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mercoledì 2 marzo 2022

LA PANDEMIA DI COVID-19 E IL FALLIMENTO DELLA SINISTRA ANTAGONISTA

di Michele Nobile

 

1. La biopolitica democratica e anticapitalista: l’esempio delle proteste per prevenire il cambiamento climatico

2. La necropolitica del potere e le proteste necropolitiche contro le misure per contenere Covid-19

3. Quanto è preparata la sinistra ad affrontare le emergenze dell’Antropocene-Capitalocene?

4. La divisione della sinistra e l’opportunità perduta. 



Sono passati solo due, tre anni, dalle manifestazioni sul cambiamento climatico e i Fridays for future, ma sono stati tanto lunghi che quelle mobilitazioni, che in tutto il mondo coinvolsero milioni di giovani e meno giovani, mi sembrano remote. Fino all’invasione russa dell’Ucraina, tra le notizie internazionali figuravano in posizione importante manifestazioni come quelle dei camionisti canadesi e dei loro simpatizzanti, contro l’obbligo di vaccinarsi per passare la frontiera con gli Stati Uniti. In realtà si tratta solo di una piccola parte dei tanti lavoratori del settore, ma i blocchi degli snodi commerciali hanno spinto il governo federale canadese a mettere in atto la Legge sulle misure d’emergenza. 

Quindi mi chiedo: come si rapportano tra loro le proteste per il cambiamento climatico e quelle contro le misure governative di contenimento della pandemia? Qual è la logica sottostante queste misure? E come si è espressa la sinistra antagonista nella situazione pandemica? La questione travalica l’attuale congiuntura e investe l’atteggiamento fondamentale nei confronti delle emergenze ambientali - climatiche, sanitarie ecc. – della nostra epoca: quella dell’Antropocene. La posta in gioco è data dal complesso delle relazioni tra vita-potere-conoscenza, quel che si indica come biopolitica. E dunque: quali distinte idee della vita propongono le manifestazioni sul cambiamento climatico e quelle contro la «dittatura sanitaria» e le vaccinazioni? Come caratterizzare le politiche messe in atto dai governi? Nel fronteggiare una pericolosa epidemia è possibile conciliare democrazia ed efficacia? È possibile una biopolitica rivoluzionaria? 

Questo è il primo di una serie di articoli in cui discuto (nuovamente) i temi accennati, ma con un preciso obiettivo: sottoporre a critica gli errori e gli orrori che una parte della sinistra che si dice antagonista ha fatto durante la pandemia. La posta in gioco è però più grande: si tratta dell’atteggiamento nei confronti delle crisi e dei disastri - sanitari e ambientali - che continueranno a verificarsi nell’era dell’Antropocene-Capitalocene.

  

 

1La biopolitica democratica e anticapitalista: l’esempio delle proteste per prevenire il cambiamento climatico

Seppure in modo confuso e ancora sul piano simbolico, nelle manifestazioni pre-pandemia sul cambiamento climatico si poteva avvertire l’idea che la salvezza di ciò che si può dire civiltà - se non dell’umanità - richiede una società mondiale del tutto diversa, la trasformazione radicale del come, di cosa e di quanto si produce e si consuma, e a quale scopo. Poiché il cambiamento climatico è la sintesi dei problemi globali dell’umanità, ad un tempo sociali, geopolitici, ecologici, averne piena coscienza avvia a riflettere sul fatto che, come gli arsenali nucleari, l’inquinamento delle acque e della terra e la riduzione della biodiversità, il riscaldamento del pianeta testimonia che le forze di produzione dell’umanità fungono ora anche da forze di distruzione delle condizioni della vita, come forze patogeniche e mortifere. E che per domare queste forze di produzione-distruzione, che il capitalismo ha sviluppato a un ritmo e con una potenza geologica senza precedenti e senza controllo, occorre democraticamente progettare gli obiettivi e consapevolmente pianificare il coordinamento di priorità e mezzi, secondo criteri di giustizia sociale e sostenibilità ecologica. In altri termini, che occorre la socializzazione dei processi economici e della decisione politica1. Le proteste sul cambiamento climatico dimostrano che la verità scientifica è alleata della verità politica. 

Alla lista dei problemi globali si deve aggiungere la nuova transizione epidemiologica mondiale, di cui la pandemia di Covid-19 è manifestazione. Ed è importante comprendere che clima planetario ed epidemiologia mondiale sono da sempre connessi. Ora il clima contribuisce per diverse vie all’estensione geografica delle malattie (ad es. del colera, della malaria, di varie infezioni da batteri), al riemergere di malattie che si pensava in regresso e all’emergere di nuove malattie2. La grande maggioranza di queste malattie, dall’Aids alla febbre del Nilo, dalla Mers a Ebola, dalla Sars a Covid-19, si originano tra gli animali, ma il rischio maggiore di pericolose zoonosi con potenzialità di diffusione mondiale è intrinseco a importanti attività economiche come l’allevamento industrializzato di pollame, suini e bovini, l’espansione della frontiera agricola, il commercio di selvaggina; è altamente probabile che il salto di specie virale che ha prodotto la pandemia di Covid-19 si sia verificato in quest’ultima attività3

Anche per questa ragione bisognerebbe assolvere l’enorme compito di nutrire correttamente la popolazione mondiale e por fine a fame e carestie, con la complicazione però di dover nello stesso tempo trasformare metodi di produzione, la struttura sociale dell’agricoltura e dell’allevamento, i modelli di consumo. Sarebbe l’equivalente di una rivoluzione sociale; intanto, per genesi e gestione politica, la pandemia di Covid-19 è da porsi nel quadro sociale, economico e politico della globalizzazione del capitale e del cosiddetto neoliberismo, nelle sue varianti di destra e di sinistra.

La pandemia prova che i rapporti sociali sono sempre, nello stesso tempo, rapporti con la natura o, più precisamente, rapporti socioecologici. Con questo si deve intendere che questi rapporti non sono tra entità separabili, tra cui può darsi una frattura, ma sempre di internità, più o meno contradditoria, di società-nella-natura/natura-nella-società. La crisi sanitaria mondiale causata da Covid-19 è un esempio della contraddittorietà di questa dialettica, in cui la natura letteralmente entra nei corpi umani e questo, a sua volta genera risposte della società. La crisi appare prodotta da un’aggressione esterna ma, in realtà, è interna ai rapporti socioecologici esistenti, è endogena alle contraddizioni complessive della società mondiale capitalistica, alla determinata dialettica storica del capitalismo-nella natura/natura-nel-capitalismo4. Dal punto di vista della causalità, fino ad oggi l’Antropocene è un Capitalocene: il compito, enorme e difficile, è uscirne. Ed è più che mai urgente che la coscienza politica faccia propria la conoscenza scientifica. 

