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mercoledì 10 luglio 2013

NON SARÀ LA RIVOLUZIONE, MA… (sul comunicato di Grillo all'uscita dal Quirinale), di Roberto Massari

Non sarà la rivoluzione (perché manca questo e manca quello - come faranno notare gli esperti in gruppettologia comparata), ma intanto bisogna dire che nessuno qui in Italia ha mai avuto il coraggio di parlare in questi termini al Presidente della Repubblica, uscendo o entrando dal suo reale studio. Un Presidente che ne esce malissimo, con accuse esplicite al suo ruolo extraistituzionale e l'affermazione implicita che lui è parte del problema, che non lo avremmo voluto di nuovo in quel posto, che le colpe del governo ricadono su di lui ecc.

Sui partiti la musica è quella che sappiamo, ma fa sempre piacere riascoltarla, visto che non viene suonata in una riunione di 4 gatti, ma davanti a milioni di persone di questo Paese che sicuramente di questo incontro vorranno sapere, foss'altro che per curiosità morbosa.
Nel pacchetto propositivo mi sembra ridimensionata la follia dell'uscita dall'euro (da Grillo mai veramente fatta sua), laddove si indicano invece precisi pericoli di crollo sociale nel Paese con ricadute a livello internazionale, se si mantiene l'attuale linea di politica economica (fatta di tasse, prelievi, compressione dei consumi e soprattutto rinvii, decreti legge e schermaglie di schieramento parlamentare). Giusto il taglio e giuste anche le singole proposte. Le radici della crisi sono in Italia e la soluzione della crisi è incompatibile con i partiti esistenti, il Parlamento esistente, i giornali esistenti, la Presidenza della repubblica esistente.
Si dice chiaramente che la catastrofe è ormai possibile, grazie al modello di soluzione della crisi finanziaria adottato (Letta ora, Monti ieri, centrodestra e centrosinistra ormai appaiati) e non è dovuta alle trame di superpoteri, di una inesistente borghesia internazionale e sovrastatale. Un po' di piedi per terra non fanno mai male.
Se qualcuno aveva la faccia tosta di dire che da Grillo non arrivano proposte concrete, adesso può ricredersi e riconoscere in buona fede che una bella base da cui partire... con le lotte, c'è e come. Le proposte sono nel numero giusto, non sono astratte, non sono ultimatistiche. Sono molto concrete, sono praticabili da parte di un movimento di massa che spazzi via l'attuale sistema delle caste, e sono quindi impraticabili con governi in cui sia presente in tutto o in parte l'attuale casta politica. È facile vedere che una loro realizzazione aprirebbe una grave e sana crisi politica nel Paese.
E finalmente non siamo di fronte alla solita lista della spesa perché con 8,5 milioni di voti e qualche sostegno extra, Grillo potrebbe cominciare a tradurre in pratica quegli obiettivi anche da domani. La grande novità è che Grillo quelle cose aveva promesso e su quelle cose tiene duro anche ora che ha stravinto le elezioni politiche, che è stato ricevuto dal Presidente, che avrebbe una grande carriera politica personale da percorrere. Sembra archeologia la doppiezza togliattiana, ingraiana, bertinottiana, e tutti gli "ani" che siedono negli scranni della casta parlamentare.
E' un comunicato con cui Grillo si candida a capo del governo, ma escludendo inciuci con i responsabili della crisi, che vengono liquidati in blocco. Non si era mai visto o sentito in Italia.
Rimangono le illusioni che il Parlamento possa essere lo strumento di questa ripresa e non vi è alcun accenno a una prospettiva di lotte extraparlamentari. Per questo ho cominciato dicendo che "non sarà la rivoluzione ma". E ovviamente si sopravvalutano implicitamente le capacità del Movimento 5S che in chissà quanta sua parte si illude ancora che magari Napolitano in qualcosa verrà loro incontro. Persone che hanno indicato la Bonino come una dei possibili candidati/e alla Presidenza della Repubblica mi fanno venire i brividi nella schiena. Ma se poi penso a tutti coloro che avevano indicato Gino Strada, mi consolo.

La proposta di nuove elezioni è invece tale da far venire i brividi nella schiena, ma a Letta, ad Alfano, a Bersani e compagnia cantante. È una proposta che ha anche una funzione interna al Movimento per serrare le fila e rappresenta una minaccia a chi sta esagerando nei tentativi di disgregazione del Movimento.
Renzi appare un chierichetto seminarista rispetto alla virulenza sana e sostanziale del discorso qui esposto. Chissà che non scelga di tacere e defilarsi.
M'immagino le reazioni scandalizzate dei portavoce politici delle varie caste e dei giornali (ai quali Grillo vorrebbe giustamente togliere il sovvenzionamento statale). A meno che non circoli una velina di quelle "taci il nemico ci ascolta" (come ai tempi del caso Moro) ordinando il silenzio stampa. Un paio di articoletti per testata a dimostrare la buona volontà delle due parti e poi, via, avanti con i decreti leggi, gli aumenti delle tasse, i rinvii, soprattutto i rinvii, gli appassionanti scontri dentro i partiti, le sorti di alcuni individui trasformate in destini del Paese. Ah, se non ci fosse Grillo e il M5S…
sognano costoro.

