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venerdì 1 febbraio 2013

BENICOMUNISMO: IL SOCIALISMO DEL XXI SECOLO, di Stefano Santarelli

Sono usciti recentemente, editi dalla Massari Editore, due libri estremamente interessanti per la riflessione di tutta la Sinistra radicale. Si tratta del libro di Michele Nobile Capitalismo e postdemocrazia e di quello di Piero Bernocchi Benicomunismo.

In questo breve articolo tratteremo soltanto di alcuni aspetti del testo di Bernocchi, vista la complessità degli argomenti esposti che non possono essere sintetizzati facilmente in questa sede.
In Benicomunismo (un termine che nasce dal concetto della rivendicazione dei beni comuni dell’Umanità come possibile socialismo del XXI secolo) lo storico leader dei Cobas esprime delle tesi molto interessanti sul marxismo e sui miti che ha costruito - che hanno permesso tra l’altro la nascita del totalitarismo stalinista, il quale non aveva nulla da invidiare a quello hitleriano - oltre che offrire un’interessante analisi sulla situazione italiana e una profonda riflessione sul futuro stesso dell’umanità.

I miti del marxismo

Il primo mito messo in evidenza da Bernocchi è quello del “proletariato unico” che viene visto come un corpo omogeneo, unito e indissolubile, unico depositario degli interessi comuni dell’intera umanità dei “senza poteri e senza proprietà” che, con la dittatura del proletariato e con l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, porrà termine alla lotta di classe.
È una convinzione, quella di Marx, così “granitica” che l’abolizione della proprietà privata e la dittatura del proletariato possano porre termine alla lotta di classe, che ne costituisce un vero e proprio assioma religioso e che non prende neanche in considerazione l’ipotesi della “possibilità che l’abolizione della proprietà privata e la statalizzazione dell’intera economia potessero generare nella futura società postcomunista altre classi, altre forme di proprietà, di alienazione e di sfruttamento del lavoro salariato, altre modalità di dittatura, non del proletariato ma sul proletariato, sulle masse popolari e sull’intera società”.
Un mito che inizia ad essere sviluppato in quella sintesi del marxismo politico che è Il Manifesto del partito comunista (1848), il quale costituisce un testo fondamentale per il movimento comunista.
Qui Bernocchi sottolinea la divaricazione tra “il rigore scientifico dell’analisi marxiana sulle radici economiche della società, sulla struttura del capitalismo e dei suoi rapporti di produzione, sulle ragioni basilari della lotta di classe tra operai e capitalisti, sull’origine – il cuore geniale del marxismo – del plusvalore, del profitto e dell’accumulazione del capitale” e un idealismo utopico in fondo figlio dell’idealismo hegeliano e, oseremo dire, anche di quello platonico il quale inficia l’analisi materialista di Marx ed Engels e che nasconde soltanto gli auspici, i desideri e le speranze di questi grandi rivoluzionari.
Per Bernocchi il proletariato non era e non è una realtà unica e cosciente di sé e dei propri compiti storici. Una coscienza che è depositata in un’avanguardia comunista la cui intellighenzia proviene non dal proletariato, ma da quello strato sociale che viene denominato piccola borghesia.
Ma cosa s’intende per piccola borghesia?
Ora, se noi definiamo Borghesia capitalistica quella classe sociale che possiede i mezzi di produzione e il capitale e Proletariato quella classe proprietaria soltanto della propria forza-lavoro, rimane un ampio strato della popolazione, peraltro di gran lunga maggioritario, che definito in modo dispregiativo piccola borghesia include vasti e differenti ceti sociali intermedi. Ma dalla piccola-borghesia, come sostiene giustamente Bernocchi, andrebbero esclusi tutti quei “lavoratori/trici senza potere e senza proprietà, né di mezzi di produzione o altro, i quali – nel lavoro impiegatizio, in quello intellettuale dipendente ed anche in una larga serie di professioni autonome – non si appropriano né del lavoro altrui, né di plusvalore, né accumulino, valorizzandolo, un proprio capitale grazie al lavoro salariato di una massa di dipendenti: il che vale, per la verità, pure per molti contadini o commercianti/negozianti o esercizi pubblici a conduzione famigliare.”
Tale avversione che il marxismo ha nei confronti della piccola-borghesia nasconde in fondo un meccanismo di rimozione psicologica proprio perché è da questo strato sociale che vengono reclutati tutti i quadri rivoluzionari.
E non si può non sottolineare negli scritti di Marx ed Engels, in fondo uomini del XIX secolo, non solo il riconoscimento della funzione rivoluzionaria e progressista della borghesia, ma anche il profondo eurocentrismo che, come fa notare Bernocchi, nasconde un velato razzismo oltre a sottovalutare i disastri ambientali e naturali che la “rivoluzionaria” borghesia stava preparando:
“Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà anche le nazioni più barbare (…) Essa costringe tutte le nazioni ad adottare le forme della produzione borghese se non vogliono perire, e ad introdurre nei loro paesi la cosiddetta civiltà, cioè a farsi borghesi (…) La borghesia ha assoggettato la campagna al dominio della città. Ha creato città enormi, ha grandemente accresciuto la popolazione urbana in confronto con quella rurale, e così ha strappato una parte notevole della popolazione all’idiotismo della vita rustica. Come ha assoggettato la campagna alla città, così ha reso dipendenti dai popoli civili quelli barbari e semibarbari, i popoli contadini dai popoli borghesi, l’Oriente dall’Occidente” (Il manifesto del partito comunista).
