CONTENUTI DEL BLOG

martedì 3 gennaio 2023

IL 18° CONGRESSO DELLA CGIL

di Andrea Furlan (Rsa Filcam Cgil)

 

Con l'inizio del congresso della Cgil colgo l'occasione per fornire un quadro d'insieme in cui inserirò la mia personale posizione politica di astensione nei confronti dei due documenti che si stanno confrontando a partire dai luoghi di lavoro.

La decisione di astenermi nasce da una mia critica al gruppo dirigente della minoranza di Riconquistiamo tutto (RT), l'area di opposizione in Cgil, per la sua incapacità di organizzare l'opposizione, ma soprattutto, per la posizione di falso neutralismo assunta rispetto all’aggressione russa all’Ucraina che reputo di una gravità inaudita.

Questa posizione, insieme alla richiesta del non invio di armi alla resistenza Ucraina, è anche condivisa dall'insieme del gruppo dirigente della Cgil, sia quello raccolto intorno al segretario nazionale Maurizio Landini, sia dal gruppo dirigente di sinistra che ha proposto il documento alternativo.

Prima di entrare nel merito, premetto che dal 1995 fino all'inizio dell'attuale fase congressuale, la mia militanza all'interno della Cgil si è sempre caratterizzata con l’appoggio ai documenti congressuali che criticavano la linea confederale fondata su linee politiche di concertazione sindacale. Ho sempre dato il mio sostegno alla costruzione delle sinistre sindacali che negli anni si sono succedute, da Alternativa sindacale, cui aderii appena eletto delegato nel 1995, fino a Riconquistiamo tutto (RT) nel 2022.

 

Nel mese di ottobre 2022 la Cgil ha iniziato il proprio Congresso nazionale partendo dai congressi di base che si stanno svolgendo nei posti di lavoro e nelle leghe dello Spi (sindacato pensionati). Il dibattito congressuale ruota intorno ai due documenti che sono stati licenziati dal Direttivo nazionale della Cgil - "Il lavoro crea il futuro" (primo firmatario Maurizio Landini) e "Le radici del sindacato. Senza lotte non c'è futuro" (prima firmataria Eliana Como) - e che rappresentano due posizioni politiche differenti.

 

Questa volta però, rispetto al passato, la situazione politica internazionale è la vera questione che dovrebbe essere all'ordine del giorno del Congresso: l'invasione dell'Ucraina da parte dell'imperialismo Russo costituisce un gravissimo problema per la pace mondiale e una tragedia per i lavoratori e le lavoratrici ucraine. La Russia di Putin ha riportato la guerra nel cuore dell'Europa, per soffocare le legittime aspirazioni di un popolo sovrano, e ha provocato una corsa al riarmo generale della Nato che invece si stava avviando gradualmente verso una crescente perdita di peso. Né va dimenticato che le continue minacce di Putin di utilizzare nel conflitto armi atomiche (sia pure tattiche), rappresentano un pericolo concreto e immediato per la sopravvivenza della specie umana.

 

Le posizioni espresse dalle due mozioni congressuali di fronte alla guerra russo-ucraina.

Con la loro posizione di presunto neutralismo nel conflitto russo-ucraino, i due documenti congressuali che si stanno confrontando nei luoghi di lavoro hanno raggiunto il punto più basso nella storia della Cgil dopo la Seconda guerra mondiale. Davanti all’aggressione e al massacro di un popolo, non si può essere neutrali ma si deve sostenere con ogni mezzo il diritto all’indipendenza di tale popolo. Ancora di più se esso ha già sofferto per mano degli stessi invasori: il genocidio per fame del 1931-33 indotto da Stalin (il cosiddetto holodomor), la pulizia etnica congiunta di nazisti e staliniani nel 1939-40 (nel biennio in cui l’Urss fu alleata di Hitler), l’aggressione russa del 2014 con l’annessione della Crimea. Davanti a tutto ciò non si può essere neutrali senza favorire in tal modo gli aggressori. E questa scelta politica molto grave presente in forme diverse nei due documenti – soprattutto per un sindacato che dovrebbe stare dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici ucraine - è oggi difesa, in primo luogo, dal Movimento 5 Stelle (cioè il partito di un voltagabbana come Giuseppe Conte), insieme ad altre correnti politiche della ex estrema sinistra, soprattutto quelle più legate a una tradizione filosovietica.

È veramente grave che la Cgil non si differenzi dal partito di Conte e dalle aree nostalgiche dell’imperialismo sovietico, oggi semplicemente russo.

