In occasione del 48º anniversario della morte di Ernesto Guevara, pubblichiamo un breve saggio dedicato al Comandante «Daniel», con cui il Che ebbe modo di polemizzare durante la vicenda insurrezionale cubana: auspichiamo così di dare il nostro piccolo «colpo di scalpello» alla leggenda, ancora tanto diffusa, di un Guevara dalle idee granitiche e marmorizzate, che mai sarebbero cambiate nel corso della sua vita di rivoluzionario - alla stregua di un burocrate brežneviano. Tante esperienze, prese di coscienza, delusioni politiche e letture rivelatrici dividono infatti il Che del 1957 dal «Fernando» boliviano ejecutado dieci anni più tardi a La Higuera… segno di un’onestà intellettuale che in pochi possono vantare.
Il seguente scritto, già apparso nel Quaderno della Fondazione n. 8/2010, pp. 74-8, viene qui riproposto con qualche modifica e l’aggiunta, in appendice, del testo integrale delle due lettere che costituiscono la chiave di questa storica polemica, assieme a un’altra spedita da Guevara a Fidel Castro nello stesso periodo, utile a meglio inquadrare la situazione di quel fatidico dicembre 1957.
Le foto del Che che accompagnano l’articolo sono pressoché inedite. [la Redazione]
Daniel sulla Sierra Maestra, 1958 © OAH* |
Entrato a far parte ormai da tempo del ristretto pantheon degli «Eroi della Rivoluzione» di Cuba, René Ramos Latour rimane ancor oggi una delle figure meno note fra i dirigenti del processo insurrezionale, pur avendo tutti i requisiti per essere ricordato come tale: protagonista dapprima della lotta clandestina contro il regime di Batista nelle città come vice di Frank País, integrato in seguito nella guerriglia sulla Sierra - di cui fu sempre strenuo sostenitore, pur mantenendo una propria autonomia di giudizio su alcune importanti scelte - «Daniel» morirà giovanissimo in combattimento, pochi mesi prima del trionfo della Rivoluzione, senza aver potuto raggiungere la piena maturità politica e teorica1.
Come è già accaduto dopo la morte a molti altri rivoluzionari di varie epoche e luoghi (fra i quali l’esempio del Che Guerrillero heroico è senza dubbio il più celebre), anche il combattente Ramos Latour - pur essendo stato insieme uomo d’azione e di pensiero - è stato ridotto al solo primo ambito, sublimandolo fino alla «mitizzazione». Le sue riflessioni politico-teoriche - ampie e profonde, come si ricava in particolare dalla polemica epistolare con Guevara - sono state invece trascurate (e in parte censurate), in quanto espressione di quelle profonde divergenze politiche che insorsero tra il llano e la Sierra, e che si trascinarono anche oltre il trionfo del 1959, quando ormai il Comandante Daniel non poteva più pronunciarvisi.
Lo scontro «Sierra-llano» verificatosi durante la guerra rivoluzionaria è divenuto nel tempo uno dei principali temi tabù nella storiografia cubana, in una forma radicale pari soltanto alle reticenze e ai silenzi che avvolgono la posizione politica ambigua mantenuta dal vecchio Partito comunista cubano (il Psp, stalinista) verso la guerriglia, in particolare nella fase di avvio e rafforzamento.
La lettera che Daniel inviò a Guevara il 18 dicembre 1957 è un documento umano e politico fra i più lucidi che siano mai stati prodotti in seno al gruppo dirigente cubano, rivelatore della ricca personalità dell’autore. Con questo testo - scritto come replica a una lettera del Che del 14 dicembre2, molto dura nei contenuti - Ramos Latour risponde all’ingenua dichiarazione di fede filosovietica da parte di Guevara ponendo in risalto la necessità per il popolo cubano di una rivoluzione sociale che sia radicale, ma mantenga la propria indipendenza economica e politica di fronte a qualunque Stato del mondo (riecheggiando in questo anche la riflessione di José Martí). Il riferimento riguarda senza alcun dubbio gli Stati Uniti - con cui Daniel sembra già intravedere, al pari del Che, l’inevitabile scontro - ma anche l’Unione Sovietica: in questo divergendo nettamente dal Guevara filosovietico di quel periodo, ma in inconsapevole sintonia col futuro ex ministro dell’Industria cubana, cui spetterà il merito di descrivere (nel 1966) i primi passi della marcia dell’Urss verso il capitalismo.
Pur non avendo conoscenze teoriche sufficientemente approfondite al riguardo, Daniel dimostra di aver intuito il ruolo ormai assunto dall’Urss nel mondo, come complice dell’imperialismo anch’essa in campo economico - come ben esprimerà il Che nel celebre Discorso al Secondo seminario di Algeri3 del febbraio 1965 - e con un ruolo conservatore e antirivoluzionario in campo politico. In sostanza, la polemica tra Daniel e il Che costituisce il primo scontro aperto sulla collocazione nazionale e internazionale della Rivoluzione cubana, prima che il problema si ponga con drammatica immediatezza e molto prima che venga risolto nel modo che conosciamo, vale a dire con l’assorbimento di Cuba nel campo sovietico, in termini economici, politici, ideologici e militari. La corrispondenza che qui analizziamo sembra dimostrare che agli occhi delle menti più lucide e teoricamente preparate del gruppo dirigente cubano, la definizione di un atteggiamento politico di autonomia dall’Urss appariva urgente e non rinviabile già a un anno dall’inizio della lotta sulla Sierra.
Con questo nostro contributo ci proponiamo di tracciare solo un profilo sintetico della personalità del rivoluzionario Ramos Latour, proprio alla luce di quella fondamentale polemica del dicembre 1957, destinata a lasciare un solco profondo nella storia politica dell’Isola. Va detto, però, che su questo terreno lo studioso deve lottare contro la mancanza di fonti e documenti, a causa anche della precoce morte di Daniel: a tale riguardo lo scambio di lettere fra i due (e quella del Che a Fidel) fornisce uno spiraglio di luce nell’oscurità che ha sempre circondato la vicenda e che i principali biografi non hanno contribuito molto a illuminare4.