Il crollo incombente del capitalismo pronosticato dal Manifesto non è avvenuto, nonostante che siano passati quasi due secoli dalla sua stesura, anzi il capitalismo si è esteso in tutto il mondo. Una vitalità, questa del capitalismo, che ci fa rendere pessimisti sul futuro dell’umanità.
D’altronde non vi è niente di scientifico nell’affermare che la lotta di classe conduca “necessariamente alla dittatura del proletariato” e che tale dittatura (che oggi costituisce un orrendo vocabolo per l’umanità che ha vissuto le tragedie del XX secolo) sia “il passaggio alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi”. È una tesi, questa, totalmente illuminista, nella quale vi è un ottimismo infondato sulla natura umana con la convinzione che mutando l’organizzazione sociale terminerebbe lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo mentre, molto più realisticamente, bisogna ammettere che i conflitti sociali tra gli individui non spariranno mai. Ricordiamo, senza scomodare Jared Diamond, che a differenza di qualsiasi specie animale l’uomo non solo è in grado di uccidere immotivatamente e con inutile crudeltà, ma che è l’unica specie che ha inventato e pratica con piacere la tortura.
La concezione marxista del proletariato destinato a fondare questo paradiso in terra e che viene visto come una entità unica, dotato di una coscienza politica collettiva dallo sviluppo capitalistico, porterà fatalmente alle tragedie che caratterizzeranno tutta la storia del movimento comunista a partire dalla Rivoluzione russa. Ed è questa concezione che farà nascere un altro mito: quello del Partito-Unico, del Partito-Stato, del Partito-Custode, vero ed unico detentore della verità socialista e degli interessi del proletariato. Una concezione, questa del predominio e della centralità del partito, che è presente già nello stesso Marx prima ancora della degenerazione staliniana e che neanche la grande Rosa Luxemburg metteva in discussione.
D’altronde non si può non citare la tesi di Roberto Massari, che condivido pienamente, che il celebre partito bolscevico non fu un partito rivoluzionario, ma un partito centrista il quale, sotto la pressione di avvenimenti storici eccezionali, si trovò a codirigere un’autentica rivoluzione sociale, operaia e comunista. Infatti prima del ritorno di Lenin nell’aprile del 1917 i dirigenti bolscevichi “agivano non come rappresentanti di un partito proletario che si prepari ad iniziare con la propria autorità una lotta per il potere, ma come l’ala sinistra della democrazia che, proclamando i suoi principi, si dispone per un periodo di tempo indeterminato a sostenere la parte di una leale opposizione”. Il 2 marzo al Soviet di Pietrogrado “su circa quattrocento deputati solo diciannove votarono contro la trasmissione del potere alla borghesia, mentre la frazione bolscevica aveva già quaranta delegati. E anche questi voti contrari passarono completamente inosservati, con una procedura formalmente parlamentare, senza chiare controproposte da parte dei bolscevichi, senza lotta e senza una qualsiasi agitazione sulla stampa bolscevica.” (Trotsky-Storia della Rivoluzione Russa).
Questo a conferma che prima dell’Aprile 1917 il Partito bolscevico aveva una linea centrista, come testimonia Trotsky nel suo celebre testo, che viene abbandonata dopo che Lenin fa passare non senza difficoltà le celebri Tesi di Aprile riorientando così il Partito bolscevico in senso rivoluzionario.
Ma a partire dal dicembre 1917 i bolscevichi ritornano su posizioni centriste che si trasformarono in poco tempo in posizioni sempre più reazionarie, fino a diventare un vero e proprio partito controrivoluzionario, anticomunista ed antilibertario. D’altronde nella storia non sono mai esistiti partiti autenticamente rivoluzionari.
Infatti il Partito bolscevico sostenne solo per pochi mesi la parola d’ordine “tutto il potere ai soviet” e la teoria della Rivoluzione Permanente. Lo stesso Lenin, prima ancora della degenerazione stalinista, cominciò a lottare contro i Comitati di Fabbrica, contro i Soviet e contro tutti i partiti russi che insieme a quello bolscevico avevano diretto la Rivoluzione Russa.
Lo stalinismo completò in modo più organizzato e sistematico tale degenerazione e con onestà intellettuale bisogna ammettere che il grande Trotsky capì molto poco di questa situazione in tutti gli anni ’20 facendosi complice politico del massacro di Kronštadt.
Perciò non è un caso che la dittatura del proletariato in tutti i paesi che hanno prodotto una rivoluzione socialista (dalla Russia alla Cina fino a Cuba) si sia tradotta nei fatti nella dittatura sul proletariato esercitato da una burocrazia comunista lontana dagli interessi dei lavoratori.
Una burocrazia che si è caratterizzata nella costruzione non del socialismo ma di un capitalismo di stato, vero ed infernale regime monocratico responsabile dei più disgustosi genocidi che la storia umana ricordi, paragonabili solo a quelli nazisti. Regimi diretti da un Partito-Unico il quale è proprietario dei mezzi di produzione e che impedisce qualsiasi sia pur minima libertà democratica, come si può ben osservare oggi in Cina in modo più netto rispetto all’Est europeo novecentesco.
E di quanto consenso popolare godevano tali regimi lo abbiamo potuto osservare nel 1989 con il crollo del muro di Berlino che ha visto la rapida disintegrazione di questi regimi e dei loro apparati politici.
Tutta questa concezione viene prevista e messa in discussione dal più geniale rivale di Marx cioè Michajl Bakunin che nel suo celebre Stato e anarchia (1874) ne metteva in evidenza le contraddizioni:

