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martedì 2 luglio 2013

IN FIAMME LA SEZIONE TRIONFALE DELL'EX PCI (ora Pd e Sel), di Roberto Massari

Foto segnaletica di Otello di Peppe D'Alcide, comunista, 
martire delle Fosse Ardeatine. La foto è stata presa 
durante la prigionia a Regina Coeli, dopo le torture a via 
Tasso e prima del suo assassinio da parte dei nazifascisti.
Vorrei condividere con i compagni e le compagne cui sto mandando questa lettera, l'esperienza provata giovedì 27 a Roma, davanti alla celebre ex sezione Pci di Trionfale, ora sezione Pd e Sel.
Fin dalle origini quella sezione è stata dedicata a mio nonno materno (Otello di Peppe D'Alcide, comunista, ebanista e martire delle Fosse Ardeatine) - come ricordava anche il Corriere della Sera di mercoledì in cronaca romana, pur storpiando il nome di Otello in Oreste - e una grande lapide con il ritratto di nonno in un tondo ha sempre accolto all'ingresso chi entrava in quella sezione.
Quando da bambino (prima e durante le elementari) mi capitava di accompagnare mia madre a fare la spesa al mercato di via Andrea Doria, passavamo apposta davanti alla sezione, ci fermavamo sulla soglia ed io dicevo il mio "Ciao nonno".
Quanto la vicenda di mio nonno mi abbia condizionato nelle successive scelte politiche è sotto gli occhi di tutti. Meno noto è invece quanto io abbia fatto per conservarne e diffonderne la memoria: facendo appello (inascoltato) alle autorità di Chieti - dove nonno nacque - perché gli dedichino una strada; percorrendo tutti e tre i gradi del processo contro Priebke, compreso un quarto grado preliminare (il ricorso alla Corte costituzionale perché si accettasse per la prima volta la costituzione di parti civili in un processo militare); donando alcune memorie di nonno al Museo di via Tasso dove egli fu torturato; pubblicando il bel libro di Giuseppe (Pino) Mogavero I muri ricordano; collaborando con lo stesso Mogavero alla preparazione di un libro apposito su nonno Otello.
Ebbene, quando ho saputo che lunedì scorso un incendio (sicuramente doloso) aveva quasi distrutto la sezione (entrambi i circoli), portando addirittura all'evacuazione del palazzo, mi sono subito sentito impegnato moralmente a partecipare alla manifestazione che effettivamente c'è stata giovedì 27 giugno, davanti alla sezione semidistrutta (la lapide per fortuna è sana, ma è tutta coperta dal nero-fumo), in un'atmosfera di commozione e voglia di reagire allo stesso tempo. Un pubblico soprattutto Pd (che nel quartiere Trionfale - il mio quartiere - riesce però ad allacciarsi a tradizioni tutto sommato comuniste - si pensi che a poche centinaia di metri dalla sezione viveva Errico Malatesta...), con un po' di Sel e qualche presenza da fuori. (…) C'erano anche i miei due figli, Liben e Laris, presentati ufficialmente come pronipoti di Otello.
E come nipote di Otello sono stato accolto con simpatia dal centinaio circa di persone convenute, e il mio intervento (gridato a squarciagola perché i megafoni non sono più di moda) è stato interrotto più volte da applausi di solidarietà.
Altri interventi hanno ricordato che quella sezione è dedicata a Otello di Peppe. Per me è stato facile ricollegarmi a loro e dire che nonno mi sembrava ancora vivo e in mezzo a noi, tra quella gente che di lui probabilmente non sapeva niente, ma che di lui si considera erede. E sono venuto via in uno stato di lucida commozione, come non mi accade spesso: a settant'anni dalla morte di nonno alle Ardeatine c'è ancora chi ritiene utile appiccare il fuoco a sezioni della ex sinistra come se fossimo nel '22, ma c'è ancora chi rivendica la continuità con l'esempio di Otello e chi, come me, riesce a sentirlo ancora vivo, anche grazie a quell'attentato e per quel richiamo ideale a lui.
Con un compagno simpatizzante di UR ho scambiato alcune considerazioni su quel tipo di pubblico. Ognuno di noi sa bene che quelle persone, schieratissime col centrosinistra (cioè col partito delle guerre all'estero, delle tasse impietose e della liquidazione di ogni conquista sindacale, temporaneamente alleato a Berlusconi pur di poter stare al governo) rappresentano politicamente il contrario esatto delle idee mie e di mio nonno. Insomma, Pd e Pdl, facce diverse della stessa medaglia, ipotesi diverse di difesa dell'imperialismo italiano, come abbiamo sempre detto, e molto prima di Grillo.