Ecco cosa scrive il documento di maggioranza in merito al conflitto in corso:

 

"Un nuovo drammatico conflitto si sta svolgendo nel cuore dell'Europa. La responsabilità di questa guerra è della Russia con la sua ingiustificabile decisione di invadere l'Ucraina portando una grave lesione al diritto internazionale, all'autonomia e all'autodeterminazione di un popolo e di un paese.

In difesa di questo diritto sosteniamo il popolo ucraino con aiuti umanitari e progetti di accoglienza. Il livello dello scontro sta sempre di più salendo e la guerra sta ridisegnando l'assetto geopolitico del mondo, mettendo anche in discussione la deterrenza quale strumento di equilibrio tra potenze nucleari.

Ritorna la logica dei blocchi militari, viene meno la neutralità della Svezia e della Finlandia. Bisogna adoperarsi per fermare il conflitto armato in Ucraina e conquistare il negoziato.”

 

Il documento sembrerebbe condannare l'invasione dell'Ucraina, difendendo il diritto all'autodeterminazione di quel popolo. Ma lo fa solo in astratto perché non esprime alcun sostegno alla lotta del popolo ucraino, alla sua resistenza armata – unico modo per gli ucraini di difendere la propria indipendenza e il proprio diritto all’autodeterminazione nel momento in cui sono aggrediti da una delle principali potenze nucleari al mondo. E questa resistenza ha preso alla sprovvista lo stesso Putin, nonché quella parte della ex sinistra italiana che pensava che Putin avrebbe vinto in un breve giro di tempo.

La Cgil non può quindi far finta di niente e non vedere che solo grazie alla loro lotta con le armi alla mano i lavoratori e le lavoratrici ucraine sono riuscite a bloccare l’invasione, pagando purtroppo un caro prezzo in vite umane, in termini economici e anche ecologici (come si può non denunciare la devastazione del territorio ucraino che stanno compiendo gli invasori…). Il quale esercito, alla corte di Putin, è per lo più costituito da soldati mercenari!

La resistenza armata del popolo ucraino il documento non la prende neanche in considerazione. Infatti, si limita ad affermare che si debba garantire al popolo ucraino aiuti umanitari e progetti di accoglienza, ma nulla dicendo sulle armi senza le quali l’invasione avrebbe stravinto sin dal primo momento. 

Ovviamente anche gli aiuti umanitari sono necessari, insieme ai progetti di accoglienza. Anzi, aggiungerei guai se non ci fossero. Ma non possiamo negare all'Ucraina di difendersi, come previsto dal diritto internazionale. E non possiamo nemmeno ignorare che, con i trattati di Budapest sottoscritti nel 1994, l’Ucraina adottò una politica di denuclearizzazione unilaterale - secondo paese al mondo dopo il Sudafrica a compiere questo atto in favore della salvaguardia della specie umana. Partendo dalla semplice considerazione che prima del trattato di Budapest, l'Ucraina era la terza potenza nucleare al mondo, dovremmo farci promotori di una campagna politica su quanto sia stata significativa la decisione di disarmo nucleare unilaterale.

Questo per lo meno se ci si considera realmente pacifisti. Ma, nei due documenti congressuali, di questo atto compiuto dagli ucraini nessuno parla, così come non c'è una parola a favore della resistenza ucraina, come se fermare l’aggressione, non riguardasse come minimo tutta l'Europa. E non solo.

Se Putin vincesse, annettendo sotto il controllo della Federazione Russa il territorio ucraino, come ha già fatto per la Crimea, il Donbass e il Donetsk, l'Europa sarebbe minacciata da altre guerre: questo perché il suo obbiettivo e quello degli oligarchi che lo sostengono, è la ricostruzione di un impero geopolitico sul modello di ciò che era stata la Russia degli Zar e quella di Stalin.

Altro aspetto inquietante di quanto sostenuto sulla guerra russo-ucraina, è il capoverso che recita:

 

Il livello sta sempre di più salendo e la guerra sta ridisegnando l'assetto geopolitico del mondo, mettendo anche in discussione la deterrenza quale strumento di equilibrio tra le potenze nucleari.

 

Qui il documento di maggioranza sembra preoccuparsi che venga meno l’equilibrio del terrore fondato sulla deterrenza, la quale a sua volta si regge sulla minaccia di utilizzo delle armi nucleari fra le potenze vincitrici del Secondo conflitto mondiale che a Yalta si spartirono il mondo in zone d'influenza. E qualcuno potrebbe anche pensare che il popolo ucraino, lottando contro l’invasione, stia mettendo in crisi l’equilibrio del terrore fondato sulla deterrenza nucleare e sulla spartizione del mondo quale fu decisa a Yalta e che ancora, bene o male, continua a regolare i rapporti fra gli Stati, tenendo il mondo perennemente sotto scacco e sotto il dominio degli interessi delle grandi potenze.

