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mercoledì 22 luglio 2020

L'INTERIORIZZAZIONE DEI CRITERI CAPITALISTICI

L’Oms e la crisi della sanità internazionale

di Michele Nobile

Continua
n. 1 «Dialettica di una pandemia: capitalismo-nella natura/natura-nel-capitalismo. Introduzione», http://utopiarossa.blogspot.com/2020/06/dialettica-di-una-pandemia-capitalismo.html
n. 2 «La pandemia di covid-19 come sintomo di una nuova transizione epidemiologica», http://utopiarossa.blogspot.com/2020/06/la-pandemia-di-covid-19-come-sintomo-di.html
n. 3 «(Non) lezioni dalla storia. Commercio e sanità internazionale dalla febbre gialla a Covid-19», http://utopiarossa.blogspot.com/2020/07/lezioni-e-non-dalla-storia-dalla-febbre.html  
n. 4 «Biopolitica e contraddizioni dei regimi sanitari internazionali» 

1. Il Preambolo dell’Organizzazione mondiale della sanità, ovvero delle buone intenzioni 
2. La realtà: i limiti dei diritti socioeconomici
3. Il regime sanitario internazionale fino al «1968» mondiale 
4. Interludio: il «1968» della sanità mondiale e le illusioni di un Nuovo ordine economico mondiale: la Dichiarazione di Alma Ata 
5. La Restaurazione: la rinnovata centralità degli Stati più potenti e l’interiorizzazione dei criteri economici nella sanità internazionale  
6. Lo sviluppo ineguale-combinato e l’inesistenza di un regime sanitario globale


1. Il Preambolo dell’Organizzazione mondiale della sanità, ovvero delle buone intenzioni 
Così recita il preambolo della carta costitutiva dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), approvato dal comitato tecnico preparatorio nel 1946 ed entrata in vigore con la creazione dell'organizzazione nell’aprile 1948: 

«Gli Stati partecipanti alla presente costituzione dichiarano, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, che alla base della felicità dei popoli, delle loro relazioni armoniose e della loro sicurezza, stanno i principi seguenti: 
La sanità è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste solo in un’assenza di malattia o d’infermità
Il possesso del migliore stato di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano, senza distinzione di razza, di religione, d’opinioni politiche, di condizione economica o sociale. 
La sanità di tutti i popoli è una condizione fondamentale della pace del mondo e della sicurezza; essa dipende dalla più stretta cooperazione possibile tra i singoli e tra gli Stati. 
I risultati raggiunti da ogni Stato nel miglioramento e nella protezione della sanità sono preziosi per tutti. 
La disparità nei diversi paesi per quanto concerne il miglioramento della sanità e la lotta contro le malattie, in particolare contro le malattie trasmissibili, costituisce un pericolo per tutti. 
Lo sviluppo sano del fanciullo è d’importanza fondamentale; l’attitudine a vivere in armonia con un ambiente in piena trasformazione è essenziale per questo sviluppo. 
Per raggiungere il più alto grado di sanità è indispensabile rendere accessibili a tutti i popoli le cognizioni acquistate dalle scienze mediche, psicologiche ed affini.
Un’opinione pubblica illuminata ed una cooperazione attiva del pubblico sono d’importanza capitale per il miglioramento della sanità dei popoli. 
I governi sono responsabili della sanità dei loro popoli; essi possono fare fronte a questa responsabilità, unicamente prendendo le misure sanitarie e sociali adeguate». 

mercoledì 15 luglio 2020

PANDEMIA Y SALUD MENTAL EN GUATEMALA

por Marcelo Colussi

“Yo no estoy loco”

Cuando se habla de Salud Mental se piensa inmediatamente en algo que nos asusta, nos incomoda profundamente: “Yo no estoy loco” es la respuesta casi obligada ligada al tema. La posibilidad de estar “loco”, de no ser normal, nos atemoriza. Esa “enfermedad” -siempre imprecisamente definida- aterra más que un padecimiento físico. ¿Por qué? Porque la ilusión que nos hace vivir es que somos enteramente dueños de nosotros mismos, que decidimos nuestras vidas, que somos completamente racionales. Sin decirlo en voz alta, pero sabiendo que “así debe ser”, nos sentimos seguros, “sanos” e integrados si nos reconocemos como uno más del grupo, haciendo las cosas “normales” que todos hacen. 

Salirse del rebaño se paga caro: a quien lo hace, se le estigmatiza, se le aparta, se le señala. Para decirlo claramente: “locura” no es un término científico, ni médico ni psicológico. Pero es lo más usual para referirnos al campo de la Salud Mental: sería algo así como la negación de la salud. Lo curioso es que se utiliza continuamente esa palabra -de hecho, el hospital para supuestamente atender “enfermos mentales” es llamado loquero- sin definirla nunca con precisión. Es, en todo caso, una referencia más de corte social, ético o cultural que psicopatológico. Proviene del latín locus: “lugar”; algo así como “el que ocupa un lugar «incorrecto»”, el lugar de lo que se sale de la norma. ¿Y quién ocupa ese incómodo lugar? Aquel que se salió del rebaño.