Eppure quelle persone erano lì, un giorno feriale di pomeriggio, pronte a entusiasmarsi e ad applaudire anche i passi anticapitalistici del mio intervento. Tra loro si chiamavano compagni e la cosa più curiosa e che tali si consideravano realmente. Insomma, se tra i dirigenti del Pd e del Pdl (Sel è un'appendice esterna, che però attualmente non si identifica totalmente col centrosinistra) si può tracciare una linea di identità (del tipo: fanno schifo entrambi, servi del capitale, nemici dei lavoratori ecc.), lo stesso non si può fare con i loro iscritti, attivisti o membri di base. Un pubblico così rispondente non lo avrei trovato in una manifestazione-assemblea del Pdl, del Cdu, dei montiani. Ed è lì che casca il somaro da una novantina d'anni: i dirigenti dell'ex movimento operaio - Pci, Psi e diramazioni varie - fanno schifo politicamente e storicamente quasi dalla nascita (sono cioè organici ai progetti della borghesia e di alcuni apparati burocratici di Stato, e non parliamo nemmeno delle loro responsabilità nella vittoria della controrivoluzione staliniana), mentre le loro basi continuano a credere di lottare per il progresso, la democrazia e nei casi più tragici anche per il comunismo. Non sarà per tutti così, ma per una certa fetta e in determinati contesti, il fatto è indiscutibile.
La differenza tra le basi del Pd-Sel e quelle del Pdl-Lega rispetto all'eguaglianza sostanziale ma ormai anche formale dei vertici di entrambi rappresenta il nodo cruciale della lotta di classe in Italia. Con altre sigle, in altri contesti, con storie nazionali diverse e in epoche diverse ciò è stato ed è vero su scala mondiale da quasi un secolo se non prima. Una classe sociale degna del nome (in questo caso i lavoratori) non potrebbe continuare per decenni ad autoilludersi che i propri dirigenti siano tutto sommato portatori dei loro ideali di base, delle loro necessità sociali e di classe. Una classe sociale degna del nome spezzerebbe prima o poi o al termine di determinati processi il nodo gordiano dell'incongruenza tra dichiarazioni e azioni e si darebbe nuovi dirigenti al posto di quelli traditori e/o incapaci. La borghesia lo ha fatto più volte (basti solo pensare alla Francia) e continua a farlo (anche se sempre con maggiore fatica). Il movimento operaio non ci è mai riuscito (si pensi alla sopravvivenza delle direzioni socialdemocratiche anche in piena espansione del bolscevismo e al prestigio dell'Urss tra i lavoratori di gran parte del mondo nonostante il Patto con Hitler, le sconfitte su ogni fronte, le invasioni di altri popoli e Paesi, la fame, il Gulag ecc.) e ormai ha rinunciato storicamente a farlo. Anzi, siamo giunti al punto di poter dire che il movimento operaio ha preferito autodissolversi, ha preferito scomparire come movimento antagonista organizzato di massa piuttosto che buttare al macero le proprie direzioni storiche e darsene di nuove che lo portassero a conseguire qualche vittoria propria. Il tutto avendo avuto centinaia se non migliaia di occasioni per verificare l'incompatibilità di quelle direzioni con i proprio ideali.
Ecco ciò che volevo comunicarvi: dall'emozione per aver risollevato una pagina della mia infanzia vedendo mio nonno "vivo" in quella manifestazione davanti a una sezione arsa dal fuoco di ignoti sono arrivato (lì, in loco) alle considerazioni sulla natura psicologicamente (antropologicamente?) antagonistica di quella gente presente, nonostante il carattere scopertamente reazionario dei suoi dirigenti. (...)
Dimenticavo di dire che a nonno dedicai anche una poesia* nel settembre del 1966 (cioè a vent'anni), reduce dal viaggio in Europa a ad Auschwitz che cambiò la mia vita.

Roberto

28-06-2013

*Fosse Ardeatine, pubblicata assieme ad altre poesie di Roberto Massari nel libro Multiversi. Mezzo secolo di poesie (Massari editore, 2012)

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