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venerdì 18 febbraio 2022
RITORNO DAL GULAG
sabato 12 febbraio 2022
LA DISUGUAGLIANZA GLOBALE NELL'ERA CONTEMPORANEA[1]
di Andrea Vento
Antecedentemente alla Rivoluzione Industriale inglese di fine XVIII sec. la disuguaglianza globale, determinata dall'effetto congiunto delle differenze reddituali interne agli Stati e di quelle fra i redditi medi individuali dei vari Paesi, risultava in generale moderata, con valore dell'indice Gini globale pari a 0,54 (tab. 1).
L'ascesa dell'Occidente sotto la spinta dall'industrializzazione innesca, tuttavia, una lunga di fase di incremento, peraltro a tassi costanti, della disuguaglianza globale fra il 1820 e la vigilia della I Guerra Mondiale che porta l'indice in questione a 0,68. Un aumento causato prevalentemente dal miglioramento dei livelli di reddito in Europa, in Nord America e, dopo la Rivoluzione Meiji (1869), anche in Giappone, e dalla stagnazione di Cina e India, ma sul quale hanno influito anche le crescenti disparità di reddito interne ai Paesi che si stavano configurando come "Primo Mondo".
Nel ventennio successivo al 1918, a causa della stasi dei redditi occidentali provocata dalla I Guerra mondiale e dalla Grande Depressione, la disuguaglianza globale subisce una lieve flessione.
Con la successiva ripresa economica degli anni '30, inizia nuovamente a salire per attestarsi, nel 1950 su un valore di + 0,04 superiore al picco di inizio secolo, per poi mantenersi elevata fino al 1980, allor che, a seguito di un lievissimo incremento rispetto a 30 anni prima, raggiunge il massimo valore storico pari a 0,73.
Durante quest'ultimo periodo, il divario dei livelli di reddito medio fra Occidente e Asia (Cina e India in particolare) resta sostanzialmente stazionario, in quanto l'indipendenza dell'Unione Indiana (1947) e l'affermazione della Rivoluzione Cinese (1949) creano i presupposti per l'avvio dello sviluppo dei due Giganti Asiatici. La divergenza di reddito fra le due aree geoeconomiche, seppur stabile, rimane, tuttavia, elevata: il Pil pro capite occidentale si attesta, per tutto l'arco del quarantennio, su valori circa 10 volte superiori a quelli asiatici.
Con lo sviluppo delle economie oggi definite emergenti, il divario Occidente/Oriente a partire dagli anni '80, inverte la tendenza ripiegando sensibilmente, soprattutto fra il 2000 e il 2013, breve arco di tempo in cui l'indice Gini da 0,70 scende a 0,65. In particolare in Cina, gli alti tassi di crescita dell'ultimo quarantennio del reddito medio individuale, stimati intorno all'8% annuo, hanno consentito al Dragone, di ridurre sensibilmente le distanze rispetto alle economie occidentali. Alle soglie della crisi economica innescata dal Covid, infatti, il Pil pro capite cinese si attestava intorno al 30-35% della media Occidentale, praticamente allo stesso livello del 1820.
Alla vertiginosa crescita dell'economia cinese, mai registrata in precedenza nel corso della storia economica mondiale contemporanea, ha fatto seguito, nel corso dagli anni '80, il decollo di altre importanti econome dell'Asia meridionale, del Sud-est asiatico e dell'Estremo Oriente, fra cui India, Vietnam, l'Indonesia e Thailandia. Sviluppo che, benché abbia comportato un aumento delle disuguaglianze interne, in Cina addirittura di 201 punti Gini tra il 1981 e il 2008, ha generato un riequilibrio internazionale dei redditi medi, divenendo fattore preponderante della riduzione delle disuguaglianze globali successive al 1980.
Il bilanciamento dei redditi Asia/Occidente si è verificato, dunque, contemporaneamente alla rivoluzione digitale e informatica che ha contribuito sia ad una maggior crescita della prima area, che alla deindustrializzazione della seconda, parallelamente a quanto avvenuto in India durante la prima Rivoluzione Industriale.
