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martedì 4 dicembre 2012

EDUCARE ALLA LIBERTÀ (VII), di Alessandro Gigli


Il mio percorso di insegnante

“Oggi si confonde la scuola con l’educazione, come un tempo si confondeva la Chiesa con la religione” (Ivan Illich)


L’educazione fisica
C’è una materia che gli scolari amano a priori: l’educazione fisica. Purtroppo però, anche questa materia può essere insegnata in maniera tradizionale, istituzionale e spesso assomiglia all’addestramento militare sia nella forma che nella sostanza.
File ordinate, schieramenti, petto in fuori e pancia in dentro, fischietti, cronometri, divise ecc. ecc, tutto questo ricorda l’attività fisica dei percorsi di guerra con il sergente istruttore che insulta a più non posso chi non riesce nella giusta esecuzione.

Molti colleghi della mia materia, educazione fisica, o assomigliano a quel sergente o lanciano un pallone e poi si mettono a leggere il giornale: autoritarismo e permissivismo sono due facce della stessa medaglia, non educano nessuno. E mentre il primo produce risentimento e odio, il secondo caos, disinteresse e noia.
All’inizio della mia carriera di insegnante ero sì diverso dai miei colleghi, ma certamente conservavo delle caratteristiche più autoritarie in quanto i miei riferimenti pedagogici e culturali erano perlopiù istituzionali anche se considerati progressisti e moderni.
Sicuramente non ero uguale agli altri, ma ancora non avevo intrapreso quel percorso di letture e conoscenze attraverso il quale  sono arrivato a capire, apprezzare e proporre l’educazione alla libertà e alla gioia di vivere e muoversi. Cercavo il dialogo con i ragazzi, proponevo esercitazioni particolari e cercavo di stimolarli continuamente, anche se mi arrabbiavo troppo, alzavo troppo la voce e mi sentivo frustrato se qualcuno non voleva partecipare alle lezioni o non s’impegnava. Man mano che passava il tempo e facevo esperienze, ho iniziato ad interessarmi di politica e a leggere testi di Ivan Illich, Raoul Vaneigem, Bertrand Russell ecc., tutti sulla pedagogia antiautoritaria e il modo corretto di intendere l’educazione e l’istituzione scolastica.

Un nuovo modo di essere educatore
Dentro di me già tutto era predisposto per assorbire, digerire e criticare all’occorrenza questa nuova cultura. Infatti iniziai a sperimentare un nuovo modo di essere educatore, nonostante le resistenze e i pregiudizi dei colleghi e dei dirigenti fossero molto forti, e anche con i ragazzi stentavo a farmi capire ed apprezzare, abituati a confondere libertà con licenza di fare tutto quello che avevano voglia di fare senza alcun rispetto per gli altri.
Sono stati anni difficili, non solo come insegnante ma anche come uomo: era cessato un rapporto con una donna per me molto importante, ero uscito da Rifondazione comunista perché non avevo più fiducia nel partito e nei compagni; stavo avvicinandomi al pensiero libertario, anarchico, situazionista, trovando in essi un valido supporto e vicinanza  con la mia personalità e il mio modo di vivere e pensare.
Questo percorso  nuovo e impegnativo mi ha fatto arrivare a quello che sono oggi: un educatore alla libertà, all’autonomia, alla responsabilità e all’autogestione della vita motoria e sportiva (insegno ginnastica artistica al di fuori della scuola e faccio il preparatore atletico di base per ogni tipo di sport).
Cambiando metodo di insegnamento, quello che si è modificato di più è il grado di stress e tensione dopo 5 ore di lezione: una volta arrivavo a casa sfinito e provato, oggi sereno e spesso felice. Sono cambiate tante cose in meglio naturalmente, ma non solo per me, soprattutto per i ragazzi che possono trascorrere 1 o 2 ore lontani dalle assurde pretese di una scuola che li vuole come tanti soldatini efficienti e ubbidienti, tutti uguali, soffocando i loro interessi, le loro inclinazioni e i loro intimi desideri.
La scuola soffoca, indottrina, violenta, distrugge le diversità, i cuori, le pulsioni, snatura i piccoli esseri e li omogeneizza e li conforma al volere degli adulti, del sistema, del capitale.
Io cerco con tanta fatica e passione di liberarli da queste catene per non fargliele portare dietro al di fuori della scuola, nella società.
Il lavoro è quasi disumano, soprattutto per la diffidenza, se non l’ostilità dei colleghi, ormai sedotti dalla religione della scuola istituzionale e repressiva, imbrigliati in un immaginario fatto di premi e castighi, approvazioni e punizioni, tutti alla ricerca dell’omologazione forzata degli ex spiriti liberi in cani di Pavlov. Ed ecco la scuola al servizio del salario e del lavoro, della posizione sociale gerarchica cucita addosso ad ognuno: i cosiddetti meritevoli in classe dirigente, tutti gli altri in scarti di magazzino, braccia al servizio dell’economia di mercato, relegati in fondo alla piramide sociale a reggere il peso del sistema accettato supinamente da tutti, come unico sistema possibile per gli umani.
Naturalmente, una piccola percentuale di colleghi curiosi di conoscere i miei metodi c’è, esiste, e io intrattengo con loro, nei momenti liberi, conversazioni interessanti, spiego il retroterra culturale e pedagogico che mi spinge ad agire come agisco; faccio leggere testi di educazione antiautoritaria o le cose che scrivo e pubblico sul blog di Utopia rossa, cerco di motivarli a interessarsi di tutto ciò che è diverso e innovativo, spingendoli ad autocriticarsi, forte del fatto che i miei allievi  sono entusiasti della libertà  e lo dicono ai loro genitori e a tutti gli insegnanti della scuola, compresa la dirigente.
Questo stato di cose mi dà forza e autorevolezza e non mi sento più solo e sfiduciato: sono i miei allievi che si battono per me affinché io possa continuare a farli felici.

