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mercoledì 20 febbraio 2013

SPETTACOLO SPORTIVO E SFRUTTAMENTO DI MASSA, di Marco Piracci

Comprendendo lo sport come fatto globale, cioè analizzandolo nella sua dimensione sociale, si comprende quanto esso sia funzionale a una tale società distruttiva (distruttiva prima di tutto dell’armonia e della felicità).

I ragazzi, infatti, dopo una breve esperienza, hanno rifiutato di fare una gara di football con la squadra della scuola di Leiston, perché non tollerano il fanatismo, la mania del campione, il concetto di rendimento, e perché, nel gioco, cercano semplicemente il piacere.
(Paul Laguillaimie, Summerhill scuola della felicità)

Per comprendere quale ruolo rivesta oggi lo sport, occorre partire da una riflessione sul gioco. Il gioco è infatti un aspetto importantissimo per lo sviluppo della personalità. Nel bambino è tramite il gioco che si sviluppa il senso di competenza e la fiducia in sé. Il bambino esplora il mondo con il suo corpo, si mette a repentaglio, sfida i limiti, affronta le difficoltà, ha un rapporto con la sua corporeità ed è il suo corpo il principale strumento di conoscenza. La formazione dell’identità personale che avviene durante questo processo di sviluppo psicosociale consente il formarsi  di un bagaglio  emotivo e sociale che conduce al raggiungimento di un senso di sicurezza interna1. Nel ragazzo e nell’adulto, il gioco fisico libero diviene il piacere di confrontarsi con il mondo. È il ponte con il precedente mezzo di scoperta, sempre forte nella memoria in quanto espressione d’amore per la vita. Si potrebbe allora pensare a una convergenza fra gioco fisico e sport, ma non è così.  Come ben descritto da Pierre Laguillaumie, “Sportivo non è colui che corre a piacer suo in una natura libera e selvaggia – questo libero di fermarsi quando vuole, libero nella direzione, nella velocità, nello slancio, nella respirazione, è l’immagine della gioia del bambino in un gioco fisico libero2.  Lo sport  rappresenta invece la canalizzazione periodica dell’insoddisfazione, del malcontento e dell’aggressività delle masse, la quale lungi dall’offendere il sistema tende a consolidarlo attraverso l’identificazione con gli ideali del capitalismo: primi fra tutti l’individualismo e la concorrenza.

Lo sport come mito

Come insieme di rappresentazioni collettive, lo sport è un sistema strutturato e coerente di miti. Si è in presenza di una mitologia laica che fiorisce in un contesto asservito alla potenza del capitale e delle altre istituzioni repressive come Stato e Chiesa. I contenuti di questa mitologia riflettono le preoccupazioni di un contesto in cui le contraddizioni, le lacerazioni, gli antagonismi necessitano di una risposta catartica immaginaria. Queste mistificazioni hanno il ruolo di strumento ideologico necessario per il mantenimento della coesione del sistema, e questo accade in special modo negli strati sociali più popolari. Sotto questo aspetto, lo sport è in continuità con l’ideologia del sistema (il campione sportivo è colui che prevale in quanto a merito) pur riflettendone soltanto alcuni aspetti. In particolare:

a) Lo sport è il rinforzo della credenza nel progresso lineare
Si presume che il miglioramento delle prestazioni e l’estensione della pratica della competizione rappresentino un progresso dell’uomo in quanto specie. “Lo sport riflette e amplifica l’ottimismo ufficiale del sistema il cui sviluppo economico avrebbe la virtù di portare a un progresso della società nel suo insieme. Dopo ogni impresa sportiva, dopo ogni manifestazione di progresso delle prestazioni, i tecnocrati dello sport lasciano intendere che l’umanità progredisce sul piano fisico3.
L’aumento delle capacità sportive della popolazione diviene strumento per dimostrare l’oggettivo miglioramento della condizione fisica umana, come l’aumento della produttività è presentato come un segno della vitalità dei produttori. Ma questa nozione di progresso lineare non è altro che il rinforzo e la realizzazione del dominio stesso;

b) Il mito sportivo diviene simbolo della fraternità internazionale tra i popoli
Il superamento degli ostacoli, del dolore e dei limiti biologici testimonierebbero  un’ irresistibile ascesa. In questo modo, il campione, eroe-sportivo, diviene il propagatore infaticabile di una morale universale, la morale della fraternità internazionale tra i popoli. Le delegazioni sportive si presentano in qualità di portavoce della pace e della comprensione tra i popoli. Gli sportivi testimoniano una coesione sociale, sono la bella superficie  di  un mondo dove si combatte dovunque. “’Amatevi sotto le bombe e negli stadi’ questo è il nuovo vangelo sportivo di questi bravi rappresentanti della gioventù studiosa, virtuosa e sportiva di tutti i paesi4.

