CONTENUTI DEL BLOG

martedì 4 giugno 2013

HUMBERTO, SINE IRA ET STUDIO, ETERNAMENTE, NELLA TERRA DELLA LEVITÀ ASSOLUTA, di Carlo Felici

Il mio primo incontro con Humberto Vázquez Viaña è avvenuto con la lettura del suo bellissimo libro La guerriglia del Che in Bolivia: Antecedenti, pubblicato da Massari editore, dove egli narra tutte le vicende che precedettero l'ultima impresa di Guevara, con straordinaria precisione storiografica e con grande capacità narrativa, attenta ai particolari anche più minuziosi, ma senza mai perdere la visione d'insieme. Ne esce un quadro vivo degli eventi narrati, in cui il “guerrigliero eroico” risulta un uomo tratteggiato nella sua dimensione “categorica”, più che proteso ad inseguire un suo sogno utopistico oppure una vocazione ideologica. È la storia del compimento di un “dovere morale” come quella di gran parte della vita di Guevara e, come ogni vicenda di tal genere, in continua tensione tra “voler essere” e “dover essere”, con tutti gli errori e gli sbandamenti che si rischiano sempre in queste situazioni, in modo umano e fin “troppo umano”.
Humberto era uno storico di grandissima levatura perché riusciva a tratteggiare il personaggio di cui si occupava con la perizia di un chirurgo che sa essere implacabile con il suo bisturi, ma allo stesso tempo preciso e rispettoso fino all'abnegazione, per conservare in piena dignità e in piena “salute” la vita del suo “paziente”.

L'altro suo libro che potrebbe essere considerato un seguito del precedente, anche se svolto in altra forma narrativa e tematica: Dogmi ed eresie nella guerriglia del Che, che ci auguriamo possa presto essere tradotto in varie lingue ed anche in italiano, magari dalla stessa casa editrice del precedente, è altresì particolarmente efficace per restituire un'immagine del Che sottratta ad ogni falsa iconografia, sia in senso beatificante che denigratorio.
Possiamo dire che Humberto seguisse alla lettera l'indicazione storiografica del grande scrittore latino Tacito: scrivere sine ira et studio, cioè senza partigianeria e con precisione scientifica, due indicazioni che dovrebbero essere stampate nella mente di chiunque si accinga a narrare di storia ed in ogni epoca, specialmente in quella attuale che alcuni vorrebbero celebrare proprio per avere “sconfitto” la storia, celebrando, con la sua “fine” solo la meschina magnificenza di un contingente che si arroga il diritto di imporre il totalitarismo globalizzato dei mercati.

La seconda volta che incontrai Humberto fu dal vivo, a Jesi, durante una delle ricorrenti assemblee, ormai internazionali, della Fondazione Guevara, l'unica organizzazione al mondo che oggi, soprattutto grazie alla tenacia di Roberto Massari, e con i suoi preziosi Quaderni, riesce a valorizzare in maniera scientifica e con grande perizia storiografica, la storia e la cultura di Ernesto Che Guevara, oltre che a rinnovare i valori morali e politici che tuttora derivano dalla sua straordinaria figura
Mi capitò allora di conoscere Humberto da vicino e dal vivo, anzi, fu lui ad essere incuriosito da me e dal mio permanente habitus guevarista (dico habitus perché non riguarda solo l'aspetto esteriore); ne nacque un'amicizia spontanea fatta di lunghe conversazioni alternate a gesti e a sguardi, dove il mio spagnolo imperfetto si univa spontaneamente al suo italiano altrettanto “empirico”
Ma non fu difficile intendersi, anzi, per ciò che sentivamo entrambi e per lo stesso approccio sine ira et studio alla realtà storica e contingente, assai vivace e a tratti entusiasta, tanto che poi, alla fine dell'incontro, invitai sia lui che Lola a casa mia a condividere tutto ciò che la mia famiglia potesse offrire loro: cibo, letto e cultura. Humberto e Lola erano molto contenti e tutto avvenne, sebbene in pochi giorni, con grande gioia e simpatia.
La sera, mentre Lola, dopo cena, faceva un giro per Roma con la mia compagna, io e Humberto rivedemmo il film Che Guerriglia, e lui mi spiegò sequenza dopo sequenza e avvicinandosi spesso allo schermo, come quel film fosse un maldestro tentativo agiografico di rappresentare la figura del Che nella sua “cristicità”, e cioè con una finzione filmica che isolava e al tempo stesso banalizzava l'intento di quella missione, a tratti, quasi ridicolizzando i suoi autentici intenti morali e politici.
In fondo la nascita di S. Ernesto de la Higuera corrisponde proprio allo scopo di cristallizzare una figura straordinaria devitalizzandola e riducendola a “santino”, per impedirle di camminare con le sue idee nelle gambe dei suoi posteri, più o meno come fanno tuttora certe icone staliniste o consumiste, ma, pur tuttavia, con effetti assai modesti, se consideriamo che, a distanza di ben cinquanta anni, il Che è più vivo che mai. E lo è anche soprattutto grazie ad Humberto.
Mi ricordo con grande gioia e tenerezza, non solo le foto e i libri che lui osservò con molta curiosità nel mio studio, ma anche il fatto che apprezzò un' immagine del Che sorridente che egli riteneva molto più significativa di quella passata alla storia dal 1960 ed entrata in tutte le salse nella giostra dell'uso strumentale della foto più pubblicata ovunque e sempre nella storia della fotografia. E ancor di più mi commuove il ricordo di quando lo accompagnai sottobraccio a prendere il treno alla stazione, in un bel pomeriggio da perfetta ottobrata romana. Pian piano, come si fa con un bimbo, dato che Humberto purtroppo ci vedeva pochissimo, anche se i suoi straordinari occhi della mente percepivano persino il minimo dettaglio dell'interlocutore e del contesto in cui si trovava.
Scherzammo anche sul mio habitus quando gli dissi: “Sai, Humberto, quando passerò in “clandestinità” nessuno mi riconoscerà più, perché saranno tutti abituati a vedermi e ad identificarmi sempre nello stesso modo”, era ovviamente una battuta scherzosa su certi pregiudizi particolarmente comuni e durissimi a morire, specialmente nel desolante panorama politico italiano, dove non si può più non dico “pensare”, ma nemmeno “credere, obbedire e combattere”, dato che si tratta ormai solo di “prostituirsi” e non solo in ambito concretamente postribolare, ma, ancor di più al verbo del “capo”, “capetto” o “capettino” di turno.
Lui la colse e mi regalò un ultimo straordinario sorriso che considero una delle sue più preziose eredità con cui affrontare il destino che mi resta su questa terra.
Terra che, per quelli come te, compagno Humberto, resta eternamente di una levità assoluta.
Hasta siempre!
Carlo

Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com