Come nella storia d’altri movimenti sociali, anche il movimento intorno al riscaldamento globale nasce dalla paura e dall’incertezza, dalla coscienza che è necessario agire urgentemente e con misure straordinarie. Ci sono limiti - e grossi - in questo movimento, che è ancora a livello dell’opinione e della manifestazione spettacolare. Nulla a che fare, però con la pecorina sottomissione all’autorità e allo Stato d’eccezione. Perché è un movimento che aspira a rifondare la razionalità sociale, poggia sulla fiducia nella comunità scientifica ma diffida dei governi. È un movimento democratico, perché la trasformazione che auspica richiede la mobilitazione più ampia e radicale; perché è universalistico e cosmopolitico: interessa il destino della specie umana, al di là delle frontiere e d’ogni distinzione, potenzialmente anche al di là della società di classe; perché, come già detto, una società più giusta e sostenibile richiede la socializzazione della politica e la definizione democratica di priorità, distribuzione, utilizzo delle risorse sociali. È democratico perché ha il senso della comunità planetaria dei viventi e della società mondiale come qualcosa di più della sommatoria di individui. 

La lotta contro l’ecocidio è lotta per la vita.

Tuttavia, proprio mentre la lotta per la vita entrava come mai prima quasi simultaneamente nella vita quotidiana di miliardi di persone in tutto il mondo, durante la pandemia la confusa esigenza che aveva portato in piazza milioni di persone non ha trovato modo di esprimersi politicamente in modo significativo. Non solo a causa dei divieti d’assembramento, dei vincoli alle manifestazioni, della paura del contagio. Le grandi proteste del movimento Black lives matterdimostrano che i divieti non sono un ostacolo inviolabile, quando la motivazione è forte ed esiste un coordinamento. E anche che, contrariamente alle aspettative, le proteste all’aperto non contribuiscono necessariamente alla crescita delle infezioni, se esiste consapevolezza del rischio pandemico5. A parer mio, di gran lunga più importante è stata la confusione d’idee e la divisione nella sinistra detta antagonista. Infine, è subentrata la stanchezza per le stesse misure, l’illusione che i pur indispensabili vaccini siano sufficienti, l’assuefazione alla morte. 

 

2. La necropolitica del potere e le proteste necropolitiche contro le misure per contenere Covid-19

Nelle manifestazioni contro le misure di contenimento delle infezioni, spesso animate - come quelle canadesi - da organizzazioni di destra ed estrema, si esprimono decenni di promozione dall’alto dell’egocentrismo e dell’idea che la società non sia altro che una somma d’individui. La loro logica è conservatrice, cieca alla sofferenza. Alla responsabilità nei confronti dei più deboli e dei più esposti al contagio oppongono la superiorità dell’Ego; la pretesa del diritto alla propria assoluta libertà soverchia i doveri conseguenti dal vivere in comunità. Quel che rivendicano è, in sostanza, la libertà di comportarsi come se la pandemia non esistesse o non fosse pericolosa. La gamma degli argomenti va dalla mera negazione alla fantasiosa rielaborazione dei dati sulla mortalità da Covid-19 (sottostimata) e seguente alla vaccinazione (iperbolicamente sovrastimata); dalla trivializzazione della malattia - «è come l’influenza» - a quella della morte: «muoiono solo i vecchi e quelli che comunque devono morire» a causa delle pregresse condizioni di salute. Per la sua posizione di potere, il campione mondiale di questi «combattenti della libertà» è stato indubbiamente Donald Trump. Quel che colpisce di questa posizione è la mancanza di empatia con la sofferenza e con le vittime della pandemia e la riduzione della vita al calcolo di costi e benefici. Il cinico darwinismo sociale, per cui fragili e inetti soccombono e i migliori sopravvivono, poggia sul narcisismo della propria salute. Questa è una vera e propria necropolitica, una politica mortifera, una politica che genera morte. È il laissez faire, laissez passerapplicato alla situazione pandemica. Promossa negli Stati Uniti dall’amministrazione federale, la necropolitica non esprime lo Stato d’eccezione ma rivela nel modo più drammatico la natura della postdemocrazia vigente: l’attacco ai diritti sociali, portato all’estremo contro la salute pubblica. Negli altri Paesi a capitalismo avanzato la biopolitica neoliberista ha assunto una forma moderata, oscillante, ipocrita, ma comunque letale.  

Le proteste necropolitiche «per la libertà» sono una sfida diretta alla possibilità di cambiare lo stato del mondo in senso ecologicamente sostenibile e socialmente egualitario. Sono un terribile arretramento rispetto alle mobilitazioni sul clima planetario. Lo spirito di queste manifestazioni «per la libertà» è affine a quello di chi nega la realtà del cambiamento climatico o ne sottovaluta fortemente i rischi, perché «le evidenze scientifiche non sono sufficienti», e quindi oppone la salvaguardia dei posti di lavoro e del valore economico e strategico dell’industria petrolifera alle chiacchere di scienziati ed ecologisti. La negazione e la sottovalutazione dell’impatto di Covid-19 è anche più grave, perché il disastro accade ora e qui, sotto i nostri occhi, se si vuol vedere, se non si è accecati dalla narcisistica centralità dei propri personali o settoriali interessi. È la stessa logica che spiega l’impreparazione e il ritardo dei soccorsi in occasione degli uragani Katrina del 2005 e Maria del settembre 2017: dopo quest’ultimo a un mese di distanza quasi il 90% di Porto Rico era ancora privo d’energia elettrica (in alcune zone mancò per sei mesi) e un terzo d’acqua corrente. 

L’Antropocene-Capitalocene è anche questo: un’epoca che è e continuerà ad essere caratterizzata da ricorrenti e gravi crisi ambientali e sanitarie, che richiedono e continueranno a richiedere tanto trasformazioni strutturali che straordinarie misure d’emergenza. Il dramma è che occorre cambiare la società perché lo stato del mondo non peggiori ma, anche nelle migliori delle ipotesi, le future generazioni dovranno essere materialmente e mentalmente preparate a gestire emergenze climatiche, inondazioni e siccità, crisi alimentari, epidemie locali e pandemie, nonché la sinergia tra questi fenomeni e gli effetti della gestione politica delle crisi. Quel che si concettualizza correttamente come sindemia, situazione conseguente, nel nostro caso, da una pandemia. Contrapporre i due concetti è scientificamente insensato. 

