Pubblichiamo per i lettori del nostro blog un estratto dall’opuscolo di Andrea Vento Il continente americano. L’America latina (Giga Autoproduzioni, 2017, pp. 36). [la Redazione]
Gli effetti delle politiche sociali dei governi progressisti
Il miglioramento delle condizioni sociali è un fenomeno strutturale che investe l’intera America latina ormai dall’inizio del nuovo millennio: la quota di persone in povertà (grafico 1)1 registra infatti, nell’intervallo 2000-2010, una diminuzione sia nel dato generale dell’intera macroregione - che si attesta poco sopra il 30% - sia all’interno dei singoli paesi. La diffusione della povertà assume tuttavia dimensioni piuttosto eterogenee all’interno dei vari stati, disparità che riguardano anche l’entità della riduzione, che risulta particolarmente spiccata in Perù, Venezuela e Cile. Ciò nondimeno rimangono critiche le condizioni sociali in alcuni paesi - in prevalenza centroamericani (Honduras e Nicaragua) - in cui nel 2010 più della metà della popolazione risulta ancora sotto la soglia di povertà, non dimenticando Haiti, lo stato con la situazione più critica, con circa l’80% dei suoi abitanti che patisce questa condizione e il 54% che cerca di sopravvivere con meno di un dollaro al giorno. Questo quadro fa sì che il paese caraibico si collochi al penultimo posto nella relativa classifica mondiale.
Più complessa risulta la lettura della dinamica della distribuzione del reddito fra le classi sociali all’interno dei diversi paesi. Se l’intera macroregione ha evidenziato (grafico 2)2 una riduzione delle profonde sperequazioni socioeconomiche grazie alle politiche redistributive messe in atto dai governi progressisti, alcuni stati hanno visto aumentare i già cospicui squilibri. La Colombia, l’Honduras, la Repubblica Dominicana, il Costa Rica e soprattutto il Guatemala, stati accomunati dalla presenza di governi di destra, neoliberisti e filostatunitensi, si sono caratterizzati per un ulteriore aumento delle differenze reddituali.
La crisi dei governi progressisti
I segnali che giungono da diversi paesi - Brasile in particolare - sembrerebbero indicare che il ciclo dei governi progressisti latinoamericani stia cominciando a segnare il passo, nonostante abbia costituito una fase storico-geopolitica inedita per il subcontinente, oltre ad aver rappresentato l’area di resistenza più avanzata su scala globale al neoliberismo. I risultati ottenuti in termini di avanzamento democratico, riconoscimento dei diritti delle comunità amerindie, progresso sociale e riappropriazione di sovranità economica sono sicuramente inconfutabili e apprezzabili. Tuttavia i limiti - soprattutto in campo economico - che hanno condizionato la maggior parte di questi stati hanno poi creato i presupposti affinché all’inizio del 2015 gli elementi di criticità, espressi in termini di difficoltà economiche e malessere sociale, iniziassero ad assumere dimensioni preoccupanti.
Le problematiche che hanno afflitto i governi progressisti - sudamericani in particolare - sono riconducibili principalmente a cinque elementi, legati sia alle politiche interne che al ciclo economico-finanziario internazionale:
• mancato superamento del modello economico estrattivista;
• mancata attuazione di riforme strutturali incisive in campo economico e fiscale;
• attuazione di sole politiche redistributive attraverso programmi sociali;
• stagnazione/recessione del Brasile;
A questi ne dobbiamo aggiungere ulteriori di natura politica: sul fronte interno il malcontento popolare (proteste in Brasile dal 2013 ecc.) ha creato un allontanamento fra i movimenti popolari, sociali e indigeni e i governi progressisti, mentre in campo internazionale stiamo assistendo a una nuova offensiva degli Stati Uniti tesa a riconquistare il tradizionale “cortile di casa”, allontanatosi negli ultimi quindici anni.