c) Lo sport diviene componente essenziale della nuova religione di massa
Lo sport affianca l’ideologia dominante dell’homo consumens. Il credo in un progresso senza fine è accettabile anche grazie al credo nella competizione sportiva. Questa, a causa del suo carattere manifestatamente quasi sacrale e semimistico, ha assunto le caratteristiche delle tradizionali feste religiose. Alcune imprese sportive particolarmente spossanti (si pensi ai record nell’arrampicata o nelle immersioni subacquee) hanno assunto il carattere simbolico di una via crucis. Si inseriscono nella rappresentazione più estrema di questo quadro  coloro che hanno sacrificato la propria vita per l’impresa sportiva. 

Lo spettacolo sportivo

La presente realtà sportiva è inseparabile dallo spettacolo sportivo. Proprio nello spettacolo sportivo, sono cristallizzate infatti tutte le caratteristiche dello sport contemporaneo. Basta assistere ad una competizione sportiva per aver assistito a tutti gli elementi cardine della società dei consumi. “Lo spettacolo sportivo è la consacrazione visibile dello sport che si vende5 e le sue caratteristiche possono venir sintetizzate nei seguenti aspetti:

a) Il ruolo commerciale dello spettacolo sportivo
Lo sport è un fenomeno di massa quotidiano che diviene innanzitutto lo spettacolo di massa quotidiano. La proliferazione delle competizioni sportive è indissolubilmente legata all’espandersi e all’organizzazione dei suoi spettacoli. I profitti in questo settore sono enormi. Gli sportivi, sono trattati come merci con i metodi del marketing. Il motore è l’attrattiva che i campioni esercitano sul pubblico. Si ha dunque il dominio del valore commerciale che determina il maggior o minor interesse nel settore;

b) Il ruolo culturale assegnato allo spettacolo sportivo
La quantità di persone attratte dallo sport è considerevole e per questo il sistema riesce a determinare un enorme consumo culturale di spettacolo sportivo. Questo aspetto corrisponde oggi, nell’attuale società capitalistica, al bisogno di produzione culturale di massa di cui necessita il sistema dominante in special modo per imbrigliare il malcontento degli strati popolari. La vendita dei divertimenti è vendita dello spettacolo sportivo e delle attività ad esso collegate (scommesse, gadget ecc). Ma nonostante la sua chiara funzione, per molti questo conserva un grande valore culturale e sociale. Per costoro, le competizioni  possono essere separate dal loro retroterra culturale e politico-sociale. Ma è difficile parlare di separazione quando la cultura in questione è il prodotto massivo diretto dell’industria commerciale il cui solo obiettivo è il profitto. Tutte le grandi manifestazioni sportive, finiscono infatti per divenire un pretesto per vantaggiosi investimenti di capitali. “La cultura sportiva non è d’altronde che un vasto carnevale il cui  cerimoniale corrisponde esattamente alle necessità avanzate da un regime autoritario6;

c) Spettacolo sportivo e mobilitazione delle masse
Lo spettacolo sportivo è un rituale di massa. Questo cerimoniale costituisce la copertura per grandi manovre. Siamo davanti ad un esercizio di mobilitazione con una funzione politica evidente: il controllo delle stesse masse.  L’aspetto più importante è l’atmosfera che questo meccanismo riesce a produrre. Questa mobilitazione della popolazione per mezzo dello sport comporta la spoliticizzazione massiccia dell’atmosfera pubblica. I mass-media finiscono per commentare i più insignificanti gesti dei campioni, utilizzano la loro vita privata, esaltano i risultati delle competizioni e finiscono per lasciare in ombra le situazioni in cui ci sono vertenze e lotte sociali.  Sotto questo aspetto, lo sport è un efficiente mezzo di condizionamento politico e gli si può applicare la denominazione di oppio del popolo. Da una parte infatti, offusca le facoltà critiche rinforzando l’evasione e la fuga, dall’altra riesce a far pensare a problematiche che non sono tali (la mia squadra vincerà lo scudetto, vincerà la finale?) sostituendosi a quelle reali. Lo sport è insomma un potente mezzo di omogeneizzazione e di coesione sociale;