Presumibilmente, la resilienza dei capitalismi più forti e ricchi sarà sempre maggiore di quelli più deboli. E, nonostante l’interdipendenza tra le società e la natura globale dei problemi, tra i popoli di questi capitalismi continuerà a darsi la tendenza all’indifferenza, a mantenere lo status quo, al lasciateci vivere, lasciateli morire (i più poveri e vulnerabili), come potrebbe dire Foucault di questo libertarismo da mercato. A spostare nel tempo e a «scaricare» nello spazio i problemi globali. 

 

3. Quanto è preparata la sinistra ad affrontare le emergenze dell’Antropocene-Capitalocene? 

E quindi, alla luce delle posizioni espresse durante la pandemia, quanto è preparata la sinistra a questa sgradevole verità? Che dire di quanti, sedicenti antimperialisti e lottatori per la Costituzione, con calcoli da ragioniere ubriaco hanno ridotto le decine di migliaia di decessi della prima ondata a poche centinaia? O che hanno rivendicato l’apertura di bar e ristoranti o la didattica in presenza, sia all’inizio sia durante la micidiale seconda ondata, sostenendo che non sarebbe stata tanto letale? Quanto queste posizioni sono concretamente distanti dalla necropolitica? 

Qui non mi riferisco alle intenzioni, all’ideologia, agli obiettivi che possiamo dire strutturali o validi comunque, a prescindere dalla pandemia. Il punto è che, come nell’immediato d’altri disastri, durante la pandemia il primo terreno di scontro è dato da ciò che si fa o non si fa per salvare le vite. E da questo scontro dipendono gli sviluppi futuri, la possibilità di sedimentare coscienza politica e strappare riforme strutturali. A differenza d’altri disastri, però, una pandemia dura nel tempo, ha dei ritmi e una dinamica sulla quale si può intervenire. Sicché la questione che nella congiuntura pandemica è centrale e dirimente è l’opposizione al ritorno alla normalità, al primato dell’economia (capitalistica) sulla salute pubblica come si manifesta nelle decisioni e non-decisioni circa i tempi e i modi dell’implementazione delle misure per contrastare infezioni e malattie6. Certo, si possono sventolare le bandiere rosse e pure rivendicare la Luna, si possono cacciare i fascisti dalle manifestazioni ma, nel contesto della pandemia, obiettivamente la logica delle «aperture» comporta la negazione o la forte sottovalutazione della necessità di misure tempestive per contenere le infezioni, la malattia, la morte. E allora, quanto è distante dalla necropolitica l’«aperturismo» rivendicato da parti della sinistra? 

Conosco persone che vivono a Nembro che a fine febbraio 2020, mentre politici ed esercenti invitavano agli acquisti e agli aperitivi, pregavanoperché venisse istituita la zona rossa, che fu decisa per tutta la Lombardia e altre province italiane con due settimane di ritardo. Troppo tardi. Non che a Nembro fossero succubi della biosicurezza, intesa come «il dispositivo di governo che risulta dalla congiunzione fra la nuova religione della salute e il potere statale col suo Stato di eccezione», come scrisse Agamben in quello stesso momento. No, si tratta di persone di sincera fede democratica che, a differenza di Agamben e di certi antagonisti, erano perfettamente in grado di distinguere lo Stato di eccezione da misure urgenti e straordinarie finalizzate a salvare vite umane. Semplicemente, vivevano l’impatto della malattia e della morte in una comunità relativamente piccola ma con alta incidenza dei contagi, esperienza che altri hanno avuto la fortuna di non fare. Lì, solo nel marzo 2020 morirono più persone che in un qualsiasi intero anno dal 2012. Si immagini lo stesso fenomeno nel Comune di Roma: significa quasi trentamila morti in un mese. Avevano paura, certo. Provare paura e fare comunque quel che si deve fare è ciò che distingue il coraggio dalla temerarietà e dalla stupidità, o da quella visione delirante della realtà che, per negazione della pandemia o per egocentrica affermazione della propria assoluta libertà, tanto ricorda il narcisismo infantile. Nembro era uno dei luoghi in cui subito si poteva vedere e sentire in prima persona la letalità del Coronavirus, che alle teste di legno continua ancora a sfuggire dopo due anni e 155.000 morti solo nel proprio Paese7

La mortalità reale da Covid-19 nella bergamasca e nel bresciano durante la prima ondata di Covid-19 è il doppio di quella registrata dai numeri ufficiali. Avrà qualcosa a che fare con la consistente presenza d’imprese industriali? 

Una moltitudine di studi ha ampiamente dimostrato che ad essere più colpiti dalla pandemia di Covid-19 sono i lavoratori e le lavoratrici attivi e quelli in pensione, in generale i gruppi sociali ed etnici svantaggiati. In modo ancor più pesante che in quelli imperialisti, nei Paesi periferici le classi dominate e le categorie più povere devono sopportare sia il peso maggiore della crisi sanitaria che gli effetti sull’occupazione e sul reddito delle misure di contenimento della pandemia. Per questi motivi la pandemia e la sua gestione politica hanno un carattere classista. È però estremamente pericoloso o meglio, decisamente in linea con l’ideologia liberista più cinica, pensare che il rimedio sia peggiore del male e che occorra laissez faire, laissez passeril Coronavirus fino al conseguimento dell’immunità di gregge. E al conseguente sterminio dei più vulnerabili e meno produttivi. 

Rispetto alla prassi degli usuali conflitti di lavoro è paradossale, ma nella situazione pandemica, quando la curva delle infezioni inizia a muovere verso l’alto, organizzazioni sindacali degne di questo nome avrebbero dovuto imporre la sospensione temporanea delle attività lavorative con lo sciopero generale, muovendosi come gli operai della Dalmine e di altre imprese, specialmente metalmeccaniche ma non solo; bisogna ricordare che durante il cd. lockdownle industrie continuarono a lavorare fino al 25 marzo (cioè fino al primo picco d’infezioni) e che i codici Ateco consentivano riconversioni da attività classificate non essenziali a essenziali. Tra la sinistra che si dice «di classe» c’è chi filosofeggia su libertà e Stato d’eccezione ma sembra ignorare questo interessante fenomeno, che pure è molto di classe8

Il negazionismo dichiarato è insensibile ad argomenti razionali e potrà sempre opporre quel che considera «scienza» a quel che presuntuosamente definisce «scienza ufficiale». Tutti gli altri, o meglio coloro che criticano le misure non-farmacologiche in quanto tali e non solo per i dettagli, in alcuni casi assurdi o incoerenti, devono fare i conti con stime e considerazioni come questa dell’agosto 2020, sulla prima ondata pandemica in Italia:  

 