L’origine delle problematiche che affliggono attualmente i governi latinoamericani - a prescindere dalle sfumature politiche - è riconducibile principalmente al non aver operato efficacemente per modificare il modello economico che ha storicamente caratterizzato l’intero subcontinente. Negli ultimi decenni infatti l’America latina, con l’avvento della globalizzazione e l’accentuazione della divisone internazionale del lavoro, si è sempre più connotata come fornitore di materie prime agricole, energetiche e minerarie, tanto da poter coniare un vocabolo apposito per indicarne le specificità produttive. Con estrattivismo si intende quindi quel modello economico basato sull’estrazione di risorse dal sottosuolo e sulla loro vendita all’estero in forma grezza, senza alcun processo di trasformazione industriale. Il termine, inquadrando in modo più completo ed esaustivo le specificità di sviluppo dei paesi latinoamericani, ha subìto un’appropriata evoluzione in neoestrattivismo, identificando il modello basato, oltre che sull’export di risorse minerarie ed energetiche, anche sulla diffusione delle monocolture di biocombustibili, come la canna da zucchero per il biodiesel3 e la soia - in larga misura OGM - per il bioetanolo. Senza dimenticare la realizzazione delle opere infrastrutturali necessarie al trasporto delle materie prime verso i mercati internazionali.
L’estrattivismo, secondo l’analisi dell’intellettuale uruguayano Raúl Zibechi, non costituisce soltanto un modello economico, bensì anche di società e di dissoluzione delle istituzioni legittime: «è una guerra contro i popoli che si sono trasformati in ostacoli [per le loro lotte di resistenza (n.d.r.)] all’accumulazione/rapina dei beni comuni»4.
I leader politici progressisti sudamericani - dando probabilmente priorità, nella propria azione di governo, alla risoluzione degli impellenti problemi sociali interni e al processo di integrazione regionale - si sono limitati ad attuare politiche di redistribuzione del surplus commerciale attraverso interventi di natura sociale come le varie misiones in Venezuela e Bolsa Família e Fame Zero in Brasile, che hanno prodotto risultati tangibili a vantaggio dei ceti popolari.
Indubbiamente ciò è stato favorito dal trend “rialzista” delle quotazioni delle commodities agricole, minerarie ed energetiche nel primo decennio del XXI secolo.
Una volta esauritasi nel 2011 la fase delle quotazioni elevate delle materie prime agricole e minerarie e nel 2014 quella del petrolio, le entrate valutarie degli stati sudamericani hanno subìto una sensibile contrazione, mettendo a rischio la sostenibilità dei bilanci statali e il mantenimento delle politiche redistributive delle rendite da esse derivanti, creando così inevitabili ripercussioni di carattere politico.
Le criticità economiche degli ultimi anni
Dal punto di vista economico il subcontinente sta attraversando una congiuntura sfavorevole - iniziata nel 2014 - legata in parte al riaffermarsi del modello di sviluppo estrattivista, dipendente dall’esportazione di prodotti primari e dal conseguente andamento delle loro quotazioni sui mercati finanziari. La contrazione dei valori delle commodities5 ha spinto verso la recessione il Brasile, l’Argentina e il Venezuela, le tre principali economie del Sud America, facendo registrare una battuta d’arresto per l’intera regione (tabella 1)6.
Secondo i dati della Cepal8, infatti, l’America latina ha chiuso il 2016 con una contrazione media del Pil pari all’1,1%, seppur con dinamiche contrastanti fra le varie regioni interne. La fase negativa latinoamericana è stata indubbiamente condizionata dal rallentamento del ciclo economico del Brasile che, iniziato nel 2012 (+1,8%), è sfociato in vera e propria recessione nel 2015 (-3,8%) e nel 2016 (-3,5%). Per il 2017, tuttavia, per il gigante sudamericano le previsioni annunciano un ritorno in campo positivo, con una crescita limitata però allo 0,43%.