René Ramos Latour nasce il 12 maggio 1932 nel municipio di Antilla, situato nell’attuale provincia di Holguín, da genitori di umili origini. Trasferitosi con la famiglia nella vicina Santiago de Cuba, si iscrive alla Escuela Profesional de Comercio. Ottenuto il titolo di contabile, alla fine del 1953, viene assunto dapprima dalla Cuban Nickel, l’anno seguente dalla Nicaro Nickеl Processing Corp., entrambe imprese nordamericane che si dedicano alla produzione di nichel nella zona di Nicaro, nei pressi delle miniere di Ocujal. Questa esperienza, grazie al contatto diretto col mondo operaio delle multinazionali straniere - composto quasi esclusivamente da cubani - radicalizza le idee del giovane René; ciò è ben rappresentato da un passo di una lettera inviata alla madre da Ocujal, datata 27 agosto 1954:
«(…) Sí madre querida, aquí en la soledad de estas montañas he sabido qué debo hacer, de un lado tengo la tierra estéril a la que han extraído sus riquezas manos extrañas para dedicarlas a una tarea innoble, el sojuzgamiento y dominio de pueblos que ellos desprecian y consideran inferiores. Del otro lado se alzan altivas un grupo de montañas cubiertas de bosques y yerbas altas. ¿Cuál es su destino?, ¿igualar a sus hermanas en esterilidad e inferioridad? ¡No!, me resisto a creerlo, tengo la certeza de que es posible evitarlo, ¡todavía estamos a tiempo! (…)»5.
René Ramos Latour nel llano © OAH |
Nel settembre 1955 un giovane santiaguero, Frank País, fonda il Movimento 26 di Luglio a Mayarí: una cellula che andrà estendendosi fino a comprendere l’intera zona nord dell’allora provincia di Oriente, includendo le cittadine di Cueto, Antilla e Nicaro. Ed è proprio in queste circostanze che inizia la militanza politica di René che, abbandonati gli studi universitari di Scienze sociali e Diritto pubblico, decide di unirsi all’organizzazione, di cui nel 1956 diviene Jefe de Accíon per l’intero territorio.
A dicembre dello stesso anno spetta a lui il compito di organizzare le azioni di appoggio allo sbarco del Granma, che proseguiranno in forma di sabotaggi nelle settimane successive. Il giovane è arrestato a Mayarí, ma viene presto rilasciato.
Nel marzo 1957 avviene il primo contatto con le forze della guerriglia: Ramos Latour è messo a capo di una delle cinque squadre di reclute armate, composte ognuna di dieci elementi, che verranno mandate come primo rinforzo sulla Sierra Maestra. È diventato ormai ii vice di Frank País nel Frente Nacional de Acción. A maggio, nominato Comandante con l’ormai celebre nome di battaglia «Daniel», viene incaricato di aprire un nuovo fronte di guerriglia sulla Sierra Cristal, il denominato Segundo Frente, con l’intento di alleggerire la pressione dell’esercito batistiano sulla Sierra Maestra. Ма il tentativo non va a buon fine a causa di una delazione, e Daniel deve tornare a Santiago de Cuba tramite la rete clandestina e riprendere le precedenti funzioni nella struttura urbana, fra le quali la principale è mantenere i contatti, in forma di direttive e materiale, con la Sierra.
Il 30 luglio il Movimento subisce il colpo più duro dall’inizio della lotta: Frank País viene ucciso in una strada di Santiago de Cuba. René è designato al suo posto come capo di Acción y Sabotaje, responsabile del Movimento nella provincia di Oriente e membro della Direzione nazionale del M-26-7. L’assembramento di popolo per i funerali di Frank si trasforma ben presto in uno sciopero semispontaneo - durato fino al 6 agosto - che Daniel cerca di estendere il più possibile ad altre città dell’Oriente cubano.
Nei mesi successivi Ramos Latour si occupa della formazione delle Milizie cittadine incaricate della guerriglia urbana. A marzo 1958 raggiunge la Sierra con altri membri della Direzione nazionale: si decide di indire, per il giorno 9 aprile, uno sciopero generale, voluto fortemente dal movimento urbano (all’epoca definito complessivamente llano, letteralmente «pianura», per distinguerlo dalla guerriglia) - che vede ormai affievolirsi il proprio ruolo politico con la crescita dell’Ejército Rebelde - e appoggiato, pur con qualche indecisione, da Fidel e i dirigenti della Sierra. Daniel s’incarica dell’appoggio armato all’azione di sciopero creando una nuova colonna, la n. 9 «José Tey», che in seguito salirà sulle montagne attorno a Santiago de Cuba in funzione di sostegno al Secondo Fronte Orientale da poco creato.
Guevara con la sua Columna 4. El Hombrito, luglio 1957 © OAH |
La huelga general, cioè lo sciopero, si risolve in un tremendo fallimento, che a sua volta provocherà importanti mutamenti all’interno del Movimento. Il 3 maggio, agli Altos de Mompié, sulla Sierra Maestra, si tiene una riunione fra i dirigenti della Sierra e del llano che potremmo definire «storica». In essa vengono discusse le cause della sconfitta e Daniel ne è ritenuto uno dei maggiori responsabili. Ciò provoca la sua destituzione da capo delle Milizie cittadine e l’incarico viene assunto da Fidel Castro, come Comandante unico di tutte le forze ribelli, sulla Sierra o cittadine. Qualunque giudizio si dia di tale mutamento, non vi sono dubbi che si tratta di un passo decisivo per la storia della Rivoluzione: di qui data l’inizio dell’unificazione ideologica del gruppo dirigente castrista, che ancora continua ai giorni nostri.
Le cause della disfatta vengono individuate in primo luogo nell’improvvisazione e il soggettivismo con cui lo sciopero era stato organizzato - si parla addirittura di concezioni quasi «putschiste» - e in secondo luogo nel fatto di aver escluso dalla sua preparazione il Psp (il vecchio partito stalinista) con gli stessi metodi settari che nel passato erano stati tipici di quel partito. Anni dopo il Che, in uno dei suoi Pasajes, parlerà degli errori imputati a Ramos Latour, soprattutto per quanto riguarda la formazione delle milizie:
«Daniel, accusato di un analogo errore di valutazione [vale a dire non aver calcolato esattamente le forze della reazione nel loro bastione principale (n.d.r.)], riferito alle milizie del llano che erano state organizzate come truppe parallele alle nostre, ma prive di addestramento e spirito combattivo, e senza passare attraverso il processo di rigorosa selezione della guerra»6.