«L’attuazione anticipata del lockdown avrebbe evitato circa 126.000 casi di COVID-19, 54.700 ricoveri non in terapia intensiva, 15.600 ricoveri in terapia intensiva e 12.800 decessi. Sulla scala relativa, ciò corrisponde rispettivamente a una riduzione del 60% (IC al 95%: dal 55% al 64%), 52% (IC al 95%: dal 46% al 57%), 48% (IC al 95%: dal 42% al 53 %) e 44% (IC 95%: dal 38% al 50%). Conclusioni: Abbiamo riscontrato che l’attuazione tardiva del blocco in Italia è stata responsabile di una sostanziale percentuale di ricoveri ospedalieri e di decessi associati alla pandemia di COVID-19. La comprensione dei fattori che contribuiscono a una risposta ritardata è necessaria per rafforzare la preparazione della salute pubblica in caso di una seconda ondata di infezione»9

 

Tanti studi in molti Paesi hanno confermato quel che suggerisce il buon senso e, oramai, l’esperienza: più tardi e più blandamente si agisce, tanto maggiori i danni sanitari e socioeconomici. 

Il primo lockdownfu adottato nel panico per l’impreparazione materiale e organizzativa ad affrontare il rischio pandemico, risultato di anni di riduzione aziendalistica del servizio sanitario nazionale e di privatizzazioni, di priorità data all’eccellenza ospedaliera relativamente alla medicina territoriale; perfino il piano antipandemico non era aggiornato dal 200610

Tuttavia, benché esposta alla sorpresa delle varianti (non proprio imprevedibile), nei mesi successivi la politica dei governi tornò a muoversi intorno all’asse usuale, a oscillare intorno a una precisa tendenza che si è definitivamente affermata: ridurre vincoli e ostacoli all’attività economica, normalizzare l’economia in una situazione della salute pubblica niente affatto normale. La gestione politica della pandemia non si spiega con una metafisica pulsione allo Stato d’eccezione, ma con gli effetti del neoliberismo sul sistema sanitario e con la priorità del profitto e del mercato sulla salute pubblica, anche durante la più grave crisi sanitaria mondiale. Non siamo in presenza di una eccezionale «dittatura nazisanitaria», ma di una postdemocrazia consolidata da tempo. Pur non essendo per nulla estranei a selettive misure repressive e doppi canali di diritto penale (l’Italia all’avanguardia in questo campo), i regimi postdemocratici e pseudopopulisti attuali sono altra cosa dallo Stato d’eccezione e dal criptofascismo. Semmai, detto nel modo più semplice, essi sono la riaffermazione di un liberalismo «reale» in cui l’esercizio dei diritti politici è ridotto alla sua dimensione procedurale e formale, in cui la garanzia dei diritti sociali ed economici - già fragile e limitata - tende a venir meno11.  

Come si esprime la postdemocrazia durante l’emergenza pandemica? 

Per delimitare il rischio che il dilagare senza controllo dell’epidemia incida troppo profondamente e troppo a lungo sulla riproduzione del rapporto sociale, sull’offerta e la domanda di beni e servizi, e per prevenire critiche circa volontà e capacità governativa di difendere la salute pubblica, la biopolitica «neoliberista» può sentirsi costretta a intervenire, anche pesantemente, seppur in ritardo. Superato il primo shock, la governamentalità sanitaria del neoliberismo è però liberalizzatrice, individualizzante, tecnologica, volta a costruire la cornice entro cui gestire un nuovo equilibrio tra epidemia e fisiologia sociale. Anche i bizantinismi burocratici, la varia casistica con il suo corredo di incongruenze, la decisione di non stabilire l’obbligo vaccinale per legge ma di creare le condizioni che spingano o costringano i singoli a «liberamente» scegliere di vaccinarsi, sono risultato di questa logica, mirata ai comportamenti individuali più che ad azioni che garantiscano il diritto alla salute della popolazione nel suo insieme, che è un sottoprodotto della stella polare di questa politica, cioè sostenere l’economia nel suo complesso, sacrificando (relativamente) le attività pertinenti al consumo privato. 

Bilancio, ancora provvisorio, della biopolitica «neoliberista» sono migliaia e decine di migliaia di morti che sarebbero state evitabili:

- se il sistema sanitario non fosse stato devastato negli anni precedenti; 

- se, al fine di bloccare la crescita esponenziale dell’epidemia, fossero state immediatamente messe in atto misure non-farmacologiche di contenimento, al momento della prima ondata e delle successive; 

- se queste stesse misure non fossero state ritirate troppo presto; 

- se nell’estate del 2020 non si fosse voluto favorire l’industria del divertimentificio e del turismo, col risultato di diffondere il Coronavirus da poche Regioni all’intero territorio nazionale, e se l’errore non si fosse ripetuto l’estate seguente12

- se si fosse presa in seria considerazione l’infezione per via aerea tramite aerosol, che avrebbe però avuto ancor più gravi ripercussioni su tutte le attività che richiedono di fare a meno di mascherine protettive o che si svolgono a lungo in ambienti affollati e poco o nulla ventilati (come si «scopre» essere le scuole)13;  

- se nei periodi di riduzione delle infezioni si fossero realizzati molti più test (non solo del tipo rapido, ora da tempo più numerosi) per circoscrivere i focolai e calibrare localmente le misure; 

- se il sistema delle Regioni variamente colorate non fosse stato regolato da indicatori (come l’occupazione dei posti letto) che non servono a contenere le infezioni ma possono soltanto segnalare che il sistema sanitario sta per andare in sovraccarico, perché l’epidemia è già fuori controllo, e che sono facilmente manipolabili dalla burocrazia14

- se, viceversa, si fosse voluto regolare le misure di contenimento con indicatori che segnalano tempestivamente il rischio della crescita esponenziale dell’epidemia, come l’incidenza dei nuovi casi e l’indice basato su data della diagnosi (invece che di sintomi)15

- se il volume del sequenziamento genomico italiano non fosse a un livello penoso, come risulta dal confronto internazionale, così non percependo l’avvento di nuove varianti; 

- se fosse stato tempestivamente istituito per legge l’obbligo vaccinale contro Covid-19; 

- se insieme alle vaccinazioni si fosse agito per prevenire la diffusione dei contagi e la mortalità, alta tra i non-vaccinati che, sempre e comunque, rimangono cittadini da proteggere esattamente come gli altri. 

In breve: le decisioni cruciali, da cui tutto il resto dipende, sono i tempi e l’ampiezza d’intervento, la capacità di monitorare la situazione, quindi d’intervenire localmente con decisione al primo segno di crescita delle infezioni. Più tardi e blandamente si agisce (e più presto si rimuovono le misure) per bloccare la crescita dell’epidemia, maggiori saranno i costi in malattie e vite umane. 