Ahí comienza el problema: ¿qué significa “salirse del rebaño”? ¿Quién califica esa salida? Se ve rápidamente que no estamos ante un problema biomédico sino ante una cuestión eminentemente político-social. El loco (psicótico esquizofrénico, por ejemplo) que anda delirando por la calle, o come sus propias heces, definitivamente se “salió” de las normas, está en bastante precariedad para sumarse al colectivo, producir y reproducir el todo social. Pero ¿y la angustia cotidiana? ¿El miedo? (en Guatemala no sabemos si volvemos al hogar a la noche cuando salimos de casa cada mañana; se vive con miedo). ¿La homosexualidad? (¿qué hacemos si nuestra hija o hijo nos dice que es lesbiana u homosexual?) ¿El consumo de estupefacientes? ¿El repugnante racismo monumental que campea? (se mata a un supuesto “brujo” por practicar tradiciones mayas; se utiliza la palabra “indio”, ¡y no “canche”! (rubio), como sinónimo de bruto -¡¡sic!!-). El medieval machismo patriarcal en que vivimos parece “sano”, normal, aceptado; “locas” son aquellas (y también algunos ‘aquellos’) que osan criticarlo. Es sano y normal proteger la “sagrada” familia, pero los moteles están siempre completos. ¡Qué locura todo esto! 

lunedì 13 luglio 2020

BIOPOLITICA E CONTRADDIZIONI DEI REGIMI SANITARI INTERNAZIONALI


di Michele Nobile 

Dialettica di una pandemia: capitalismo-nella natura/natura-nel-capitalismo, n. 4 (vedi articoli precedenti)

Continua
n. 1 «Dialettica di una pandemia: capitalismo-nella natura/natura-nel-capitalismo. Introduzione», http://utopiarossa.blogspot.com/2020/06/dialettica-di-una-pandemia-capitalismo.html
n. 2 «La pandemia di covid-19 come sintomo di una nuova transizione epidemiologica», http://utopiarossa.blogspot.com/2020/06/la-pandemia-di-covid-19-come-sintomo-di.html
n. 3 «(Non) lezioni dalla storia. Commercio e sanità internazionale dalla febbre gialla a Covid-19» 
http://utopiarossa.blogspot.com/2020/07/lezioni-e-non-dalla-storia-dalla-febbre.html#more

1. Le epidemie internazionali e la genesi dei regimi sanitari internazionali
2. La Società delle nazioni e gli Stati nazionali: salute globale e nazionalismo statalista 
3. La Società delle nazioni, il colonialismo e la medicina coloniale 
4. Dire la verità fa male agli affari: gli Stati, l’Organizzazione mondiale della sanità e le emergenze di rilevanza internazionale

1. Le epidemie internazionali e la genesi dei regimi sanitari internazionali
La diffusione internazionale di febbre gialla, colera e peste bubbonica tra la seconda metà del XIX secolo e l’inizio del XX non era mero retaggio dell’arretratezza. Al contrario, era diretto risultato dello sviluppo dell’economia mondiale capitalistica: d’una compressione spazio-temporale, conseguente dall’accelerazione dei trasporti commerciali attraverso gli oceani - sia grazie alle innovazioni tecniche, per cui nel 1880 l’attraversamento dell’Atlantico richiedeva un quarto del tempo impiegato nel 1830 (inferiore a quello della comparsa dei sintomi della febbre gialla), sia grazie alle «scorciatoia» del canale di Suez (operativo dal 1869) - e dall’estensione delle linee ferroviarie, che minacciava di portare le malattie dai porti all’interno dei Paesi, come negli Stati Uniti nel 1878. Accelerazione temporale ed estensione spaziale a loro volta rimandavano alla divisione internazionale del lavoro e alla crescita dei flussi commerciali e di capitale. Quanto più si sviluppavano le interdipendenze dell’economia mondiale tanto più le epidemie risultavano dannose al commercio internazionale e pericolose per le crescenti concentrazioni urbane del proletariato industriale, quindi per la potenza, stabilità sociale e legittimità politica dei governi. Il problema era la variabilità dell’atteggiamento degli Stati e pure dentro ciascuno di essi circa ispezioni sanitarie, disinfestazione dei carichi e quarantene. 
Obiettivamente le epidemie ponevano la necessità che si stabilissero delle regole comuni per la sorveglianza sanitaria dei trasporti di merci e dei movimenti di persone, per la comunicazione delle infezioni e per il tipo di misure da mettere in atto. Questa è la genesi di un campo della politica statale: quello della diplomazia sanitaria. Tuttavia, a seconda del criterio che si utilizza, qualcosa che possa dirsi un regime sanitario internazionale basato sulla formalizzazione del consenso intorno a regole e con un’organizzazione per la sorveglianza, comunicazione e determinazione delle risposte alle epidemie internazionali richiese come minimo mezzo secolo. Il fatto è che qualsiasi regime sanitario internazionale è attraversato da contraddizioni strutturali,

simili ad altre come l’inquinamento transfrontaliero ma anche più difficili da gestire.

