A CHI PUÒ INTERESSARE: Serena Campani è un'insegnante di lettere presso la Scuola media di Ponte a Egola (fraz. di S. Miniato-Pisa). Ad aprile aveva scritto una recensione al volumetto di Massari - Multiversi. Mezzo secolo di poesie (2012) - che ha avuto un'accoglienza molto positiva e un'ampia circolazione in Rete. La riportiamo di seguito.
Ma Serena ha coinvolto nella lettura delle poesie anche i ragazzi e le ragazze della sua classe di Terza media, realizzando un interessante esperimento didattico. L'attenzione si è concentrata sulla poesia dedicata da Massari alla sua visita ad Auschwitz (agosto del 1966, appresso riportata) e in classe sono state redatte delle domande alle quali Massari è stato ben felice di rispondere.
Ecco di seguito i passaggi di questa bella vicenda. [la Redazione]
LA RICHIESTA DI SERENA CAMPANI:
Caro Roberto,
con i miei alunni della Terza B abbiamo letto e provato ad analizzare la tua poesia su Auschwitz. I ragazzi si sono molto appassionati e hanno scritto delle domande per te. Te le invio in allegato. Se vorrai rispondere, anche solo ad alcune di esse, te ne sarò grata.
A presto,
Serena (19/05/2016)
LA RISPOSTA DI ROBERTO MASSARI:
Carissimi/e amici e amiche della Terza B di Ponte a Egola,
ho un figlio di dodici anni che fa la prima media e quindi ho una ragione in più per rispondere alle vostre belle domande:
1. PROVA ANCORA LE EMOZIONI CHE PROVAVA QUANDO HA SCRITTO LA POESIA?
Sì, intensamente come allora. La differenza è nella mia preparazione teorica che oggi è decine di volte più ampia. Quindi l'emozione attuale non è attenuata, ma è amplificata dalla maggiore consapevolezza storico-teorica. Forse dovrei parlare di un tipo diverso di emozione, fatta di sentimento e di ragionamento allo stesso tempo.
2. SI RITIENE UN POETA ERMETICO?
No, anche se da ragazzo volevo un po' scimmiottare l'ermetismo. Se uno legge il mio libro di poesie partendo dalla fine (cioè da quando avevo 15 anni) si accorge che agli inizi usavo il verso libero e poi poco a poco, col passare del tempo, sono passato all'endecasillabo, alle rime e addirittura a composizioni con la struttura più o meno classica del sonetto. In genere per i poeti accade l'inverso. Ma io non mi considero un poeta, bensì uno che ha scritto delle poesie in momenti particolari della sua vita.
3. COSA SIGNIFICANO I NOMI NELLA PENULTIMA STROFA?
Sono per lo più lager di altri paesi e regimi politici: Marsa Brega, lager italiano in Cirenaica (Libia) e Nocra (lager italiano in Eritrea); Goli Otok (tremendo lager titoista antitaliano nel mare Adriatico jugoslavo); Birkenau, Treblinka, Dachau, lager nazisti; Katyn (in Polonia), dove i sovietici uccisero più di 14.000 ufficiali e sottoufficiali polacchi, all'epoca dell'alleanza con Hitler e della spartizione della Polonia; Yol (nel Nord dell'India), campo di prigionia inglese per i soldati tedeschi nella Prima guerra mondiale e italiani nella Seconda; Sétif (in Algeria), sede di un tristemente celebre massacro da parte dei francesi nel 1945; Wounded Knee non è una riserva dei Nativi americani, ma sta a simboleggiarle, essendo stato il luogo del feroce massacro del 1890 con cui si considera chiusa la resistenza dei Nativi negli Usa; Vorkuta e Kolyma, forse i più celebri lager del gulag sovietico.
