Pubblichiamo in versione «ampliata» lo scritto di Massari che fa da prefazione al libro fotografico - scritto e curato da Sandro Lusini e Cesare Moroni - Ernesto Che Guevara: la Ruta del Che - Argentina e Bolivia (pp. 160, € 16,00). [la Redazione]
Moroni editore, 2017 |
En la ruta… On the road… En route… Auf den Weg… Sulla strada… L’espressione è antica, è comune a molte lingue e continua ad evocare sensazioni che nell’epoca di Facebook in Rete o di Fast and Furious (8!) al cinema riescono a sopravvivere solo come creazioni mentali (perifrasi storico-concettuali), desideri immaginifici, impulsi emotivi alla rottura della routine quotidiana. Immortalata da libri come il classico di Kerouac (1957), assunta come motto dallo scoutismo degli adulti in auge nell’Italia degli anni ‘60, sussurrata dagli impavidi autostoppisti che affollavano gli Auberges de jeunesse di mezza Europa, quell’espressione ha nondimeno caratterizzato un’epoca, che si può identificare con discreta approssimazione negli anni ‘50 e ‘60, fino all’esplosione semiplanetaria del Sessantotto.
Nel ‘68 Guevara era già morto, da pochi mesi: lui che di quel grande moto giovanile aveva anticipato quasi ogni ambizione utopica, ogni movente iperattivistico, ogni urlo di sfida perentoria e radicale contro il sistema. E aveva anticipato tutto ciò… mettendosi in cammino: in cammino lungo i sentieri tortuosi, selvatici o falsamente civilizzati della sua Grande America, la Pacha Mama violentata degli antichi popoli nativi, meticcia nella sofferenza di nuove immigrazioni e tradizioni imbastardite.
Ma non si pensi che per il giovane Ernesto la formula del viaggio vada intesa in senso allegorico. No: prima imbarcato su navi di lungo corso come apprendista infermiere; poi i quasi 5.000 km andini in bicicletta; a seguire, il periplo con Granado compiuto in moto, camion, zattera, a piedi e in un aereo per il trasporto cavalli; infine il terzo viaggio cominciato in treno alla stazione di Belgrano (1953) e terminato nel groviglio di mangrovie de Las Coloradas (1956), in mezzo alla prima di una lunga serie di stragi dei compagni di lotta.
La trasformazione rivoluzionaria di Ernesto nel Che era stata preparata dall’epopea giovanile del viaggio. Ora questa è storia arcinota, grazie ai libri e al cinema. Quando, però, queste informazioni me le dava Hilda Gadea (la peruviana sua prima moglie e madre di Hildita), nei mesi in cui visse con me a Roma (1969 e 1970), nessun altro al mondo ancora le aveva scritte, teorizzate e forse neanche pensate (con l’esclusione della madre Celia, il fratello Roberto che me ne parlò quando fui suo ospite a Buenos Aires, l’amica Tita Infante e pochi altri suoi intimi). Ma Hilda era la testimone più attendibile, perché da lei Ernesto aveva ricevuto la prima formazione politica (sartriana e marxista) che doveva spingerlo a diventare un autentico ribelle nella mente oltre che nel cuore.
Se i viaggi che ho citato possono considerarsi l’anabasi di Ernesto dall’Argentina a Cuba (attraverso Bolivia, Perù, Guatemala e Messico), i luoghi della guerriglia boliviana costituiscono certamente la catabasi (da Cuba a La Higuera, passando per Congo, Tanzania, Praga). È tantissimo da raffigurare per immagini fisse e quindi ben venga questa sintesi editoriale che ci offre anabasi e catabasi guevariane con l’immediatezza del mezzo fotografico: un bel mezzo… vista la qualità cromatica di preziose inquadrature.
Vorrei aggiungere molto, ma lo spazio è poco. Sarebbe giusto però, per informazione del lettore, che mi dilungassi a descrivere i progetti di viaggi «Sulle orme del Che» dei quali sono stato il primo ideatore in assoluto. Non che mancassero fin dai primi anni ‘70 «pellegrini» del guevarismo che andavano a ripercorrere le varie rutas del Che (io fui tra questi già a Cuba nei sei mesi che vi trascorsi nel 1968). Ma non erano viaggi organizzati, di gruppo e dotati di una specifica meta ideale. Il primo l’organizzai io a Cuba, e fu certo il primo, visto che nemmeno l’autista, cubano e membro della Seguridad, riusciva a trovare la strada per Alegría de Pío dove invece mi ero recato in precedenza. E uno abbastanza avventuroso l’organizzai in Perù/Bolivia (passando per Machu Picchu e lago Titicaca). Ma poi dovetti desistere di fronte all’esplosione turistica e allo sfruttamento commerciale di quelle idee. Sicché i miei personali viaggi «sulle orme del Che» ho ripreso a farli con la mente e col cuore, ma seguendo ben altri itinerari. Si provi per es. a riflettere sul fatto che anche Caravaggio e Chopin (mese più mese meno) sono morti a 39 anni come Guevara…
Roberto Massari è fondatore e presidente (dal 1998) della Fondazione internazionale Ernesto Che Guevara, principale editore e traduttore delle Opere del Che in Italia, direttore dei Quaderni della Fondazione Guevara.
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