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venerdì 30 settembre 2016

SOCIALISMO SIGLO XXI, CRISIS Y PODER MILITAR, por Rolando Astarita (Ruptura/Utopía Tercer Camino)

La crisis del modelo chavista “socialismo siglo XXI” parece irreversible

La situación del país es desesperante. El propio gobierno de Maduro admitió que en los 12 meses a septiembre de 2015 la economía cayó 7,1%. Oficialmente la inflación en 2015 fue del 180%, y los salarios aumentaron un 97% (BCV). En lo que va de 2016 se establecieron aumentos salariales del 56%, y la inflación enero-abril es de 275%. El FMI pronostica que la inflación podría llegar al 700% en 2016 y el PBI caer un 8%. Según CEPAL, la caída sería del 6,9%.
La Encuesta Condiciones de Vida (ENCOVI), realizada por tres universidades nacionales, dice que el 73% de los hogares cayeron por debajo de la línea de la pobreza (en 2013 era el 31%). Fuentes privadas y de las universidades sostienen que el venezolano medio ha disminuido considerablemente el consumo de calorías y proteínas. El Banco Central de Venezuela y el Instituto Nacional de Estadística han dejado de publicar datos sobre pobreza.
En algunos rubros el panorama es dramático. La carencia de medicinas alcanza al 85% y el Ministerio de Salud no publica estadísticas de mortalidad desde hace tres años. El presidente de la Federación Médica de Venezuela dice que los hospitales cuentan con solo el 4 o 5% de los medicamentos que necesitan los pacientes. Las colas para conseguir alimentos, medicinas, pañales u otros productos de primera necesidad consumen muchas horas por día a los venezolanos, y en varios casos han terminado en violencia, saqueos o intentos de saqueo. En el mercado negro el dólar se paga más de 100 veces más caro que en el mercado oficial. La corrupción vinculada al mercado externo (importaciones fraudulentas con tipo de cambio oficial para fugar divisas) es una fuente de grandes negociados para funcionarios y allegados al chavismo. A su vez, los “bachaqueros” (personas que compran los productos a precios regulados para revenderlos en el mercado negro o destinarlos al contrabando) conforman la capa de “trabajadores de la economía informal” de mayor expansión.
Lógicamente, el clima que se vive en Venezuela es de extrema tensión. Una preocupación central de la oposición burguesa, agrupada en torno a la MUD, es que la bronca social acumulada estalle y se transforme en un movimiento incontrolado. El Gobierno, por su parte, responde a la crisis acentuando el control represivo.
Durante años el chavismo se ocupó de debilitar, dividir y controlar al movimiento obrero, y reprimir a toda vanguardia o movimiento de activistas y dirigentes que llevaran adelante alguna política independiente con respecto al Estado. Listas negras, asesinato de dirigentes sindicales, despidos de obreros no afectos al chavismo, manipulación de elecciones gremiales, fueron algunos de los medios empleados. Pero ahora también limita y ataca la autonomía de la Asamblea Nacional, dominada por la oposición. A lo que se suma el reciente decreto que establece el estado de excepción y emergencia “para derrotar al golpe de Estado”.