La recessione del Brasile, locomotiva del subcontinente e settima potenza economica a livello mondiale, sommata a quella dell’Argentina (-1% nel 2016) e soprattutto del Venezuela (-3,9% nel 2014, -5,7% nel 2015 e nel 2016 addirittura -8%), ha inciso in particolare sul ciclo economico dell’America meridionale, che presenta di gran lunga le maggiori criticità fra le varie subregioni: dopo un calo dell’1,3% nel 2015, lo scorso anno si è addirittura scesi del 2,4%.
Tuttavia, visti i dati positivi del primo trimestre del 2017 rilevati dalla Cepal e le previsioni di netta ripresa diffuse dallo stesso organismo ad aprile - che indicano un dato generale della macroregione pari a +1,1%, con la parte istmica in fase di crescita sostenuta (+4,5%) e la parte meridionale in ripresa (+0,6%) - sembrerebbe che per l’America latina il ciclo negativo sia ormai superato.
L’inversione di tendenza del ciclo economico è principalmente riconducibile al trend positivo che, nel corso del 2017, sta caratterizzando le quotazioni delle commodities.
Andrea Vento, docente di geografia economica presso l’Istituto Tecnico Commerciale «Antonio Pacinotti» di Pisa, si è laureato nel 1988 presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Pisa con corso di laurea in geografia e tesi in geografia economica. Appassionato di geopolitica e relazioni internazionali, con particolare predilezione per il Medio Oriente e l’America latina, ha focalizzato le proprie ricerche e la propria attività sull’analisi di specifiche tematiche di carattere geoeconomico e geopolitico. Al centro del suo lavoro vi è il tentativo di ampliare - tramite scritti e conferenze - la conoscenza di particolari sfere economico-geografiche del mondo attuale.
Nel 2013 - assieme ad alcuni colleghi - ha fondato il GIGA (Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati) e da alcuni anni è membro del comitato di redazione del quotidiano online Pisorno.it, in qualità di responsabile della pagina internazionale.
1 Il grafico 1 indica la percentuale di povertà nei Paesi dell’America latina nel 2000 e nel 2010.
2 Il grafico 2 riporta il coefficiente Gini degli stati latinoamericani, confrontando fra loro gli anni 2000 e 2010.
3 Esemplare in tal senso è l’accordo sottoscritto da Lula e Bush Jr. nel marzo del 2007 per la produzione di bioetanolo per il mercato statunitense. Il Brasile, che è il più grande produttore mondiale di canna da zucchero e detiene il maggior know-how nella trasformazione industriale, ha dovuto ampliare la produzione di canna per soddisfare la nuova domanda, accentuando la deforestazione e sottraendo superficie alle coltivazioni di sussistenza.
4 Cit. da Raúl Zibechi, La nuova corsa all’oro. Società estrattiviste e rapina, Mutus Liber, settembre 2016.
5 Con il termine commodities ci si riferisce alle materie prime, ovvero a quella particolare categoria di beni che viene scambiata sul mercato senza differenze qualitative. Si tratta principalmente di prodotti minerari, energetici e agricoli. La loro quotazione è determinata nelle borse merci, dove sono oggetto di attività speculative che ne influenzano l’andamento dei prezzi.
6 La tabella 1 riporta la variazione percentuale del Pil dal 2014 al 2016 e la previsione per il 2017 per le tre principali potenze economiche sudamericane, per l’America latina e per le sue subregioni.
Fonti: Fondo Monetario Internazionale; Cepal |
7 Per il 2016 e il 2017 i dati della Cepal si riferiscono al gruppo Card, comprendente i paesi dell’America istmica e la Repubblica Dominicana. I valori risultano superiori a quelli della sola parte istmica in quanto quest’ultima sta attraversando una fase di crescita sostenuta, con +7% nel 2014, +6,4% nel 2015 e una previsione per il 2017 di +6,2%.
8 La Commissione Economica per l’America latina e i Caraibi è una delle cinque commissioni economiche regionali che riportano al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite. Fu fondata nel 1948.
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