Leggo con estrema serietà il comunicato di Grillo, lo assumo per quanto contiene e vedo un aspetto positivo anche nell'esistenza del comunicato in sé: niente parole vaghe, niente discussioni su come vada interpretata tale parola. Lì c'è scritto quello che c'era da scrivere e l'ufficio stampa del Quirinale faticherà non poco per cercare di ammorbidirlo. Si potrà essere d'accordo o in disaccordo, ma non si potrà dire che il discorso non è chiaro. A me risulta chiarissimo. E ancora una volta devo dire che atteggiamenti simili, così rudi e schietti, nel Parlamento italiano non si vedevano dalla caduta del Fascismo e forse nemmeno prima. La tradizione parolaia italiana (della Destra, dei socialisti, dei fascisti, dei democristiani, dei togliattiani, degli ingraiani, dei bertinottiani, dei berlusconiani e dei Pdmenoelliani) non ha mai permesso che persone di spicco a livello nazionale potessero parlare un simile linguaggio. E potessero scrivere simili comunicati. Napolitano e la banda che sappiamo si starà ancora chiedendo perché Grillo non si lascia corrompere come tutti gli altri prima di lui. Francamente non lo so nemmeno io. Certo il fenomeno mi rincuora e qualcun altro vorrà cominciare ad imitarlo (intendo per la coerenza, non altri aspetti meno simpatici e meno democratici).
Grillo non usciva da una riunione in Federazione o da una trattativa sindacale. Usciva dal Quirinale (dove immagino non lo faranno più andare…). Ha chiaramente vinto la partita, tra l'altro con una volpe della politica che cavalca la cresta dell'onda da quando giovanotto del Pci inneggiava ai massacri del popolo ungherese. Di strada ne ha fatta da allora e non certo per farsi incartare da un Grillo altoparlante.

Concludo con un pensiero rivolto alla borghesia italiana e ai "poteri forti" che al momento non sembrano più avere carte di ricambio per risolvere politicamente la crisi: niente più ingraiani, niente più Manifesto, niente più bertinottiani, forse un po' di vendoliani, insomma niente più epigoni del togliattismo o Forchettoni rossi a far finta di essere l'estrema sinistra e a costruire le proprie carriere politiche personali sulle lotte degli altri.
La partita è in corso e invito i compagni a tenere gli occhi bene aperti. Nel passato sono state compiute stragi, sono scoppiate bombe e si sono uccisi personaggi politici per molto meno.
Roberto


