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mercoledì 24 marzo 2021

77° DELLE FOSSE ARDEATINE (24 marzo 1944)

di Roberto Massari

A 77 anni dalla morte di mio nonno materno, assassinato (è il termine giusto) dal regime nazifascista nella rappresaglia per la sconfitta subìta nella battaglia (è il termine giusto) di via Rasella. Lì non era stato un semplice attentato, come hanno scritto in tre quarti di secolo di menzogne, ma una battaglia vera e propria organizzata nella forma di agguato: l’esplosione del secchio della spazzatura fu solo l’inizio di uno scontro a fuoco, con tanto di mitra e bombe a mano.
Tre quarti di secolo di menzogne sulle Fosse Ardeatine sono sempre serviti per giustificare il tradimento degli ideali della Resistenza, vale a dire la speranza di chi combatteva, sui monti o in città, che alla caduta del fascismo sarebbe subentrato un regime di democrazia sociale: comunista o socialista per alcuni, radicale nel suo progressismo sociale per altri. Entrambe queste speranze furono sconfitte dalle direzioni dei principali partiti e per questo il cosiddetto «arco costituzionale» ha sempre voluto presentare come guerra di liberazione nazionale quella che fu un’autentica guerra civile.
Ma 77 anni dopo per fortuna c’è chi ancora non dimentica.
R.M.  

DI PEPPE OTELLO

 

            Abruzzese di Chieti, era falegname con laboratorio in via Silla 6, in Prati. “Ebanista dalmato” , recava nell’intestazione la cartolina di presentazione del laboratorio. Otello infatti era emigrato giovanissimo a Spalato e lì aveva vissuto a lungo, sposando una dalmata (Domina Rozic) e mettendo al mondo vari figli.

            Tornato in Italia e vivendo a Roma al Trionfale (via Santamaura), Otello era passato dall’antifascismo istintivo all’azione militante, entrando a far parte clandestinamente del Pci. Secondo la sua biografia custodita all’Anfim, Otello «collaborava con il Partito comunista, trovando viveri per i partigiani delle bande, nascondendo i ricercati e conservando documenti importanti».

            Il nipote, Roberto Massari, ci racconta che il nonno era un vero e proprio artista del legno, aveva un’ampia cultura, leggeva libri inusuali per un operaio artigiano (per es.di filosofia indiana) e che, appassionato d’opera, poteva cantare a memoria intere arie. 

            Come tanti altri, Otello fu colpito da vile segnalazione, anche se il nome del delatore non si è mai saputo. Nel negozio di falegnameria le Ss trovarono del “materiale clandestino” e lì lo arrestarono il 1° febbraio 1944. 

            Venne condotto a via Tasso, ove rimase fino al 27 dello stesso mese. Al riguardo ci racconta il nipote: «Mia madre Daria, potè visitarlo nel carcere di Regina Coeli dopo che era stato torturato in via Tasso, e mi ha sempre narrato, con fierezza, fin da quando ero bambino, che nonno Otello la incaricò di riferire il seguente messaggio: “Dì ai compagni che non ho parlato”» (Massari).

            Il Tribunale tedesco lo condannò a tre anni di reclusione e venne rinchiuso a Regina Coeli, ma il suo destino si compì alle Fosse Ardeatine: Egli fu incluso tra i primi nomi della lista stilata personalmente da Kappler:

            «Nella categoria delle persone già processate e condannate a morte, Kappler aveva trovato soltanto tre nomi…Nella seconda categoria, cioè quella che comprendeva quanti erano stati processati e condannati a pene detentive, Kappler trovò soltanto 16 nomi…Fra di loro c’erano un architetto, due fratelli sui trent’anni, uno studente, un falegnamee un cantante d’opera» (da R.Katz, Morte a Roma).

            Il riconoscimento del cadavere venne fatto dalla figlia Daria. Tra gli oggetti recuperati vi è un orologio da tasca – ora esposto al Museo della Liberazione – un Omega col vetro incrinato (ma non infranto). E’ fermo alle ore 5,20:

            «Se l’orologio si è fermato per il colpo subito, potrebbe essere l’ora di quel tragico pomeriggio del 24 marzo, in cui mio nonno fu assassinato. Insisto sul termine “assassinato”, perchè per il modo in cui avvenne il massacro non me la sento di usare espressioni come “giustiziato”, “esecuzione” né altri termini che evochino alla lontana un concetto “militare” di uccisione, per quanto ingiusta e spietata. Fu un assassinio, bestiale e premeditato, compiuto congiuntamente dai nazifascisti tedeschi e italiani» (Massari).

            Il suo volto è in un tondo a bassorilievo, nell’epigrafe posta presso la vecchia sezione del Pci di via Pietro Giannone, accanto al cinema Doria, al Trionfale.

            «Quando da ragazzo accompagnavo mia madre a fare la spesa al mercato di via Andrea Doria – venendo da via Cunfida, dove abitavamo – ci capitava a volte di passare davanti alla sezione del Pci. A me è rimasto il ricordo vivido dell’emozione con cui mi affacciavo sull’uscio, guardavo il medaglione con il ritratto di nonno Otello e gli mandavo un saluto insieme a mia madre. Se le lapidi a qualcosa servono, quella di mio nonno ha certamente contribuito a fare di me  il rivoluzionario che ancora oggi credo e spero di essere» (Massari).

 

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Scheda del martire presso Anfim; Conversazioni con Roberto Massari, che ha fornito alcuni dettagli sul nonno materno. Massari è stato tra i primi a costituirsi parte civile nel processo contro Priebke, affidando la difesa all’avv. Paolo Sodani; G. Mogavero, Un ebanista alle Fosse Ardeatine. Otello Di Peppe D’Alcide (1890-1944), Massari editore, Bolsena 2014.


* Scheda su Otello Di Peppe D’Alcide, scritta da R. Massari per i tre libri di Giuseppe Mogavero, I muri ricordano (Massari ed. 2002), Un ebanista alle Fosse Ardeatine(Massari ed., 2013) e I muri ancora ricordano (Massari ed., 2013). 



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