Tornato a Santiago de Cuba, Daniel organizza una nuova colonna, la n. 10 (questa volta comandata da lui stesso), da integrare nella lotta guerrigliera, salendo quindi sulla Sierra Maestra, dove l’offensiva estiva batistiana è ormai cominciata; Ramos Latour prende parte a varie battaglie, che in poche settimane porteranno al fallimento l’estremo tentativo della dittatura di accerchiare e annientare le truppe rivoluzionarie. A fine luglio Daniel - che ha ormai ai suoi ordini circa 100-120 uomini - riceve l’ordine di tagliare la ritirata a un battaglione nemico diretto a Las Mercedes, ma il giorno 30, in località Jobal - zona nord della Sierra Maestra - è ferito al ventre da un colpo di mortaio che lo conduce alla morte poche ore dopo.
Finisce così, a soli 26 anni, la vita di una delle intelligenze più lucide della Rivoluzione, perdita che si farà pesantemente sentire - insieme a quella di dirigenti del calibro di Frank País - nei primi anni di costruzione della nuova società cubana.
La polemica Sierra-llano, che si situa all’incirca negli ultimi due mesi del 1957 - proseguendo con alterni strascichi nello stesso 1958 - ha come protagonisti assoluti il Che e René Ramos Latour, con la figura di Fidel Castro nell’ombra, intenzionato a mediare ed evitare divisioni deleterie per la Rivoluzione, proseguendo in tal modo nel ruolo politico da lui spesso svolto in tutto il periodo della guerra.
Al principio il dissidio sembra legato esclusivamente ai dubbi nutriti dal Che riguardo alla rete di approvvigionamento e comunicazione creata dal Movimento nelle città, fino a quel momento molto inefficiente. Un problema che spinge Guevara a procurarsi ciò di cui ha bisogno per la guerriglia, soprattutto le armi, tramite canali poco sicuri, fuori dal controllo della struttura urbana stessa, affidandosi a gente - come il Piferrer più volte citato nei documenti - che gode di una reputazione non certo limpida. Oltre a ciò, l’operato del Che viene aspramente criticato da Daniel per la sua politica «accentratrice» nei «territori liberi» della guerriglia, dove egli è riuscito a imporre la più ferrea disciplina, nel quadro della lotta senza quartiere contro il banditismo.
Che Guevara sulla Sierra Maestra © OAH |
Con il passare delle settimane i dissidi divengono più compiutamente politici, alla luce soprattutto di ciò che si sta tramando negli ambienti dell’emigrazione: il 1º novembre, rappresentanti di sette forze d’opposizione a Batista, compresi alcuni vecchi «attrezzi» della politica cubana ormai screditati (fra cui Prío Socarrás), firmano il cosiddetto «Patto di Miami». La firma viene apposta da Felipe Pazos, un rappresentante del 26 di Luglio autodesignatosi tale, economista dalle posizioni moderate che si è «meritato» un simile incarico in seguito a un precedente accordo del luglio ‘57, da lui firmato sulla Sierra con Fidel e Raúl Chibás, del Partito ortodosso. Con il documento di Miami vengono stabiliti alcuni provvedimenti da applicare al termine della guerra: un incorporamento non meglio definito dell’Ejército Rebelde in quello regolare, l’indipendenza fra autorità politiche e militari, la formazione di una «Giunta di liberazione» con facoltà illimitata di scegliere il nuovo governo; fra le altre cose viene soppressa una dichiarazione di principio contro qualunque tipo di intervento straniero nella politica cubana. È chiaro che si tratta dell’espressione delle posizioni più retrograde dell’opposizione antibatistiana - ancor più del precedente «Manifesto della Sierra» - che spera ancora di poter indirizzare, per di più dall’estero, il processo rivoluzionario nella direzione da loro desiderata; allo stesso modo è probabile che dietro a tutto ciò vi sia anche la mano degli Stati Uniti, un’ipotesi da cui il Che deduce che lo scontro col potente vicino sia ormai inevitabile, molto prima di quanto i guerriglieri prevedessero.
Il Patto di Miami provoca l’esplosione di uno scontro politico in incubazione da settimane. Castro dovrà sconfessare apertamente il Patto, dovuto a suo dire a un «tradimento» delle reali posizioni del Movimento, anche se non manca una sua responsabilità nell’aver causato una tale ambiguità nella posizione dello stesso Pazos. A questo punto nella mente del Che il cerchio si chiude ed egli si convince che gli stessi da cui riceve armi in misura insufficiente e con ritardo, per un voluto boicottaggio alla sua persona, hanno tradito Fidel e la causa della Rivoluzione. In questa ricerca di logicità in ciò che gli accade attorno, Guevara commette alcuni errori evidenti: oltre a ignorare le manovre sotterranee per la firma del Patto, il Che sembra non mettere in conto le normali difficoltà di una struttura clandestina nelle città, creata con scopi ben diversi da quelli del sostegno a una lotta armata guerrigliera.
Che Guevara intervistato da Carlos María Gutiérrez. La Mesa, dicembre 1957 © OAH |
Il 14 dicembre il Che spinge la polemica al limite, scrivendo una durissima lettera a Daniel: lui e la Direzione nazionale vengono considerati gli ispiratori del Patto, l’ala «destra» del Movimento da cui prende fortemente le distanze rivendicando la propria ideologia marxista - che in quegli anni Guevara associa all’esperienza sovietica - con entusiasmo da neofita, ma scarsissima conoscenza delle implicazioni teoriche. Dallo scritto trapela un Guevara inedito, che definisce apertamente il Movimento 26 di Luglio un’organizzazione di stampo borghese, e Fidel «un autentico leader della borghesia di sinistra». La presunta svolta «a destra» della Rivoluzione gli provoca una grande inquietudine per le sorti della lotta, e solo un primo messaggio di Fidel e il successivo documento di sconfessione del Patto da lui redatto riporteranno in Guevara una rinnovata fiducia verso il Comandante en Jefe.