Con mio sommo rincrescimento dimenticai di includere il genocidio degli Armeni da parte dei Turchi nel 1915-17: ma è probabile che all'epoca ignorassi questa drammatica vicenda sulla quale è gravato a lungo il silenzio per complicità di quasi tutti i Paesi europei (Italia inclusa) col governo turco, fedele alleato della Nato. Oggi inserirei a pieno titolo tale genocidio simbolizzato dal campo di prigionia di Mezireh o dalle esecuzioni di Aleppo.
4. COSA L'HA SPINTO A DIVENTARE UN POETA E A SCRIVERE QUESTA POESIA?
Come già detto, non sono un poeta, ma semplicemente scrivo poesie. Questa poesia nacque dall'emozione della visita ad Auschwitz nell'agosto del 1966. Ci sono altri momenti emozionanti della mia vita in cui ho scritto una o due poesie e momenti in cui non l'ho fatto. Rimpiango molto il non averlo fatto nei secondi casi.
5. PERCHÉ METTE I PUNTINI DI SOSPENSIONE ALLA FINE DELLA POESIA?
Perché da quei tre puntini inizia una nuova fase della mia vita, come dirò rispondendo alla domanda numero 12.
6. QUALI EMOZIONI HA PROVATO VISITANDO I CAMPI DI STERMINIO? QUALE SENSAZIONE PREDOMINA?
A questa domanda deve rispondere la poesia, altrimenti dovrei elaborare un articolo a carattere storiografico e politico. Non ho comunque visitato altri lager nella mia vita. Sono stato però in una Riserva indiana in New Mexico e ho visitato dei carceri più o meno celebri (per es. quello in disuso di Ushuaia alla fine delle Terra del Fuoco, in Argentina). Ancora nell'attualità mi reco periodicamente a visitare un detenuto (brigatista abbastanza celebre e non pentito e quindi condannato all'ergastolo) nel carcere speciale di Xyz. È un'esperienza che mi serve e che mi costringe a pensare al mondo degli esclusi.
7. LEI DICE CHE LA PAROLA AUSCHWITZ RIMBOMBA NELLA MENTE DI CHI SI VORREBBE ANGELO VENDICATORE. LEI SI CONSIDERA UNO DI QUESTI? SE SÌ COSA VORREBBE AVER FATTO O FARE OGGI?
Sicuramente sono animato da sentimenti anche di vendetta. Non si dimentichi che mio nonno materno è stato assassinato dai nazisti alle Fosse Ardeatine e che questa cosa ha molto influito sulla mia formazione fin da bambino. Un pochettino questo spirito di vendetta mi anima al momento, avendo convocato per il 20 settembre a Roma un convegno internazionale che denunci la collaborazione del Vaticano (Pio XII) col nazismo. Io sono uno di quei Romani che non hanno mai perdonato Pio XII per aver taciuto mentre i nazisti preparavano le Fosse Ardeatine e anche il rastrellamento del Ghetto (più di mille ebrei romani trasportati nei lager e mai più tornati). Sento che la vendetta ancora mi anima e non riesco a dire a me stesso che ciò non è bene. Anzi, mi chiedo addirittura se sia vero che non è bene. Problema intimo complicatissimo. Ma rinviamo alla domanda numero 12.
8. CHE COSA HA PROVATO A DESCRIVERE IL LAGER?
La mia non è una descrizione del lager, ma un'evocazione. A caldo ricordavo quasi tutto di quella visita, ma è stupefacente come certe immagini siano ancor oggi vive nella mia memoria. Si tenga conto che all'epoca Auschwitz non era una meta turistica, eravamo pochi visitatori e tutto era rimasto più o meno come prima (cioè come vent'anni prima). In più non avevo ancora visto film sui lager, quindi per me era veramente la prima volta. Oggi è impossibile incontrare un giovane che non abbia visto almeno un film sul mondo dei lager - per es. La vita è bella di Roberto Benigni [ripresa in gran parte da uno dei primi libri che pubblicai nella mia casa editrice: Il bambino di Buchenwald, nel 1989]. In quella visita si poteva vedere un filmato con immagini del lager funzionante (sarà così sicuramente ancora oggi) e anche ciò contribuiva a creare uno stato d'animo di esaltazione drammatica.
