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martedì 29 maggio 2018

UBU RE IN NICARAGUA, di Pagayo Matacuras

IN DUE LINGUE (Italiano, Spagnolo)

© Alfred Jarry
Chi è il re Ubu? È un tipo che uccide il tiranno per trasformarsi in tiranno e poi fa fuori i nobili e tutti coloro che lo hanno appoggiato; spreca ricchezze e ne accumula altre; distribuisce ai poveri e toglie ai ricchi; ma segnatamente elimina tutti, poveri compresi, per diventare più ricco. Manda i suoi soldati alla carica, ma è il primo a nascondersi. Con lui tutti possono cadere nella botola - nel pozzo - o sprofondare nella sua tasca, inghiottiti da una spirale senza fondo.
Ubu Re è una commedia scritta dal francese Alfred Jarry e rappresentata per la prima volta il 10 dicembre 1896 al Théâtre de l’Œuvre di Parigi. A quest’opera ne seguono altre, e l’ultima è Ubu incatenato (1900), in cui il protagonista è condannato al carcere a vita.
Il re Ubu dichiara che la libertà non è che un semplice gioco in cui io cammino sopra il fuoco e tu non puoi perché chiedi l’elemosina. La libertà è la caratteristica massima dell’alienazione di una piuma su una pietra. Non c’è libertà se non c’è potere di schiacciare, in caso contrario il suo significato diviene nullo. Non c’è libertà senza oppressione.
Nel frattempo gli uomini liberi cantano: «Viva la libertà, la libertà, la libertà! Noi siamo liberi. […] Disubbidiamo di concerto […] Inventiamo ciascuno un tempo diverso, benché sia faticoso. Disubbidiamo individualmente» (Ubu incatenato, Atto I, Scena II).
Naturalmente si tratta di una pura fantasia che non potrà mai verificarsi nella realtà, immaginazione di un creatore forse già pronto per il chilometro cinque [al km 5 della Carretera Sur di Managua c’è l’Ospedale psichiatrico (n.d.r.)]. A pochi passi da dove si riunisce il Diálogo Nacional - con i rappresentanti del Governo e della società civile - con l’obiettivo di uscire dalla difficile crisi che il Nicaragua sta vivendo da oltre un mese, quando è iniziata la cosiddetta «rivoluzione etica» degli studenti universitari, autentica ribellione contro l’ordine costituito. Un processo politico che si concretizza con la partecipazione loro e di altre forze sociali.
Dalla sessione inaugurale del 16 maggio, il re Ubu-Daniel non si è più visto e non ha parlato. Sua moglie, la regina Ubu-Rosario, che ogni giorno recita la sua Messa quotidiana mescolando misticismo e cristianesimo pentecostale nel programma «Multinoticias» di Canal 4, dal 17 maggio è rimasta in silenzio per quattro giorni. Né sono apparsi a Niquinohomo il 18 maggio, data di nascita di Sandino. E neppure il giorno successivo, durante la manifestazione che ha avuto luogo nell’Avenida Bolívar per celebrare il compleanno del «Generale degli uomini liberi».
Scomparsi? Inghiottiti dalla terra di laghi e vulcani?
No, per il momento. La coppia-Ubu ha ancora il potere, seppur non più completo come prima. La forte mobilitazione della società civile le impedisce di ristabilire il controllo totale. Inoltre, ciò che non ha più è la legittimità, fortemente contestata nell’agenda che l’Alianza Cívica por la Justicia y la Democracia ha posto sul tavolo del dialogo il 23 maggio. Un’agenda globale per una reale democratizzazione delle istituzioni politiche e giudiziarie a tutti i livelli. Vengono proposte riforme parziali della Costituzione - con il divieto di rielezione in qualsiasi carica elettiva - e della legge elettorale, così da anticipare le elezioni all’anno prossimo. La delegazione governativa ha dichiarato che questo programma è «la via per un colpo di Stato». Naturale che sia così, perché se messo in pratica distruggerà completamente il castello di carte costruito in questi dieci anni, con il partito al Governo che controlla tutti i poteri dello Stato. Un golpe senz’armi che realizzerà un cambiamento profondo e radicale nella gestione delle istituzioni dello Stato, completamente libere da qualsiasi influenza partitica. Indipendenti e libere da qualunque limitazione.