La risposta di Daniel7 non si fa attendere, lucida e veemente allo stesso tempo: dopo aver dichiarato di scrivere a nome di tutta la Direzione, egli accusa Guevara di sottostimare i sacrifici che la rete clandestina fa per sostenere la lotta sulle montagne. Ribatte poi alle pesanti accuse del Che affermando che la Direzione è stata la prima a sconfessare il Patto, pur senza rompere radicalmente con l’opposizione liberale a Batista. E Daniel accetta dal punto di vista tattico questo temporeggiamento, giudicando dannosa ai fini della lotta una rottura aperta. Aggiunge che, come rivoluzionario, preferirebbe che la presunta «unità» venisse rotta, ma che per fare ciò sarebbe necessario chiarire una volta per tutte i reali obiettivi della Rivoluzione. La discussione, tuttavia, verrà interrotta d’autorità da Fidel per non rischiare che le lettere possano cadere in mano nemica, prestandosi così a un uso propagandistico.
Raúl Castro, Fidel e René Ramos Latour © OAH |
Dalla lettera di Daniel emergono nettamente le sue posizioni socialiste, allo stesso tempo in cui si contrappone alla dichiarazione di fede del Che su «dove sia la salvezza del mondo» (nell’Urss…): una posizione ingenua che Guevara rettificherà solo molti anni dopo, quando comincerà a comprendere la natura della società russa e la sua funzione internazionale. Le idee di Ramos Latour, se ci è permesso un parallelo, risultano molto simili a quelle che per un lungo periodo avrà Carlos Franqui, comunista cubano tenacemente antistalinista (posizioni che lo porteranno, nel 1968, alla rottura con Fidel e all’esilio).
Nonostante la durezza dello scontro, il Che sarà in seguito riconosciuto dallo stesso Daniel come uno degli interpreti più equilibrati della disputa: a dimostrarlo, oltre al modo in cui parlerà di quella polemica negli anni successivi, c’è anche il forte disagio autocritico con cui Guevara rievocherà la vicenda in uno dei suoi Pasajes, definendo la lettera a Ramos Latour «piuttosto stupida»8.
A mo’ di conclusione, riportiamo dalla biografia del Che scritta da Paco Ignacio Taibo II una sintesi delle idee di Guevara sulla contrapposizione guerriglia-rete urbana:
«Anche se le ragioni non gli mancavano, la visione del Che tendeva a sottovalutare il ruolo che la lotta urbana aveva avuto e continuava ad avere nel processo rivoluzionario, e negando (forse perché gli mancava la visione della continuità del Movimento a partire dall’assalto alla Moncada del ‘53) il processo politico che aveva accerchiato la dittatura, vedeva la guerriglia come un processo autonomo, e non come l’avanguardia di una vasta dissidenza popolare, di cui si alimentava e che a sua volta alimentava. Al di là della sua profonda intelligenza e della sua enorme capacità di intuizione, della prospettiva universale antimperialista propria del suo latinoamericanismo bolivariano, a volte il Che, in quello che riguardava Cuba, non era niente di più di un intellettuale guajiro [contadino (n.d.r.)] che non aveva mai messo piede in una città»9.
APPENDICE
LETTERA A RENÉ RAMOS LATOUR, di Ernesto Che Guevara
Sierra, 14 dicembre [1957]
Daniel,
devo risponderti in parte per chiarire il problema, perché ho interesse che siano definitivamente precisati alcuni aspetti oscuri dei nostri rapporti.
Ti chiedo, questo sì, che consideri questi principi generali come tendenti a migliorare e chiarire del tutto i nostri rapporti. È per il bene della Rivoluzione.
Dal punto di vista amministrativo, diciamo, non è arrivato niente ad eccezione dei 2.000 pesos. Come vi comunicavo nella lettera precedente, sono stato costretto a seguire il sistema dei crediti firmati da un nostro buon collaboratore come Ramón Pérez (Ramonín), che firma buoni per varie migliaia di pesos. In questo momento si annuncia l’arrivo di un messaggero con i proiettili e sono costretto ad aspettare.
Ho ricevuto del materiale che mi interessa, soprattutto per quanto riguarda i 1.000 proiettili 30-06 e quelli 45. Anche gli M-1 sono buoni. Tutto il resto è necessario, ma non fondamentale. Mancano i proiettili 44 e quelli craquet che ci permetterebbero di far funzionare molti fucili in più. Ma lo sforzo è stato fatto in modo molto veloce: è quello di cui abbiamo bisogno.
Riguardo a Piferrer, quella lettera era diretta a lui. Mi dice che non sai se per fortuna o disgrazia è arrivata nelle tue mani. Neanch’io lo so ancora; so che quelle cose sarebbero arrivate e ci occorrono; se vengono non succede nulla; se non vengono, è una sfortuna. Credo di averti mandato il giornale, anche se nella copia consultata non figura.
Non so neanche se ti ho già parlato della questione. Il fatto è che ho pensato che Piferrer poteva farlo a Bayamo e non mi sembrava che interferisse con nessuno. Quando ho scritto, o meglio, quando ho cominciato a scrivere, l’ho fatto con la migliore buona volontà di accettare tutte le obiezioni che continuamente mi vengono rivolte riguardo all’attività «centripeta» che svolgo. L’ho fatto spinto dal mio spirito di disciplina, ma fondamentalmente deluso dal giro che stavano prendendo le cose riguardo all’inqualificabile patto firmato con Prío e gli altri, patto del quale tu stesso ti sei burlato a Los Cocos. Questo mi porta a un punto che volevo chiarire con voi. Anche Fidel ne è al corrente.
