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lunedì 17 dicembre 2012

EDUCARE ALLA LIBERTÀ (VIII), di Alessandro Gigli

Conclusioni

“La scuola, anticamera della fabbrica e della caserma, è il luogo dove si inculcano le prime forme di disciplina che regolerà la vita dell’adulto. Alla costrizione fisica corrisponde la perversione del senso morale: si esaltano, attraverso la storia, i delitti, il furto e la violenza; si istillano ammirazione per i grandi conquistatori e disprezzo verso gli spiriti ribelli che hanno lottato, soccombendo,per la libertà e l’emancipazione dell’individuo; si insegna a venerare i ricchi e a odiare le vittime della tirannia e dell’intolleranza politica”.
(documento del comitato per un insegnamento libertario: Reclus, Michel, Grale, Malato, Degalves, Giraud, Kropotkin, Ferriere,Tolstoj. Parigi 1898)

Credo di aver fornito con i miei testi precedenti un buon punto di partenza per approfondire il discorso sul concetto di una buona e giusta educazione, adatta a un vero cambiamento di prospettiva e che serva al primo atto rivoluzionario di base: vale a dire la rivoluzione culturale, educativa, relazionale per poter vivere vite autentiche in società solidali e libere da imposizioni esterne, cioè non eterodirette.
Nella scuola contemporanea, gli insegnanti con una formazione culturale come la mia sono molto rari e guardati a vista dal potere istituzionale.
Nella mia scuola, per esempio, sono costretto a guardarmi le spalle non dagli alunni, con i quali ho ottimi rapporti umani, ma dai colleghi spesso invidiosi del fatto che sono il prof  più stimato e amato dai ragazzi.
Loro, i colleghi, pensano che questo accada perché con me sono liberi di essere se stessi e di autogestire la loro vita in palestra, concretizzando i propri desideri e le proprie  inclinazioni.
Con me non esistono “casi gravi”, mentre per tutti gli altri insegnanti molte classi risultano ingovernabili, insubordinate, apatiche, rivoltose, non-motivate.
Purtroppo, non c’è mai il minimo accenno all’autocritica e al mettersi in discussione, perché quando si rovina il rapporto insegnante-alunno, la colpa viene fatta ricadere sempre e comunque sull’alunno o sui genitori di quest’ultimo.
Nelle riunioni pomeridiane in cui si valutano il comportamento e lo studio delle varie classi, spesso viene fuori, per chi vuol capire, che sono proprio gli insegnanti che non conoscono il vero scopo dell’educazione e il vero valore di questo concetto.
Molti, quasi tutti, non conoscono né la metodologia , né la psicologia dell’età evolutiva, né hanno riferimenti culturali e pedagogici concreti e profondi.
Oltre a ciò, non conoscono affatto l’organizzazione sociale odierna, chi la dirige e chi ha messo le mani sulla scuola per sottoporla alle dipendenze del mercato e del consumo, cioè alle dipendenze del capitale. La prima e più importante lotta di classe la si dovrebbe iniziare proprio dalla scuola, laddove cioè, si manipola e si modifica il bambino sino a farlo diventare uno strumento adatto al consenso e allo status quo. Questo indottrinamento psicologico fa entrare in società individui inadatti anche ad un minimo pensiero o aspirazione alla trasformazione sociale, avendo interiorizzato l’organizzazione gerarchica, l’eterodirezione e l’omologazione in consumatori bisognosi.
L’educazione alla libertà rompe le catene dei condizionamenti sociali, libera i desideri, aiuta a collaborare invece che competere, serve a dare quegli strumenti di emancipazione e liberazione  frutto dell’autogestione solidale che porta all’autonomia e alla responsabilità individuale e collettiva. Ma la libertà fa paura a molti e la lettura di un libro fondamentale come Fuga dalla libertà di Erich Fromm, potrà aiutarvi a capire quale ad esempio è stato il substrato psicologico di massa che ha contribuito al consenso delle brutali dittature del ‘900.
Se non si viene educati alla libertà è quasi impossibile che gli umani abbiano desiderio di questo valore primario, e la società, così com’è andrà sempre bene, magari con qualche piccolo cambiamento parcellare per chi  si sente “buon elettore di sinistra” come lo chiamava lo scomparso Massimo Bontempelli, con la sua amara ironia, nel secondo volume della collana di libri “Utopia rossa”.
Sto cercando di diffondere il modello educativo libertario a quei pochi colleghi che pur avendo interiorizzato la “religione della scuola” stanno cominciando a capire che se le cose non vanno non è per colpa dei ragazzi, ma per responsabilità oggettive e soggettive di una scuola sbagliata nei suoi princìpi fondanti, nei suoi metodi, nei suoi scopi.
Il lavoro è più che duro, anche perché sono solo, ma non mi arrendo e lotterò con tutte le risorse fisiche e mentali che ho per  educare le nuove generazioni al desiderio di cambiare il mondo. I sogni o le utopie rimangono tali solo se non si cerca il modo di concretizzarli, con calma, senza fretta, lasciando che i semi maturino.

