Il mio primo incontro con Humberto Vázquez Viaña è avvenuto con la
lettura del suo bellissimo libro La guerriglia del Che in Bolivia: Antecedenti, pubblicato da Massari editore, dove egli narra tutte le vicende che
precedettero l'ultima impresa di Guevara, con straordinaria precisione
storiografica e con grande capacità narrativa, attenta ai particolari anche più
minuziosi, ma senza mai perdere la visione d'insieme. Ne esce un quadro vivo
degli eventi narrati, in cui il “guerrigliero eroico” risulta un uomo
tratteggiato nella sua dimensione “categorica”, più che proteso ad inseguire un
suo sogno utopistico oppure una vocazione ideologica. È la storia del
compimento di un “dovere morale” come quella di gran parte della vita di
Guevara e, come ogni vicenda di tal genere, in continua tensione tra “voler
essere” e “dover essere”, con tutti gli errori e gli sbandamenti che si
rischiano sempre in queste situazioni, in modo umano e fin “troppo umano”.
Humberto era uno storico di grandissima levatura perché riusciva a
tratteggiare il personaggio di cui si occupava con la perizia di un chirurgo
che sa essere implacabile con il suo bisturi, ma allo stesso tempo preciso e
rispettoso fino all'abnegazione, per conservare in piena dignità e in piena
“salute” la vita del suo “paziente”.
L'altro suo libro che potrebbe essere considerato un seguito del
precedente, anche se svolto in altra forma narrativa e tematica: Dogmi ed
eresie nella guerriglia del Che, che ci auguriamo possa presto essere
tradotto in varie lingue ed anche in italiano, magari dalla stessa casa
editrice del precedente, è altresì particolarmente efficace per restituire
un'immagine del Che sottratta ad ogni falsa iconografia, sia in senso
beatificante che denigratorio.
Possiamo dire che Humberto seguisse alla lettera l'indicazione
storiografica del grande scrittore latino Tacito: scrivere sine ira et
studio,
cioè senza partigianeria e con precisione scientifica, due indicazioni che
dovrebbero essere stampate nella mente di chiunque si accinga a narrare di
storia ed in ogni epoca, specialmente in quella attuale che alcuni vorrebbero
celebrare proprio per avere “sconfitto” la storia, celebrando, con la sua
“fine” solo la meschina magnificenza di un contingente che si arroga il diritto
di imporre il totalitarismo globalizzato dei mercati.
La seconda volta che incontrai Humberto fu dal vivo, a Jesi,
durante una delle ricorrenti assemblee, ormai internazionali, della Fondazione
Guevara, l'unica organizzazione al mondo che oggi, soprattutto grazie alla
tenacia di Roberto Massari, e con i suoi preziosi Quaderni, riesce a valorizzare
in maniera scientifica e con grande perizia storiografica, la storia e la
cultura di Ernesto Che Guevara, oltre che a rinnovare i valori morali e
politici che tuttora derivano dalla sua straordinaria figura
Mi capitò allora di conoscere Humberto da vicino e dal vivo, anzi,
fu lui ad essere incuriosito da me e dal mio permanente habitus guevarista (dico habitus perché non riguarda
solo l'aspetto esteriore); ne nacque un'amicizia spontanea fatta di lunghe
conversazioni alternate a gesti e a sguardi, dove il mio spagnolo imperfetto si
univa spontaneamente al suo italiano altrettanto “empirico”
Ma non fu difficile intendersi, anzi, per ciò che sentivamo
entrambi e per lo stesso approccio sine ira et studio alla realtà storica e
contingente, assai vivace e a tratti entusiasta, tanto che poi, alla fine dell'incontro,
invitai sia lui che Lola a casa mia a condividere tutto ciò che la mia famiglia
potesse offrire loro: cibo, letto e cultura. Humberto e Lola erano molto
contenti e tutto avvenne, sebbene in pochi giorni, con grande gioia e simpatia.
La sera, mentre Lola, dopo cena, faceva un giro per Roma con la
mia compagna, io e Humberto rivedemmo il film Che Guerriglia, e lui mi spiegò
sequenza dopo sequenza e avvicinandosi spesso allo schermo, come quel film
fosse un maldestro tentativo agiografico di rappresentare la figura del Che
nella sua “cristicità”, e cioè con una finzione filmica che isolava e al tempo
stesso banalizzava l'intento di quella missione, a tratti, quasi ridicolizzando
i suoi autentici intenti morali e politici.
In fondo la nascita di S. Ernesto de la Higuera corrisponde
proprio allo scopo di cristallizzare una figura straordinaria devitalizzandola
e riducendola a “santino”, per impedirle di camminare con le sue idee nelle
gambe dei suoi posteri, più o meno come fanno tuttora certe icone staliniste o
consumiste, ma, pur tuttavia, con effetti assai modesti, se consideriamo che, a
distanza di ben cinquanta anni, il Che è più vivo che mai. E lo è anche
soprattutto grazie ad Humberto.
Mi ricordo con grande gioia e tenerezza, non solo le foto e i
libri che lui osservò con molta curiosità nel mio studio, ma anche il fatto che
apprezzò un' immagine del Che sorridente che egli riteneva molto più
significativa di quella passata alla storia dal 1960 ed entrata in tutte le
salse nella giostra dell'uso strumentale della foto più pubblicata ovunque e
sempre nella storia della fotografia. E ancor di più mi commuove il ricordo di
quando lo accompagnai sottobraccio a prendere il treno alla stazione, in un bel
pomeriggio da perfetta ottobrata romana. Pian piano, come si fa con un bimbo,
dato che Humberto purtroppo ci vedeva pochissimo, anche se i suoi straordinari
occhi della mente percepivano persino il minimo dettaglio dell'interlocutore e
del contesto in cui si trovava.
Scherzammo anche sul mio habitus quando gli dissi:
“Sai, Humberto, quando passerò in “clandestinità” nessuno mi riconoscerà più,
perché saranno tutti abituati a vedermi e ad identificarmi sempre nello stesso
modo”, era ovviamente una battuta scherzosa su certi pregiudizi particolarmente
comuni e durissimi a morire, specialmente nel desolante panorama politico
italiano, dove non si può più non dico “pensare”, ma nemmeno “credere, obbedire
e combattere”, dato che si tratta ormai solo di “prostituirsi” e non solo in
ambito concretamente postribolare, ma, ancor di più al verbo del “capo”,
“capetto” o “capettino” di turno.
Lui la colse e mi regalò un ultimo straordinario sorriso che
considero una delle sue più preziose eredità con cui affrontare il destino che
mi resta su questa terra.
Terra che, per quelli come te, compagno Humberto, resta
eternamente di una levità assoluta.
Hasta siempre!
Carlo
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