Appartengo, per la mia preparazione ideologica, al gruppo di coloro che credono che la soluzione dei problemi del mondo si trovi dietro la cosiddetta cortina di ferro e considero questo movimento come uno dei tanti provocati dall’affanno della borghesia di liberarsi dalle catene economiche dell’imperialismo. Ho sempre considerato Fidel come un autentico leader della borghesia di sinistra, anche se la sua personalità è caratterizzata da qualità personali di straordinario valore che lo pongono molto al di sopra della sua classe. Con quello spirito ho iniziato la lotta: onestamente senza la speranza di andare al di là della liberazione del paese, disposto ad andarmene quando le condizioni della lotta successiva facessero girare a destra (verso quello che voi rappresentate) tutta l’azione del Movimento.
Bandiera del Movimiento 26 de Julio |
Ciò che non avevo mai pensato è il cambiamento radicale che Fidel ha dato alle sue posizioni con il Manifesto di Miami. Sembrandomi impossibile quanto ho saputo dopo, vale a dire che così si deformava la volontà di chi è autentico leader e motore unico del Movimento, ho pensato una cosa che mi vergogno di aver pensato. Per fortuna è arrivata la lettera di Fidel, mentre aspettavamo i proiettili, e si è chiarito che era accaduto quello che possiamo definire un tradimento. Inoltre Fidel mi dice che lui non ha ricevuto soldi, pochi proiettili in cattivo stato e uomini scarsamente armati.
Se le cose stanno così, come faccio a rinunciare a contatti che mi offrono la possibilità di avere il materiale per portare avanti il lavoro, in onore a una pretesa unità che viene troncata alla base, tradendo la Direzione nazionale gli accordi di colui che riconosco come il capo supremo? Piferrer sarà un bandito, ma quello che ha congegnato il piano di Miami è un criminale; e io sono in grado di avere rapporti con lui perché non sacrifico niente, anche se ricevo poco. A Miami, invece, è stato sacrificato tutto senza ricevere niente. Si è dato il culo nel più detestabile atto di frociaggine che la storia cubana ricordi. Il mio nome storico (ci tengo a guadagnarmelo con il mio comportamento) non può essere legato a quel crimine e voglio che questo sia chiaro.
Questo lo faccio naturalmente per avere un giorno la testimonianza che accrediti la mia onestà; ma il lavoro comune che ci unisce e il senso del dovere ha fatto sì che questa lettera non vada al di là delle nostre rispettive persone e io sia disposto a collaborare per quanto possibile per poter arrivare in qualche modo alla realizzazione del fine comune. Se questa lettera ti dispiace perché la consideri ingiusta o ti consideri innocente e me lo vuoi far sapere, magnifico; se ti dispiace tanto da farti interrompere i rapporti con questa parte delle forze rivoluzionarie, tanto peggio. In qualche modo andremo avanti, perché il popolo non può essere sconfitto.
Riguardo agli impianti elettrici hai ragione, uno era per la forza idroelettrica e il motore per far funzionare un forno o altre cose. Non vale la pena di comperarlo ora poiché l’Hombrito è rimasto liscio come una tavola, con 40 case bruciate e tutti i nostri sogni in frantumi. Ti dirò che dopo l’ultima lettera abbiamo avuto altri due scontri, oltre a qualche sparatoria senza importanza. Nel primo abbiamo ucciso un ufficiale e forse fatto un paio di feriti; noi non abbiamo avuto incidenti ma abbiamo abbandonato l’Hombrito. Nel secondo abbiamo fatto da tre a cinque morti. Noi, due feriti, uno dei quali sono io, colpito a un piede, ferita di scarso rilievo, ma che per ora mi impedisce di camminare.
Se José Márquez è l’uomo di Palma, è venuto raccomandato da capi di lì; altrimenti devo informarmi su chi è. Mandami la conferma assoluta per sparargli non appena si avvicini.
Ti accludo il giornale e il problema. Vedi cosa ne puoi fare. Sono il risultato del sacrificio intenso di molte persone. Se ti sembra che lo sforzo valga la pena, abbiamo bisogno di carta in abbondanza, inchiostro, matrici, cucitrici. Se ti interessa una foto di Ciro10 dimmelo.
Ti mando alcune foto di militanti.
Nonostante la durezza della lettera, mi piacerebbe che ci potesse essere una spiegazione. Cerca di occupartene tu. Ti saluto.
Che
LETTERA A FIDEL CASTRO, di Ernesto Che Guevara
Sierra, 15 dicembre [1957]
Fidel,
hanno lasciato il nostro Hombrito libero, anche se un po’ ribassato di categoria […].
In questo momento arriva il messaggero con la tua nota del 13. Ti confesso che, assieme alla nota di Celia, mi ha riempito di gioia e tranquillità. Non per problemi personali, ma per quello che significa per la Rivoluzione questo passo. Tu sai bene che io non avevo la minima fiducia nella gente della Direzione nazionale, né come capi né come rivoluzionari. Non credevo neanche che sarebbero arrivati al punto di tradirti in modo così aperto. Per questo la notizia confermata di un patto di quel tipo mi ha distrutto, ma prima di farmi un’opinione definitiva darò un’occhiata alla tua lettera che, come ti ho detto, mi ha dato un grande sollievo. Credo che il tuo atteggiamento di silenzio non sia il più consigliabile in questo momento.
Un tradimento di questa portata indica chiaramente la diversità delle vie scelte. Il rapporto chiarificatore Wells che Ramiro porta con sé può darti un’indicazione di chi muova i fili di questa macchinazione. Sfortunatamente dobbiamo affrontare lo zio Sam prima del tempo. Ma c’è una cosa evidente, il 26 di Luglio, la Sierra Maestra e tu siete tre individui e un unico vero Dio.
Credo che un documento scritto, con l’incalcolabile aiuto di un ciclostile nuovo che sta per arrivare e anche con quello malandato che abbiamo, e con la spedizione simultanea a capi politici e pubblicazione del giornale, può dare il contributo necessario e in seguito, se la cosa si complica, con l’aiuto di Celia, destituire integralmente la Direzione nazionale.
Se hai il documento scritto, mi impegno a farne 10.000 copie e coprire tutto Oriente e L’Avana; forse sarebbe possibile tutta l’Isola.
