Vladimir Poutine, Robert Laffont, Paris 2022.]