Foto segnaletica di Otello di Peppe D'Alcide, comunista,
martire delle Fosse
Ardeatine. La foto è stata presa
durante la prigionia a Regina Coeli, dopo le torture
a via
Tasso e prima del suo assassinio da parte dei nazifascisti.
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Fin dalle origini quella sezione è stata dedicata a mio nonno materno
(Otello di Peppe D'Alcide, comunista, ebanista e martire delle Fosse Ardeatine)
- come ricordava anche il Corriere della Sera di mercoledì in cronaca romana, pur
storpiando il nome di Otello in Oreste - e una grande lapide con il ritratto di
nonno in un tondo ha sempre accolto all'ingresso chi entrava in quella sezione.
Quando da bambino (prima e durante le elementari) mi capitava di
accompagnare mia madre a fare la spesa al mercato di via Andrea Doria,
passavamo apposta davanti alla sezione, ci fermavamo sulla soglia ed io dicevo
il mio "Ciao nonno".
Quanto la vicenda di mio nonno mi abbia condizionato nelle successive
scelte politiche è sotto gli occhi di tutti. Meno noto è invece quanto io abbia
fatto per conservarne e diffonderne la memoria: facendo appello (inascoltato)
alle autorità di Chieti - dove nonno nacque - perché gli dedichino una strada;
percorrendo tutti e tre i gradi del processo contro Priebke, compreso un quarto
grado preliminare (il ricorso alla Corte costituzionale perché si accettasse
per la prima volta la costituzione di parti civili in un processo militare);
donando alcune memorie di nonno al Museo di via Tasso dove egli fu torturato;
pubblicando il bel libro di Giuseppe (Pino) Mogavero I muri ricordano;
collaborando con lo stesso Mogavero alla preparazione di un libro apposito su
nonno Otello.
Ebbene, quando ho saputo che lunedì scorso un incendio (sicuramente doloso)
aveva quasi distrutto la sezione (entrambi i circoli), portando addirittura
all'evacuazione del palazzo, mi sono subito sentito impegnato moralmente a
partecipare alla manifestazione che effettivamente c'è stata giovedì 27 giugno, davanti alla
sezione semidistrutta (la lapide per fortuna è sana, ma è tutta coperta dal
nero-fumo), in un'atmosfera di commozione e voglia di reagire allo stesso
tempo. Un pubblico soprattutto Pd (che nel quartiere Trionfale - il mio
quartiere - riesce però ad allacciarsi a tradizioni tutto sommato comuniste -
si pensi che a poche centinaia di metri dalla sezione viveva Errico
Malatesta...), con un po' di Sel e qualche presenza da fuori. (…)
C'erano anche i miei due figli, Liben e Laris, presentati ufficialmente come
pronipoti di Otello.
E come nipote di Otello sono stato accolto con simpatia dal centinaio circa
di persone convenute, e il mio intervento (gridato a squarciagola perché i
megafoni non sono più di moda) è stato interrotto più volte da applausi di
solidarietà.
Altri interventi hanno ricordato che quella sezione è dedicata a Otello di
Peppe. Per me è stato facile ricollegarmi a loro e dire che nonno mi sembrava
ancora vivo e in mezzo a noi, tra quella gente che di lui probabilmente non
sapeva niente, ma che di lui si considera erede. E sono venuto via in uno stato
di lucida commozione, come non mi accade spesso: a settant'anni dalla morte di
nonno alle Ardeatine c'è ancora chi ritiene utile appiccare il fuoco a sezioni
della ex sinistra come se fossimo nel '22, ma c'è ancora chi rivendica la
continuità con l'esempio di Otello e chi, come me, riesce a sentirlo ancora
vivo, anche grazie a quell'attentato e per quel richiamo ideale a lui.
Con un compagno
simpatizzante di UR ho scambiato alcune considerazioni su quel tipo di
pubblico. Ognuno di noi sa bene che quelle persone, schieratissime col
centrosinistra (cioè col partito delle guerre all'estero, delle tasse impietose
e della liquidazione di ogni conquista sindacale, temporaneamente alleato a
Berlusconi pur di poter stare al governo) rappresentano politicamente il
contrario esatto delle idee mie e di mio nonno. Insomma, Pd e Pdl, facce
diverse della stessa medaglia, ipotesi diverse di difesa dell'imperialismo
italiano, come abbiamo sempre detto, e molto prima di Grillo.