Come vedrai il giornale è venuto fuori migliorato rispetto al precedente, e possiamo fare anche di più. Stavo sul punto di rompere con Piferrer, dopo le denunce della Direzione nazionale, ma mi sembra un’azione di difesa personale mantenerlo, anche se so che non è un santo…
Ti abbraccio con affetto sincero.
Che
LETTERA DI RISPOSTA A GUEVARA, di René Ramos Latour
Santiago, 18 dicembre [1957]
Che,
ho appena ricevuto la lettera che tu stesso definisci «dura» e il cui contenuto mi sorprende anche se non riesce a ferirmi in alcun modo, poiché sono così lontano dal considerarmi traditore della Rivoluzione cubana e così profondamente soddisfatto della mia breve, ma onesta e limpida vita rivoluzionaria che non potrò mai sentirmi colpito dalle espressioni di coloro che, come te, non mi conoscono sufficientemente per giudicarmi.
Devo precisare che se ti rispondo lo faccio per il rispetto, l’ammirazione e il giudizio che ho sempre conservato per te e che non è cambiato in niente nonostante le tue parole; ma fondamentalmente, come fai tu, perché rimanga una risposta per quello stesso giorno di cui mi parli, e un qualsiasi esponente dell’umanità, come tu o io, possa avere anche la «testimonianza che conferma la mia onestà» e la mia purezza rivoluzionaria, che non hanno niente da invidiare alla tua, a quella di Fidel o di qualsiasi altro di coloro che sono uniti con vero spirito di sacrificio in questa cruenta lotta per liberare un popolo e indirizzarlo lungo vie che accelerino il suo processo evolutivo e assicurino il suo destino superiore.
Stai tranquillo che, per quanto siano dolorose e taglienti le espressioni contro di me, da qualsiasi parte provengano, non saranno mai sufficientemente forti da farmi desistere dal mio proposito di fare sempre lo sforzo maggiore per rifornire, nella misura che sarà possibile nelle difficili condizioni qui imperanti e che tu disconosci, una forza rivoluzionaria formata da cubani di origini diverse, ma uniti fermamente in un ideale comune; una forza rivoluzionaria che rispetto e ammiro e nei confronti della quale ci sentiamo obbligati al di sopra delle divergenze ideologiche o politiche che ci possano essere tra di noi; una forza, infine, che non è né tua né mia, ma della Rivoluzione cubana.
Desidero che tu sappia, inoltre, che tutto ciò che arriva qui si considera diretto alla Direzione nazionale del Movimento, formata da un numero ridotto di compagni che si impegnano a essere uniti e omogenei al fine di non prendere decisioni personali. Per questa ragione la tua lettera è stata letta dai rimanenti membri della Direzione e la mia risposta è quella di tutti gli altri.
Quanto al modo sprezzante col quale si annuncia l’arrivo del materiale che abbiamo spedito, dobbiamo dirti che tutto quello che arriva lì è frutto dello sforzo di un gran numero di cubani che lavorano con entusiasmo e sopportando i rischi peggiori per avere prima i soldi, più tardi acquistare la roba e infine poterla trasportare sulla Sierra, burlando la vigilanza di centinaia e centinaia di soldati e sapendo che nel caso fossero sorpresi sarebbero vilmente assassinati, perché qui non abbiamo la gioia di cadere in combattimento, eroicamente, poiché non abbiamo armi per quelli che fanno questi lavori. È un peccato che molti compagni si siano privati di proiettili, delle loro pistole e revolver, che per loro sì che sono fondamentali, perché almeno li userebbero per morire combattendo.
Ed è doloroso privare delle loro armi compagni che sono altrettanto rivoluzionari e altrettanto militanti del Movimento 26 di Luglio, come quelli che valorosamente lottano lassù, che hanno acquistato quelle armi a costo di mille sacrifici e ce le consegnano per uno straordinario senso di disciplina e con totale generosità, come è il caso dei compagni di Mayarí, che dopo aver superato mille ostacoli sono riusciti a procurarsi 14 o 15 fucili (alcuni frutto dell’assalto a una caserma di Guardie giurate e altri di quelli che hanno perduto i membri della spedizione del Corynthia assassinati) e che hanno dato tutto per la Sierra, e adesso sono costretti a bruciare le piantagioni completamente disarmati, affrontando un Esercito che qui sotto sa di essere padrone assoluto della situazione e senza rischi, risultando così molto più efficace e i suoi proiettili molto più pericolosi.
Ma questo non importa, perché non va al di là di noi, che rimaniamo qui perché lo riteniamo necessario e contro i nostri desideri, che sono quelli di condividere l’eroismo della lotta sulle montagne, saremo sempre a disposizione per fare il massimo per rifornirvi, senza tener conto se i nostri sforzi vengano riconosciuti o no, perché agiamo nella consapevolezza di avere un compito improrogabile verso il popolo e spinti dalle nostre convinzioni e principi personali.
In precedenza ti avevo detto che non mi conoscevi sufficientemente per poterti fare un giudizio veritiero della mia preparazione ideologica e politica. Non mi interessa minimamente il posto in cui mi collochi, né voglio neanche cercare di farti cambiare l’opinione che ti sei fatto di noi. Pertanto le osservazioni che andiamo facendo hanno soltanto lo scopo di lasciare questa testimonianza accreditata di cui si diceva prima.
Fin da quando ti ho conosciuto ero al corrente della tua formazione ideologica e non vi ho mai fatto riferimento. Non è ora il momento di discutere «dove sia la salvezza del mondo». Voglio solo precisare la nostra opinione, che naturalmente è del tutto diversa dalla tua. Ritengo che nella Direzione nazionale del Movimento non vi sia nessun rappresentante della «destra» e sì invece un gruppo di uomini che aspirano, con la liberazione di Cuba, a compiere la Rivoluzione. La stessa che, iniziata con il pensiero politico di José Martí, poi con il suo peregrinare lungo il continente americano, è stata frustrata dall’intervento del governo degli Stati Uniti nel processo rivoluzionario.
