Il mio percorso di insegnante
“Oggi si confonde la scuola con l’educazione, come
un tempo si confondeva la Chiesa con la religione” (Ivan Illich)
L’educazione fisica
C’è una materia che gli scolari amano a priori:
l’educazione fisica. Purtroppo però, anche questa materia può essere insegnata
in maniera tradizionale, istituzionale e spesso assomiglia all’addestramento
militare sia nella forma che nella sostanza.
File ordinate, schieramenti, petto in fuori e
pancia in dentro, fischietti, cronometri, divise ecc. ecc, tutto questo ricorda
l’attività fisica dei percorsi di guerra con il sergente istruttore che insulta
a più non posso chi non riesce nella giusta esecuzione.
Molti colleghi della mia materia, educazione fisica, o assomigliano a quel sergente o lanciano un pallone e poi si mettono a leggere il giornale: autoritarismo e permissivismo sono due facce della stessa medaglia, non educano nessuno. E mentre il primo produce risentimento e odio, il secondo caos, disinteresse e noia.
All’inizio della mia carriera di insegnante ero sì
diverso dai miei colleghi, ma certamente conservavo delle caratteristiche più
autoritarie in quanto i miei riferimenti pedagogici e culturali erano perlopiù
istituzionali anche se considerati progressisti e moderni.
Sicuramente non ero uguale agli altri, ma ancora
non avevo intrapreso quel percorso di letture e conoscenze attraverso il
quale sono arrivato a capire,
apprezzare e proporre l’educazione alla libertà e alla gioia di vivere e
muoversi. Cercavo il dialogo con i ragazzi, proponevo esercitazioni particolari
e cercavo di stimolarli continuamente, anche se mi arrabbiavo troppo, alzavo
troppo la voce e mi sentivo frustrato se qualcuno non voleva partecipare alle
lezioni o non s’impegnava. Man mano che passava il tempo e facevo esperienze,
ho iniziato ad interessarmi di politica e a leggere testi di Ivan Illich, Raoul
Vaneigem, Bertrand Russell ecc., tutti sulla pedagogia antiautoritaria e il
modo corretto di intendere l’educazione e l’istituzione scolastica.
Un nuovo modo di essere educatore
Dentro di me già tutto era predisposto per
assorbire, digerire e criticare all’occorrenza questa nuova cultura. Infatti
iniziai a sperimentare un nuovo modo di essere educatore, nonostante le
resistenze e i pregiudizi dei colleghi e dei dirigenti fossero molto forti, e
anche con i ragazzi stentavo a farmi capire ed apprezzare, abituati a
confondere libertà con licenza di fare tutto quello che avevano voglia di fare
senza alcun rispetto per gli altri.
Sono stati anni difficili, non solo come insegnante
ma anche come uomo: era cessato un rapporto con una donna per me molto
importante, ero uscito da Rifondazione comunista perché non avevo più fiducia
nel partito e nei compagni; stavo avvicinandomi al pensiero libertario,
anarchico, situazionista, trovando in essi un valido supporto e vicinanza con la mia personalità e il mio modo di
vivere e pensare.
Questo percorso nuovo e impegnativo mi ha fatto arrivare a quello che sono
oggi: un educatore alla libertà, all’autonomia, alla responsabilità e
all’autogestione della vita motoria e sportiva (insegno ginnastica artistica al
di fuori della scuola e faccio il preparatore atletico di base per ogni tipo di
sport).
Cambiando metodo di insegnamento, quello che si è
modificato di più è il grado di stress e tensione dopo 5 ore di lezione: una
volta arrivavo a casa sfinito e provato, oggi sereno e spesso felice. Sono
cambiate tante cose in meglio naturalmente, ma non solo per me, soprattutto per
i ragazzi che possono trascorrere 1 o 2 ore lontani dalle assurde pretese di
una scuola che li vuole come tanti soldatini efficienti e ubbidienti, tutti
uguali, soffocando i loro interessi, le loro inclinazioni e i loro intimi
desideri.
La scuola soffoca, indottrina, violenta, distrugge
le diversità, i cuori, le pulsioni, snatura i piccoli esseri e li omogeneizza e
li conforma al volere degli adulti, del sistema, del capitale.
Io cerco con tanta fatica e passione di liberarli
da queste catene per non fargliele portare dietro al di fuori della scuola,
nella società.
Il lavoro è quasi disumano, soprattutto per la
diffidenza, se non l’ostilità dei colleghi, ormai sedotti dalla religione della
scuola istituzionale e repressiva, imbrigliati in un immaginario fatto di premi
e castighi, approvazioni e punizioni, tutti alla ricerca dell’omologazione
forzata degli ex spiriti liberi in cani di Pavlov. Ed ecco la scuola al
servizio del salario e del lavoro, della posizione sociale gerarchica cucita
addosso ad ognuno: i cosiddetti meritevoli in classe dirigente, tutti gli altri
in scarti di magazzino, braccia al servizio dell’economia di mercato, relegati
in fondo alla piramide sociale a reggere il peso del sistema accettato
supinamente da tutti, come unico sistema possibile per gli umani.
