Sintesi della discussione svoltasi il 16
dicembre 2012 nella sede di Utopia rossa e introdotta da una relazione di
Michele Nobile. Il testo che segue è stato arricchito dai contributi di altri
compagni e compagne, e in quanto tale entra a far parte del patrimonio teorico
di UR.
(La Redazione di www.utopiarossa.blogspot.com)
Per Antiparlamento dei movimenti sociali non si deve intendere l’ennesima conferenza o
coordinamento di professionisti della politica, magari affiancati da
associazioni di supporto; l’Antiparlamento non deve intendersi come qualcosa il
cui compito sia elaborare soluzioni alternative alla crisi capitalistica o ai
problemi sociali in vista delle elezioni, in definitiva contando su una nuova
maggioranza parlamentare «amica» dei proponenti.
Al contrario, l’Antiparlamento dovrà essere
espressione dell’auto-organizzazione di movimenti di massa in lotta non solo
contro i loro determinati e specifici avversari, locali e/o settoriali, ma anche
contro l’intera casta politica e lo stesso Parlamento in quanto organo di
legittimazione della casta.
Alla lettera, intendiamo l’Antiparlamento quale forma
di democrazia politica alternativa e contrapposta all’istituto parlamentare e al suo necessario complemento: le elezioni
politiche.
Non basta più dire che la vittoria delle lotte
specifiche e determinate non deve più passare attraverso burocrati partitici e
sindacali e il parlamento. Occorre dire che la casta dei professionisti della
politica e le loro istituzioni sono nemici dell’espansione dei diritti e delle
libertà. Occorre rompere definitivamente con la strategia consistente nel far
rifluire la propaganda politica e la mobilitazione sociale in una scadenza
elettorale e nel sostegno a una determinata maggioranza parlamentare o ad una
linea di pressione esterna e «critica» del governo pur sempre visto come
«amico». In questa strategia è invischiata da decenni la sinistra italiana,
compresi la ex estrema sinistra e i vari partiti post-Pci.
Dal nostro punto di vista la posizione
antiparlamentare si motiva con il processo d’involuzione storica della
cosiddetta democrazia rappresentativa
nei paesi a capitalismo avanzato e, in particolare, in Italia.
Si tratta di un processo di lungo periodo, il cui
motore fu proprio la crescita delle funzioni economiche e sociali dello Stato
capitalistico, con i suoi effetti sui rapporti tra burocrazia amministrativa e
partitica, tra governo e parlamento e sulle funzioni e le caratteristiche dei
partiti.
Risultati finali delle trasformazioni accennate,
apparentemente democratiche e nostalgicamente rimpiante da tanta parte della
sinistra, sono stati la statizzazione dei partiti, la loro convergenza
programmatica, la costituzione del sistema dei partiti in casta.
Nei decenni di fine secolo si è consumata
definitivamente la parabola d’integrazione nello Stato dei partiti della
sinistra, socialdemocratici e comunisti. Il processo degenerativo, in termini
politici, ideali e personali è molto avanzato e grave in Italia. Esso ha
coinvolto anche i partiti post-Pci che, con il sostegno e la partecipazione
diretta ai governi nazionali e locali del centrosinistra, hanno ampiamente
dimostrato e continuano a dimostrare di rimanere subalterni al centrosinistra o
a una sua componente: le differenze, a questo proposito, riguardano più i modi
e i tempi che la sostanza. Il processo è stato ampiamente trattato nei libri di
Utopia rossa (da La sinistra rivelata a I forchettoni rossi
a Le false sinistre fino al
recente Capitalismo e postdemocrazia) e negli articoli pubblicati nel blog.
Quando il finanziamento dell’attività di partito
dipende per l’80-90% e oltre dai fondi statali i partiti cessano di essere
organi di mediazione tra Stato e società civile e diventano a tutti gli effetti
organi statali. La dipendenza dal finanziamento pubblico dei partiti
«alternativi», verdi e a denominazione «comunista» è alla pari o superiore di
quella dei partiti di governo. Ovviamente per essi la partecipazione alle
elezioni è una necessità vitale; e necessità vitale è trovare forme di
collaborazione con il centrosinistra.
La statizzazione dei partiti comporta l’assoluta
prevalenza della funzione di governo rispetto a quella della rappresentanza,
sia pur limitata e distorta, di alcuni interessi dei comuni cittadini. Per i
partiti e le coalizioni che si spartiscono il mercato dei voti il processo di
statizzazione è parallelo alla sostanziale convergenza politica intorno agli
interessi immediati del padronato.