9. MA QUANDO DICE CHE DOBBIAMO RACCONTARE, QUESTO «NOI» SI RIFERISCE AI POETI O ALLA COMUNITÀ?
L'unico «noi» che compare nella poesia è alla sesta strofa. Non c'è un invito a raccontare, in quel noi, ma una denuncia di una qualche corresponsabilità morale collettiva (di una comunità non meglio definita). E questo perché ognuno denuncia i lager di quello che si considera il nemico e assolve i lager di chi considera amici. Qui la questione di fondo è che nel mondo della sinistra si cresce denunciando i 6 milioni di ebrei morti nei lager nazisti, ma si assolve o si tace sui circa 25 milioni di appartenenti ai popoli sovietici morti nei lager staliniani o (aggiungo a partire dal 1968-69, perché all'epoca non lo sapevo) i circa 75 milioni di cinesi sterminati dal governo maoista: molti, anche in quel caso, all'interno di lager feroci.
Col tempo sono arrivato a considerare questa come la questione delle questioni: un mondo di sinistra che condanna i lager nazisti, ma tace o assolve quelli stalinisti, non ha nessuna superiorità morale rispetto al nazismo e comunque non potrà mai aprire nuovi orizzonti all'umanità. Lo penso da allora e il tempo purtroppo mi ha dato ragione. Per questo insisto ormai da decenni sulla questione etica. La sinistra italiana e mondiale è eticamente colpevole. Ovviamente lo è anche la destra, ma la destra lo è per definizione (diciamo che lo è geneticamente). Ma qui si torna a quel «noi»: col noi si intendeva l'opinione democratica e di sinistra dalla quale io mi sono dissociato e ho preso le distanze da molti decenni.
10. COSA PROVA VEDENDO LE GRAVISSIME SITUAZIONI DI OGGI NEL MONDO? (CAMPI PROFUGHI…)
Non mi viene spontaneo di fare il paragone, in senso emotivo ma nemmeno storiografico, teorico. I campi profughi di oggi non sono paragonabili ai campi o alle situazioni di sterminio che sono variamente elencati nella mia poesia. La poesia non è stata scritta riflettendo sulle tragedie della fame, della povertà o della sopraffazione in genere: è dedicata ai lager e ai genocidi. Che sono forme «superiori» di crudeltà, come del resto tende ormai a confermare in forma via via crescente anche la legislazione internazionale. Il crimine di «genocidio» fu istituito dalle Nazioni Unite nel 1946 (l'anno in cui io nacqui e vent'anni prima della mia visita).
11. È RIUSCITO VERAMENTE AD ESPRIMERE NELLA POESIA TUTTO QUELLO CHE HA PROVATO, VISTANDO I LAGER, OPPURE MOLTE COSE SONO STATE DIFFICILI DA ESPRIMERE?
La poesia è uno strano strumento (o una strana arma in certi casi): per sua natura linguistica dice molto poco, pochissimo, forse un millesimo di ciò che sarebbe contenuto in un normale articolo. Per questo guai a chi vede la poesia (ma anche un quadro, un film, una musica) come un sostituto dell'indagine, dell'analisi o della spiegazione storiografica. Le due cose non vanno nemmeno paragonate.
La poesia non dice, ma evoca. Ed è da questo punto di vista che essa può allargare l'orizzonte anche mille volte più dell'articolo. Anzi, la poesia può toccare àmbiti negati all'articolo (come per es. le emozioni, la extratemporalità, l'universalità, il surreale). È quanto accade con la mia poesia che con qualche centinaio di parole riesce a far intuire come fosse Auschwitz al suo interno, a come siano esistiti altri lager non nazisti, a come sia ampio lo spetto geografico e storiografico del fenomeno lager-genocidio, a come ci si può rapportare rispetto a tali tragedie, con per giunta un'esortazione morale alla fine. Tantissimo, se ci si pensa, e comunque molto più di quanto avrei potuto fare con un singolo articolo. Ma questo dipende anche dal nesso che si stabilisce tra parole, versi e immagini (mentali e non fotografiche).