lunedì 26 settembre 2016

CHIESA CATTOLICA E POTERE IN ITALIA DOPO IL 1870, di Federico Piccirillo

RELAZIONE PER IL CONVEGNO «IL VATICANO E IL FASCISMO» DEL 21 SETTEMBRE 2016 A ROMA

Il 20 settembre 1870 rappresenta una data epocale per la storia del nostro Paese. Con l'annessione di Roma al Regno d'Italia tramontò lo Stato Pontificio come entità storico-politica e ciò decretò, di conseguenza, la fine del potere temporale dei papi.
Tuttavia, è bene ricordare che la con "breccia di Porta Pia" comparve anche la "questione romana", inerente i rapporti tra il nuovo regno unitario e il Vaticano, sempre pronto a rivendicare un suo presunto diritto all'esercizio del potere su specifici settori ed ambiti della vita politica, socio-economica e culturale del nostro paese.
La "questione romana" troverà risposte nell'atteggiamento conciliante dei governi italiani, dapprima con i Patti Lateranensi del 1929, poi con il Concordato craxiano del 1984, tralasciando i quarant'anni di governo democristiano, a partire dagli inizi del secondo dopoguerra, durante i quali la Chiesa ha quasi sempre trovato nella Dc la propria longa manus politica nel territorio italiano.
Questo ci illumina su quanto sia stato e sia tuttora forte il connubio tra Chiesa e potere. Indubbiamente, l'evento del 20 settembre 1870 ha il merito di aver limitato in gran parte questo connubio.
Il pontefice Giovanni XXIII arrivò persino ad affermare che, a suo avviso, la presa di Roma dovesse essere interpretata come manifestazione della Provvidenza, in quanto l'evento in questione avrebbe reso possibile uno sganciarsi della religione dalla politica.
Il legame tra Chiesa cattolica e potere politico trova le sue radici nella tarda antichità romana, dal momento in cui l'imperatore Costantino con l'Editto di Milano (313 d.C.) non solo riconobbe la libertà di culto ai cristiani elargendo alle loro comunità una serie di beni materiali e di proprietà, ma iniziò anche a includere i vescovi nella burocrazia imperiale. L'operazione politica di Costantino fu molto chiara: ormai il cristianesimo stava diventando la religione più professata; tanto valeva averla come alleata.
Dal canto loro, i cristiani, ormai immemori dell'insegnamento evangelico, avevano capito che la loro opportunità era giunta. Infatti, in un periodo in cui, in seguito all'instabilità determinata dalla crisi economica e dalle invasioni barbariche, la figura carismatica dell'imperatore era indebolita, l'idea di un unico Dio onnipotente e "Signore del cielo e della terra" avrebbe ridato stabilità ai fondamenti del potere politico. Gli stessi cristiani sposavano bene l'idea di un vescovo-capo vicario di Dio con quella di un imperatore sommo detentore del potere politico.

venerdì 23 settembre 2016

PIO XII E LA GERARCHIA VATICANA SAPEVANO…, di Roberto Massari

RELAZIONE (INCOMPLETA) PER IL CONVEGNO «IL VATICANO E IL FASCISMO» DEL 21 SETTEMBRE 2016 A ROMA

1. … che Pio XI aveva deciso di denunciare l'antisemitismo e la politica dei nazisti verso gli ebrei.
2. … che si preparava il «Programma di Eutanasia» contro i disabili gravi e i malati di mente.
3. … che era in atto lo sterminio degli ebrei in Europa.
4. … che si preparava la razzia nel quartiere ebraico di Roma.
5. … che si stava compiendo il massacro delle Fosse Ardeatine.
6. … che in Slovacchia e Croazia allo sterminio collaborava in prima persona la gerarchia cattolica locale.
7. … che se avessero fatto i passi necessari, gran parte di tutto ciò si sarebbe evitato.
8. … che migliaia di criminali nazisti scappavano passando attraverso strutture della Chiesa in Italia e a Roma in particolare.

Questo voto [di pace] l'umanità lo deve alle centinaia di migliaia di
persone le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di
nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo
deperimento.
(Pio XII, messaggio natalizio del 1942, dopo che i Governi alleati
avevano condannato ufficialmente lo sterminio degli ebrei e annunciato
la punizione dei responsabili)

Giorno dopo giorno giungono a nostra conoscenza atti inumani che non
hanno nulla a che vedere con le reali necessità della guerra e che ci
riempiono di stupore e di raccapriccio.
[Lettera di Pio XII (30 aprile 1943) al vescovo di Berlino, Konrad von
Preysing, che lo aveva più volte sollecitato a denunciare apertamente i
crimini del nazismo (Adss, II, pp. 319 sg.)]
[Adss = Actes et documents du Saint Siège relatifs à la Second guerre mondiale]