Nel seguito del capoverso si richiede di adoperarsi alla conquista del negoziato. 

Su quali basi pensa la Cgil che l'Ucraina dovrebbe negoziare con l'invasore? Questo non è dato sapere perché non viene espresso. Ma già il fatto che si chieda a un popolo aggredito e invaso di negoziare un accordo di compromesso con l'invasore, è di una gravità inaudita; è lo è ancor di più se espresso da un’organizzazione sindacale che ha lottato contro il fascismo e l'invasione nazista armi in pugno nella Resistenza. (Resistenza partigiana che poté vincere, non lo si dimentichi, solo grazie alle armi e dalle truppe dell’Inghilterra, degli Usa e di altre democrazie capitalistiche dell’epoca – questo per chi si scandalizza che le armi al popolo ucraino vengano fornite dall’unica potenza militare in grado di farlo e cioè la Nato: questa ovviamente lo fa per i suoi fini, come del resto lo faceva anche al momento dello sbarco delle truppe alleate in Italia. Ma chi si sarebbe sognato all’epoca di chiedere agli Usa di non fornire armi alla Resistenza italiana?).  

Come si fa a chiedere agli Ucraini di stabilire un compromesso quando la Russia si è già annessa attraverso un referendum farsa alcune parti del suo territorio?

La Cgil dovrebbe sostenere fino in fondo ciò che dichiara di voler sostenere ovvero il diritto all'autodeterminazione dei popoli e a questo scopo dovrebbe sapere che quando un paese viene invaso, quel paese non solo ha diritto a difendersi con le armi, ma è il solo che può decidere se e quando contrattare una pace o una resa e a quali condizioni farlo.

Qui invece siamo al punto che, per un presunto bene dell'umanità, si vuole costringere gli Ucraini ad accettare riduzioni del proprio territorio a favore di un compromesso con una potenza imperiale che ha violato ogni legge di convivenza internazionale, che si sta macchiando di crimini di guerra e che vuole con la forza sottomettere ai propri voleri e interessi un popolo autonomo e indipendente.         

    

Per quanto concerne il secondo documento, alternativo alla proposta politica della maggioranza che sostiene Landini, che dovrebbe rappresentare l'alternativa politica in Cgil esprime sulla guerra una posizione politica peggiore di quella espressa dal documento di Landini.

Infatti, annotiamo che sul conflitto russo-ucraino nel documento alternativo si afferma quanto segue:

 

"La ferma condanna dell'Invasione russa è imprescindibile, ma non basta. Bisogna rimuovere le diverse cause che l'anno determinata e opporsi a tutti coloro che hanno interesse a proseguire la guerra, a partire dalla Nato e dalla sua strategia di espansione e di riarmo che ha alimentato la tensione. La guerra e le sanzioni, nel quadro della competizione mondiale e delle speculazioni dei mercati, hanno finito per colpire la popolazione, accentuando in Russia, in Europa e nel mondo disoccupazione, diseguaglianze e l'impoverimento dei salari, mentre gli Stati Uniti, perseguendo i propri obbiettivi di potenza, esportano in misura maggiore e a un prezzo più alto il loro gas, prodotto con enormi devastazioni ambientali. La Cgil deve promuovere un movimento generale contro la guerra, in relazione e in supporto alle organizzazioni sindacali di ogni paese che lottano contro i nazionalismi e le logiche di questo conflitto. Dobbiamo mobilitarci per l'uscita dell'Italia dalla Nato, contro l'invio delle armi, il riarmo e la politica bellicista del governo Draghi”.

 

Sono parole confuse ma al fondo chiaramente favorevoli all’aggressione, sia perché scaricano dalle spalle di Putin le responsabilità del conflitto (invitano infatti a comprendere le cause che hanno indotto Putin a invadere l'Ucraina e indicano nella Nato la vera responsabile del conflitto, interessata per giunta a la guerra); sia perché fanno propria la principale richiesta di Putin e cioè che non si diano più armi alla resistenza ucraina in modo da poterla schiacciare il più rapidamente possibile.

La sostanza del documento alternativo risponde agli interessi militari di Putin e in quanto tale costituisce una vergogna all’interno di un sindacato che del sostegno alla resistenza dei popoli che lottano avrebbe dovuto fare la propria bandiera.