12. QUAL È LA PRIMA COSA CHE HA FATTO QUANDO È TORNATO DAI CAMPI DI STERMINIO?
Risposta facile perché storicamente accertabile. Tornai a Roma e in autunno [1966] chiesi di formalizzare il mio ingresso nella Quarta internazionale (l'organizzazione rivoluzionaria fondata da Trotsky e che è stata l'unica organizzazione internazionale nel mondo che ha lottato contemporaneamente contro il nazismo e contro lo stalinismo). In realtà ero in contatto con la Quarta da un paio di anni (mia sorella ne faceva parte dal 1961). Ma la decisione di entrare a farne parte ha cambiato radicalmente la mia vita. Quest'anno, in autunno, sarà il 50º anniversario della mia entrata nel movimento rivoluzionario mondiale.
La seconda cosa che feci fu di andare in un kibbutz israeliano. Qui sarebbe lungo spiegare cosa fossero i kibbutzim. Ma all'epoca erano un mito forte per noi giovani, visto che si pensava che lì fosse realizzato il socialismo utopistico.
Io ero animato da quattro motivazioni forti: a) la prima era che mi sentivo in un certo senso in dovere di espiare il senso di colpa con cui ero uscito da Auschwitz (in fondo m'incolpavo di non aver fatto niente fino a quel momento per impedire che cose come Auschwitz non si ripetessero); b) la seconda era un forte senso di solidarietà con gli ebrei in quanto vittime del nazismo e la cosa era radicata in me perché fin da piccolo, nel «culto» di mio nonno alle Ardeatine mi trovavo affiancato e affratellato con ebrei romani; c) la terza era di tipo politico (volevo toccare con mano questo presunto socialismo israeliano dei kibbutzim, intravisto anche nel film Exodus); d) la quarta era di tipo professionale (poiché avevo deciso di diventare un sociologo, volevo misurarmi per la prima volta in vita mia con un «fenomeno» sociologico»).
Ed effettivamente al ritorno scrissi il mio primo saggio di sociologia dedicato ai kibbutzim, che comparve in una rivista di Agraria (che mi diede anche un piccolo compenso monetario da me non previsto). Cominciava di lì la mia vita di saggista, che per fortuna è ancora in corso. Nella scelta del kibbutz fui aiutato da un'organizzazione della sinistra israeliana alla quale avevo presentato le mie credenziali in quanto studente di sociologia attivo in una ricerca del celebre Franco Ferrarotti, mio professore all'università e ancora vivo.
13. VISTO CHE ALCUNI DI NOI FARANNO A BREVE QUESTO VIAGGIO, QUESTA VISITA CAMBIA TANTO LE PERSONE?
E come faccio a saperlo? Ogni giorno vanno centinaia di persone (migliaia considerando gli altri lager visitabili nel mondo) a visitare Auschwitz. Ma non mi pare che ogni giorno affluiscano migliaia e nemmeno centinaia di persone al movimento rivoluzionario internazionale. Ma non affluiscono nemmeno ad associazioni od organizzazioni di volontariato che magari non saranno rivoluzionarie, ma qualcosa di buono vogliono fare nel mondo (per prima mi viene alla mente Emergency). C'è ormai un'assuefazione ai crimini sociali che passa attraverso i partiti politici, le competizioni elettorali vissute come campionati di calcio e soprattutto attraverso i meccanismi della società dello spettacolo. Tema vastissimo da affrontare prima o poi.
