Siamo abbastanza chiaroveggenti da essere tentati di deporre le armi; nondimeno il riflesso della ribellione trionfa sui nostri dubbi; e benché potremmo diventare degli stoici perfetti,
l'anarchico rimane desto in noi e si oppone alla nostra rassegnazione.
(E.M. Cioran)
(E.M. Cioran)
I. LE CARNEVALATE DEI FESTIVAL DEL CINEMA E GLI ORSETTI LAVATORI DELLA CRITICA IN FRAC
L'amore per la verità, la gioia o la rivolta pura e semplice dell'ordine costituito non alberga nelle anime morte del cinema italiano. Di lodi sperticate su film non sempre pregevoli sono lastricate le platee (le storie) della macchina/cinema… la civiltà dello spettacolo, come sappiamo, poggia i propri deliri di onnipotenza non solo sulle guerre, sugli indici della Borsa o sul consenso generalizzato dei mercati globali, ma anche e soprattutto sulla dittatura mediatica (cinema, fotografia, internet, televisione, pubblicità, carta stampata…). Lo spettacolo è il compendio di tutte le forme alienate della merce, della politica, dei saperi, e determina i rapporti sociali. La società spettacolare riproduce la schizofrenia delle coscienze addomesticate e l'organizzazione dominante del caos trova il proprio statuto nel controllo dei cittadini, con il rafforzamento di apparati di polizia sempre più sofisticati. I sovversivi del desiderio devono saper tracciare sentieri dell'indignazione o alzare il conflitto a uno stadio più elevato, dove la rivoluzione o la critica radicale di tutti gli aspetti della vita quotidiana diventa un momento creativo, e dove la libertà dell'immaginario si trasforma nell'immaginario della libertà.
Il film di Nanni Moretti, Mia madre, tratta di cose serie, come gli ultimi giorni di vita di una madre, e l'impegno del regista che aderisce al racconto (con venature autobiografiche) è davvero encomiabile… il film però è brutto. A momenti anche di una banalità da fine del mondo, che farebbe pensare che non bisogna mai vedere per forza un film fino in fondo. Meglio una passeggiata sul mare con la pioggia sulla faccia, che affondare nell'intimità cine-televisiva del dolore. Naturalmente, la critica in frac e il pubblico dello spettacolare integrato (nella cultura da centri commerciali, che è la medesima delle buffonate elettorali) sono di diverso avviso. L'apprezzamento manierato della critica è quasi sgradevole… si cerca e si scrive del film di Moretti quello che non c'è… gli incassi vanno in cordata con gli elogi e i premi arriveranno dopo le carnevalate di Cannes e altri tappeti rossi… che bello! una manica di idioti parla di cinema! di vestiti griffati! di scarpe con i tacchi alti! di puttane rifatte! gli applausi si sprecano… e il cinema? Il cinema è morto nella noia come percezione dell'esistente. Pura merda.
Moretti è simpatico, intelligente, sincero anche… il suo fare-cinema ottiene da sempre plausi circensi (specie dalla sinistra al caviale)… non c'è da meravigliarsi, in un paese dove un primo ministro con la faccia da cretino riesce a raccogliere consensi in cambio di chiacchiere da bottegai (che piacciono tanto alla confindustria, alla camorra e alla perduta classe operaia): il cinema che produce non può che essere quello celebrato di Benigni, Troisi, Verdone, Virzì, Sorrentino, Garrone… tanto per citare i meno peggio di una massiccia produzione cinematografica dove la stupidità regna senza un filo di dignità creativa.
L'amore per la vita liberata, il dissidio passionale o la sovversione non sospetta dell'ordine costituito non sembrano alloggiare nel cuore dei registi italiani… meglio la marchetta, quale che sia (i soldi sono l'arte riconosciuta!), e un posto, anche modesto, nella storiografia cinematografica delle scimmiette senza gloria della cultura italiana. Si tira un film come si tira uno schiaffo al sopruso… Tarantino, che è un perfetto imbecille, ha capito tutto del cinema… più è brutto, inutile o cretino, più incontra i favori del botteghino e della critica velinara che ne consegue… un film che lascia lo spettatore uguale a com'era prima di vederlo è un film fallito. Un cinema senza stupidi sarebbe però noioso quanto uno zoo senza iene, diceva. A questo rimedia il cinema hollywoodiano… specie in 3D… mostra che la nostalgia della barbarie è l'ultima parola della società consumerista ed è solo un primo passo verso la fascinazione dell'euforia (che è la scienza degli stupidi), che esalta i profeti di ogni potere invece di inchiodarli alle transenne di un distributore di benzina! I cattivi registi sono sempre superiori alle loro opere.