Anche con la miglior gestione possibile, nessun Paese può rimanere immune da una pandemia: si devono prevedere comunque situazioni locali e momenti critici. Tuttavia, dare la priorità alla salute avrebbe non solo risparmiato vite ma ridotto anche la durata dei periodi d’incertezza e insicurezza, delle misure più pesanti, i danni sociali e lo stress psicologico. 

Per queste ragioni e altre ancora ritengo che la gestione politica della pandemia possa essere messa a confronto con il disastro sanitario dell’Ilva di Taranto - 11.550 morti stimati soltanto negli anni dal 2004 al 2010 - che ha portato a numerose condanne, tra cui quella dei proprietari e amministratori, a 22 e 20 anni di reclusione. Ritengo che anche coloro che hanno governato e governano in questi anni di pandemia meritino di essere sottoposti a giudizio penale; come minimo bisogna energicamente sostenere le iniziative legali dei familiari delle vittime, dirette a vincere l’omertà istituzionale. Temo che, per parte della sinistra sedicente radicale, pure questo sia eccessivo16

Tutto questo presupponeva però che fin dal primo momento fosse presa sul serio la realtà e la pericolosità di Covid-19. 

Presupponeva la consapevolezza che la protezione della salute pubblica è necessaria proprio al fine di garantire di fatto il libero e pieno esercizio di tutti gli altri diritti costituzionali. 

Presupponeva che ci si schierasse con la massima determinazione per il diritto alla salute e alla vita, contro la priorità alla libertà d’impresa - piccola e grande - e la priorità del profitto. 

Presupponeva la coscienza che rivendicare energicamente la priorità della salute sul profitto, anche imponendo il blocco delle attività mediante lo sciopero, è quanto avrebbe potuto strappare al governo e ai partiti riforme strutturali nei campi della sanità, dell’istruzione dei trasporti. 

Presupponeva che non si cadesse nella trappola di contrapporre l’obiettivo immediato di salvare vite agli obiettivi socioeconomici, che si distinguesse tra i metodi e i ritmi della lotta alla pandemia e gli strumenti e i tempi della politica economica e sociale. 

Presupponeva che si superassero l’egocentrica sensibilità alla retorica governativa e mediatica e si fosse sensibili alla sofferenza e alla morte dei più vulnerabili, nel proprio Paese e nel resto del mondo; che si avesse la forza di resistere alla pressione di interessi settoriali e locali «di base», per comprendere quanto obiettivamente si richiede per contrastare una pericolosa pandemia e battersi dal punto di vista della solidarietà e della responsabilità sociale. 

Presupponeva che la sinistra «antagonista» s’impegnasse con tutte le sue debolissime forze a seminare la coscienza del significato storico-mondiale di questa pandemia e della nuova transizione epidemiologica, delle relazioni tra questa e i problemi globali dell’Antropocene-Capitalocene. Che è quanto può contribuire a far germogliare una coscienza anticapitalista e internazionalista di massa adeguata al XXI secolo.

La sinistra non governativa è stata invece divisa, confusa, in buona parte in grave errore, troppo spesso ha perfino ripetuto e ripete motivi degni di un Trump e di un Bolsonaro, perciò involontariamente allineandosi con le parti politiche più demagogiche e l’imprenditoria più miope, in certi casi tanto cinica e narcisistada essere al limite della selezione socialdarwinista dei più deboli. 

 

4. La divisione della sinistra e l’opportunità perduta. 

Nei primi giorni di marzo mi interessava criticare l’impreparazione dello Stato ad affrontare la pandemia, l’intempestività delle misure governative e, da un punto di vista molto più ampio, chiarire le cause della nuova transizione epidemiologica globale e della pandemia. Ero anche molto preoccupato da posizioni che vedevo nefastamente diffondersi nella sinistra, come quelle di Giorgio Agamben circa le «frenetiche, irrazionali e del tutto immotivate misure di emergenza per una supposta epidemia», la militarizzazione, lo Stato d’eccezione17, e poi di Alain Badiou, per cui per la pandemia rientrava nella categoria del «“niente di nuovo sotto il Sole” contemporaneo». Tanti hanno iniziato a baloccarsi - e, cosa che ha dell’incredibile, continuano a farlo - con concetti che poco o nulla hanno a che fare con la realtà dei regimi politici dei capitalismi avanzati e con la politica governativa nella situazione pandemica. Si tratta delle chiacchere sull’avvento di una «società disciplinare» autoritaria basata sulla biosicurezza (che in effetti significa l’esatto contrario di quanto avvenuto), sulla militarizzazione del territorio, o addirittura intorno a un qualche genere di fascismo o totalitarismo; a cui si possono aggiungere discorsi, per nulla originali, che ripropongono il feticismo tecnologico, sul «modo di produzione» telematico. Discorsi pazzeschi, quando la violenza concretamente esercitata non è quella militare e poliziesca ma delle decisioni che permettono la libera circolazione del Coronavirus e morti a migliaia. La ricerca scientifica, anche quella di studiosi che ne evidenziano le implicazioni anticapitalistiche, è stata buttata nella spazzatura, dando invece spazio a ciarlatani e malamente utilizzando nozioni ascoltate nei talk show

Non discuto il fatto che la retorica governativa e mediatica oscilli tra ottimismo della vittoria e «terrorismo» morale: due facce della comunicazione che scorrono sono parallele alle oscillazioni nella gestione politica della pandemia. Il moralismo circa i corretti comportamenti individuali è complementare a disposizioni contrarie all’art. 17 della Costituzione circa il diritto di riunione, come la Direttiva recante indicazioni sullo svolgimento di manifestazioni di protesta contro le misure sanitarie in atto, emanata il 10 novembre 2021 dalla ministra dell’interno Lamorgese. Questa è in continuità con la direttiva del 2009 del ministro Maroni (Direttiva del Ministro dell’Interno per le manifestazioni nei centri urbani e nelle aree sensibili). Certo, in postdemocrazia esiste anche il problema di difendere gli spazi democratici e di conflitto, che sono selettivamente limitati o negati, ma per farlo in modo efficace bisogna pur comprendere il nemico. Insomma, è così difficile capire che Conte non è Pinochet, Draghi non è Jorge Videla e Salvini non è Mussolini? La postdemocrazia e i suoi agenti suscitano ribrezzo, ma gli insulti non sostituiscono le analisi e le similitudini iperboliche portano fuori strada. L’enormità antipopolare da cui partire per rivendicare nelle piazze sia i diritti sociali sia i diritti democratici, imponendo nella pratica il diritto di riunione e manifestazione, sono gli oltre 155.000 decessi da Covid-19, risultato della gestione politica della pandemia. Anche da noi sarebbe servito un movimento per ribadire che le vite contano, tutte. O no? 