Le due frasi qui riportate rappresentano la premessa e la sintesi del testo che segue. Esse sono state citate più e più volte nella letteratura a favore o contro il comportamento tenuto da Pio XII nei confronti del nazismo e della persecuzione antiebraica, perché rappresentano il livello più alto di denuncia da lui mai formulato del nazismo e della Shoah. Non esistono dichiarazioni che vadano oltre o che facciano capire più chiaramente a chi o a che cosa Pio XII alludesse. Quelle frasi passarono inosservate all'epoca, ma costituiscono oggi un bruciante atto d'accusa verso il Pontefice che con i suoi silenzi e le sue manovre diplomatiche consentì ai nazisti di togliere la vita a milioni di ebrei e a decine di migliaia di zingari senza che dal Vaticano si levasse una qualsiasi voce ufficiale e autorevole per fermare la mano degli esecutori della Shoah.
Il lettore noterà in entrambe le frasi a) che non sono nominati nemmeno indirettamente o con perifrasi il nazismo e l'antisemitismo; b) che non vengono nominati gli ebrei, le deportazioni e meno che mai i campi di sterminio; c) che il ragionamento (benché molto implicito) ha basi esclusivamente politiche, giacché nel primo caso si tratta di un tentativo di cautelarsi rispetto alle denunce ben più esplicite formulate dalle nazioni alleate che combattevano contro il nazismo; nel secondo caso si cercava di tacitare quei settori del clero europeo e soprattutto statunitense che chiedevano un maggiore impegno contro lo sterminio; d) che entrambe le frasi costituiscono un'ammissione di consapevolezza da parte del Pontefice riguardo al fatto che «centinaia di migliaia di persone» innocenti venivano uccise o deportate, ma anche che il trattamento loro inflitto era «inumano e raccapricciante».
Con queste due frasi, quindi, anche il lettore più sprovveduto ha l'immediata possibilità di stabilire se Pio XII sapesse quanto stava accadendo in Europa ad opera del nazismo e se abbia fatto qualcosa per porre termine a quel genocidio. Ci si potrebbe fermare anche a queste due citazioni, giacché le pagine che seguono servono solo a rimpolpare di dati questa esplicita ammissione di consapevolezza e quindi di tacita corresponsabilità in ciò che il nazismo stava facendo al di fuori delle «reali necessità della guerra».

mercoledì 14 settembre 2016

CAMPESINOS, INDÍGENAS Y AFROS EN RESISTENCIA CONTRA EL PARAMILITARISMO Y LA REPRESIÓN DEL ESTADO EN COLOMBIA, por Sara Leukos

Manifiesto gubernativo
Los campesinos, indígena y afros están en resistencia en el municipio de Arjona -Departamento de Bolívar

El área urbana de dicho municipio ocupa 4.74 Kms y comprende 4 corregimientos que son: Sincerín a 12 Kms de la cabecera, Gambote a 9 Kms de la cabecera, Rocha a 20 Kms de la cabecera y Puerto Badel a 25 Kms de la cabecera y además 6 veredas como son: Jinete, Mapurito, Tigre, San Rafael de la Cruz, Nueva Esperanza e Isla Reges. Con una población de 65.000 mil habitantes aproximadamente, con núcleos de población afrocolombiana, donde se combinan identidades con la población campesina e indígena. Su territorio es de gran producción en ganadería y pesca.

¿Espacios fracturados por el paramilitarismo o remarcados por la represión de Estado?