Affermare che invece l'innesco della guerra sia stato favorito dall'espansione ad Est della Nato, senza aggiungere che questo è avvenuto nel quadro del diritto internazionale, da parte di Paesi che, avendo fatto parte del Patto di Varsavia e avendo sofferto per decenni l’oppressione sovietica, non hanno avuto e continuano a non avere esitazioni nella scelta di aderire in primo luogo all'Unione Europea e in secondo luogo alla Nato. Questa non ha dovuto costringere con la forza i Paesi appartenenti all'ex patto di Varsavia per aderire alla Nato; li ha semplicemente accolti perché questi Paesi non volevano più saperne della Russia e del suo dominio, ed è frutto di egoismo capitalistico opporsi all’entrata di questi Paesi in alleanze economiche delle quali l’Italia fa giù parte, contenta per giunta di farlo. Basti solo pensare a cosa ha significato affrontare la pandemia da Covid come Unione europea invece che come singolo Stato, con non si sa quale vaccino e non si sa quali norme di circolazione internazionale.

È solo egoismo capitalistico che può spingere a rifiutare l’ingresso nella Ue ad altri Paesi, soprattutto quelli che per decenni hanno sofferto l’oppressione russa e sovietica.

Nei confronti della Nato siamo tutti consapevoli che questa alleanza è il prodotto di un accordo su vasta scala delle potenze imperialistiche, guidate dall'imperialismo egemone degli Usa. Ma, contrariamente a quanto accaduto in precedenza con le guerre d'invasione che la Nato e gli Usa avevano scatenato nei confronti dell'Iraq e dell'Afghanistan - guerre alle quali molti di noi (non tutti) ci eravamo opposti sostenendo le resistenze prodotte in Paesi contro l'invasione imperialistica – ora ci troviamo di fronte a posizioni in seno al sindacato in cui, proclamando la neutralità rispetto all’invasione si finisce con lo stare dalla parte degli invasori. Che è ciò che Putin chiede ma che non chiede la maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici italiane.

La questione russo-ucraina va considerata uno spartiacque e, a differenza di ciò che è stato scritto nel documento alternativo, chi oggi non si schiera dalla parte della resistenza ucraina sostenendo la sua lotta per il ritiro delle truppe d’invasione, quindi per una sua vittoria militare contro l'imperialismo russo, non solo esprime posizioni reazionarie, ma sul piano culturale manifesta tutta la propria disumanità. È infatti solo una profonda disumanità che può portare a restare insensibili davanti a crimini di guerra che credevamo finiti per sempre in Europa.

Davanti alla tragedia di un popolo martoriato dai bombardamenti anche su obiettivi civili, costretto al freddo e al gelo, senza acqua e luce, che resiste eroicamente e che mai accetterà accordi di pace che non prevedano il ritiro dell’esercito invasore, la Cgil avrebbe dovuto, senza se e senza ma, schierarsi con gli oppressi contro gli oppressori.

Personalmente continuerò in ogni sede e di fronte a qualsiasi contesto e forza politica o sindacale a gridare il mio sdegno nei confronti dell'invasione russa – così come lo gridavo per l’invasione statunitense dell’Iraq e dell’Afghanistan - e mai sosterrò alcun documento che non esprima un chiaro e attivo sostegno al principio dell’autodeterminazione dei popoli, che oggi vede in prima linea a sua difesa il popolo ucraino (ma anche curdo, palestinese ecc.). Questa, tra le varie ragioni, è quella fondamentale per cui mi sono astenuto al congresso della Cgil.        

 

Un minimo di bilancio storico sulle minoranze congressuali

La minoranza congressuali, al proprio interno, storicamente, non sono mai riuscite a produrre un livello superiore di democrazia rispetto a ciò che hanno sempre contestato al gruppo dirigente di maggioranza. Anzi esse stesse nella propria pratica sindacale hanno sempre contraddetto nei fatti ciò che sul piano teorico esprimevano, mentre sul piano rivendicativo presentavano evidenti debolezze programmatiche. 

La decadenza della democrazia nella Cgil non è il prodotto soltanto delle responsabilità del gruppo dirigente concertativo, al quale imputiamo  la responsabilità per aver attuato una politica che non si è rivelata efficace nella difesa dei diritti e del salario dei lavoratori, ma anche a causa dell'insipienza politica del gruppo dirigente di minoranza, che avrebbe dovuto invece rappresentare un’alternativa vera, la quale esiste solo formalmente poiché al loro interno le sinistre sindacali hanno sofferto delle stesse arretratezze democratiche che contestavano. 

La deriva burocratica e concertativa dell'organizzazione, insieme al restringimento degli spazi democratici, non sono mai stati seriamente messi in discussione sul piano politico da parte delle minoranze congressuali.