Purtroppo, quel che all’inizio della prima ondata era comprensibile sconcerto nei mesi successivi è diventato imperdonabile testardaggine e delirio politico. A questo proposito sono molto in sintonia con gli argomenti di un ottimo documento pubblicato da compagni greci, di cui consiglio caldamente la lettura, che scrivono: 

 

«Criticare la gestione della pandemia negando la sua esistenza o il pericolo che comporta è esso stesso, a dir poco, un approccio catastrofico. Questo non è solo visibile nell'adozione acritica (e a volte inconscia) di cospirazioni reazionarie proto-fasciste; più importante forse, è come essa rifletta e promuova una comprensione estremamente distorta del capitale, dello Stato e del concetto di esistenza collettiva. Questo, di per sé, non rappresenta certo una novità all’interno della sinistra e degli ambienti radicali. Ma questa è forse la prima volta che queste distorsioni generano tali fratture esistenziali all'interno delle sue file»18

 

I compagni greci mettono bene in rilievo come, nella situazione pandemica, si dia la contraddizione tra necessità dei governi di sostenere la continuità e la regolarità dei flussi economici e le esigenze della legittimazione politica, e una contraddizione all’interno dello stesso meccanismo capitalistico tra continuità dell’accumulazione e riproduzione della forza-lavoro: «un proletariato malato in fila fuori da un luogo di lavoro chiuso non è un modello per l’accumulazione capitalista, per quanto “disciplinato” possa essere». È quanto scrissi a metà marzo 2020, in pieno lockdown, nelle Tesi contro la pandemia politica e sociale

 

«La percezione soggettiva del rischio è stata plasmata da priorità diverse da quella della sicurezza della salute dei cittadini, si tratti dei meccanismi interni alla gerarchia burocratica, dell’esigenza di non turbare il quadro politico, delle necessità di non danneggiare i flussi turistici e commerciali, di non ridurre la produttività e di non intaccare produzione, vendite e profitti. Da qui anche le violente e ipocrite oscillazioni, come in Italia, tra opposti atteggiamenti (dal “tutto aperto!” al “chiudere tutto!”), i conflitti di competenza, la subordinazione al dettato della Confindustria, l’impunita fuga di notizie a proposito delle ordinanze restrittive.  

La sottovalutazione del rischio è la ragione per cui, quando l’epidemia sfugge al controllo, si deve tentare di controbilanciare la superficialità, l’inerzia e l’impreparazione con il ricorso a misure estreme, di quarantena su ampia scala e, infine, di “sospensione” della vita sociale». 

 

Per chi si dice marxista dovrebbe essere constatazione elementarissima che lockdown, quarantene ecc. inceppano l’estrazione di plusvalore e la circolazione del capitale, che per questo motivo per i governi si tratta di misure d’emergenza da applicare selettivamente e abolire al più presto. E per chi ha compreso le lezioni di Michel Foucault dalla fine degli anni Settanta, dovrebbe essere altrettanto elementare che la biopolitica del neoliberismo è completamente diversa da quella dello Stato assoluto dell’ancien régimeo del nazismo. Foucault attaccò con ampiezza d’argomenti quel che definiva la fobia dello Stato, qualcosa che impedisce di distinguere le diverse forme di governamentalità, che assimila il neoliberismo al fascismo, che confonde la biopolitica liberale con il Polizeistaat. Criticò la «critica inflazionistica» dello Stato per cui «in nome del dinamismo dello Stato, si può sempre ritrovare qualcosa di simile a una parentela o a un pericolo» (del fascismo, dello Stato d’eccezione, preciso) e «non ha molta importanza alla fine quale presa si riesca ad avere sul reale o quale profilo di attualità il reale presenta»19. Questa di attribuire a vanvera etichette di fascismo, golpismo, Stato d’eccezione, è tradizione lunga dell’estrema sinistra, per cui più grave è l’epiteto dato al nemico, più si dimostra la propria alterità rivoluzionaria. Ma non è così: grattando la retorica era ed è possibile scoprire la pochezza della visione e della proposta politica. E certamente si rimane spiazzati dalla dinamica della realtà.

È vero, come scrivono i compagni greci, che la pandemia «ha anche portato in superficie le mutazioni occorse all’interno degli ambienti di estrema sinistra/radicali dopo un decennio di sconfitta e riflusso»; ma in Italia non si tratta di un decennio, bensì di un trentennio, se non di un quarantennio. Si vedono i risultati, anche sul piano della soggettività etico-politica. In Italia la sinistra detta radicale, antagonistica o rivoluzionaria o come dir si voglia, ha nel complesso dimostrato d’essere totalmente impreparata ad affrontare una crisi di nuovo tipo, improvvisa e devastante. Consapevole delle sfumature e delle sovrapposizioni, penso che in questa sinistra si possano distinguere due gruppi d’errori: 

1) di coloro che hanno considerato e considerano a priorile misure non-farmacologiche come un atto dispotico e arbitrario, manifestazione della tendenza allo Stato d’eccezione, all’emergenza permanente, al criptofascismo. Si può condire l’argomento in varie salse, ma l’unico presupposto logico di tale posizione è la negazione della realtà e della pericolosità del nuovo Coronavirus, «l’invenzione di un’epidemia», scrisse coerentemente Agamben mentre si iniziava a crepare di Covid-19. In questo gruppo rientrano i sinistrorsi si ritrovano accomunati a negazionisti, antivaccinisti, cospirazionisti di destra ed estrema destra. A questa posizione bisogna riconoscere il merito di una delirante coerenza logica e, per questa ragione, è la posizione egemone nel campo degli oppositori delle misure di contrasto della pandemia. È posizione affine alla necropolitica dell’amministrazione Trump. 

2) L’altro gruppo è costituito da coloro che, pur non negando la realtà dell’epidemia, si sono comunque opposti alle misure non-farmacologiche e poi alla certificazione verde. Tengo a dire che occorre distinguere quello strumento camaleontico, ipocrita, insufficiente, criticabile per le sanzioni previste per i lavoratori che è la certificazione verde, dall’obbligo esplicito e per legge di vaccinarsi contro Covid-19; problema che potrebbe ripresentarsi anche a proposito di altri patogeni pericolosi. D’altra parte, vista l’implacabile logica neoliberista di normalizzazione dell’economia, la vaccinazione rimane l’unica seria difesa dall’infezione. E così sarà nei prossimi mesi, se non anni. 