Hace más de tres meses, 300 familias étnicas: campesinos, afro-descendientes e indígenas, se asentaron con derecho propio al ser despojados de sus tierras al predio denominado “La sorpresa”, perteneciente al Municipio de Arjona, dicho predio que está bajo extinción de dominio de la supuesta propietaria Nilce López, alias “La Gata”, señalada por narcotráfico y fomento de paramilitarismo, quien tiene grandes extensiones de tierra en proceso de extinción de dominio, lo que implica su expropiación.
Dicho predio estaba abandonado desde hace más de 7 años, la comunidad de campesinos, afros e indígenas se asentaron en dicho territorio, debido al despojo de sus tierras e imposición de la violencia por más de cinco décadas en el departamento de Bolívar, donde el Estado no ha resuelto absolutamente nada. La comunidad desde su propia iniciativa emprende y continua su camino de recuperar su plan de vida, se propuso cultivar maíz, yuca y plátano y la construcción de soportes como vivienda para vivir.
Los campesinos viven una verdadera pesadilla de gran influencia del gamonalismo al mando de Nilce López, alias “La Gata”, señalada de narcotráfico y financiar el paramilitarismo en el departamento de Bolivar, como la presencia y persecución por parte del senador Fernando Nicolás Araújo Rumié, del partido de extrema derecha Centro Democrático, bajo la dirección de Alvaro Uribe Vélez y la alcaldesa de Arjona Ester María Jalilie del partido Cambio Radical, quienes se oponen a los reclamos de tierras de la comunidad de campesinos de Arjona. Se destaca que el senador Araújo trata a los campesinos de “La Sorpresa” de “guerrilleros” y “cuatreros” en un lenguaje irrespetuoso, pretendiendo desdibujar sus relaciones y sus derechos, siendo tendencioso en su agresión verbal, bajo marcartizaciones, y no asumiendo que el país, por lo menos, está en vías a una posible paz. La violencia impuesta no solo en el lenguaje, sino bajo acciones represivas, desconociéndose los derechos colectivos de las comunidades étnicas de “La Sorpresa”.

venerdì 9 settembre 2016

NÉ TORINO NÉ MILANO: TORNIAMO ALL'AMORE PER I LIBRI, di Roberto Massari (Massari editore)

Ci sembra utile e opportuno rilanciare sul blog le parole con cui Roberto Massari - in questo caso l'EDITORE - ha risposto al questionario sul Salone del Libro propostogli dal giornalista Gaetano Farina, con la speranza di poterle pubblicare su alcune testate on-line collegate a quest'ultimo (Affari Italiani, Linkiesta, Articolo 21 e Prima Comunicazione), ma anche su quotidiani come La Stampa, la Repubblica o Il Fatto Quotidiano.
La risposta è lapidaria e offre uno spaccato di come la società dello spettacolo abbia trasformato e modificato geneticamente manifestazioni «culturali» come il Salone del Libro.
Del medesimo autore e sugli stessi argomenti si veda anche, in questo sito, il saggio «Contro l'editoria o editoria contro?». [la Redazione]

Dalle «stelle»…
1) Non parteciperò al Salone di Torino, né a quello di Milano perché anche questo difficilmente riuscirà ad eliminare gli aspetti più orrendi di quello di Torino. Sono entrambi figli della società dello spettacolo (per giunta italiana) e devono quindi sottostare alle sue regole. Non si vede perché un salone del libro - nell'Italia attuale e con il panorama indecente di forze politiche che la dominano - dovrebbe sfuggire alle regole della società spettacolare di massa (dominio televisivo sui libri, grandi celebrità come specchietto per le allodole, ricerca ossessiva di guadagno sul posto ecc.).
2) Come editore ho partecipato con un mio stand al Festival di Torino nel 1995 e nel 1996. Poi non ci ho più messo piede dopo aver visto che a) i grandi editori usavano il loro stand come un supermercato del libro, con tanto di cassa contabile per incamerare guadagni impensabili per una qualunque loro normale libreria. b) Le grandi presentazioni che attiravano pubblico erano sempre con personaggi celebri in campo televisivo, anche se in genere inadeguati culturalmente per il campo teorico sfiorato dal loro libro.
3) Per 12 anni ho partecipato con un mio stand al Più Libri più Liberi di Roma, perché mi sembrava che il punto a) non vi avesse preso piede. Finché mi sono reso conto che invece il punto b) era più vivo che mai. E quindi mi sono tirato via anche di lì. Mi rimane un certo affetto e stima ancora per il Pisa Book Festival, dove vado ogni anno dagli inizi. Non mi perdo invece le fiere locali (piccole o piccolissime), quando lo stand è gratuito e trovo il tempo per andarci.
4) Prima di abbandonare Torino feci una prima proposta (tramite Antonio Monaco, sempiterno rappresentante dei Piccoli editori, con cui all'epoca ero in ottimi rapporti), e cioè che il costo dell'unità di spazio degli stand fosse proporzionale all'incasso realizzato dagli editori nell'anno precedente. Insomma, arrivare a quasi zero per i piccoli editori e moltiplicare alla grande il costo per i grandi editori. Sarebbe del resto questo l'unico modo per non far gravare sui piccoli editori (che i soldi ce li perdono) il costo dei guadagni che realizzano i grandi editori nel corso della Fiera. Fu inoltrata la mia proposta a chi di dovere e poi mi fu detto che Guido Accornero l'aveva ripagata di un sorrisetto. In fondo quel sorrisetto valeva più di mille parole.