Dall'analisi di Milanovic emerge come i cambiamenti di tendenza nell'andamento delle disuguaglianze globali siano coincise con due fasi di rapide innovazioni tecnologiche, quella industriale e quella dell'automazione delle produzioni, caratterizzate entrambe da una sensibile rimodulazione della classifica globale del reddito e da una spiccata concentrazione territoriali, sia dei ceti in ascesa, sia di quelli in arretramento. In sostanza, la prima rivoluzione industriale, spingendo al rialzo i redditi in Occidente, ha generato un aumento della disuguaglianza globale, mentre quella digitale e informatica, attraverso la rapida crescita dell'Asia, ha indotto un riequilibrio dei redditi a livello globale.
Milanovic al pari di molti altri economisti, prevede quindi che in un prossimo futuro, alla luce dei trend in atto, la convergenza[2]dei redditi medi su scala globale condurrà a un riequilibrio reddituale fra le economie sviluppate e quelle emergenti asiatiche.
Una tendenza, ci permettiamo di aggiungere, di non esclusiva pertinenza della sfera economica ma che riguarderà inevitabilmente anche quella geopolitica la quale, sotto l'inesorabile ascesa della Cina, tenderà progressivamente ad assumere connotati multipolari, superando, in prospettiva, il dominio unipolare dell'Occidente seguito alla disgregazione dell'Urss, e determinando lo spostamento del fulcro geostrategico del domino mondiale nello scacchiere Asia/Pacifico.
Tabella 1: valori dell'indice Gini globale fra il 1820 e il 2013
Fonte: Branko Milanovic 2020
Periodo | Indice Gini | Fasi storiche |
1820 | 0,54 | Prima Rivoluzione industriale e ascesa dell'Occidente |
1910 | 0,68 | |
1930 | 0,67 | I Guerra Mondiale e Grande Depressione |
1950 | 0,72 | Seconda Guerra Mondiale e dominio economico Usa |
1981 | 0,73 | |
2000 | 0,70 | |
2013 | 0,65 | Rivoluzione informatica e digitale con ascesa dell'Asia |
Andrea Vento - 10 febbraio 2022
Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati
mercoledì 9 febbraio 2022
SER VARÓN NO ES SINÓNIMO DE SER VIOLENTO
por Marcelo Colussi
Ser varón, ser un macho, es sinónimo de “hombría”. Esta condición, a su vez, se define por características consideradas inherentes a la masculinidad: energía, fortaleza, coraje. ¿Puede una mujer participar de las propiedades de la hombría? ¿Y un homosexual? Seguramente no. En todo caso, para ser una mujer “que se hace valer” (la Dama de Hierro Margaret Tatcher o Condoleeza Rice, la Mujer Maravilla o cualquier ejemplo de lideresa “exitosa”) hay que presentar una dosis de dureza. Los símbolos de la femineidad no se corresponden con una imagen violenta.
Lo que está claro es que, hasta ahora, todas las construcciones culturales de la masculinidad han apelado a la violencia, a la fuerza, a la agresividad como distintivo de su condición. Es decir: el triunfo se asocia con la superación sobre el otro, con su derrota.
Los modelos culturales con los que se han construido todas las sociedades hasta la fecha se centran en la hegemonía varonil. El poder, la propiedad, el saber, en definitiva: las consideradas por el patriarcado dominante como “cosas importantes”, son masculinas, varoniles. “El mundo de la mujer es la casa; la casa del hombre es el mundo”,reza el refrán. Las sociedades machistas han considerado siempre la fuerza como un valor en sí mismo. Fuerza va de la mano de éxito, virilidad es sinónimo de fuerza. Y el mundo sigue centrándose en el patriarcado, en la violencia como recurso último. Como en la época de nuestros ancestros: ¿quién manda? Quien tiene el garrote más grande. Hoy esos garrotes se llaman armas nucleares. El tamaño sí importa.