Eppure quelle persone erano lì, un giorno feriale di pomeriggio, pronte a
entusiasmarsi e ad applaudire anche i passi anticapitalistici del mio intervento. Tra loro si chiamavano compagni e la cosa più curiosa e che tali si
consideravano realmente. Insomma, se tra i dirigenti del Pd e del Pdl (Sel è
un'appendice esterna, che però attualmente non si identifica totalmente col
centrosinistra) si può tracciare una linea di identità (del tipo: fanno schifo
entrambi, servi del capitale, nemici dei lavoratori ecc.), lo stesso non si può
fare con i loro iscritti, attivisti o membri di base. Un pubblico così
rispondente non lo avrei trovato in una manifestazione-assemblea del Pdl, del
Cdu, dei montiani. Ed è lì che casca il somaro da una novantina d'anni: i
dirigenti dell'ex movimento operaio - Pci, Psi e diramazioni varie - fanno
schifo politicamente e storicamente quasi dalla nascita (sono cioè organici ai
progetti della borghesia e di alcuni apparati burocratici di Stato, e non
parliamo nemmeno delle loro responsabilità nella vittoria della
controrivoluzione staliniana), mentre le loro basi continuano a credere di
lottare per il progresso, la democrazia e nei casi più tragici anche per il
comunismo. Non sarà per tutti così, ma per una certa fetta e in determinati
contesti, il fatto è indiscutibile.
La differenza tra le basi del Pd-Sel e quelle del Pdl-Lega rispetto
all'eguaglianza sostanziale ma ormai anche formale dei vertici di entrambi
rappresenta il nodo cruciale della lotta di classe in Italia. Con altre sigle,
in altri contesti, con storie nazionali diverse e in epoche diverse ciò è stato
ed è vero su scala mondiale da quasi un secolo se non prima. Una classe sociale
degna del nome (in questo caso i lavoratori) non potrebbe continuare per
decenni ad autoilludersi che i propri dirigenti siano tutto sommato portatori
dei loro ideali di base, delle loro necessità sociali e di classe. Una classe
sociale degna del nome spezzerebbe prima o poi o al termine di determinati
processi il nodo gordiano dell'incongruenza tra dichiarazioni e azioni e si
darebbe nuovi dirigenti al posto di quelli traditori e/o incapaci. La borghesia
lo ha fatto più volte (basti solo pensare alla Francia) e continua a farlo
(anche se sempre con maggiore fatica). Il movimento operaio non ci è mai
riuscito (si pensi alla sopravvivenza delle direzioni socialdemocratiche anche
in piena espansione del bolscevismo e al prestigio dell'Urss tra i lavoratori
di gran parte del mondo nonostante il Patto con Hitler, le sconfitte su ogni
fronte, le invasioni di altri popoli e Paesi, la fame, il Gulag ecc.) e ormai
ha rinunciato storicamente a farlo. Anzi, siamo giunti al punto di poter dire
che il movimento operaio ha preferito autodissolversi, ha preferito scomparire
come movimento antagonista organizzato di massa piuttosto che buttare al macero
le proprie direzioni storiche e darsene di nuove che lo portassero a conseguire
qualche vittoria propria. Il tutto avendo avuto centinaia se non migliaia di
occasioni per verificare l'incompatibilità di quelle direzioni con i proprio
ideali.
Ecco ciò che volevo comunicarvi: dall'emozione per aver risollevato una
pagina della mia infanzia vedendo mio nonno "vivo" in quella
manifestazione davanti a una sezione arsa dal fuoco di ignoti sono arrivato
(lì, in loco) alle considerazioni sulla natura psicologicamente
(antropologicamente?) antagonistica di quella gente presente, nonostante il
carattere scopertamente reazionario dei suoi dirigenti. (...)
Dimenticavo
di dire
che a nonno dedicai anche una poesia* nel settembre del 1966 (cioè a vent'anni),
reduce dal viaggio in Europa a ad Auschwitz
che cambiò la mia vita.
Roberto
28-06-2013
*Fosse Ardeatine, pubblicata assieme ad altre poesie di Roberto Massari nel libro Multiversi. Mezzo secolo di poesie (Massari editore, 2012)
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