A entrambi gli erronei punti di vista delineati sfugge la continuità profonda tra le cause della prima reazione, che portò tardivamente al primo lockdown, e l’orientamento di fondo della seguente gestione politica della pandemia, la contraddizione tra l’idea di «convivere con il Coronavirus» e lo smantellamento delle strutture e delle norme antipandemia20.

La critica del primo gruppo rientra nella critica della formazione della falsa coscienza ideologica nell’epoca postmoderna di derealizzazione del mondo, agevolata dai circuiti autoreferenziali del web. L’analisi critica del secondo gruppo richiede che se ne smontino gli argomenti scientificamente errati; che si dimostri come, in tema di bilanciamento tra i diritti, è pericolosamente vicino all’interpretazione neoliberista del dettato costituzionale, basata su una sorta di calcolo tra costi e benefici che risulta poi squilibrato a favore della competitività e della libertà d’impresa. Questa è una posizione intrinsecamente contradittoria, a più livelli. Ad esempio, sul piano tattico, come conciliare sia l’opposizione alle misure non-farmacologiche sia all’obbligo vaccinale? Se si lascia libera scelta in materia di vaccinazione allora, a maggior ragione, un’alternativa logica e realistica sarebbe rivendicare misure drastiche e tempestive, lockdowne didattica a distanza. Un’altra alternativa, logica ma pseudoscientifica, è presupporre che Covid-19 si stia «raffreddorizzando» ma, al momento, questa è fantasia pericolosa, smentita dai circa 17.000 decessi da Covid-19 tra il primo gennaio e la fine di febbraio 2022, che sarebbero stati molti di più senza le vaccinazioni e molti di meno se la linea governativa non fosse orientata al laisser faire.

Sul piano strategico: come si concilia il liberismo antiemergenziale durante la pandemia con la multiforme ed epocale emergenza dell’Antropocene-Capitalocene? In pratica e nonostante le intenzioni, come l’altra, questa posizione porta alla disastrosa divaricazione tra lotta per il diritto alla salute e alla vita e lotta per i diritti sociali ed economici, quindi all’impotenza nei confronti della biopolitica neoliberista. Vedremo il prossimo autunno. 

In altri articoli intendo criticare nel merito quanto a sinistra c’è di presupposti infondati, errori politici, orrori etici. Se questo impegno ha un senso, esso riguarda più il futuro che il presente. La tragedia della pandemia è stata un’occasione senza precedenti per lanciare una campagna efficace contro le politiche dette neoliberiste, la postdemocrazia e la casta politica di centrodestra e centrosinistra. Ma oramai è un’occasione persa. La prova? È la sostanziale indifferenza di fronte ai 200-400 decessi giornalieri tra metà gennaio e metà febbraio, gli stessi valori (inferiori ai reali) che si registravano intorno alla metà di marzo 2020, quando tutta l’Italia era in lockdown. Ora, invece, si straparla di fine della pandemia (invece che di fine di un’ondata), come se questa non fosse un fatto mondiale e non emergessero nuove varianti, meno virulente (si spera) ma più infettive21. Questa è la normalizzazione neoliberista, la convivenza col Coronavirus, il rischio «calcolato», la riduzione della vita e della salute a calcolo economico. Gli pseudolibertari possono sentirsi soddisfatti.

Si abbia l’onestà intellettuale e politica di fare autocritica. Oppure ci si consoli tornando all’usuale tran-tran, ai miti e ai riti della consuetudine, a coltivare i propri orticelli, a compiacersi di gracchiare nel proprio stagno. Sperando che la sveglia suoni prima del prossimo disastro. 

 

Note

1       Era la tesi di fondo del mio primo libro sul rapporto tra capitalismo e natura: Merce-natura ed ecosocialismo, ed. Erre Emme, Roma, 1993.

2       Indico solo due titoli di Tony McMichael, uno tra i maggiori e più impegnati esperti del campo. Eminente epidemiologo, fra il 1993 e il 2001 fu a capo della valutazione del rischio sanitario dell’Intergovernmental panel on climate change, con gli scienziati dell’Ipcc e Al Gore premio Nobel per la pace nel 2007: Human frontiers, environments and disease. Past patterns, uncertain futures, Cambridge University Press, Cambridge 2001, trad. ital. Malattia, uomo, ambiente. La storia e il futuroAmbiente, Milano 2002Climate change and the health of nations. Famines, fevers, and the fate of populations, Oxford University Press, Oxford 2017. Nel 1968 McMichaelfu eletto presidente del’Associazione degli studenti australiani, scomparve nel 2014. Per ulteriore bibliografia rimando a Michele Nobile, Un solo mondo, una sola salute. Il rapporto fra capitalismo, pandemie ed ecosistemi, Massari editore, Bolsena 2020.  

3       L’altra possibilità è la fuga accidentale dall’Istituto di virologia di Wuhan. Questa eventualità sarebbe da scartarsi definitivamente qualora venisse confermato che il salto di specie di SARS-CoV-2 si sia verificato più di una volta nei mercati di Wuhan: Smiriti Mallapaty, «Did the coronavirus jump from animals to people twice?», Nature, 16 settembre 2021 e Ami Maxmen, «Wuhan market was epicentre of pandemic’s start, studies suggest», Nature, 27 febbraio 2022. Per una recente rassegna in italiano degli studi sull’argomento si veda: Marco Zupi, Sulle origini del virus SARS-CoV-2. Una rassegna dei contributi scientifici e delle iniziative politiche, Centro studi di politica internazionale, Roma dicembre 2021. Ulteriore problema è il salto di specie inverso, dagli umani agli animali, che pare essere all’origine di un focolaio a Hong Kong nel febbraio 2022, riconducibile a esemplari di criceto dorato o siriano (Mesocricetus auratus) importati dall’Olanda e venduti in un negozio, portatori di una variante di Delta. Questa è sia una via di diffusione sia una causa di possibili nuove varianti. 

4       Sulla dialettica del capitalismo-nella natura/natura-nel-capitalismo si vedano Jason W. Moore, Capitalism in the web of life. Ecology and the accumulation of capital, Verso, Londra 2015, trad. ital. Antropocene o capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria, introduzione e cura di Alessandro Barbero e Emanuele Leonardi,Ombre corte, Verona 2017;R.G. Wallace-D. Wallace-R. Wallace, Farming human pathogens. Ecological resilience and evolutionary process, Springer-Verlag, New York 2009. Rimando anche a Un solo mondo, una sola salute. Il rapporto fra capitalismo, pandemie ed ecosistemiop. cit.