Lassalle e Marx raccomandano ai lavoratori la fondazione di uno stato popolare che come hanno spiegato, non sarebbe altro che “il proletariato elevato al rango di casta dominante”. Se il proletariato diverrà la casta dominante sopra chi dominerà? Ciò significa che rimarrà ancora un altro proletariato sottomesso a questa nuova dominazione, a questo nuovo Stato (…) Che cosa vuol dire il proletariato organizzato in casta dominante? E mai possibile che l’intero proletariato si ponga alla testa del governo? Che tutto il popolo governi e non ci siano governati? Questo dilemma è risolto semplicisticamente nella teoria marxiana, Con governo popolare essi intendono il governo del popolo da parte di un piccolo numero di rappresentanti eletti.. L’universale diritto di elezione dei sedicenti rappresentanti del popolo e dei governanti dello Stato è una bugia che nasconde il dispotismo di una minoranza dirigente tanto più pericolosa in quanto si presenta come l’espressione della cosiddetta volontà del popolo. Così da qualsiasi parte si esamini la questione si arriva sempre allo stesso spiacevole risultato: al governo da una parte di una minoranza privilegiata sull’immensa maggioranza delle masse popolari. (…) il cosiddetto Stato popolare non sarà altro che il governo dispotico sulla massa del popolo da parte di un’aristocrazia nuova e molto ristretta di veri o Pseudo scienziati. (…).
E così per emancipare le masse popolari si dovrà prima di tutto soggiogarle (…) Affermano che solo la dittatura, la loro naturalmente, può creare la libertà del popolo; rispondiamo che nessuna dittatura può avere altro fine che quello della propria perpetuazione e che essa è capace solo di generare e di coltivare la schiavitù del popolo che la subisce.”

Parole profetiche queste di Bakunin che se accolte avrebbero evitato le illusioni, le tragedie e i genocidi che il socialismo del XX secolo ha provocato.
Invece come sappiamo questo causò la scissione del 1872-74 dell’Associazione Internazionale dei lavoratori cioè della Prima Internazionale. Una scissione dalle conseguenze nefaste le cui responsabilità sono da attribuire totalmente a Marx e che ha spalancato le porte alla prima vera e tragica divisione del movimento operaio.