Frank País a processo. Santiago de Cuba, maggio 1957 © OAH |
Le nostre differenze fondamentali consistono nel fatto che non ci preoccupa di mettere in mano ai popoli tirannizzati della «Nostra America» dei governi che, rispondendo alle loro ansie di Libertà e Progresso, sappiano mantenersi strettamente legati, per garantire i loro diritti come nazioni libere e farli rispettare dalle grandi potenze.
Noi vogliamo un’America forte, padrona del proprio destino, un’America che affronti sicura gli Stati Uniti, la Russia, la Cina o qualsiasi potenza che cerchi di attentare alla sua indipendenza economica e politica. Invece quelli che hanno la tua formazione ideologica pensano che la soluzione dei nostri mali sia nel liberarci dalla nociva dominazione «yankee» attraverso la non meno nociva dominazione «sovietica».
Crediamo che con l’abbattimento della dittatura di Fulgencio Batista, per mezzo del popolo, avremo fatto un passo in avanti nel cammino che ci siamo proposti.
Tuttavia sappiamo che tu senti, al pari di noi, la necessità di lottare per eliminare dai nostri paesi la corruzione amministrativa, il militarismo, la disoccupazione, il pauperismo, l’analfabetismo, le condizioni di vita malsane, la mancanza di diritti sociali e tante altre richieste dei nostri popoli il cui conseguimento è imprescindibile per assicurare il processo delle Repubbliche Americane.
Quanto a me, posso dirti che mi considero un operaio; ho lavorato come operaio fino a che ho rinunciato al mio salario per incorporarmi nelle Forze rivoluzionarie della Sierra, abbandonando allo stesso tempo i miei studi in Scienze sociali e Diritto pubblico, che avevo intrapreso con la speranza di prepararmi degnamente per servire meglio il mio paese. Sono operaio, ma non di quelli che militano nel Partito comunista e si preoccupano molto per i problemi dell’Ungheria o dell’Egitto, che non possono risolvere, e non sono capaci di rinunciare al loro posto e incorporarsi in un processo rivoluzionario che ha, come fine immediato, l’abbattimento di una dittatura obbrobriosa.
E parliamo adesso dell’«Unità». Prima che nascesse il Movimento 26 di Luglio non ho mai militato in nessun partito od organizzazione politica. Ho ripudiato i governi del Partito autentico perché erano immorali e disprezzato l’Ortodossia11 in quanto organismo capace di perseguire e plasmare realmente gli aneliti e le aspirazioni del popolo di Cuba; in essa ho visto soltanto un gruppo di uomini intorno a un caudillo più o meno ben intenzionato, ma sempre caudillo, carente di un programma definito e una dottrina sicura.
Ritengo che il funesto colpo di Stato del 10 marzo [1952] abbia avuto come unico risultato positivo l’eliminazione dalla vita pubblica cubana dei politicanti che facevano parte di quei partiti.
Radicato in me questo criterio, non ho mai visto con simpatia il Patto di Fidel con Prío prima del 30 novembre e molto meno quello fatto adesso da Felipe Pazos, molto più negativo perché pretende di cristallizzare la situazione nel momento in cui il Movimento 26 di Luglio, dopo un anno di lotta durante il quale abbiamo lasciato lungo la strada molti dei più validi esponenti rivoluzionari, è riuscito a coinvolgere la maggioranza del popolo e si è consolidato come l’asse intorno al quale far ruotare tutte le possibili soluzioni. E soprattutto in un momento in cui il governo di Batista, per l’incremento dell’azione rivoluzionaria, è stato costretto a mettere in atto le misure più barbare e sospendere per tre volte consecutive le garanzie costituzionali - non per quanto riguarda i diritti umani, che non sono mai stati rispettati dalla tirannia - ma per l’instaurazione della più ferrea censura sulla stampa che la storia di Cuba ricordi, e che non sono altro che prove evidenti della debolezza del regime e della sua inevitabile fine.
Questo è stato ed è il mio punto di vista, e se avessi commesso il crimine di cui mi accusi avrei attentato contro le mie stesse idee e quelle di tutti i compagni della Direzione: idee che tu e Fidel conoscete perché sono state espresse a El Coco e non hanno subito la minima modificazione.
Quando sono sceso dalla Sierra mi sono imbattuto nei documenti del Patto di Unità, che erano stati inviati da Miami da Felipe Pazos e Lester Rodríguez, chiedendo alla Dn l’autorizzazione a firmare a nome del Movimento. Contemporaneamente ci sono arrivati giornali nordamericani in cui si informava che era stata conclusa l’«Unità». Ho anche trovato la lettera che la Dn ha inviato ai sigg. Pazos e Lester, accusandoli di essersi presi responsabilità che nessuno aveva loro conferito ed esigendo che facessero slittare le basi di Unità verso la formula del Manifesto della Sierra, attraverso il quale il governo verrebbe posto in mano alle Istituzioni civiche; e che allo stesso tempo facessero sapere agli Autentici e alle altre organizzazioni firmatarie che noi non avremmo mai permesso che dall’estero si pretendesse di dirigere il processo rivoluzionario e che avremmo accettato un patto bellico soltanto sulla base dell’invio a Cuba di armi necessarie ai combattenti.
Non credo che l’indignazione che ho provato in quei momenti fosse meno intensa di quella che traspare dalla tua lettera. Solo che io non sono stato capace di accusare nessun membro del Movimento a Cuba di un crimine che è stato progettato e attuato da Felipe Pazos, che ha militato nel Movimento solo durante il periodo in cui è rimasto sulla Sierra, dove ha firmato il famoso Manifesto, e che non ha mai fatto parte della Direzione nazionale, né è stato nominato da questa perché rappresentasse il Movimento all’estero.
Come rivoluzionario avrei preferito rompere clamorosamente con la cosiddetta «Unità» e dare inizio a un’azione contro Prío e tutti i firmatari del Patto. Tuttavia ho considerato corretto l’atteggiamento degli altri membri della Direzione, che non hanno ritenuto politico né tattico mettere in pratica un radicalismo che alimentavano tutti i dirigenti del Movimento quando erano ancora valide le proposte del Manifesto della Sierra, sulle quali, in questo stesso momento, stanno lavorando le Istituzioni civiche del paese. E ho accettato la lettera dei miei compagni della Direzione perché rifletteva fedelmente lo spirito del Manifesto e per le stesse ragioni politiche che in quella occasione sono state tenute presenti nel redigerlo.