Benché i rapporti di forza all'interno dell'apparato burocratico non fossero così sfavorevoli per imprimere cambiamenti e condizionamenti anche parziali, l’azione politica delle sinistre sindacali è sempre stata timida e quasi paurosa di mettere in discussioni gli equilibri interni all’apparato.

Su questo punto bisogna capire quali sono stati i motivi che non hanno consentito al gruppo dirigente alternativo, nel corso degli ultimi vent'anni di attività sindacale, di impedire o almeno di rallentare il processo di spostamento a destra della Cgil.

1)     Calcolando che fino all'esperienza di “Lavoro e Società” e della “Cgil che vogliamo” (le aree di sinistra in Cgil), nelle file del documento congressuale di minoranza militavano compagni che avevano importanti ruoli dirigenti sia al livello confederale sia al livello categoriale, soprattutto nei gruppi dirigenti intermedi, cioè dove pulsa l'attività sindacale dell'organizzazione, con percentuali pari al 20% su base nazionale nei direttivi di categoria e confederali, la possibilità di tenere testa al gruppo dirigente di maggioranza era concreta se solo ci fosse stata determinazione politica.

Questa importante presenza all'interno della burocrazia Cgil, di funzionari e segretari di categoria e confederali appartenenti alla minoranza, nelle vertenze sindacali che si verificavano e, nelle quali erano coinvolti dirigenti di minoranza, non hanno mai provato ad imprimere una diversa conduzione delle lotte.

Questo perché l’azione politica era tutta da ricondurre all'interno delle compatibilità del sistema concertativo che a parole si diceva di voler contrastare. E invece nella pratica rivendicativa corrente, i dirigenti che rappresentavano le minoranze congressuali e avevano sposato una linea politica conflittuale, firmavano accordi sindacali che contraddicevano ciò che nei congressi avevano sostenuto.

Mentre nei documenti alternativi si sosteneva la necessità di far ripartire una politica rivendicativa, la quale doveva essere sostenuta dalle lotte dei lavoratori, sul piano dell'azione sindacale si assisteva a un’opposizione di facciata. Nessuno del gruppo dirigente di minoranza si è mai speso per organizzare seriamente la generalizzazione delle lotte, nessuna costruzione di assemblee di delegate e delegati su base nazionale per coordinare le lotte sindacali esistenti, nessuna azione tesa a costruire alleanze con il sindacalismo cosiddetto “di base”, nessun cambio organizzativo delle aree congressuali basate sul protagonismo dei delegati e delegate.

 

2)     La crisi delle aree sindacali di sinistra, dentro la Cgil, si è andata progressivamente acuendo e uno dei motivi di questa crisi è da ricercare nell'attività burocratica che ha caratterizzato la vita delle aree congressuali nel corso degli anni.

In modo progressivo, abbiamo assistito al depauperamento dell'apparato burocratico di sinistra, il quale ha abbandonato le aree programmatiche per riallinearsi, anche formalmente, con i quadri dirigenti di maggioranza dell'organizzazione.

Nel corso degli anni, all’interno delle aree della sinistra sindacale, abbiamo assistito al passaggio di funzionari che militavano nelle sinistre sindacali al gruppo dirigente di maggioranza. 

Questo processo ebbe un’accelerazione dopo lo scontro furibondo avvenuto nel XV congresso della Cgil che aveva visto ben tre categorie della Cgil - Fiom, Fisac e Funzione pubblica, insieme alla Rete28 Aprile - sposare lo stesso documento congressuale.

Al fine di sfidare Guglielmo Epifani che aveva indicato Susanna Camusso a capo dell'organizzazione - la quale, per la sua storia sindacale e appartenenza politica era molto invisa ad ampi settori della burocrazia - Podda (FP), Rinaldini (Fiom) e Moccia (Fisac), costruirono una alleanza, fatto unico nella storia della Cgil, con la minoranza sindacale della Rete 28 aprile guidata da Giorgio Cremaschi.   

In riferimento a quel furibondo scontro interburocratico in seno all'organizzazione, Susanna Camusso, una volta vinto il congresso e ridefinita la nuova segreteria, impresse una svolta autoritaria nell'organizzazione e soprattutto nei confronti di quei quadri dirigenti che avevano osato mettere in discussione la sua nomina a segretario generale della Cgil.

Ma soprattutto, quella parte di apparato che aveva apertamente sfidato Epifani tentando di impedirgli di predeterminare il nuovo segretario generale, da quella esperienza compiuta, comprese che la Cgil dall'interno non era più scalabile sul piano burocratico.