mercoledì 8 luglio 2020

GRACIAS POR TODA LA SOLIDARIDAD EXPRESADA EN LA CAMPAÑA


Compañer@s, quiero hacerles llegar mi emocionado agradecimiento, puesto que una vez más en mi vida la solidaridad de l@s much@s se impuso ante la rabia de los pocos, de los poderosos que intentan borrar de la memoria la historia de lucha de los pueblos. Durante quince días me han llegado desde diferentes lugares del Perú, de América Latina y del mundo, expresiones de solidaridad, no conmigo como individuo sino con mi trayectoria de acompañante de luchas colectivas.  
De manera especial me han conmovido los comunicados de apoyo por parte del Sindicato de Construcción Civil de La Convención y Lares y de la Federación Provincial de Campesinos de La Convención, Yanatile y Lares, bajo cuyo alero se dieron las luchas por la tierra en los años 1960. Esto, porque me los imagino hijos o nietos de aquellos compañeros que me acompañaron en las luchas por la tierra en los valles de La Convención y Lares. Desgraciadamente no tengo estos mensajes como enlaces pero están en mi página oficial de Facebook HUGO BLANCO GALDOS.  
Asimismo me alegran y animan los pequeños y grandes grupos organizados y colectivos artísticos u otros que demuestran la capacidad organizacional de los pueblos bajo diversas formas. También los saludos de parte de partidos. 
Aparte de las firmas de miles de personas que han expresado solidaridad y también en muchos casos enviado saludos especiales por correo electrónico o facebook. Incluyendo calcomanías, y otros mensajes visuales que la gente joven ha hecho. 
Gracias a Malena Martinez cuya obra rescata un fragmento de memoria historica colectiva y me alegra que sean muchos quienes, tanto en Perú, Colombia, México, Argentina, Brasil, Ecuador, Venezuela y Chile, así como en Suecia, Gran Bretaña, Italia, Canadá, Francia y otros lugares expresaron su preocupación por los intentos de censurar la memoria. 
Gracias mil a las y los compañeros que tomaron iniciativa para la campaña: Rocío Silva Santisteban, Raphael Hoetmer y José de Echave. Estoy consciente de que aún siguen llegando firmas. 
Hoy más que nunca, tiene actualidad el lema que nos acompañase hace casi 60 años, ¡TIERRA o MUERTE! ¡VENCEREMOS! Y esta vez refiere ya no a la tierra (allpa) sinó al planeta tierra o Pachamama que se resiste a ser violentada por un sistema de muerte!
Hugo Blanco Galdos


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

sabato 4 luglio 2020

LEZIONI E NON DALLA STORIA: DALLA FEBBRE GIALLA A COVID-19

di Michele Nobile 

Dialettica di una pandemia: capitalismo-nella natura/natura-nel-capitalismo, n. 3. 
Segue a: n. 1 «Dialettica di una pandemia: capitalismo-nella natura/natura-nel-capitalismo. Introduzione», http://utopiarossa.blogspot.com/2020/06/dialettica-di-una-pandemia-capitalismo.html; n. 2 «La pandemia di covid-19 come sintomo di una nuova transizione epidemiologica», http://utopiarossa.blogspot.com/2020/06/la-pandemia-di-covid-19-come-sintomo-di.html

1. Della febbre gialla: rivoluzione sociale e medicina coloniale e postcoloniale
2. Delle pandemie di colera, malattia sporca, straniera e delle classi inferiori
3. Della gestione politica della pandemia moderna di peste bubbonica, 1894-1947
4. Dell’influenza detta «spagnola», ovvero del super-killer mondiale e del cinico cretinismo contemporaneo

1. Della febbre gialla: rivoluzione sociale e medicina coloniale e postcoloniale
Nell’ultimo decennio del XVIII gli schiavi di Haiti realizzarono la liberté e l’egalité nell’unico modo di cui disponevano: con la ribellione armata. È così che riuscirono a compiere una vera rivoluzione sociale - l’abolizione della schiavitù - che nello stesso tempo era la prima lotta di liberazione nazionale vittoriosa di una popolazione coloniale non europea e il primo territorio liberato dell’America latina, piattaforma di lancio delle lotte per la libertà delle colonie del continente. Per riuscirci dovettero sconfiggere due spedizioni militari inviate a conquistare l’isola, una britannica e l’altra francese. In questo vennero aiutati dalla febbre gialla, che decimò le forze d’invasione europee estremamente vulnerabili alla malattia1.
Richard Levins et al., 
«The emergence of new diseases», 
American scientist, vol. 82, n. 1, 1994, p. 56
La febbre gialla non colpiva solo i Caraibi: via nave raggiungeva anche il Nordamerica e l’Europa. Nell’estate del 1793 una grave epidemia esplose a Filadelfia, allora capitale provvisoria degli Stati Uniti d’America: uccise il 10% della popolazione, circa 5 mila persone. In agosto il governo federale e il Congresso si allontanarono dalla città, con altre migliaia di persone; quel poco d’apparato federale che esisteva smise di funzionare, tanto che «il presidente Washington, non aveva nessuno che l’informasse o gli portasse rapporti, nessuno con cui consigliarsi e conferire. Il governo federale era svanito» e tornò in città solo a novembre2