Pur rimanendo un organo dello Stato capitalistico,
negli anni ’60 e ‘70 il Parlamento riusciva ancora a rispondere alle lotte e ai
problemi sociali con leggi che costituivano un progresso, sia pur parziale. Ma
da oltre trent’anni a questa parte, mentre il sistema dei partiti si fa
autoreferenziale, la stessa istituzione parlamentare cessa di avere qualsiasi
possibilità progressiva. Le leggi più importanti adottate in Parlamento sono
sempre contrarie ai lavoratori ed ai bisogni sociali dei comuni cittadini.
Questo è un dato strutturale e non reversibile. Ne
consegue che i richiami al dettato costituzionale e alla «sovranità popolare»
entro il quadro di questo Stato, la retorica circa la partecipazione politica e
la pretesa dei partiti post-Pci di far da ponte tra Piazza e Palazzo appaiono,
nel migliore dei casi, illusioni condannate dalla storia o, nel peggiore e più
probabile dei casi, come ideologia strumentale alla riproduzione di apparati
partitici.
Per queste ragioni riteniamo che la lotta per la
difesa e l’espansione della democrazia e dei diritti sociali nel senso più
ampio non possa più passare attraverso il Parlamento, le elezioni e la
rappresentanza partitica. Al contrario, per difendere ed espandere la
democrazia e i diritti occorre assumere il sistema dei partiti e l’istituzione
parlamentare come nemici da abbattere, senza nessun compromesso.
Questa posizione antielettorale e antiparlamentare
è da intendersi come relativa all’Italia e da verificare negli altri paesi a
capitalismo avanzato; non vale necessariamente in paesi nei quali l’esperienza
della democrazia parlamentare nell’ambito dello Stato capitalistico è stata
limitata e la conquista della libertà politica è un fatto relativamente
recente.
Siamo perfettamente consapevoli che
l’Antiparlamento è un’indicazione ancora propagandistica, perché essa potrà
prendere vita solo in presenza di forti movimenti sociali decisi a perseguire
fino in fondo i propri obiettivi di lotta in aperta rottura con la casta
politica e le sue istituzioni pseudorappresentative.
Nondimeno, non vediamo altra possibilità di
iniziare a costruire subito e nel presente una prospettiva che sia nello stesso
tempo globale, democratica e anticapitalistica se non partendo dalla visione di
un organismo nazionale che sia spazio di raccordo e di discussione di movimenti
di lotta, che di questi esprima la volontà unitaria e di sintesi politica al di
fuori e contro le istituzioni che rappresentano il potere della casta politica.
Concretamente e nell’immediato, condividere questa
visione significa rifiutarsi di legittimare col voto la casta dei
professionisti della politica (o degli aspiranti tali), nelle sue componenti di
destra e sinistra, e l’istituzione parlamentare.
Assumere consapevolmente la prospettiva
dell’Antiparlamento comporta il consapevole rifiuto della retorica
pseudomovimentista o incoerentemente anticasta che finisce con il fare delle
elezioni e delle alleanze elettorali e istituzionali l’approdo dell’azione
politica.
Prendere seriamente in considerazione la
prospettiva dell’Antiparlamento è innanzitutto l’inizio di un processo di
liberazione dalla dipendenza psicologica da apparati che sopravvivono solo grazie al finanziamento
statale e alla loro capacità di far da parassiti dell’impegno altruistico e
sincero di militanti e volontari.
Riteniamo che prendere posizione per
l’Antiparlamento e contro la delega alla casta partitica (ivi compresa la
sottocasta subalterna dei Forchettoni rossi) comporti anche un processo di liberazione culturale nel senso più
ampio, di impulso alla creatività volta a cambiare la vita e a cambiare il
mondo senza compromissioni e autocensure.
Infine, nell’assumere la prospettiva
dell’Antiparlamento ci sentiamo materialmente confortati da quelle decine di
milioni di cittadini, in Italia e nel resto d’Europa che, astenendosi dal voto,
hanno voluto esprimere e continueranno ad esprimere il loro disgusto per le
caste politiche. Ci sentiamo, in questo vicini a coloro che hanno espresso la
loro indignazione e la loro nausea nei confronti dei governi e dei parlamenti
che fanno pagare la crisi capitalistica ai lavoratori, ai comuni cittadini, ai
pensionati, ai giovani, alle donne. Ci sentiamo vicini a coloro che hanno
assediato i parlamenti, sedi formali del potere delle caste che pretendono di
rappresentare il popolo.
Riteniamo che l’Antiparlamento possa essere una
risposta coerente, di lotta, costruttiva ed eticamente sana, al bisogno di democrazia da affermare contro la
casta politica.
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