Il ceto politico

Ma se nei paesi del cosiddetto socialismo reale abbiamo avuto ed abbiamo (Cina e Cuba) un Partito-Stato che ha espropriato i cittadini dei loro diritti e della loro forza-lavoro - confermando, se ce ne fosse bisogno, che non può esistere socialismo senza democrazia come non può esistere democrazia senza socialismo - anche nei paesi occidentali la democrazia politica non gode di buona salute come sappiamo benissimo.
Infatti abbiamo funzionari del capitale nazionale che, pur non godendo di forme giuridiche di proprietà individuale sulla ricchezza pubblica, nei fatti posseggono il capitale nazionale decidendo l’impiego e la distribuzione della ricchezza prodotta. E come fa notare Bernocchi: “anche nei paesi europei a pluripartitismo istituzionale l’imposizione di leggi elettorali bipolari ha progressivamente spazzato via dalle istituzioni un effettivo pluralismo, creando qualcosa non solo assai vicino al bipartitismo tra eguali del modello Usa, ma anche simile ai Partiti-Stato, differenziandosi in correnti, degli ex Paesi ‘socialisti’ ”.
Si è costruito così nei paesi occidentali un ceto politico sempre più omologato ed interscambiabile sul modello statunitense e grazie in Italia a un falso bipartitismo si è accelerata l’unificazione di questo ceto politico vero gestore della ricchezza nazionale in stretta connessione con il Capitale privato. Una struttura così onnipresente (dalle Circoscrizioni al Parlamento, dalle industrie di Stato alle Banche) che costituisce nei fatti una vera e propria borghesia di stato la quale gestisce senza nessun controllo l’immenso capitale nazionale “pubblico”. E a questa borghesia di stato bisogna aggiungere la burocrazia sindacale che costituisce un’altra parte della Casta politica.
E quando si parla a torto della crisi irreversibile della forma-partito non si comprende che tale forma certamente è mutata non solo con il cambio del nome e della ragione sociale facendo però restare immutato il suo personale politico.
La professionalizzazione della politica e la trasformazione in Casta del suo personale se ne hanno modificato i programmi non hanno fatto perire questa forma per gli interessi concreti dei loro professionisti.
Tale mutazione non toglie nulla quindi alla validità di questa forma che rimane utile non più tanto per la difesa di una parte degli interessi e obiettivi di una parte della società, ma proprio per la difesa dell’interesse capitalistico nazionale.
Insomma, un vero e proprio gioco delle parti dove nessuno tocca il Sistema e con un personale politico e sindacale di provenienza comunista e socialista e che è pienamente inserito nella gestione complessiva del capitale “pubblico” nazionale.
Mentre la cosiddetta sinistra radicale istituzionale (Sel, Fed, Prc) non solo è subordinata a questo sistema, ma ne dipende cronicamente per la sua stessa esistenza.
Così abbiamo Sel che costituisce un’alleanza elettorale con il Partito democratico e il Psi, un fantasma di partito più inesistente del celebre Cavaliere di Calvino, per prepararsi ad un governo con Monti e i democristiani di Casini. E dall’altra parte assistiamo alla confusa nascita della lista Rivoluzione Civile che vede la partecipazione di forze estremamente eterogenee fra di loro che vanno dai vecchi Forchettoni Rossi di Rifondazione /PdCI fino a forze borghesi come l’IdV. Una lista guidata dal magistrato Ingroia, politicamente parlando un perfetto sconosciuto, il quale viene visto da molti militanti della sinistra radicale come il nuovo salvatore della patria facendoci ricordare la celebre frase di Bertold Brecht: “Guai a quel paese che ha bisogno di eroi.”