L’insegnante facilitatore

Sin dalla prima lezione ho spiegato loro cosa contesto della scuola tradizionale e come ho intenzione di procedere: chiedo il loro parere, sento le loro critiche e alla fine decidiamo insieme che non metterò note sul registro, voti, non darò né premi né punizioni, che l’attività da svolgere sarà autogestita e che farò l’insegnante facilitatore, intervenendo solo quando se ne sente il bisogno o su loro specifica richiesta. Ho spiegato la differenza tra libertà e licenza e che, per riuscire a vivere situazioni di vera libertà, c’è bisogno di responsabilità e di rispetto per gli altri.
I ragazzi, anche se piccoli, hanno capito quasi subito (all’inizio un po’ di caos è naturale), sapendo gestire la loro attività motoria nella maniera più intelligente, corretta e soddisfacente, rendendo le lezioni un valido esempio di come l’autonomia generata dall’autogestione si accresca giorno dopo giorno, facendoli maturare con l’esperienza sul campo, le relazioni, i piccoli conflitti, l’aiuto reciproco, la solidarietà e una competizione più sana e meno distruttiva, dove la verità vince sulla falsità e il buon senso vince sulla furbizia e sull’astuzia. Le regole che sono alla base del vivere sociale, se le danno da soli (anche se spesso chiedono un mio consiglio) e le rispettano tutti, senza inganni e sopraffazioni dei più forti sui più deboli, dei più svegli sui più lenti, dei maschi sulle femmine.
Le attività motorie e sportive, caotiche e disordinate dei primi giorni si sono trasformate in ordinate ed equilibrate, rispettose degli spazi e dei desideri degli altri, cosicché le lezioni trascorrono senza stress e con la massima felicità dei ragazzi: ognuno fa quello che gli piace e l’insegnante aiuta, consiglia, soccorre, supporta, spiega….ogni volta che viene richiesto il suo intervento o ritenga opportuno farlo.

Le valutazioni dei ragazzi
Vorrei concludere questo scritto con alcune valutazioni che i ragazzi hanno fatto su di me (su mia richiesta periodicamente i ragazzi mi valutano in forma scritta e anonima così che io possa capire se sono sulla giusta strada o no) affinché capiate che anche se giovanissimi (scuole medie) sono in grado di tirar fuori concetti importanti e intelligenti e capire se la loro vita migliora o peggiora a seconda dei metodi  educativi proposti dall’insegnante.

“Il professor Gigli è il mio insegnante di educazione fisica. È diverso dagli altri prof ma questo non significa che sia una cosa negativa anzi, questa è una sua caratteristica positiva. Durante una sua ora di lezione  ci ha parlato della libertà all’interno di una società. La libertà è ridotta per cui, quando siamo con lui vuole che ci sentiamo liberi di essere noi stessi rispettando comunque gli altri. Ci fa scegliere i giochi da fare. A me piace perché so che ci si può contare. Se dovessi avere dei problemi penso che andrei da lui perché mi ascolterebbe”.

“Prof lei è una persona molto simpatica e divertente. Il suo modo di impegnarsi mi piace molto perché mi diverto; ci fa rilassare con un’ora serena e non ci costringe a fare ciò che non ci piace. Di lei ammiro il suo stile di insegnare, la sua fiducia in noi e la libertà che nessun prof ci ha mai dato”.

“Ciao prof! La prima volta che l’ho vista mi sembrava un terrorista o un finocchio (si tolga quegli orecchini!). Prof lei si droga? Lei è troppo femminista, mio padre dice che le donne devono fare cose da donna. Una cosa però apprezzo, lei mi accetta per quello che sono mentre gli altri prof dicono ai miei genitori che sono sbagliato e che devo cambiare con le buone o con le cattive”.

“Io credo che sei molto bravo perché nessun prof ha mai capito che noi studenti abbiamo voglia di sfogarci. Per esempio gli altri professori quando chiacchieriamo, ci alziamo o non chiediamo il permesso per fare delle cose, ci ritengono maleducati e ci ricattano dicendo di metterci rapporti o note. Insomma secondo me fai bene il tuo lavoro, ci capisci e ci lasci fare quelle cose che nessun professore ci ha mai  fatto fare, come , per esempio, essere autosufficienti , perché noi non siamo delle macchinette che hanno bisogno di essere programmate”.

“Voglio dire una cosa a chi dicesse che la motoria del prof Gigli non serve a niente : la motoria del prof Gigli serve a due cose: imparare a muoversi e ogni volta a diventare una persona migliore!”


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