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mercoledì 10 gennaio 2018

BLADE RUNNER 2049 (Denis Villeneuve, 2017), di Pino Bertelli

Non è facile distruggere un idolo: richiede lo stesso tempo che occorre
promuoverlo e adorarlo. Giacché non basta annientare il suo
simbolo materiale, il che è semplice: si devono anche
annientare le sue radici nell’anima.
(E.M. Cioran)

Merda! Porcaccia della madonna! Canaccio d’un dio infame!… mi facevano male gli stivali texani (però spagnoli) nuovi e così ho pensato di andare al cinema… visto che sono portato a ridere di tutto il cinema gravido di effetti speciali e per niente interessato al cinema d’istupidimento incensato dalla macchina/cinema hollywoodiana, celebrato da tutti i cortigiani del mercato televisivo planetario, che è nelle mani di banchieri, trafficanti d’armi e politici… mi sono seduto davanti allo schermo dove passava Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve (santificato da Ridley Scott come suo erede) e sono rimasto per 152 minuti fra lo sconcerto di tanta stupidità e la voglia di passare alla distruzione del film! Così, tanto per aiutare i ragazzi a non credere e rigettare la simbologia cretina (autoritaria o, se vogliamo, qualunquista, financo fascista) sulla quale si poggia l’ultimo Blade Runner. E poi gli occhialetti del 3D… una cosa da deficienti per vedere in visione stereoscopica l’insincerità dell’arte contrabbandata col ghigno della scienza e dell’assoluto.
Va detto. Quando nel 1982 sono andato a vedere Blade Runner di Ridley Scott, a fatica sono arrivato in fondo al film… dopo dieci minuti avevo già i coglioni pieni di noia del cacciatore di replicanti, delle colonie spaziali, dei modelli Nexus-6 e dell’amore come soluzione finale… mi sembrava di assistere a una sorta di assemblaggio pubblicitario - anche fatto bene - dove i volti avvizziti degli attori s’addossavano a un’evidente adulazione pubblica… naturalmente sempre sovvenzionata da pletore di velinari di professione… a Hollywood, come dappertutto, ciò che conta sono gli incassi dell’ultimo film, magari un qualche Oscar preconfezionato o la demenza meravigliata dei tappeti rossi di tutti i festival della terra… il cinema è un’altra storia.
Con Blade Runner 2049, Scott ci riprova… del resto basta vedere la saga di Star Wars (e i suoi emuli) per comprendere che ogni culto è un tradimento dello spirito e l’entusiasmo è il sagrato repellente dell’imbecillità… tra la fabbrica delle illusioni e il cinema l’incompatibilità è totale! La gloria del mercato o il delirio del mito bastano a fare di un film il sublime da cialtroni e quelli che lo osannano i palafrenieri del ridicolo! A guisa di consolazione e al termine di film come Blade Runner 2049, non resta che rompere l’architettura dell’utilitario e il sospetto che tutto ciò che gronda dallo schermo non è che un grande spot televisivo (videogame dell’incuriosità o serie TV dell’idiozia raffinata) a favore delle forze di polizia che contrastano l’inatteso o la devianza. All’infuori della disobbedienza e del rovesciamento di prospettiva di un mondo rovesciato, tutte le iniziative (e forme di comunicazione) sono senza valore.
© Stephen Vaughan
La trama di Blade Runner 2049 (per non durare troppa inutile fatica, la riprendiamo da Wikipedia):
«Nell’anno 2049 i replicanti si sono integrati nella società, poiché le colture sintetiche si sono rivelate necessarie per la sopravvivenza del genere umano. L'agente K è un replicante di ultima generazione che dà la caccia ai vecchi replicanti Nexus ribelli. Uno di questi, Sapper Morton, vive da solo in una fattoria: K lo rintraccia e lo “ritira”, rinvenendo in seguito una scatola sepolta sotto un albero morto nei pressi dell’abitazione di Sapper. L’oggetto sepolto viene recuperato e aperto: contiene lo scheletro di un replicante Nexus femmina. Gli analisti del Los Angeles Police Department appurano che la replicante è morta a causa di complicazioni durante un taglio cesareo. Il tenente Joshi, capo di K, è sconvolta dal ritrovamento - in quanto non si pensava che i Nexus fossero capaci di riprodursi - e ordina quindi di eliminare qualsiasi prova della scoperta, dando istruzioni di trovare e “ritirare” il figlio replicante, poiché la notizia potrebbe creare un’instabilità nell’ordine tra umani e replicanti.