La democrazia interna si era talmente deteriorata e non consentiva più a pezzi di apparato di poter condizionare scelte politiche che erano state concordate da un elitario gruppo dirigente.

     

3)     Un altro elemento che ha determinato la crisi nella quale versano le aree congressuali di minoranza è legato anche al livello di arretramento della lotta di classe. 

4)     Allo stesso tempo dobbiamo considerare che il mancato raggiungimento di obbiettivi dichiarati e mai perseguiti in modo coerente e mai sostenuti da iniziative politiche e sindacali conseguenti, hanno determinato uno scoraggiamento tra i delegati e i lavoratori che avevano creduto nella possibilità di imprimere un cambiamento aderendo alle istanze congressuali alternative. 

5)   La burocrazia di sinistra (Essere sindacato, Alternativa sindacale, Lavoro e Società cambiare rotta, La Rete 28 aprile, La Cgil che vogliamo ed ora Riconquistiamo tutto), hanno condotto una battaglia politica soltanto all'interno del gruppo dirigente burocratico senza mai veramente coinvolgere i lavoratori in un progetto sindacale che fosse alternativo sia sul piano politico e sia sul piano organizzativo.

Questo perché la dialettica sindacale, tra maggioranza e opposizione, è sempre stata confinata negli organismi dirigenti, nei quali non vi è nessuna possibilità di cambiare i rapporti di forza interni all'apparato.

La dialettica sindacale non è mai stata esportata nei luoghi di lavoro. Non si è mai provato a costruire dinamiche diverse anche in relazione alla possibilità che i lavoratori dovessero conquistare il diritto esprimersi realmente sulla composizione dei gruppi dirigenti. 

Su questo aspetto le aree congressuali alternative hanno sempre seguito lo schema burocratico della Cgil, si sono sempre strutturate in modo identico alla maggioranza, hanno riprodotto strutture gerarchizzate preoccupandosi soltanto di governare sul piano burocratico le spinte dei delegati combattivi che volevano realmente imprimere un cambiamento (si veda al riguardo la vertenza di Melfi degli incompatibili).

In poche parole, credo che oggi possiamo asserire che le sinistre sindacali non hanno espresso nessun cambiamento in seno alla Cgil, di fatto non si sono rivelate utili per lo sviluppo della lotta di classe e attualmente neanche sono un punto di riferimento per le lotte sindacali dei lavoratori. Soprattutto su questo versante, assistiamo a un vero e proprio fallimento.

 

 

Il Bluff di RT (riconquistiamo tutto)

L’area congressuale RT, che esprime la portavoce Eliana Como, proviene dall’esperienza della Rete 28 aprile, la quale era stata costruita da Giorgio Cremaschi e Sergio Bellavita. Dopo la dipartita dalla Cgil dei due dirigenti sindacali, entrambi di provenienza dalla Fiom - i quali decisero di rompere con la Cgil e passare nel cosiddetto “sindacalismo di base” - l’area decise nel XVIII congresso nazionale della Fiom di presentarsi con un documento congressuale che aveva come titolo proprio la dicitura di “Riconquistiamo tutto”. Termine ardito per chi rappresenta una esigua minoranza in Cgil. 

Da subito quest’area ha fatto intendere ai propri militanti che rispetto alle esperienze passate non intende cambiare marcia. Si struttura sul piano organizzativo in modo burocratico nominando una portavoce, Eliana Como; si dota di organismi dirigenti di natura gerarchica: esecutivo nazionale confederale e coordinamento nazionale, esecutivi regionali confederali e coordinamenti regionali.

Il gruppo dirigente ha sempre rifiutato di organizzare gli organismi dell’area in senso orizzontale, non sono mai stati disposti a variare con la rotazione la portavoce in modo da rappresentare tutte le sensibilità sindacali presenti nell’area, hanno sempre gestito il dibattito comprimendo i tempi di intervento per chi esprimeva posizioni critiche.

Queste posizioni di chiusura sul piano organizzativo stridono in merito a ciò che i lavoratori e delegati della Gkn i quali con la loro Rsu hanno aderito in modo organico all’area, sono riusciti a costruire nella loro realtà aziendale - ovvero un organismo dirigente di fabbrica strutturato sulla base dei consigli - un collettivo che non risponde a pratiche burocratiche e che elegge i propri rappresentanti in maniera autonoma e soprattutto mette al vaglio dei lavoratori il proprio operato.

La loro attività politica, in difesa della fabbrica, ha prodotto una lotta operaia come da tempo non se ne vedevano: occupazione della fabbrica, picchetti, casse di resistenza, scioperi ad oltranza, con i quali sono riusciti a fermare l’intenzione dei padroni di venderla a pezzi e licenziare i lavoratori.