In fondo credo che ognuno cambia solo se decide di cambiare. Altrimenti l'esperienza viene rimossa e appena tornato in patria ci si dedica nuovamente alla poco nobile arte del «meno peggio» (che è ciò che da anni domina l'orizzonte della ex sinistra italiana). Io sono solito dire che si trova facilmente nel gruppo dirigente nazista uno che è un po' meno crudele di Hitler, quindi «meglio» di Hitler e quindi da appoggiare secondo la filosofia del «meno peggio». Questa forse è la cosa su cui vale la pena di riflettere: l'orrore di Auschwitz è talmente grande, che tutto ciò che non è Auschwitz (o Vorkuta o Marsa Brega ecc.) rischia di essere accettato da noi per il semplice fatto che è «meglio» di Auschwitz. Qui però si vedono tutti i limiti di chi agisce mosso solo dal cuore e dall'emotività. Se interviene la ragione (e con essa la formazione teorica, storiografica in questo caso), si può forse sperare di agire come soggetto consapevole che decide e si comporta in accordo a determinati ideali: questo soggetto ha il dovere di dire che al 100% di crudeltà di Auschwitz va contrapposto il 100% di purezza degli ideali e non il 95% o il 65% o il 15% di connivenza e corresponsabilità. Altrimenti si rientra o si rimane (nel caso degli adulti) nella massa informe dell'ipocrisia generalizzata di massa, nel gregge che fa da base al sistema di potere (a tutti i sistemi di potere, grandi o piccoli), quello stesso sistema da cui nacquero Auschwitz, Vorkuta ecc. e da cui continuano a nascere tutti gli odierni crimini sociali e politici variamente intesi.
Spero di aver soddisfatto almeno in parte le vostre richieste.
I miei complimenti per come avete elaborato le domande e speriamo di conoscerci un giorno (per es. a novembre, quando sarò con uno stand al Pisa Book Festival).
Un abbraccio,
Roberto
AUSCHWITZ/OSWIENCIM, di Roberto Massari
Auschwitz, lager di morte,
sarà possibile ancòra comporre versi
dopo aver vagato al tuo interno?
che poesia può vincere il tuo inferno?
che poesia dovrà fuoriuscire?
o forse potrà solo dai fiori uscire…
Se non saranno versi fioriuscenti
che almeno siano fosforescenti
e in fiammelle possano levarsi
intrecciati nella bruma
testimoni di notti senza luna,
di giornate senza sole,
tenebre senza bagliori,
baracche senza colori,
corridoi senza fine
vagoni e trasporti senza nome.
Ma il tuo risuona: Auschwitz/Oswiencim…
Con fragore rimbomba nella mente
e nei cuori di chi non è complice,
di chi non accetta e non si placa,
di chi si vorrebbe angelo vindice
o alla tua memoria si consacra.
Assorte e mute foto del martirio
lungo pareti in cupo corridoio
ti guardano negli occhi fissamente.
Sembran nate da lampi di delirio
o fuoruscite da interrogatorio.
Solo anonime presenze, fiere
di nulla chiedere od esigere,
per l'istante in cui posson rivivere
davanti al tuo sguardo altère, austere:
fratelli e sorelle in pura umanità,
vite recise da organizzazione
efferata in tecnica e crudeltà.
Filmati d'epoca nel nudo stanzone,
lampi di vita rifluita a gocce
documentari di pochi minuti,
giacigli di legno, forni e docce…
testimonianze dei sopravvissuti.
Ma sopravvissuti siam noi in eterno
che condanniamo gli orrori qui emersi
e altri lager copriamo all'esterno
purché abbiano colori diversi,
meglio se opposti e «giustificati»:
e questo perché fin da tempo antico
maledetti o ingiusti son chiamati
soltanto i lager del nostro nemico.
Marsa Brega, Goli Otok, Birkenau,
Katyn, Yol, Sétif, Wounded Knee, Vorkuta,
Nocra, Kolyma, Treblinka, Dachau.