La richiesta di rinuncia della coppia-Ubu non figura con chiarezza all’ordine del giorno. Ciò appare contraddittorio, essendo ovviamente la prima tappa per realizzare gli altri punti. In realtà si richiede anche l’approvazione di una legge quadro per la transizione e la governabilità democratica, la formazione di un nuovo Consejo Supremo Electoral (Cse) composto da magistrati onesti e di riconosciuta esperienza, e la riduzione del numero di deputati dell’Asamblea Nacional. Queste profonde riforme, che tracciano la via della democratizzazione in modo pacifico e costituzionale, avrebbero come risultato inevitabile l’uscita di scena dalla coppia-Ubu. E dei suoi cortigiani.
I rappresentanti della delegazione governativa, come condizione preliminare alla discussione, hanno chiesto in maniera intransigente la rimozione delle barricate stradali che sono state installate in tutto il Paese, una misura di pressione che rimane in vigore contro il Governo. Unico argomento che ribadiscono: «Non possiamo occuparci di altre questioni». Tutti capiscono che è una scusa per non parlare di nessun altro argomento; il ministro degli Esteri Moncada, capo della delegazione, l’ha affermato categoricamente: «Non accettiamo l’ordine del giorno».
Sono due idee di dialogo che assai difficilmente possono trovare un punto di accordo, due intransigenze che dipendono da due visioni diverse e opposte di ciò che è una società democratica. Non è da tutti fischiare e bere pinol [bevanda di mais bianco tostato e macinato (n.d.r.)], diciamo noi nicaraguensi. Pertanto i vescovi, che fungono da mediatori, hanno sospeso il dialogo a tempo indeterminato, proponendo la formazione di una commissione mista per cercare consenso sulle proposte che sono state presentate, in modo che i negoziati possano essere riattivati. Questa commissione dovrebbe essere composta da sei persone: tre delegati del Governo e tre rappresentanti di studenti universitari, società civile e imprenditori.
Nel frattempo, gli oppositori hanno dichiarato il fallimento del dialogo e nel pomeriggio del 23 maggio sono scesi in strada in tutto il Paese. Allo stesso tempo hanno rinforzato i blocchi stradali, principalmente nelle zone produttive del nord e del sud. D’altra parte la Juventud Sandinista (JS), gestita direttamente dalla sacerdotessa Ubu-Chayo, ha dato l’assalto in misura massiccia ad alcune barricate. All’ingresso di León, lungo la strada che la collega a Managua, uno studente è stato ucciso da un proiettile di AK-47 [kalashnikov (n.d.r.)], la JS ha preso in ostaggio 17 ragazzi e li ha tenuti prigionieri per alcune ore nella sede regionale del Frente Sandinista a León. Qualcuno afferma che all’interno c’erano pure tre poliziotti antisommossa. Fino a che sono intervenuti dei sacerdoti e hanno ottenuto la loro liberazione. Un’azione del genere dev’essere non solo ben pianificata, ma devono essere state perlomeno una cinquantina le persone del gruppo che ha sequestrato i ragazzi. In pratica si sono autodenunciati come mandanti delle forze paramilitari che non vogliono dialogare.
Gli stessi fatti accadono più o meno in tutto il Paese, con uomini incappucciati armati di mortai artigianali e di pistole che viaggiano in Suv a doppia cabina e in moto, soprattutto di notte. La stessa Uca (Universidad Centroamericana) è stata oggetto di un attacco di mortaio contro il suo edificio principale, a Managua, all’alba del 27 maggio. Una totale e assoluta idiozia, che dimostra pienamente l’atteggiamento della coppia-Ubu, l’uso e l’abuso di queste forze paramilitari (o parapoliziesche) che sostituiscono la Polizia a causa del pesante discredito che ha colpito quest’ultima durante le proteste, in seguito alla violenza irrazionale con cui ha agito e di fronte al rifiuto ufficiale dell’Esercito di scendere in strada. Fino ad oggi, nessuna di queste persone è stata indagata o arrestata (alcuni dicono che molti di loro sono poliziotti in borghese).