II. MIA MADRE
L'autore di film come Il caimano o Habemus Papam, opere di un certo livello qualitativo, insolito nel cinema italiano… si addossa ora alla scomparsa imminente di una madre… che in sé è cosa importante… e lo fa anche con una certa sincerità discorsiva… e coraggiosa è pure la costruzione figurativa del film, un ospedale, qualche comparsa, un bravo attore, John Turturro (fuori parte), e due brave attrici, Margherita Buy (che fa come al solito la nevrastenica) e Giulia Lazzarini (che gioca su timbri lessicali teatrali)… Moretti si ritaglia una parte sentita, quasi in ombra, tuttavia salace come meglio gli riesce. Margherita (Buy) è una regista impegnata a sinistra… gira un film sulla classe operaia e sul nuovo padrone americano (Turturro), che addomestica (simpaticamente) sindacati e dipendenti. I licenziamenti sono tenuti sullo sfondo… le cariche della polizia contro i dimostranti, anche… ma qui si parla d'altro, dunque è giusto così. Turturro figura un divo del cinema americano in crisi d'identità… non si ricorda le battute, parla per luoghi comuni e balla da scemo con gli operai. Sfiora spesso il ridicolo, senza volerlo.
Margherita è separata, ha una figlia adolescente a cui non piace la scuola… l'amante è anche un attore del suo film. Giovanni (Moretti) è il fratello comprensivo. Un ingegnere riflessivo che lascia il lavoro per accudire la madre (Lazzarini) in punto di morte. Qualcuno ha scritto che Mia madre è anche un film sul cinema, sul rapporto tra realtà e finzione (!?), una cagata! Niente vero. Se c'è una cosa che in questo film non "gira" è proprio la "finzione" affabulativa, la messa in scena del girato di Margherita, che in un lampo di "genialità" chiede a un suo operatore se sta con i poliziotti o con i manifestanti.
La sceneggiatura (Moretti, Chiara Valerio, Francesco Piccolo, Valia Santella), tratta da un soggetto di Moretti, Valia Santella e Gaia Manzini, non brilla per i dialoghi né avvince per l'inventività emozionale… solo la naturalezza di Moretti salva in parte il film, ma ogni volta che appare la Buy sullo schermo ci viene da pensare alla facilità delle lacrime dei turisti davanti alla Fontana di Trevi o sotto la finestra del papa argentino (forse un po' avvinazzato) che invia baci ai bambini e non si accorge che sono pappagallini. Turturro poi sembra non sapere che i buffoni di Shakespeare avevano un'autentica coscienza dei limiti, e come tutti i grandi attori della "commedia dell'arte" la loro interpretazione era indissolubilmente legata alla verità dell'esistenza rivelata. La madre (Lazzarini), ex-professoressa di latino, sul letto di morte è svagata quanto basta… tuttavia basterebbe un'alzata di ciglio di Bette Davis per cancellare l'intera interpretazione. La fotografia (Arnaldo Catinari) è bruma, televisiva, anche in esterni. Prefigura l'intera stanchezza del film e insieme al montaggio (Clelio Benevento), freddo e labile, inesistente, lascia sullo schermo le stigmate di una tragedia ineluttabile incompleta.
Mia madre, sotto qualsiasi taglio lo si veda, è un film sincero ma sbagliato. Il mistero della morte scoperchia universi sguaiati o abdicazioni di stile… il patronato della benevolenza illumina solo le brame (di successo) imballate dei produttori di illusioni, non solo al cinema. Un cinema per l'uomo esiste e si afferma soltanto grazie ad atti di provocazione, eversione, disvelamento della realtà istituita… solo un miracolo può salvare il cinema italiano dalla mediocrità, ma è già stato fatto, nel 1951, e il film si chiamava Miracolo a Milano, di Vittorio De Sica (e Arturo Zavattini). Non sempre le idee, le parole, le immagini fanno l'opera che sorgerà dalla loro riorganizzazione poetica.
Col cinema non si fanno le rivoluzioni… le rivoluzioni si fanno con le rivoluzioni… però col cinema si può diventare uomini e donne migliori! Il ribrezzo della merce, come del Paradiso, contiene gli idolatri del gesto, del corpo, dell'effimero gettati nel conformismo, e sarà sempre troppo tardi per farla finita con queste baracconate del cinema come merce soltanto… chi è troppo lucido per adorare non lo sarà mai per demolire… la distruzione dei miti porta con sé quella dei pregiudizi… e si finisce col pensare che l'ultimo dei rimbambiti possa davvero insegnare qualcosa a qualcuno senza praticare mai un'oncia di rivolta contro l'impostura dominante. La crudeltà è lo Stato! Attentare con tutti i mezzi necessari ai ceppi secolari della violenza statuale significa lavorare per l'armonia sociale e alla più grande felicità per il maggior numero: imparare l'arte di vivere felici.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 27 volte maggio 2015
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