K, combattuto, si presenta alla sede dell’azienda che produce i replicanti moderni, la Wallace Industries: il personale identifica lo scheletro come quello di Rachael, creata dalla fu Tyrell Corporation e che ebbe una relazione con il cacciatore Rick Deckard, scomparso con lei nel 2019. Il fondatore della società, Niander Wallace, crede che i Nexus in grado di riprodursi possano essere il prossimo passo nella produzione e favorire l’espansione delle colonie extramondo, popolate da soli androidi; ordina quindi a Luv, la sua replicante tirapiedi, di rubare i resti di Rachael dalla stazione di polizia e pedinare K in modo da risalire al figlio replicante. K ritorna alla fattoria di Sapper e nota sull’albero morto un’incisione con la data 6/10/21, che coincide con quella su un cavallino di legno presente in un ricordo impiantato della sua infanzia. K risale alla fabbrica in cui si svolge questo ricordo, ritrovando il giocattolo nel posto dove lo aveva nascosto da bambino e credendo perciò che l’impianto potrebbe essere una vera reminiscenza del suo passato.
Nel controllare le nascite avvenute nel giugno del 2021, K scopre un’anomalia: Rachael ha apparentemente dato alla luce due gemelli che condividono lo stesso DNA - ma con sessi diversi - e solo il maschio è ancora vivo. Di conseguenza K si reca dalla dottoressa Ana Stelline, che lavora come creatrice di ricordi da innestare ai replicanti prodotti dalla Wallace Industries e che, dopo averlo informato che è illegale innestare ai replicanti memorie vere appartenute agli umani, gli conferma piangendo che si tratta di un ricordo reale, inducendolo così a credere di essere lui stesso il figlio della Nexus morta. Dopo aver fallito un test sulla sua natura replicante, K viene sospeso da Joshi, lasciandogli intendere che ha portato a termine la missione (cioè “ritirare” il bambino, vale a dire lui stesso). La stessa Joshi, per compassione, lo lascia andare.
K prosegue l’indagine per proprio conto, facendo analizzare il cavallino di legno: in esso vengono trovate tracce di radiazione che lo conducono alle rovine post-apocalittiche di Las Vegas. Qui K ritrova Deckard, che gli rivela di aver alterato le date di nascita per coprire le loro tracce, venendo poi costretto a lasciare Rachael, per la sua sicurezza, con un gruppo di replicanti rivoluzionari. Nel frattempo Luv uccide Joshi e rintraccia K. Nello scontro seguente Luv distrugge Joi, la compagna virtuale di K - lasciando quest’ultimo in fin di vita - e rapisce Deckard. K viene soccorso dal gruppo rivoluzionario e condotto da Freysa, che lo informa che il vero erede di Rachael e di Deckard è Stelline, in quanto solo lei poteva essere capace di impiantare i propri ricordi nella sua mente. Freysa ordina a K di uccidere Deckard affinché egli non fornisca a Wallace informazioni sul movimento.
© Stephen Vaughan
Deckard viene condotto dinanzi a Wallace, il quale ipotizza che l’amore tra lui e Rachael fosse stato unicamente un esperimento del dottor Tyrell e che i due fossero stati creati l’uno per l’altra allo scopo di verificare se i suoi Nexus fossero capaci di riprodursi. Deckard rifiuta di rispondere alle domande di Wallace o di aiutarlo - anche quando gli viene presentata una copia replicante di Rachael - e perciò Luv lo conduce in una zona extramondo per torturarlo al fine di estorcergli informazioni. K però li raggiunge e attacca il convoglio di Luv con il suo spinner, facendolo precipitare in mare vicino alla muraglia che protegge la città dalle inondazioni. Dopo un violento combattimento K riesce ad uccidere Luv, annegandola, e porta in salvo Deckard, rivelandogli che per proteggerlo lo darà per morto come vittima dello schianto. Deckard viene condotto da K al palazzo di Stelline, dove finalmente si ricongiunge con la figlia, mentre K, rimasto ferito gravemente nello scontro finale, muore sdraiato sulla scalinata della struttura con lo sguardo rivolto al cielo nevoso».
Per dire tutte queste sciocchezze edulcorate, la produzione di Scott allestisce una baracconata da 150 milioni di dollari… con il film si vendono magliette, giocattoli, saponi, modellini di auto, pistole e fucili in grado di solleticare nugoli d’imbecilli col vezzo dell’evento culturale… il marchio è Blade Runner… i fanatici sono lusingati dai fasti dell’ignoranza complice e danno lustro alla barbarie dentro e fuori lo schermo. Un popolo muore quando non ha più la forza d’abbattere gli dèi, i capi di Stato e i macellai che lo tengono a catena… il passaggio a nord-ovest dalla conoscenza alla coscienza è ancora tutto da inventare… ci sono mille rimedi alla miseria, non ce n’è nessuno per la stupidità.
