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giovedì 20 agosto 2020

UN'ANTICA FAKE-NEWS DELL'ETRUSCOLOGIA ACCADEMICA

Intervista dell'editore Giuseppe Annulli a Roberto Massari

(18/8/2020)

    1.  Dalla lettura del tuo libro Volsinii Etrusca nelle fonti greche e latine ho avuto netta la sensazione che si tratti di un libro «rivoluzionario».

Forse sarebbe più giusto chiamarlo un libro «ribelle». Cioè un libro che rifiuta di sottostare alle intimidazioni (quelle psicologiche, perché contro quelle di carriera accademica sono vaccinato da tempo) che i principali etruscologi hanno esercitato per decenni e che i loro epigoni tentano di proseguire. L’ubicazione sulla rocca orvietana dell’antica Velzna/Volsinii - all’epoca capitale religiosa e simbolicamente «politica» della Dodecapoli etrusca - non ha alcuna base teorica, né alcun elemento di prova (storico o archeologico): eppure continua a propagarsi e anzi si diffonde sempre più grazie a Internet. Si tratta di un’invenzione fondata su un passa-parola che si perpetua nel mondo dell’etruscologia accademica (solo Pallottino non vi si associò, fino al 1984), i cui principali esponenti sono angosciati dall’idea che qualcuno un giorno rompa il velo di omertà e dimostri che l’imperatore è nudo.
Ecco, visto che la mia motivazione a strappare questo velo è stata in primo luogo etica, puoi forse aver avuto l’impressione che si tratti di un’opera rivoluzionaria. In realtà è un atto di ribellione teorica.


    2.  La correlazione Velzna-Orvieto, storicamente, come tu dimostri nel libro, risulta una falso. Perche?

  A questa domanda risponde l’intero libro. Qui posso solo approfittare per dire che non si tratta di un unico grande falso, ma di una serie più o meno concatenata di falsi, più o meno grossolani. Si comincia con l’affermazione presente in quasi tutti i testi di etruscologia che K.O. Müller, celebre filologo dell’Ottocento, avrebbe formulato tale teoria nel 1828: io mostro che si tratta di un falso, riportando il testo tedesco. Falsa è l’attribuzione a Zonaras della decisione romana di costruire una seconda Velzna (bolsenese), al posto di quella presunta orvietana (e sono costretto a dire che per la prima volta è apparsa una traduzione fedele del testo di Zonaras - la mia). Falsa è la datazione al III-II sec. della costruzione dei circa 6 km di mura bolsenesi, perché non è immaginabile che i romani l’abbiano consentita durante le guerre puniche. La lista dei falsi si allunga con esempi minori che si possono leggere nel libro.
Ovviamente ho dovuto anche accennare alle motivazioni che hanno consentito la nascita di una simile sequela di falsi. E ho indicato due piste di ricerca che spero altri possano approfondire: il ruolo durante il fascismo del MinCulPop e le sue connivenze con il Ministero della propaganda nazista diretto da Goebbels. E gli interessi turistici dei notabili orvietani (gerarchi e possidenti terrieri).  

    3.  La Velzna etrusca, quindi, è da identificare con l'odierna Bolsena (Velzna-Volsinii-Bolsena). Però mancano le risultanze archeologiche. É così?

Non è così globalmente, ma lo è in parte. L’affermazione va infatti relativizzata.
Vi sono elementi archeologici che dimostrano chiaramente l’esistenza di una Velzna etrusca sulle colline bolsenesi prima della rivolta servile e la conquista romana del 264: 1) i circa 6 km di mura ciclopiche costruite in funzione anticeltica nel V-IV sec. (VI-IV secondo Pallottino); 2) i residui di costruzioni arcaiche sotto gli edifici della città romana (dettagliatamente descritti da Angelo Timperi nel suo libro del 2010, mai smentito da alcuno) ed elementi architettonici di «riuso» sparsi variamente; 3) presenza notevole e diffusa di tombe e necropoli nei dintorni di Bolsena; 4) così come la presenza di numerosi borghi etruschi arcaici sempre nei dintorni di Bolsena (gli almeno 5 castella citati due volte da Livio e tutti facenti parte della città-stato di Velzna/Volsinii); 5) due attestazioni epigrafiche con il locativo «Velznalthi» (cioè «[fatto] a Bolsena»); 6) l’epigrafista Morandi aggiunge anche la ricchezza dei gioielli e dei manufatti in oro trovati in territorio volsiniense, a suo avviso senza eguali nei ritrovamenti archeologici in altre città-stato etrusche.
Mancano però 1) le tracce di un abitato imponente quale ci si sarebbe attesi da una città così importante (probabilmente ancora da dissotterrare nella parte alta dei colli volsinei)  e manca 2) una necropoli monumentale interna alla cinta muraria o ad essa affiancata.