IL COMUNICATO DI BEPPE GRILLO

"Al Presidente della Repubblica Italiana,
ho chiesto questo incontro, di cui la ringrazio per la sollecitudine, per esprimerle direttamente le mie preoccupazioni sulla situazione economica, sociale e politica del Paese convinto che misure urgenti e straordinarie, pari a quelle di un’economia di guerra, non possano più aspettare oltre, neppure un giorno.
L’Italia si avvia verso la catastrofe. Chi è oggi al governo del Paese è responsabile dello sfacelo, sono gli stessi che ne hanno distrutto l’economia. Questa classe politica non è in grado di risolvere alcun problema. E’ essa stessa il problema. Il Governo delle Larghe Intese, voluto fortemente da lei, tutela soltanto lo status quo e gli interessi di Berlusconi, che in qualunque altra democrazia occidentale non sarebbe ammesso ad alcuna carica pubblica, e tanto meno in Parlamento. La Nazione è una pentola a pressione che sta per saltare, mentre, ormai da mesi, il Governo Letta si balocca con il rinvio dell’IMU e la cancellazione di un punto dell’IVA senza trovare una soluzione. I numeri dello sfacelo sono sotto gli occhi di chiunque voglia vederli, e sono drammatici. Il tasso di disoccupazione più alto dal 1977, il crollo continuo della produzione industriale, che si attesterà a meno tre per cento nel 2013, la continua crescita del debito pubblico che è arrivato a 2.040 miliardi di euro, il fallimento delle imprese che chiudono con il ritmo di una al minuto, una delle tassazioni più alte d’Europa, sia sulle imprese che sulle persone fisiche, gli stipendi tra i più bassi della UE, il crollo dei consumi, persino degli alimentari, l’indebitamento delle famiglie. È una Caporetto e sul Piave non c’è nessuno, sono tutti nei Palazzi a rimandare le decisioni e a fare annunci. Il Parlamento è espropriato dalle sue funzioni, la legge elettorale detta Porcellum è incostituzionale e i parlamentari sono stati nominati a tavolino da pochi segretari di partito. Il Governo fa i decreti legge senza che sia dato il tempo minimo per esaminarli e il Parlamento approva a comando. Non siamo più da tempo una repubblica parlamentare, forse neppure una democrazia.
 Il debito pubblico ci sta divorando, paghiamo di interessi circa 100 miliardi di euro all’anno, che crescono ogni giorno. Solo quest’anno per non fallire dovremo vendere 400 miliardi di euro di titoli. Le entrate dello Stato sono di circa 800 miliardi all’anno, un euro su otto serve a pagare gli interessi sul debito. Né Berlusconi, né Monti, né Letta hanno bloccato la spirale del debito pubblico, che cresce al ritmo di 110 miliardi all’anno. Gli interessi sul debito e la diminuzione delle entrate fiscali, dovute al fallimento di massa delle imprese, alla disoccupazione e al crollo dei consumi, rappresentano la certezza del prossimo default.
Non c’è scelta. Il debito pubblico va ristrutturato. Gli interessi annui divorano la spesa sociale, gli investimenti, la ricerca. E’ come nella Storia Infinita, dove il Nulla divorava la Realtà: l’interesse sul debito sta divorando lo Stato Sociale. Si può rimanere nell’euro, ma solo rinegoziando le condizioni. O attraverso l’emissione di eurobond che ritengo indispensabile o, in alternativa, con la ristrutturazione del nostro debito, una misura che colpirebbe soprattutto Germania e Francia che detengono la maggior parte del 35% dei nostri titoli pubblici collocati all’estero. Non possiamo fallire in nome dell’euro. Questo non può chiederlo, né imporcelo nessuno. A fine 2011 i titoli di Stato italiani presenti in banche o istituzioni estere erano il 50%, le nostre banche grazie al prestito della BCE dello scorso anno, prestito garantito dagli Stati e quindi anche da noi, si sono ricomprati circa 300 miliardi dall’estero, tra titoli in scadenza e rimessi sul mercato, questo invece di dare credito alle imprese. E siamo scesi al 35%. E’ il miglior modo per fallire. Quando ci saremo ricomprati tutto il debito estero e non avremo più un tessuto industriale collasseremo e la UE rimarrà a guardare, come è successo in Grecia. Ora disponiamo di un potere contrattuale, ora dobbiamo usarlo.
L’Italia ha l’assoluta necessità di aiutare le imprese con misure come il taglio dell’Irap, una tassazione al livello della media europea, con servizi efficienti e meno costosi, con la protezione del Made in Italy assegnato solo a chi produce in Italia e con l’eventuale applicazione di dazi su alcuni prodotti. Allo stesso tempo è urgente l’introduzione del reddito di cittadinanza, nessuno deve rimanere indietro. Ci preoccupiamo dei problemi del mondo quando non riusciamo ad assistere gli anziani e non diamo possibilità di lavoro ai nostri ragazzi che devono emigrare a centinaia di migliaia.
Reddito di cittadinanza e rilancio delle PMI sono possibili da subito con il taglio ai mille privilegi e alle spese inutili. Ne elenco solo alcuni. 
Eliminare le province, portare il tetto massimo delle pensioni a 5.000 euro, tagliare finanziamenti pubblici ai partiti e ai giornali, riportare la gestione delle concessioni pubbliche nelle mani dello Stato, a iniziare dalle autostrade, perché sia l'Erario a maturare profitti e non aziende private come Benetton o, dove questo non sia possibile, ridiscutere le condizioni, eliminare la burocrazia politica dalle partecipate dove prosperano migliaia di dirigenti, nazionalizzare il Monte dei Paschi di Siena, eliminare ogni grande opera inutile come la Tav in Val di Susa e l'Expo di Milano, ridurre drasticamente stipendi e benefit dei parlamentari e di ogni carica pubblica, cancellare la missione in Afghanistan, fermare l'acquisto degli F35. Potrei continuare a lungo. Queste misure non possono essere prese dall’attuale classe politica perché taglierebbe il ramo su cui si regge.
Questo Parlamento non è stato eletto dagli italiani, ma dai partiti e dalle lobby. Non può affrontare una situazione di emergenza nazionale, di economia di guerra, perché deve rispondere ai suoi padrini, non ai cittadini.
Le chiedo perciò di fare abrogare l’attuale legge elettorale in quanto incostituzionale, di sciogliere il Parlamento e di ritornare alle urne. L’autunno è alle porte insieme al probabile collasso economico. I problemi si trasformeranno da politici a sociali, probabilmente incontrollabili. Non c’è più tempo. Lei ha volutamente tenuto sulle sue spalle grandi responsabilità quando avrebbe potuto e forse dovuto declinarle. Lei è ormai diventato lo scudo, il parafulmine di partiti che non hanno saputo né governare, né riformarsi e da ritenersi, nel migliore dei casi, degli incapaci. Non è questo il suo compito, ma quello di rappresentare gli interessi del popolo italiano."

 Beppe Grillo



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