Sulla base di questa esperienza, Riconquistiamo tutto ha appoggiato la lotta dei lavoratori, l'ha rivendicata all'interno della Cgil come proprio patrimonio genetico, ma allo stesso tempo, per quanto riguarda la definizione dell’organigramma dell'area in modo da investire delle responsabilità di direzione politica quei delegati e delegate che sono stati protagonisti delle lotte, l'area non ha mai voluto prendere in considerazione questa possibilità, una possibilità che avrebbe invece rappresentato in Cgil un riconnettersi con la tradizione dei Consigli.

Strutturare l'area in modo orizzontale, anziché in modo verticistico e burocratico, ripercorrendo la migliore esperienza democratica del movimento operaio italiano, ovvero l'esperienza consiliare, avrebbe dotato l'area di uno slancio propositivo e di una credibilità maggiore agli occhi dei lavoratori.

Si sarebbe potuto far vedere all'insieme dell'organizzazione che fare politica sindacale in un altro modo era effettivamente possibile. Per la prima volta il suo gruppo dirigente non sarebbe stato più il prodotto della sommatoria dei vari gruppi burocratici che si uniscono in funzione del congresso (con il fine di spartirsi i posti di governo con il gruppo dirigente di maggioranza), ma l'espressione sul terreno concreto della lotta di classe e del protagonismo sociale dei suoi attori principali.

 

Quattro anni, tanto è l’intervallo che divide la fine della fase congressuale dall'apertura della fase congressuale successiva: sono un arco di tempo considerevole se impiegato realmente per lavorare al radicamento dell'area nei posti di lavoro.

Questo però presupporrebbe che l’area decida di strutturarsi affinché sia possibile effettuare un lavoro capillare, fatto di assemblee, di iniziative fuori dei cancelli delle fabbriche e nei luoghi di lavoro dove è più alto il livello di sfruttamento: Amazon, strutture turistiche ricettive, la logistica, l'edilizia e nei maggiori gruppi industriali.

Tutto questo il gruppo dirigente dell'area non si è mai posto il problema di realizzarlo e i motivi di questa non ricerca del radicamento a partire dai luoghi di lavoro sono diversi e molteplici.

 

1)     La struttura organizzativa dell'area estremamente burocratica è costituita da intergruppi, i quali all'interno dell'area non hanno mai ricercato una unità di intenti finalizzata a far ripartire il conflitto di classe nel nostro paese, ma la loro presenza nell'area è propedeutica soltanto al rafforzamento del proprio gruppo politico di appartenenza.

Questo ha provocato più volte crisi e discussioni furibonde dentro l'area, che hanno prodotto scissioni e rotture, le quali si ricomponevano sul piano burocratico, come avvenuto anche in questa fase, in relazione con l'inizio del congresso. (come è recentemente avvenuto con le Giornate di Marzo e Democrazia e lavoro)

 

2)     L’attività politica dell’area si è soltanto concretizzata nel produrre documenti congressuali per partecipare al congresso. Nell’arco dei quattro anni precedenti non si è registrato nessun intervento sindacale, nessuna organizzazione di assemblee dei delegati, con i quali decidere la strategia sindacale e l’intervento organizzato nelle vertenze. Da un congresso all’altro, il gruppo dirigente sindacale dell’area si è solo ed esclusivamente preoccupato di pensare alla sua sopravvivenza, senza porsi il minimo problema di come radicare le proprie istanze sindacali nei luoghi di lavoro. 

3)     Se le aree sindacali di sinistra fossero realmente un’alternativa, non solo si sarebbero poste il problema del radicamento nei posti di lavoro, unico luogo dove realmente si possono spostare i rapporti di forza per cambiare la linea politica dell'organizzazione, ma si sarebbero poste anche il problema di costruire in modo democratico i documenti congressuali.

 

Invece ancora una volta ci troviamo di fronte a un documento calato dall'alto, non discusso nei luoghi di lavoro, il quale è pieno zeppo di rivendicazioni, stile lista della spesa, che non tiene conto degli attuali rapporti di forza tra le classi.

La composizione del documento risponde ai desiderati rivendicativi di una classe dirigente che pensa che essere radicali consista nell'allungare la lista delle rivendicazioni, invece di capire concretamente su quali bisogni puntare per costruire un organizzazione sindacale e un movimento di lavoratori combattivo, in grado di portare a compimento obbiettivi concreti, magari anche minimi in questa fase di difficoltà, ma essenziali per far capire ai lavoratori, che senza lotte non si possono sconfiggere i padroni.