5       Tra i motivi per cui le manifestazioni non hanno accresciuto i contagi si citano: l’uso di mascherine e la consapevolezza dei manifestanti del rischio d’infezione (specialmente negli Stati Uniti questa è una discriminante tra la destra trumpiana e tutti gli altri); che, appunto, fossero proteste all’aperto e in movimento; la stagione e l’insolazione; il fatto che le proteste abbiano avuto l’effetto di far restare in casa molte persone. 

6       Su questo, Michele Nobile, «Una prospettiva di lotta dentro e oltre la pandemia», 25 novembre 2020, http://utopiarossa.blogspot.com/2020/11/di-michele-nobile-siamo-nel-mezzo-della.html

7       Marco Piccininni-Jessica L. Rohmann-Luca Foresti-Caterina Lurani-Tobias Kurth, «Use of all cause mortality to quantify the consequences of Covid-19 in Nembro, Lombardy. Descriptive study», British medical journal, 369, giugno 2020.

8       Si vedano: Matteo Gaddi-Nadia Garbellini, «La sirena delle fabbriche contro il primato dell’economia», intervista di Pat Carra,10 Aprile 2020,https://www.erbacce.org/la-sirena-delle-fabbriche-contro-il-primato-delleconomia/e «Settori fondamentali: li stiamo identificando nel modo giusto?», Fondazione Claudio Sabbatini, 25 marzo 2020, http://www.fondazionesabattini.it/ricerche-1/ricerca-coronavirus-e-lavoro; Alessandro Mistretta, «La demografia d’impresa ai tempi del Covid-19: un approfondimento sui cambi di codice dell’attività», Banca d’italia, Note Covid-19, 16 dicembre 2020. 

9       Raffaele Palladino et al., «Excess deaths and hospital admissions for COVID-19 due to a late implementation of the lockdown in Italy», International journal of environmental research and public health vol. 17, 16, 5 agosto 2020.        

10      FrancescoZambonIl pesce piccolo. Una storia di virus e segreti, Feltrinelli,Milano 2021.

11      Mi permetto di rimandare a Michele Nobile, Capitalismo e postdemocrazia. Economia e politica nella crisi sistemica, Massari editore, Bolsena 2012. 

12      Associazione italiana di epidemiologia, «Con la variante delta l’Rt risale, non ripetiamo gli errori della scorsa estate», 9 luglio 2021, https://www.scienzainrete.it/articolo/con-variante-delta-lrt-risale-non-ripetiamo-gli-errori-della-scorsa-estate/associazione. L’Aie avvertiva che «Come l’anno scorso, ci ritroviamo all’inizio dell’estate, dopo circa un mese dall’allentamento delle misure di restrizione, con chiari segnali di ripresa della circolazione virale, che non potrà cheaumentare alla luce degli spostamenti turistici, tra regioni e da altri paesi»; metteva in rilievo che i vaccini avevano ridotto il verificarsi dei casi più gravi ma che la protezione offerta nei confronti della variante Delta era inferiore a quella per la variante Alfa.      

13      Rimando a Michele Nobile, «Covid e aerosol: un rischio generale per la seconda onda imminente», 9 ottobre 2020, http://utopiarossa.blogspot.com/2020/10/covid-e-aerosol-un-rischio-generale-per.html

14      Associazione italiana di epidemiologia, «Covid-19 nelle regioni italiane: solo il rosso funziona (se dato in tempo), 9 gennaio 2021. L’Aie notava che, «In tutte le regioni rosse si è osservato un rapido declino dei tassi di incidenza,raggiungendo dei RR [Rischio Relativo] tra 0,2 e 0,3 alla quarta settimana (unariduzione di circa 4-5 volte). Le regioni in fascia arancione hanno mostrato una riduzione meno marcata, arrivando a RR pari a 0,3-0,6 alla quarta settimana (una riduzione di circa 2-3 volte)»; «Se si valutano i dati nei due compartimenti geografici (Nord e Centro Sud), è chiara una diminuzione dell’incidenza di gran lunga maggiore nelle regioni rosse rispetto a quelle arancione».

15      Si vedano, ad esempio: Maria Teresa Giraudo et al. «Rt or RDt, that is the question!», Epidemiologia e prevenzione, 44, nn. 5-6, settembre-dicembre 2020; Rodolfo Saracci, «Colori delle regioni sui: l’elusiva trappola dell’esponenziale», 20 luglio 2021, https://www.scienzainrete.it/autori/saracci/2333; CesareCislaghi, «Più che ERRORI quelli sul Covid sono ORRORI», 22 settembre 2021, https://epiprev.it/blog/made-in-blog/piu-che-errori-quelli-sul-covid-sono-orrori

16      Dell’omertà istituzionale e della richiesta di una commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia si legge sulla stampa internazionale, anche sulla prestigiosa rivista medica The lancet: Alfieri, Chiara-Marc Egrot, Alice Desclaux, Kelley Sams, on behalf of CoMeSCov, «Recognising Italy’s mistakes in the public health response to COVID-19»,The Lancet, 22 gennaio 2022.   

17      Giorgio Agamben, «L’invenzione di un’epidemia»,il manifesto, 26 febbraio 2020; si vedano anche i suoi interventi raccolti in A che punto siamo. L’epidemia come politica, Quodlibet, Macerata 2020. I miei primi interventi sulla situazione pandemica: «La diffusione del Coronavirus annuncia pericoli maggiori», 4 marzo 2020; «12 Tesi contro la pandemia politica e sociale», 25 marzo 2020; «Un solo mondo, una sola salute, una sola umanità», 9 aprile 2020, ora in Un solo mondo, una sola salute. Il rapporto fra capitalismo, pandemie ed ecosistemiop. cit.

18      «La realtà della negazione e la negazione della realtà», 27 e 28 dicembre 2021,https://www.infoaut.org/precariato-sociale/la-realta-della-negazione-e-la-negazione-della-realta-pt-1  

19      Michel Foucault, Nascita della biopoliticaCorso al Collège de France 1978-1979, Feltrinelli, Milano 2005, p. 156.

20      Ad esempio nel Regno Unito c’è già allarme:Matthew Limb, «Covid-19: Is the government dismantling pandemic systems too hastily?», British medical journal, 28 febbraio 2022. 

21      Ora una sotto-variante Omicron di Sars-CoV-2, la BA.2, sta iniziando a sostituire l’originaria BA.1, perché più infettiva. Non sembra più letale della precedente, ma in assenza di misure non-farmacologiche adeguate e di una terza vaccinazione può prolungare l’ondata di Omicron e mietere le sue vittime, ben più dell’influenza, specialmente nei Paesi con bassi livelli di vaccinazioni. Da veterocrociani, i nostri antagonisti antimperialisti sono però superiori alle quisquilie scientifiche. 

 



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