giovedì 8 settembre 2016

JOSÉ VICENTE SCORZA: UN CIENTÍFICO QUIJOTESCO CON MADERA REVOLUCIONARIA, por José R. López Padrino (Ruptura/Utopía Tercer Camino)

Recientemente falleció José Vicente Scorza, un extraordinario investigador de reconocida trayectoria nacional e internacional, autor de numerosas publicaciones científicas en revistas nacionales e internacionales. Condecorado y galardonado por su trayectoria docente y científica por diversas organizaciones gubernamentales y académicas. Fue el fundador de la Sociedad de Parasitología Venezolana, el primer director de la Escuela de Biología y primer Decano electo de la Facultad de Ciencias de la Universidad Central de Venezuela (1959-1960). Años más tarde se desempeñó como Decano de la Facultad de Ciencias de la Universidad de los Andes (1972-1974) y como investigador-docente del Centro Trujillano de Investigaciones Parasitológicas “José Witremundo Torrealba”.
Pero Scorza no fue tan solo un extraordinario docente-investigador, sino además un luchador social, un constructor de sueños, un militante revolucionario, quien inició su vida política a muy temprana edad en las filas del Partido Comunista de Venezuela durante la dictadura de Pérez Jiménez. Años más tarde, consecuente con sus convicciones revolucionarias se incorpora a las Fuerzas Armadas de Liberación Nacional (FALN). Fue arrestado y torturado después de participar en una operación de rescate de un camarada detenido en la ciudad de Caracas. Posteriormente fue enviado a la Cárcel Modelo de Caracas, donde permaneció recluido por dos años (1965-1967). Concluida su condena, viajó a Inglaterra para culminar sus estudios doctorales en la Escuela de Higiene y Medicina Tropical de Londres.
Conocí “formalmente” a José Vicente en una reunión convocada a raíz de la expulsión de unos estudiantes de la Facultad de Medicina de la Universidad de Los Andes (ULA). Los estudiantes habían decidido ir a paro ante la intransigencia y negativa de las autoridades universitarias por reincorporar a los estudiantes sancionados. Al ver José Vicente me vino a la memoria la imagen del camarada “Roberto” a quien había conocido años atrás al calor de la lucha revolucionaria. Eran los tiempos en que pretendimos infructuosamente tomar el cielo por asalto. “Roberto” no había cambiado mayormente su aspecto físico y su forma llana, coloquial y directa al hablar eran las mismas. Recuerdo que José Vicente fue uno de los pocos profesores de la ULA que mantuvo una posición solidaria con los estudiantes expulsados y que incluso llegó a participar activamente en las asambleas estudiantiles en donde solía expresar sus puntos de vista. Ese día había conocido formalmente a “Roberto”, a José Vicente Scorza, un cabal militante revolucionario y extraordinario docente-investigador.