Massacri e lager da lista incompiuta,
che il vostro nome e ricordo rimbombi
nel libro dei secoli. Non sia vano
tanto martirio… che serva d'avviso…
che in tanto baratro non si ripiombi…
mai più barbarie… mai più disumano…
ecco… perché vorrei aver deciso…
a Oswiencim, in questo angolo misero,
dove l'Arbeit non può farti libero
che mai più…
Ad Auschwitz, fine agosto 1966
«EBBI PAURA E ME LO DISSI ANCHE». PER UNA LETTURA DELLE POESIE DI ROBERTO MASSARI, di Serena Campani
Roberto Massari, Multiversi. Mezzo secolo di poesie, con presentazione di Enzo Valls, Bolsena (VT), Massari editore, 2012, pp. 128, € 10
È un cammino a ritroso quello che ci propone Roberto Massari in questa antologia poetica. Un viaggio dal presente al passato, attraverso 50 anni della vita di un uomo, intellettuale e poeta, fortemente legato alle vicende storiche e politiche del nostro Paese, e non solo.
Vi è poi tutta la dimensione umana, oserei dire quasi «sentimentale» e personale, nel ricordo - a tratti nostalgico - di amori perduti, quasi un rimprovero al tempo, che «corre troppo velocemente».
La raccolta si compone di cinque sezioni, e si apre con una brillante presentazione di Enzo Valls - scrittore argentino e amico personale di Roberto - che introduce il lettore con sapienza e maestria alla scoperta del talentuoso poeta, definito «una scatola di sorprese».
Versi assai raffinati quelli di Massari, costellati di riferimenti classici e mitici, ma al contempo caratterizzati da momenti viscerali e, a tratti, comici, come nella poesia Ar cellulare, scritta in romanesco e dedicata a una bella donna che non risponde al telefono (sic!).
Molteplici le tematiche affrontate, dalla storia alla mitologia, dall'amore alla politica - che poi è anche amore per la politica - di cui ne è un toccante esempio la poesia Per un guerrigliero scritta in onore della morte di Guevara, nell'ottobre del 1967, evento molto sentito da Massari, che è anche il presidente della Fondazione Guevara e dirige il blog Utopia Rossa.
«Nonnino caro…» con queste parole comincia poi la struggente poesia dedicata al nonno materno, morto nella strage delle Fosse Ardeatine, storia narrata da Giuseppe Mogavero - sempre per le edizioni Massari - Un ebanista alle Fosse Ardeatine. Otello di Peppe d'Alcide (1890-1944). Con toni familiari Roberto si rivolge al nonno passando in rassegna con tono critico, di denuncia e mai giustificatorio «i crimini nazisti/insieme a quelli stalinisti».
Suggestivo il linguaggio, mai scontato, mai banale, ricco di commistioni tra l'aulico e il popolare, un universo linguistico variegato dall'utilizzo dell'inglese, dello spagnolo e di altre lingue ancora. Una geografia letteraria che ti fa viaggiare con l'autore da Bolsena a Cuba, dai paesi dell'Est europeo a Capo Nord e oltre, e che denota una visione del viaggio come insuperabile strumento di conoscenza e d'incontro con l'altro.
Un libro che in un breve spazio ci presenta il multiforme universo di Massari, che colpisce il lettore nella sua più personale sensibilità.
Due le mie poesie preferite: Auschwitz/Oswiencim, composta dopo aver visitato il «lager di morte», nella quale si coglie l'urgenza di raccontare che provano coloro che intraprendono quel viaggio, e Nell'intervallo del secondo tempo, una metafora teatrale che rende non scontata la possibilità di «un finale aggiunto» nella vita di ciascuno di noi.
Impreziosiscono il volume alcuni dipinti del poeta, che si presenta come artista completo e in perenne evoluzione, e alcuni spartiti musicali, anche questi frutto della sua variegata maestria.
Casciana Terme, 26 aprile 2016
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