   4.  Secondo te perchè l'archeologia accademica e ufficiale rimane dell'idea (salvo ripensamenti dopo la lettura del tuo libro) che la capitale della dodecapoli etrusca sia da identificare con Orvieto?

Perché alcuni dei più famosi etruscologi (escluso Pallottino dal 1939 al 1984) presero questa cantonata sulla base di ipotesi precedenti e non hanno poi avuto il coraggio di ammettere l'errore. Quindi, invece di fare autocritica (per es. nel 1946 quando cominciarono a riaffiorare le mura ciclopiche volsiniensi in tutta la loro estensione), preferirono irrigidirsi e creare un fronte compatto contro le «novità archeologiche» prodotte dalla Scuola francese di Roma sotto la guida di Bloch. Tanto che questa a un certo punto dovette interrompere le ricerche. Insomma, il prestigio accademico sembrerebbe essere stata la molla principale della fake-news. Lo dico, sperando vivamente che non vi fossero invece anche interessi economici da parte orvietana legati allo sfruttamento turistico dell’appropriazione indebita dell’eredità di Velzna. A questo riguardo temo di aver sottovalutato nel mio libro le manovre che erano state compiute da alcuni notabili orvietani, verso la fiine dell’Ottocento, proprio per appropriarsi di tale titolo.

Intuile dire che l’etica imporrrebbe oggigiorno di rendere giustizia a Bolsena, restituirle il nome di Velzna e invece fare tesoro dell’ipotesi - mia, ma anche della principale responsabile degli scavi dell’area di Campo della Fiera e altri - secondo cui il Fanum Voltumnae era ubicato a Orvieto. A loro differenza, però (in accordo col noto etruscologo orvietano Pericle Perali) io penso che l'intera antica Orvieto coincidesse con il Fanum Voltumnae, cioè che Orvieto non fosse una città ma, per l’appunto, un fano.

Nel mio libro  sostengo che proprio questo era il nome dell’antica città sacra degli etruschi (come pensava anche il valleranese Francesco Orioli) e che bisogna smetterla con l’affermazione secondo cui si ignorerebbe il nome dell’Orvieto etrusca: l’area compresa tra il pianoro e le zone sottostanti in latino si chiamava semplicemente Fanum Voltumnae (in seguito forse Fanum Vertumni o semplicemente Fanum - ma anche di questo mi occupo nel libro riesaminando la preziosa testimonianza di Procopio/Belisario).

Mi confortano in questa mia ipotesi lo storico Livio e il geografo Tolomeo. Ma di ipotesi appunto si tratta: posso formularla solo come molto probabile e non con la certezza matematica con cui escludo che l’antica Velzna stesse a Orvieto, dopo aver esaminato i 24 autori latini e greci d’accordo con me.     

5.  A quando la presentazione del tuo libro a Bolsena?

Quando il sindaco Paolo Dottarelli vorrà organizzarla, dopo aver letto il libro come mi ha promesso. Nel fargli la dedica per il libro gli ho detto e scritto - scherzosamente ma non troppo - che i cittadini bolsenesi (ormai lo sono anch’io) lo hanno eletto sindaco di Bolsena, mentre io l’ho fatto diventare «sindaco della Dodecapoli etrusca».
Non è in effetti solo uno scherzo perché fino ad oggi è stato sistematicamente impedito a Bolsena, ai suoi abitanti, di rivendicare la continuità storica con l’antica capitale etrusca. Ora è arrivato il momento di riappropriarsene e spero non solo a fini turistici. Per es. per ottenere i finanziamenti con i quali fermare il degrado che nel parco di Turona sta devastando importanti rimanenze di edifici etruschi e, soprattutto, per riprendere gli scavi nella parte alta delle colline bolsenesi alla ricerca dell'abitato cittadino dell’antica città-stato volsiniense.

(19 agosto 2020)   


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