mercoledì 7 settembre 2016

STATO E NAZIONE NEL VICINO ORIENTE, di Pier Francesco Zarcone

L'IMPERIALISMO FRANCO-BRITANNICO E IL CAOS ODIERNO

Per capire in qualche modo l'attuale caos nel Vicino Oriente bisogna risalire ai primi degli anni '20 del secolo scorso, quando dopo la Grande Guerra alcuni politici occidentali (Lloyd George, Clemenceau, Churchill) ridisegnarono la mappa di quella parte di mondo. Giustamente si dice che crearono degli Stati artificiali; tuttavia questa caratteristica viene meglio espressa dal concetto di "comunità immaginate", cioè carenti di storia nella loro forma attuale (con una certa eccezione per la Siria): per esempio, la storia della Mesopotamia non è la stessa cosa della storia dell'Iraq.
In relazione a questo non è casuale che oggi nel Vicino Oriente non manchino quanti collocano la cosiddetta "rivolta araba" dello Sharif hashimita della Mecca, Husayn, dei suoi figli Faysal e Abd Allah e di T.E. Lawrence, tra le cause prime delle attuali disgrazie. Infatti la proposta ricevuta da Gran Bretagna e Francia per appoggiare una rivolta araba contro gli Ottomani e poi costituire uno Stato arabo indipendente fece intendere agli Alleati che esistesse un nazionalismo arabo da loro sfruttabile. È nota la successiva sequenza di illusioni e tradimenti imputabili a Londra e Parigi, ma quel convincimento rimase, al di là dei differenti modi di procedere di ciascuna delle due potenze: la Gran Bretagna in qualche modo cercò di "salvare capra e cavoli", cioè di realizzare i propri interessi imperialistici mediante la creazione di entità statuali arabe, sottoposte al suo controllo indiretto; mentre la Francia preferì il controllo diretto sulla Siria, frantumandola nella Siria attuale e nel Libano. L'obiettivo di entrambe le due potenze rimase quello di condurre all'indipendenza formale entità statuali adeguatamente plasmate e ammorbidite.
Per quanto riguarda l'intervento della Gran Bretagna, avendo come presupposto - errato - l'esistenza di un diffuso nazionalismo arabo, la sua azione imperialistica fu accompagnata dall'illusione che fosse sufficiente aver costituito tre nuovi Stati arabi dalla disgregazione ottomana: Higiaz, Transgiordania, Iraq (il primo sarebbe stato ben presto annesso ai domini di Abd al-Aziz ibn Saud, cioè all'odierna Arabia Saudita). La situazione nel Vicino Oriente e le sue dinamiche - in realtà ignorate dai britannici - erano assai più complesse, e le difficoltà cominciarono subito.
Nonostante le illusioni britanniche, il nazionalismo arabo era l'ideologia di una minoranza di intellettuali urbani non radicati nelle masse, con una non secondaria presenza di Arabi cristiani: non averlo capito fece ritenere (sbagliando) che la Nazione potesse prevalere - per sua forza unificante - sulle religioni, sulle etnie, sulle tribù. La storia avrebbe dimostrato il contrario. In realtà l'unica componente del Vicino Oriente in cui sulla religione possa prevalere il dato linguistico (insieme a quello etnico) è la popolazione curda.
Eppure avrebbe dovuto costituire un campanello d'allarme il dato quantitativo (molto scarso e a pagamento) della partecipazione araba alla ribellione antiottomana (significativa diserzione di truppe non ve ne fu, e solo alcuni ufficiali arabi prigionieri aderirono alla rivolta) e la sua effettiva incidenza militare che, pur includendovi la presa di Aqaba, si ridusse a qualche azione di guerriglia e di sabotaggio, tutto sommato ininfluente sullo sforzo bellico alleato nel fronte del Sinai. (Se si sfugge alle rodomontate di T.E. Lawrence, salta all'occhio che i ribelli arabi nemmeno riuscirono a prendere Medina - tenuta dalle truppe ottomane fin dopo la cessazione delle ostilità - e che il loro ingresso a Damasco prima delle truppe alleate fu dovuto solo alla sensibilità politica del generale Allenby, che scelse di inebriare gli irregolari hashimiti col solo fumo di un "arrosto" che non arrivarono a mangiare.) In definitiva, tenuto conto delle proporzioni, sarebbe meglio parlare di "rivolta hashimita", e basta.