In Blade Runner 2049, l’attorialità di Ryan Gosling, Harrison Ford, Ana de Armas, Sylvia Hoeks, Jared Leto e Robin Wright è davvero mortuaria… si ha l’impressione che nel bel mezzo dell’azione possa apparire lo sponsor di un profumo, l’abbacinazione di una macchina da corsa o abiti futuristi di una sfilata di moda… lo sbadiglio è universale e le rivelazioni, per niente demoniache, sono preghiere alla rovescia dove un dio e un millantatore coesistono sul calvario della farsa… l’educazione alla mediocrità continua. Gosling è davvero qualcosa di raro, non solo al cinema: lo si potrebbe vedere bene dietro il bancone di un bar a versare whisky a signore annoiate o, tutt’al più, ad infilare ghirlande di gelsomini nelle fiere di paese… non gli è di meno Ford… sembra capitato lì, in pigiama, sul set di un altro film, a sfoderare ricordi e tristezze in cumuli di convinzioni incenerite nei luoghi comuni… perfino nei primi piani si ha l’impressione di un naufragio impersonale e ciò che più conta è che sembra incarnare il rifugio della rassegnazione, senza un filo di credibilità.
© Stephen Vaughan
Il piatto forte del film sono i personaggi di Philip K. Dick, disseminati un po’ alla buona nella sceneggiatura di Hampton Fancher e Michael Green… i dialoghi infatti sono tanto banali quanto altisonanti… il paradiso può attendere, ma anche l’inferno… ciò che conta sono la grammatica dell’irrilevante, la dissipazione dell’intelligenza, la colorazione dell’atto creativo… un film di mutismi e di chiacchiere, di nevrosi e di artifici, di eroi senza talento e di martiri senza vocazione… personaggi senza spessore che irrompono nella storia come una carica di cavalleria e abbassano al rango di pretesto ogni cosa… il cinema non si discute, lo si esprime. E la filosofia di Blade Runner 2049 non lo esprime.
L’apparato scenografico (Dennis Gassner), il montaggio (Joe Walker) e le musiche (Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch) - a cura di gente blasonata e carica di premi - apportano a Blade Runner 2049 formule e giustificazioni che costruiscono quell’esuberanza da cioccolatai che tanto piace a critica e pubblico… a un certo grado d’insignificanza, ogni apologia del vuoto diventa indecente! L’agonia senza genio del film di Denis Villeneuve (e di Sir Ridley Scott) porta in sé il culto del mercato e la domesticazione dell’immaginario collettivo… la poesia arretra via via che la merce avanza… la degradazione scende sempre dall’alto dei cieli e la macchina/cinema è il confortorio dove milioni di dollari si sostituiscono all’immaginazione senza memoria che trabocca di banalità… non tanto per l’inconsistenza di un film, quanto per la stupidità senza appello che rappresenta.
Blade Runner 2049 attraversa i generi noir, avventura, fantascienza, thriller… e li tradisce tutti… dubitiamo anche che gli autori, avvezzi al calcolo del box office, possano in qualche modo aver studiato a fondo l’aurora del cinema, né compreso che dietro uno sguardo trasversale di Humphrey Bogart, la disperata vitalità di James Cagney o la camminata imponente di Robert Mitchum si celasse quella scabbia della vita che li proiettava dal cinema alla strada e dalla strada al cinema. Il canadese Villeneuve e il suo mentore britannico Scott non hanno l’ossessione dell’essenziale, ma la bulimia del narcisismo mercatale, e se ne fregano altamente di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato (come insegnano i maestri di vita - e di cinema - Robert Bresson, Roberto Rossellini o Jean-Luc Godard), lavorano sulle verità generali, impresari d’idee funebri, suscitano ammirazione e consenso, senza mai essere sfiorati dal sospetto che il loro film è solo un ossario di cattivo gusto che invoca gli scaffali dei supermercati e raffazzona, nei circuiti predisposti per l’assoggettamento degli sguardi, la religione infausta della civiltà dello spettacolo.
© Stephen Vaughan
Per chiudere, come anche per aprire… non c’è cinema senza attenzione per la vita… le lacrime dei ciechi sono asciutte e per rinfrescare il linguaggio - non solo - cinematografico bisognerebbe che l’umanità cessasse d’idolatrare i propri affossatori… i professionisti dell’inganno, i funzionari dei mercati, i cortigiani dei saperi, insieme ai guerrafondai delle banche, dei partiti e dei governi (incluso lo Stato Vaticano), sono i profanatori della libertà… ciarlatani a corto di trucchi che nel marcitoio delle certezze hanno infeudato l’immaginale di smisurate platee ed eretto a menzogna e terrore l’ordine del mondo. La speranza è una virtù da schiavi, la rivolta il desiderio in utopia degli uomini liberi.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 15 volte novembre 2017

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