d) Lo sport contemporaneo rinforza la competizione e l’individualismo
Lo sport di massa esprime la cultura dell’individualismo e della competizione. Lungi dal contribuire ad una cultura collettiva emancipatrice, rappresenta l’appagamento più totalitario delle masse tramite la manipolazione delle loro frustrazioni e problematiche. È emblematico il caso dei migliaia di precari che si identificano con Totti [il capitano della Roma] mentre l’apparato statale li mantiene in condizioni di semischiavitù. In questo appagamento c’è tutto il senso di una cultura individualista e competitiva che vive di illusioni.

Una considerazione conclusiva: ritornare al gioco fisico libero

Concordo con Erich Fromm nel sostenere che “di fronte ai grandi problemi dell’esistenza umana e della vita in generale, espressi nei riti di tutte le grandi culture, la competizione tra due individui è una questione assolutamente secondaria7. Il senso di vuoto che si crea  nella psiche dell’uomo in conseguenza di questo tipo di mancanza è un problema di importanza rilevante (si pensi alla correlazione tra il diffondersi della noia, l’ansia e  tutte le patologie ad essa connesse, come fenomeno di massa nei paesi capitalistici). È per questo che le nostre culture dovrebbero restituire centralità a tematiche che riguardano in profondità  l’uomo. Penso alle dinamiche della diseguaglianza, alla distruzione ambientale, allo sfruttamento quasi incondizionato degli animali. Perché riveste più importanza l’esito di un incontro di calcio rispetto all’estinzione del cincillà? Come è possibile disinteressarsi delle guerre, della vivisezione, della fame  e spostare il centro dei propri interessi sulla competizione di atleti milionari? Queste sono solo alcune delle domande a cui inspiegabilmente l’homo consumens non riesce a rispondere. Ma non facendolo accresce la presenza del proprio Thanatos. Comprendendo lo sport come fatto globale, cioè analizzandolo nella sua dimensione sociale, si comprende quanto esso sia funzionale a una tale società distruttiva (distruttiva prima di tutto dell’armonia e della felicità). Pur essendo in presenza di una molteplicità di elementi strutturali che di fatto imbrigliano lo sport nel suo ruolo repressivo, credo che  una sua trasformazione (seppur non totale proprio per via del quadro repressivo circostante) potrebbe avvenire. Il gioco fisico libero, uno sport liberato e altro da quello presente, potrebbe  contribuire a una cultura collettiva emancipatrice, alla libera comunità d’Eros di cui parla Marcuse. La libertà di muoversi, di scoprire, di divertirsi senza condizionamenti può e deve venir affermata anche nell’attuale società repressiva. Le modalità di una sua concretizzazione sono molteplici e l’immaginazione potrà andare oltre qualsiasi forma di barriera. Si tratterà  in fondo di affermare semplicemente il recupero dell’originario amore per la conoscenza, per l’andare oltre se stessi, per il mettersi, appunto, in gioco.  

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1. Per un approfondimento della tematica si rimanda ai seguenti volumi: Donald Woods Winnicot, Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974; Gianfranco Staccioli, Dentro il gioco, La Nuova Italia, Firenze, 1982; Anna Kaiser , Genius ludi: il gioco nella formazione umana, Armando, Roma 2001.
2. Pierre Laguillaumie, Sport & Repressione, La Nuova Sinistra Samonà e Savelli, 1971, p. 44.
3. Ibidem, p. 67.
4. Ibid., p. 68.
5. Ibid., p. 60.
6. Ibid., p. 62.
7. Erich Fromm, I cosiddetti sani. La patologia della normalità, Mondadori,  Milano 1997, p. 28. 

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