 

4)     La questione dello sciopero generale propagandistico, come da sempre interpretato dalla dirigenza di maggioranza della Cgil, da parte del gruppo dirigente di RT non è stata mai veramente criticata. Anzi, su questo terreno si continua a rivendicare la proclamazione dello sciopero generale, senza esprimere una minima critica su questa pratica che non ha mai conseguito nessun risultato per i lavoratori.

 

Proclamare uno sciopero generale di una giornata, magari anche a ridosso del fine settimana e con un anticipo temporale tra l'indizione e la realizzazione dello stesso, non ha portato ai lavoratori nessun conseguimento degli obbiettivi sui quali lo sciopero era stato convocato.

Questa pratica è deleteria, non serve a costruire il radicamento del sindacato nei luoghi di lavoro, ma produce demoralizzazione, riducendo la capacità di mobilitazione dei lavoratori.

I quali, non vedendo il raggiungimento di nessun obbiettivo dichiarato, perdono fiducia nello strumento della lotta sindacale che è invece l'unica arma di cui dispongono per difendersi dagli attacchi del padronato. 

Per portare a casa i risultati, l’esperienza storica del movimento operaio ci ha insegnato che bisogna resistere nella lotta un minuto in più del padrone. Quindi ci vogliono scioperi a oltranza che terminino quando l'obbiettivo viene raggiunto.

Ma per sostenere scioperi di questa portata, i lavoratori hanno bisogno di essere sostenuti attraverso forme di sostentamento economico organizzate dal sindacato, secondo il modello rappresentato nel passato dalle casse di resistenza, senza le quali non sarebbe possibile organizzare scioperi duraturi nel tempo.

 

5)     La conferma che i dirigenti dell’area hanno come obbiettivo la salvaguardia delle proprie posizioni dirigenti in seno all’apparato è rappresentata dal fatto che, per presentare il documento alternativo, lo statuto della Cgil prevede due strade: la prima consiste nell'avere il 3% della platea del Direttivo nazionale per presentare il documento alternativo; la seconda opzione prevede invece di raccogliere 75mila firme su base nazionale tra gli iscritti alla Cgil.

 

Nessun’area sindacale alternativa si è mai posta il problema di verificare se tra gli iscritti, cioè tra lavoratori e pensionati, vi fossero i consensi per produrre un documento alternativo sulla base della raccolta di firme che sarebbe dovuta avvenire luogo di lavoro per luogo di lavoro.

Questo perché il 3% della platea del Direttivo consente in modo burocratico la sopravvivenza di un apparato di sinistra dentro la Cgil, di non porsi il problema del radicamento nei luoghi di lavoro, ma di poter sopravvivere, come apparato burocratico di sinistra, in modo comodo nell'organizzazione.  

Di tutto ciò, i lavoratori che dentro le aziende subiscono le angherie e lo sfruttamento dei datori di lavoro non ne hanno bisogno; questo modo di fare sindacato, cioè di presentarsi al cospetto dei lavoratori ogni quattro anni solo per chiedergli il voto a una mozione che serve per determinare gli equilibri interni a un apparato burocratico, suona come un insulto.

Se veramente si vuole contrastare la burocratizzazione della Cgil e la sua linea politica collaborazionista con il capitale – linea che passa inesorabilmente anche per i rapporti politici che i dirigenti della Cgil continuano a mantenere con il PD - bisogna organizzare un’area sindacale che guardi realmente al rilancio del protagonismo sociale di delegati e delegate, lavoratrici e lavoratori, un’area che si strutturi al suo interno in modo democratico, che salvaguardi la dialettica interna e la valorizzi; che sia guidata da lavoratrici e lavoratori combattivi e rappresentativi delle principali aziende del Paese; che sul piano organizzativo rilanci i Consigli, i quali devono al proprio interno avere un livello di democrazia alto che consenta ai lavoratori di aver voce in capitolo sugli accordi sindacali e sulla revocabilità dei propri rappresentanti qualora non rispettino i mandati che ricevono dalle assemblee.

Solo questa prospettiva può tentare di incidere nella politica dell'organizzazione. Tutto ciò a cui abbiamo assistito negli ultimi trent'anni di esperienze politiche delle varie sinistre sindacali, come abbiamo potuto constatare, è miseramente fallito; pertanto, o ci si concentra nel costruire realmente una struttura sindacale fondata sul protagonismo sociale dei delegati e delegate, lavoratrici e lavoratori, oppure si finisca di costruire strutture burocratiche che nulla hanno da dare ai lavoratori. 



Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com