Appendice:
Un articolo di A. Gigli sulla preparazione atletico-sportiva
(apparso su 11 Leoni)

Alessandro Gigli è attivo da molto tempo nel contesto sportivo di Jesi e dintorni. Ricopre da diversi anni il ruolo di preparatore atletico della Jesina calcio. La sua esperienza sportiva gli ha permesso di operare nel settore calcistico collaborando con diverse società nella provincia, ma anche nel basket e nel  volley. Alessandro insegna a scuola e di pomeriggio si mette a disposizione del tecnico Amaolo per dirigere il lavoro atletico dei Leoncelli. In questo numero di 11 Leoni ospitiamo volentieri alcune sue riflessioni sul ruolo della preparazione atletica nello sport e sull'importanza di educare senza plagiare i giocatori.

Vorrei chiarire anzitutto che la preparazione atletica è una condizione importante e necessaria ma non sufficiente per una performance sportiva. Direi che è un pre-requisito, una base solida da cui partire per le azioni tecniche di ogni sport individuale e collettivo, ma che da sola non è sufficiente. Spesso si pensa che il rendimento di un atleta sia subordinato solo dalla sua preparazione atletica; ebbene non è così o almeno, non è sempre così. Prendiamo ad esempio il calcio. Nel corso degli anni ho allenato diverse squadre secondo la mia esperienza ed utilizzando sempre lo stesso metodo di preparazione. Alcune squadre reagivano atleticamente in maniera positiva riuscendo a rendere in campo in maniera soddisfacente, altre invece evidenziavano atteggiamenti più statici, più lenti, più compassati. Ne consegue che la buona preparazione di base deve essere necessariamente correlata con le caratteristiche dei giocatori che si hanno a disposizione e del  modulo di gioco che si applica. Questo mix può portare a volte a modificare l’istinto che un giocatore può avere.
Esatto. Non tutti gli allenatori adottano lo stesso modulo; c’è che costruisce una squadra votata all’attacco, viceversa chi preferisce una tattica difensivista, chi osanna il pressing ecc. per cui ogni singolo giocatore, per quanto preparato adeguatamente, può rendere sul campo in maniera differente a seconda delle sue caratteristiche. A volte succede che un giocatore importante deluda le aspettative della piazza magari per problemi di ambientamento o perché non riesce ad integrarsi adeguatamente negli schemi (mi viene da pensare al caso di De Rossi della Roma e al suo momento difficile nella Roma di Zeman). Esistono squadre che hanno un atteggiamento rinunciatario, difensivista, compassato anche se alla base sono preparate in maniera ottimale.
Insomma, la forza, la resistenza e la velocità sono importanti ma non sono determinanti da sole, ai fini del risultato e della prestazione complessiva. Molto spesso i giocatori per esigenze di squadra o di modulo devono reprimere il proprio istinto e devono adeguarsi (per giocare da titolari) alle disposizioni dell’allenatore, anche quando vanno contro le proprie doti naturali.
Se non si è indipendenti soprattutto in un gioco di squadra, spesso la libertà scompare e senza libertà se ne vanno fantasia, estro, coraggio, responsabilità. Spesso è il modo di educare che è sbagliato: lo è in famiglia, a scuola, allo stadio, al palazzetto dello sport... ovunque c’è un ordine c’è chi ubbidisce e non c’è un uomo libero e autoregolato.
Con questo non voglio dire che non si debba insegnare ad un giovane uno schema, un modo di calciare la palla, un modo di saltare di testa ecc… ma che non si può sperare di avere degli atleti responsabili, autonomi e razionali se non li si fa vivere e allenare in un’atmosfera gioiosa e libera.
Questo vale soprattutto per i più piccoli dei settori giovanili che spesso, se non sempre, vengono trattati come adulti, come militari, sopprimendo il loro istinto di divertimento e a volte, nei casi più drammatici, modificando il loro sviluppo, il loro modo di pensare, costruendo artificiosamente e contro natura solo piccoli automi, spesso tristi, litigiosi, depressi e infelici.
Sono convinto che si debba tirare fuori il meglio da ognuno senza plagiarlo o forgiarlo. E’ ora che l’educazione torni ad essere un’arte che faciliti ognuno a diventare quello che è e che desidera, sempre nel rispetto della convivenza. Forse quel giorno potremo vedere belle partite di calcio con il pubblico che si diverte, senza dover utilizzare le forze dell’ordine per evitare incidenti tra tifosi. Perché le persone ben educate non sono mai violente, né dentro né fuori il campo.
Condivido gli insegnamenti di alcuni tecnici che dedicano tempo allo sviluppo del pensiero tattico, alla capacità di prevedere dove finirà la palla o dove si svolgerà l’azione, la maestria nel tocco della palla e nel fare l’ultimo passaggio, la capacità di smarcarsi, il dribbling…Tutte queste cose hanno contenuti mentali, psicologici e anche atletici, ma solo in seconda battuta. Certo se poi si è anche forti, resistenti, veloci, tutto migliora. Queste sono cose che vanno allenate da giovani, senza eccessive restrizioni per non standardizzare il risultato finale.
Bisogna però curare bene la scelta degli allenatori che dovranno essere dei tecnici dell’educazione e con una certa impostazione pedagogica. E’ molto importante ottenere risultati ma non con il plagio, con la forza autoritaria di un’educazione repressiva. Bisogna arrivarci con un’educazione liberatrice e creatrice di vera autonomia. Per lo sport e per la vita! Hasta la victoria siempre!

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