giovedì 1 settembre 2016

77 ANNI DA QUANDO HITLER E STALIN ALLEATI DIEDERO INIZIO ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE: ATTUALITÀ POLITICA E PROBLEMI STORIOGRAFICI E TEORICI DEL PATTO NAZI-SOVIETICO, di Michele Nobile

Nella notte del 23 agosto 1939 la Germania nazista e l'Unione Sovietica firmarono un Patto di non aggressione con il quale
«Le due parti contraenti s'impegnano ad astenersi da ogni atto di violenza, da ogni atteggiamento aggressivo e da ogni attacco contro l'altra parte, e questo sia da sole sia assieme ad altre potenze»1.
Così, nell'imminenza dell'aggressione nazista alla Polonia, Stalin si impegnò per dieci anni a intrattenere relazioni pacifiche e amichevoli con il Terzo Reich. Noto come patto Molotov-Ribbentrop, preferisco indicare il trattato del 23 agosto 1939 fra Germania e Unione Sovietica come patto fra Hitler e Stalin, perché questa denominazione rende meglio la sostanza dell'accordo e ben altra è la risonanza emotiva e politica suscitata dall'associazione di quei due nomi.
Al patto era allegato un Protocollo segreto. Nel poscritto alla bozza di trattato di non aggressione trasmessa il 19 agosto da Vjačeslav Michajlovič Molotov - presidente del governo sovietico, il Sovnarkom, e ministro degli Esteri – all'ambasciatore tedesco Friedrich-Werner von der Schulenburg, si specificava che il trattato sarebbe entrato in vigore «soltanto con la firma simultanea di un Protocollo speciale, includente i punti d'interesse delle parti contraenti nell'ambito della politica estera. Il Protocollo sarà parte integrante del Patto»2.
Il poscritto di Molotov fornisce l'interpretazione autentica dell'accordo con Hitler: Protocollo e Patto sono inseparabili. È importantissimo prendere nota di questo fatto perché quella della separabilità o meno del Patto e del Protocollo è ancora oggi questione politicamente scottante. L'affermazione di Molotov è pure indispensabile per comprendere il motivo che spinse Stalin ad accordarsi con Hitler e per stabilire quando venne presa questa decisione a Mosca.
Il Protocollo è inseparabile dal Patto perché ne fu la condizione e la sostanza: fu la disponibilità nazista a concordare con la dirigenza sovietica le sfere d'interesse tra Polonia e Baltico e fino al Mar Nero che convinse Stalin a firmare un patto di non-aggressione con Hitler. Il primo articolo del Protocollo segreto recita infatti che
«Nel caso di una nuova sistemazione politico-territoriale nell'area degli Stati baltici (Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania), il confine settentrionale della Lituania segnerà il limite tra la sfera d'influenza della Germania e quella dell'Urss; col che le due parti riconosceranno che il territorio di Vilna rientra nella sfera d'interesse della Lituania».
Il secondo articolo stabilì che «nel caso di una nuova sistemazione politico-territoriale nell'area dello Stato polacco, le sfere d'influenza della Germania e dell'Urss saranno definite all'incirca dalla linea dei fiumi Narew, Vistola e San». Le parti contraenti decisero di rimandare al corso «degli ulteriori sviluppi politici» il problema del «mantenimento di uno Stato polacco indipendente». Infine, l'Unione Sovietica faceva presente di avere interessi in Bessarabia e la Germania dichiarava di non avere alcun interesse politico in questa zona»3.