Anche se né questa né quello rispecchiavano i miei desideri e aspirazioni, che non ritengo superiori a quelle degli altri compagni della Direzione. Sinceramente il mio desiderio è che quella Unità sia definitivamente spezzata, ma per questo è necessario che diciamo una buona volta quale sia la nostra meta e che cosa ci proponiamo. Questo è stato lo scopo di Darío12 sulla Sierra e spero che lui e Fidel arrivino a un accordo che soddisfi tutti.
Su Piferrer e la sua attività centripeta non parlo perché penso avrai già ricevuto una lettera in cui ti parlavo della faccenda. Deve essere continuato ad arrivare tutto il materiale che mi avevi richiesto. Puoi mandarci la lista di quello che ti occorre.
Poiché nella tua lettera facevi riferimento ad alcune opinioni su Fidel, ritengo necessario mandargli sia la copia di quella sia una di questa perché tutti i punti siano chiariti.
Ti prego che con questa sia conclusa questa polemica sterile in cui sia tu che io ci siamo espressi con tanta sincerità. E continuiamo a lavorare come abbiamo fatto sinora per il trionfo della Rivoluzione.
Cordialmente
Daniel
* Oficina de Asuntos Históricos del Consejo de Estado de la República de Cuba.
1 Il 30 luglio 1958, dopo aver potuto accertare personalmente la morte di Daniel, Guevara gli renderà un postumo onore delle armi - con il pensiero al duro scambio epistolare dell’anno precedente - annotando sul suo diario: «(…) La gente se apresuró a ir a buscar los guardias y un mortero le dio a Daniel; hubo un momento de confusión y este quedó solo con su grupito, herido, pasando un vía crucis hasta su muerte horas después. Profundas divergencias ideológicas me separaban de René Ramos y éramos enemigos políticos, pero supo morir cumpliendo con su deber, en la primera línea y quien muere así es porque siente un impulso interior que yo le negara y que en esta hora rectifico (…)» (Ernesto Che Guevara, Diario de un combatiente: de la Sierra Maestra a Santa Clara, 1956-1958, Centro de Estudios Che Guevara/Editorial de Ciencias Sociales, La Habana 2011, p. 196) [nota del 2015].
2 La lettera del Che non è stata inclusa nell’edizione cubana delle Obras in nove volumi (La Habana 1972, 1977), né in quella in due volumi di Casa de las Américas (La Habana 1970). In assenza di motivazioni esplicite per tale esclusione, se ne deduce che si tratta chiaramente di una censura, che comunque è già stata segnalata come tale da Roberto Massari in una lettera del 21 dicembre 2004 a Zbigniew Kowalewski e Celia Hart Santamaría (ora nel Quaderno della Fondazione n. 6/2006, pp. 74-9). Di lì la censura si è poi estesa ad altre pubblicazioni che su queste prime edizioni cubane si basavano.
La lettera del Che a Daniel è stata pubblicata per la prima volta da Carlos Franqui in Diario della rivoluzione cubana, Alfani, Roma 1977, pp. 338-40 [Diario de la revolución cubana, Ruedo ibérico, París 1976], e successivamente da Roberto Massari - che della figura di Daniel è stato sempre un grande ammiratore - in varie antologie di opere del Che o sul Che da lui curate [Scritti politici e privati, Editori Riuniti, Roma 1988, pp. 123-7; Conoscere il Che, Datanews, Roma 1988, pp. 150-4; Scritti scelti, I, Erre emme, Roma 1993, pp. 370-4: tutt’e tre le antologie includono la lettera del Che a Fidel del 15 dicembre (n.d.r.)].
3 Ernesto Che Guevara, Sсritti scelti, II, cit., pp. 646-59.
4 Nel 2003 è stata pubblicata a Cuba una biografia di René Ramos Latour, scritta da Judas M. Pacheco Águila, Ernesto Ramos Latour (fratello di René) e Belarmino Castilla Mas: Daniel, Comandante del llano y de la Sierra: Biografía, Editora Política, La Habana 2003. Il libro contiene materiali e documenti inediti e ha avuto una seconda edizione ampliata nеl 2008.
5 «[…] Sì cara mamma, qui, nella solitudine di queste montagne, ho capito cosa devo fare. Da un lato ho la terra sterile alla quale mani straniere hanno estratto le sue ricchezze per utilizzarle in uno scopo ignobile: l’assoggettamento e il dominio di gente che essi disprezzano e considerano inferiore. Dall’altro si erge maestoso un gruppo di montagne coperte di boschi ed erba alta. Qual è il loro destino? Eguagliare le loro sorelle in sterilità e inferiorità? No!, mi rifiuto di crederlo, ho la certezza che è possibile evitarlo, che siamo ancora in tempo! […]».
6 Ernesto Che Guevara, «Una riunione decisiva» (1964), in Passaggi della guerra rivoluzionaria, a cura di Roberto Massari, Erre emme, Roma 1997, p. 266.
7 La risposta di Daniel al Che è stata pubblicata per la prima volta da Carlos Franqui in Diario della rivoluzione cubana, cit., pp. 342-6 [Diario de la revolución cubana, cit., pp. 365-9]. Successivamente è stata pubblicata da Roberto Massari in Conoscere il Che, cit., pp. 157-62, e in Ernesto Che Guevara, uomo, compagno, amico…, Erre emme, Roma 1994, pp. 139-46.
8 Ernesto Che Guevara, «Pino del Agua II» (1964), in Passaggi della guerra rivoluzionaria, cit., p. 237.
9 Paco Ignacio Taibo II, Senza perdere la tenerezza. Vita e morte di Ernesto Che Guevara, il Saggiatore, Milano 2012, p. 224.
10 Il Che si riferisce a Ciro Redondo, capitano della Columna 4, morto nel combattimento di Mar Verde il 29 novembre 1957.
11 Il Partito ortodosso, dalle cui fila proveniva lo stesso Fidel Castro.
12 Armando Hart.
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