Naturalmente, una piccola percentuale di colleghi
curiosi di conoscere i miei metodi c’è, esiste, e io intrattengo con loro, nei
momenti liberi, conversazioni interessanti, spiego il retroterra culturale e
pedagogico che mi spinge ad agire come agisco; faccio leggere testi di
educazione antiautoritaria o le cose che scrivo e pubblico sul blog di Utopia
rossa, cerco di motivarli a interessarsi di tutto ciò che è diverso e
innovativo, spingendoli ad autocriticarsi, forte del fatto che i miei allievi sono entusiasti della libertà e lo dicono ai loro genitori e a tutti
gli insegnanti della scuola, compresa la dirigente.
Questo stato di cose mi dà forza e autorevolezza e
non mi sento più solo e sfiduciato: sono i miei allievi che si battono per me
affinché io possa continuare a farli felici.
L’insegnante facilitatore
Sin dalla prima lezione ho spiegato loro cosa contesto della scuola tradizionale e come ho intenzione di procedere: chiedo il loro parere, sento le loro critiche e alla fine decidiamo insieme che non metterò note sul registro, voti, non darò né premi né punizioni, che l’attività da svolgere sarà autogestita e che farò l’insegnante facilitatore, intervenendo solo quando se ne sente il bisogno o su loro specifica richiesta. Ho spiegato la differenza tra libertà e licenza e che, per riuscire a vivere situazioni di vera libertà, c’è bisogno di responsabilità e di rispetto per gli altri.
I ragazzi, anche se piccoli, hanno capito quasi
subito (all’inizio un po’ di caos è naturale), sapendo gestire la loro attività
motoria nella maniera più intelligente, corretta e soddisfacente, rendendo le
lezioni un valido esempio di come l’autonomia generata dall’autogestione si
accresca giorno dopo giorno, facendoli maturare con l’esperienza sul campo, le
relazioni, i piccoli conflitti, l’aiuto reciproco, la solidarietà e una
competizione più sana e meno distruttiva, dove la verità vince sulla falsità e
il buon senso vince sulla furbizia e sull’astuzia. Le regole che sono alla base
del vivere sociale, se le danno da soli (anche se spesso chiedono un mio
consiglio) e le rispettano tutti, senza inganni e sopraffazioni dei più forti
sui più deboli, dei più svegli sui più lenti, dei maschi sulle femmine.
Le attività motorie e sportive, caotiche e
disordinate dei primi giorni si sono trasformate in ordinate ed equilibrate,
rispettose degli spazi e dei desideri degli altri, cosicché le lezioni
trascorrono senza stress e con la massima felicità dei ragazzi: ognuno fa
quello che gli piace e l’insegnante aiuta, consiglia, soccorre, supporta,
spiega….ogni volta che viene richiesto il suo intervento o ritenga opportuno
farlo.
Le valutazioni dei ragazzi
Vorrei concludere questo scritto con alcune
valutazioni che i ragazzi hanno fatto su di me (su mia richiesta periodicamente
i ragazzi mi valutano in forma scritta e anonima così che io possa capire se
sono sulla giusta strada o no) affinché capiate che anche se giovanissimi
(scuole medie) sono in grado di tirar fuori concetti importanti e intelligenti
e capire se la loro vita migliora o peggiora a seconda dei metodi educativi proposti dall’insegnante.
“Il professor Gigli è il mio insegnante di
educazione fisica. È diverso dagli altri prof ma questo non significa che sia
una cosa negativa anzi, questa è una sua caratteristica positiva. Durante una
sua ora di lezione ci ha parlato
della libertà all’interno di una società. La libertà è ridotta per cui, quando
siamo con lui vuole che ci sentiamo liberi di essere noi stessi rispettando comunque
gli altri. Ci fa scegliere i giochi da fare. A me piace perché so che ci si può
contare. Se dovessi avere dei problemi penso che andrei da lui perché mi
ascolterebbe”.
“Prof lei è una persona molto simpatica e
divertente. Il suo modo di impegnarsi mi piace molto perché mi diverto; ci fa
rilassare con un’ora serena e non ci costringe a fare ciò che non ci piace. Di
lei ammiro il suo stile di insegnare, la sua fiducia in noi e la libertà che
nessun prof ci ha mai dato”.
“Ciao prof! La prima volta che l’ho vista mi
sembrava un terrorista o un finocchio (si tolga quegli orecchini!). Prof lei si
droga? Lei è troppo femminista, mio padre dice che le donne devono fare cose da
donna. Una cosa però apprezzo, lei mi accetta per quello che sono mentre gli
altri prof dicono ai miei genitori che sono sbagliato e che devo cambiare con
le buone o con le cattive”.
“Io credo che sei molto bravo perché nessun prof ha
mai capito che noi studenti abbiamo voglia di sfogarci. Per esempio gli altri
professori quando chiacchieriamo, ci alziamo o non chiediamo il permesso per
fare delle cose, ci ritengono maleducati e ci ricattano dicendo di metterci
rapporti o note. Insomma secondo me fai bene il tuo lavoro, ci capisci e ci
lasci fare quelle cose che nessun professore ci ha mai fatto fare, come , per esempio, essere autosufficienti
, perché noi non siamo delle macchinette che hanno bisogno di essere
programmate”.
“Voglio dire una cosa a chi dicesse che la motoria
del prof Gigli non serve a niente : la motoria del prof Gigli serve a due cose:
imparare a muoversi e ogni volta a diventare una persona migliore!”
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