“La violencia es la partera de la historia”; al menos hasta ahora, eso es innegable, y todas nuestras matrices culturales siguen haciendo de ella el destino mismo de lo humano. La guerra ha sido y continúa siendo una de las actividades más importantes en la dinámica social. Por cierto: cosa de varones, de machos(aunque quien dirigía las torturas en Irak fuera una mujer, Janis Karpinski, una generala, que sin dudas “los tenía bien puestos”).
Nada es eterno felizmente (todos los dioses inmortales… al final desaparecieron), y esos patrones patriarcales comienzan a ser cuestionados. Pero solos no han de caer, por lo que necesitan un importante esfuerzo para seguir siendo puestos en dudas y modificados. Buena parte de ese esfuerzo, además, debe venir desde los varones. El machismo es un problema social, de todas y todos, por lo que no son solo las mujeres las que tienen ante sí un desafío. Son las sociedades en su conjunto las que deben cambiar. Metiendo preso al albañil que le silba a una mujer desde su andamio no se termina el problema: es un reto social.
Quizá hoy día en muchos países occidentales ya dejó de ser tema tan normalizado la violencia intrafamiliar; al menos, ya puede ser considerada un hecho delictivo y no un “derecho” masculino. Aunque en modo alguno ha desaparecido, valga aclarar. La violencia, además de la brutal agresión física, va tomando otras formas. La fortaleza masculina -si es que a eso se le puede llamar “fortaleza”- puede verse también de otras maneras:
• De entre casi 200 países, solo alrededor de 20 están conducidos políticamente por una mujer.
• Solo el 14.5% de los miembros de los parlamentos nacionales de todo el mundo son mujeres.
• El 7% del total mundial de gabinetes ministeriales son mujeres; las mujeres que son ministras se concentran en las áreas sociales.
• Dentro de Naciones Unidas las mujeres ocupan sólo el 9% de los trabajos directivos de mayor nivel.
• El 99% de los títulos de propiedad combinados de todo el planeta (acciones, tierras, bienes inmuebles, cuentas bancarias) está en manos masculinas.
• Las mujeres trabajan igual o mayor cantidad de horas y con similar o mayor esfuerzo que los varones por menor salario.
• El trabajo doméstico de las amas de casa -sin horario, continuo, perpetuo- no es justamente valorado ni reconocido como creador de valor.
• Los efectos no deseados de cualquier método anticonceptivo los padecen siempre las mujeres y no los varones (incomodidad, cambios hormonales, incluso esterilidad), debido a la forma en que están concebidos -es siempre la mujer la que tiene que “cuidarse”-, y el preservativo, prácticamente el único método con que se protegen los varones, puede causar en no pocos casos irritaciones y alergias a las mujeres-.
Ser varón otorga una cuota de poder sobre la mujer. Por tanto, implica en forma natural poder ejercer la violencia sin siquiera considerarla como problema. Ser un macho hecho y derecho lleva implícita la violencia como su rasgo distintivo. Eso está naturalizado.
¿Puede construirse una masculinidad sin necesidad de apelar a ese estereotipo violento? Eso lleva a pensar cómo construir un nuevo modelo de sociedad basado en la horizontalidad, en el compartir poderes y no en la imposición violenta y jerárquica del que “está arriba”.
Pensar hoy en si se puede ser varón sin ser violento es como pensar en una sociedad sin fuerzas armadas: quizá suene quimérico, pero ahí está el reto. La construcción de una sociedad nueva, solidaria y no basada en la fuerza bruta, va de la mano de nuevas y superadoras relaciones donde nadie domine a nadie. Como dijo el Subcomandante Marcos: “Tomamos las armas para construir un mundo donde no sean necesarios los ejércitos”.
martedì 1 febbraio 2022
A MIO PADRE
di Antonio Marchi
A mio padre
Venerdi alle 10 e 40 è morto mio padre: sicuramente per lui è meglio così.