La forma-Movimento

Ma con il 1968 nasce il movimento politico di massa, una nuova forma in grado, contrariamente ai movimenti precedenti dell’Ottocento, di poter camminare da solo senza l’onnipotente guida del partito; essa, infatti, “assumeva in sé le funzioni di coscienza e di autoconsapevolezza, senza delegarle più all’esterno. Persino i sostenitori del ruolo ineliminabile e cruciale del Partito-coscienza dovettero ammettere (o comunque, bon gré mal gré, accettare) che il Movimento potesse compiere un cammino completo di auto emancipazione, giungendo progressivamente ad avere una strategia per l’esistente, trovando cammin facendo alleanze, obiettivi organici e generali, programmi antisistema”.
E il ’68 ebbe in Italia il merito di smantellare le ammuffite strutture studentesche ed universitarie, mettendo in crisi la sinistra riformista del Pci e Psi, del sindacato e la stessa sinistra radicale dell’epoca modificando e cambiando in meglio tutta la società. La successiva frammentazione in vari gruppi e gruppetti politici ne attenuò l’impatto, tuttavia la forma-Movimento conservò la sua forza effettiva e simbolica tra il ’69 e ’77, terminando con il rapimento di Aldo Moro.
Come osserva Bernocchi, i Cobas, nati nel 1987 da un grande movimento di massa dei lavoratori della Scuola pubblica che non era mai comparso sulla scena italiana precedendo, tra l’altro, il Movimento della Pantera del ‘90, in fondo sono un prodotto di questi due movimenti e costituiscono una originale forma sindacale-politica che non ha riscontri in altri paesi europei. Ricordiamo che questo sindacato non ha funzionari pagati, ma vive solo dell’impegno volontario dei suoi aderenti.
Ma ritornando alla forma-Movimento, essa si è sviluppata a livello internazionale con caratteristiche antiliberiste e anticapitaliste a partire dal Wto di Seattle del dicembre 1999 da cui è nato il Movimento dei Forum mondiali e che rappresenta oggi una delle poche vere speranze per opporsi alle barbarie di un capitalismo incapace di offrire un’alternativa alla distruzione del nostro pianeta.
Basti pensare alla contraddizione tra l’enorme sviluppo tecnico e scientifico di tutto il novecento che potrebbe permettere all’umanità di liberarsi dalla schiavitù del lavoro, che lo stesso Keynes aveva previsto quando, nel lontano 1930, prospettò un futuro in cui tre ore al giorno sarebbero state sufficienti per una produzione sufficiente per il benessere della società:

Il problema economico non è il problema permanente della razza umana. Gli indefessi creatori di ricchezza potranno portarci tutti, al loro seguito, in seno all’abbondanza economica. (…) Per ancora molte generazioni l’istinto del vecchio Adamo rimarrà così forte in noi che avremo bisogno di qualche lavoro per essere soddisfatti. Turni di tre ore al giorno e settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo (…) Quando l’accumulazione di ricchezza non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi mutamenti nel codice morale. L’amore per il denaro come possesso, e non come mezzo per godere i piaceri della vita, sarà considerato una passione morbosa, un po’ ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali e a metà patologiche che si consegnano con un brivido allo specialista di malattia mentali (…) Rivaluteremo i fini sui mezzi e preferiremo i beni sull’utile” (J.M. Keynes, Prospettive economiche sui nostri nipoti, 1930)

Oggi è quindi più che mai attuale la celebre espressione di Rosa Luxemburg “Socialismo o Barbarie”, che sono effettivamente le due uniche alternative che il futuro può riservare all’umanità.
Con una crescita demografica senza precedenti (7 miliardi di abitanti nel nostro pianeta, vale a dire 35 volte le presenze di 25 secoli fa), con una previsione di 9 miliardi a metà di questo secolo, la distruzione della vita sulla Terra è un’ipotesi maledettamente realistica.
A maggior ragione se si considera che lo sviluppo barbarico del capitalismo sta distruggendo tutto il nostro ecosistema senza considerare la possibilità, che purtroppo non è fantascientifica, di un olocausto nucleare. Infatti dopo la chiusura del “secolo breve” con il crollo del muro di Berlino si può affermare che con la Prima Guerra del Golfo del 1991 è iniziata una fase di guerra permanente e globale che non può renderci ottimisti per il futuro dell’umanità.
Il libro di Bernocchi, come si può tranquillamente vedere da questa presentazione, spazia veramente a 360°, è un libro per i temi che tratta estremamente complesso, ma che merita di essere letto con attenzione da tutti coloro che vogliono cambiare lo stato di cose esistente.






pp. 336 (formato 17x24) , € 22. Il libro si può ordinare anche tramite utopiarossa@enjoy.it. Per l'acquisto vedi la sezione Libri





L'articolo di Stefano Santarelli è uscito anche sul sito  http://bentornatabandierarossa.blogspot.it

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