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giovedì 6 agosto 2015

ADDIO A ROBERT CONQUEST, di Andrea Furlan

Il 3 agosto 2015, nella città di Palo Alto in California, all'età di 98 anni, è scomparso il grande storico inglese Robert Conquest (nato nel Worcestershire il 15 luglio 1917, lo stesso anno della Rivoluzione che avrebbe poi studiato nelle sue tragiche conseguenze per il resto della vita).
Con i suoi numerosi saggi - in particolare quelli dedicati al tema dello stalinismo e dell'Unione Sovietica - e con la ricchezza di dati in essi contenuti, aveva dato un contributo fondamentale per la diffusione di uno spirito critico verso l'esperienza dell'Urss, contro la vulgata filostaliniana sostenuta da intellettuali compiacenti in vari Paesi del mondo.
Il merito storico che dobbiamo riconoscere a Conquest non è rappresentato unicamente dalla sua denuncia ultradocumentata dei crimini contro l'umanità compiuti dallo stalinismo - crimini che sono ormai riconosciuti da tutti o quasi tutti gli storici più seri che si occupano dello stalinismo e del Gulag - ma anche dalla lungimiranza con cui seppe prevedere la crisi inevitabile di quel sistema. E ciò perché seppe scavare a fondo nelle ragioni politiche che portarono alla trasformazione in controrivoluzione del processo rivoluzionario russo, partendo da un'analisi lucida (anche perché in gioventù era stato a sua volta membro del Partito comunista) delle prime scelte compiute dal Partito bolscevico al potere, quelle che spalancarono la porta alla distruzione del processo rivoluzionario e al successivo trionfo della burocrazia stalinista.
La sua opera di maggior rilievo - e certamente la più celebre - è Il Grande Terrore, del 1968 (Mondadori 1970 - aggiornata nell'ultima versione pubblicata dalla BUR nel 1999): un'opera monumentale sulla violenza con cui il regime staliniano distrusse ogni forma di opposizione, reale o potenziale, all'interno del Partito, nel Paese, tra i popoli che ebbero la sventura di appartenere all'Urss o di essere da essa annessi (vedi la Polonia).
A rileggerlo si riesce ancora ad apprezzare pienamente il valore della ricostruzione storica, minuziosamente descritta senza lasciare nulla di indimostrato, secondo un preciso ordine cronologico e in anni in cui ancora non erano apparse le ricerche sul terrore staliniano prodotte dopo il 1989. Non esisteva ancora nemmeno Arcipelago Gulag di Solženicyn, che fu pubblicato in prima edizione nel 1973.
Conquest ha fornito una descrizione ma anche un'interpretazione degli eventi che avevano portato Stalin al potere, e delle ragioni per le quali il dittatore georgiano ebbe bisogno di eliminare fisicamente non solo gli oppositori, ma anche i più stretti collaboratori, i principali responsabili della repressione, i quadri dirigenti dell'esercito. E tutto ciò allo stesso tempo in cui faceva morire di fame o in seguito a deportazione milioni di contadini, in particolare in Ucraina, ma non solo.
Ho già avuto modo di recensire qui Il Grande Terrore per il blog di Utopia Rossa e non posso che ribadire quanto fondamentali siano le pagine dell'introduzione scritta da Conquest, intitolata «Il partito di Lenin», in cui lo storico britannico fa risalire una parte delle responsabilità per il trionfo dello stalinismo alle scelte compiute sia da Lenin che da Trotsky. Per quest'ultimo commenta con amara ironia il fatto che ancora nei primi anni '30 considerasse riformabile un regime sanguinario e feroce come quello di Stalin. Egli annota anche che per compiere la propria opera Stalin non dovette modificare molto la legislazione esistente, ma usò quella che il governo bolscevico aveva adottato nei primi anni dopo la vittoria, prima ancora della distruzione del soviet di Kronštadt (1921).
Gran parte della sinistra non volle apprezzare l'opera di Conquest a suo tempo, proprio perché lo storico inglese riallacciava i crimini di Stalin alle scelte antidemocratiche compiute da Lenin e Trotsky, alla liquidazione dei soviet, alla creazione della polizia segreta (Čeka), alla messa al bando di qualsiasi possibilità di opposizione organizzata all'interno del Partito.

Perdiamo uno storico acuto, una mente libera, un grande studioso figlio di una generazione speciale e prolifica di storici anglosassoni. Può dispiacere che abbia rinunciato all'idea dell'abbattimento della società capitalistica - disilluso da quanto accadeva in Unione Sovietica - per tornare a rivalutare il capitalismo, arrivando ad occupare cariche importanti nel sistema britannico e fornendo addirittura un sostegno alle politiche di Margaret Thatcher.
Questa parte finale della sua vita, frutto della grande disillusione (che ha colpito gran parte dell'intellighenzia europea, entusiasmatasi precocemente per le presunte conquiste dell'Unione Sovietica), non deve farci dimenticare la gratitudine che gli dobbiamo per averci fornito strumenti importanti di analisi del regime staliniano in anni in cui ancora girava la vulgata che l'Urss si avviasse verso il comunismo e che i partiti a lei collegati fossero in fondo solo «dei compagni che sbagliavano». Conquest ha messo a nudo la rete criminale di complicità che legava questi partiti alla casa madre Russia e in questo modo ha lasciato un patrimonio insostituibile alle generazioni future, e comunque a tutti coloro che vorranno fare tesoro degli errori e orrori commessi in nome del movimento operaio nel Novecento.

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