Io che non sono un cattolico e non credo in D-io, posso capire la sua più recente insofferenza del vivere; non tanto i dolori, che diventano superabili soltanto se esiste qualcosa che li possa trascendere, ma l’assoluta dipendenza da chi, pur amorevolmente, lo assisteva.
Mio padre non è stato per me un padre esemplare, tuttavia, lui non è stato inutile per nessuno, tanto meno per me, che gli sono riconoscente di avermi dato la vita e, con essa, la possibilità di comprenderla, di viverla tutta nelle sue difficoltà e nelle sue felicità.
Lui, mio padre, anelava di raggiungere mia madre, la sua donna, che certamente dovrebbe avere un posto nella vita riservata, dopo la morte, a coloro che credono in D-io.
Per me è un'impresa faticosa descrivere battito dopo battito, il cuore pulsante di quest'uomo del primo Novecento che ha rischiato di compiere 101 anni, dal passato carico di storia tragica e di risorgimento, fedele come un cane al lavoro dei campi fino alla fine.
Mi limiterò a rastrellare sul prato dei ricordi erba di vita contadina del cavaliere di Villorba, anche se nel tirare il rastrello, succede che s’incastra sulla gramigna - “erba cattiva che non muore mai”.
Quello che c'è da rimanerne meravigliato, è il contadino, orgogliosamente contadino, manutentore del territorio, dalle memorie ancora visibili del mio passato del trascorso lavoro umano e/ma anche il custode del paesaggio agrario, capace di badare a se stesso, di offrire compagnia a sua moglie Filomena e sostegno alla famiglia e di resistere con dignità alle rughe del tempo.
Cento anni sono tanti che a contarli ci si stanca, un traguardo che a pochi è consentito raggiungere.
Traguardo di una vita passata tra la stalla e i campi - poco in cucina e poco nella società civile - e poco anche a letto - il tanto che basta a ritemprarsi. Vita vissuta all'insegna della fatica, dell'attesa, sempre con lo sguardo in su a spiare il cielo: per i raccolti, per i figli, per i soldi che devono bastare… vita che dura dall'alba al tramonto nella piccolezza del tempo che si riduce di ora in ora fino ad accendere la lampada precaria della notte; perché l'arte di coltivare la terra non ammette sconti, non è arte povera; ma come tutte le arti, ha bisogno di essere coltivata con passione, pazienza, costanza, serenità e disciplina se si vogliono ottenere frutti.
Un uomo fortunato dunque, mio padre, con un pieno d’immagini da copione cinematografico, rigide come il ferro che lo sostiene, solo un poco maltrattato dalla sua usura.
Caro papà, ho visto nei tuoi occhi spenti morire lentamente la tua vita. Hai dato la tua giovinezza, il tuo corpo, la tua forza alla “patria” che non merita nulla. Tu ti sei dato, come tocca a tutti. E come non tocca tutti, perché non tutti nascono poveri, il tempo della spensieratezza, se è arrivato, passa presto, risucchiato in un vortice continuo di conti da saldare e da fare, con l'impossibilità di concedersi uno svago che non sia la partita di bocce alla domenica.
Ora che sei morto, quella patria “si gloria”, ti faranno gli onori militari perché sei figura istituzionalmente nobilitata (in ritardo), per drammi e fatiche di deportato… ma io non starò sull’attenti, come non lo sono mai stato con te anche se ormai è troppo tardi per dirtelo e tu non lo saprai mai. La vita non ci ha trovati alleati, non è mai stato facile trovare un linguaggio per iniziare un percorso di (ri)conciliazione, perché quell’umiltà che non abbiamo avuto e le rigidità reciproche, ci hanno messo a dura prova e per tutti e due è sempre stato troppo tardo un chiarimento e una prova d'amore.
Ora però, puoi finalmente essere al fianco di Filomena mia madre, la tua donna, che ti ha preceduto di 10 anni, perché alle donne bisogna sempre dare, per gentilezza, la precedenza.
La precedenza alla vita, o la precedenza alla morte? Cioè, lo spero per loro, all’aldilà.