Chiaramente, sebbene sia iniziata come protesta civica nonviolenta e l’idea della maggioranza continui ad essere tale, ci sono anche gruppi di oppositori che perseguono l’obiettivo del caos per il caos, con l’incendio di pick-up e autobus della JS, ferendo gravemente alcuni militanti sandinisti. Che siano fannulloni pagati con pochi dollari dalla destra o dall’Ambasciata statunitense, oppure provocatori, il risultato non cambia: rendono il gioco facile alla coppia-Ubu nel criminalizzare l’intero movimento.
In tal modo, la possibilità di una soluzione pacifica alla crisi che questo Paese soffre da circa quaranta giorni si allontana. Nonostante questa contingenza, pare che la gente svolga le proprie attività quotidiane come se nulla fosse, lamentandosi soltanto per l’aumento dei prezzi del cibo e dei servizi di base.
E mentre la coppia-Ubu tenta di rimanere al potere inviando un messaggio di forza per zittire la pressione popolare - che continua con pacifiche marce nella capitale e in altre città, Ubu-Daniel rimane in silenzio e Ubu-Chayo continua con le sue omelie di pace a cui nessuno può ormai credere: «La nostra Fede è la nostra Forza! Sappiamo di essere un Popolo credente, devoto, un Popolo semplice, un Popolo laborioso, che ha rafforzato i Percorsi della Fede, i Valori della Famiglia e della Comunità, i Valori cristiani» (24 maggio).
Forse la coppia-Ubu pensa che in questa maniera possano reintegrarsi nuovamente i militanti sandinisti che nelle settimane precedenti si sono allontanati, fino a partecipare alle marce della società civile che il 27 maggio si sono tenute in una decina di città. Ecco perché stanno utilizzando tattiche dilatorie per stancare il popolo e cercare di ricomporre le proprie forze, contro la massiccia lotta civica che chiamano «piaga criminale». Ma questa tattica sta portando nella direzione opposta: il rifiuto del partito che l’ha portata al potere. Il Paese è diviso in due. Poco a poco, la gente si rende conto che questo non è l’Fsln che ha combattuto contro la dittatura somozista, ma è un’altra cosa, del tutto differente.
Un altro rischio dev’essere tenuto presente ed è molto reale: la tentazione di isolare gli studenti dalle altre forze della cosiddetta «società civile», dato che continuano a dichiarare che nel loro movimento (Movimiento 19 de Abril) non ci saranno ingerenze da parte di nessuna forza politica. Innanzitutto gli imprenditori riuniti in varie associazioni non possono tollerare una forza che vuole un profondo cambiamento nella società - incluse le questioni economiche, in un Paese che è il secondo più povero del continente. Inoltre il movimento campesino, nato in opposizione alla costruzione del Gran Canal Interocéanico che avrebbe trasformato l’ecosistema del Paese, mantiene senza dubbio legami con i partiti di destra che aspirano a una rivincita. Infine la stessa Chiesa cattolica - che agisce da mediatrice - non può accettare seriamente uno Stato laico e democratico.
E finora, a partire dalla sessione inaugurale del dialogo, pur non avendo una leadership gerarchica (e forse, per fortuna), solo gli studenti hanno affrontato con parole aspre e chiare l’onnipotente potere politico della coppia-Ubu: «Questo non è un tavolo di dialogo, piuttosto un tavolo per negoziare la sua uscita di scena, perché questo è il sentimento del popolo». Lasciando nuda la coppia-Ubu, come nel famoso racconto di Andersen.

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