Summary
L’analisi del voto delle elezioni greche e il mito di
Syriza - L’analisi del risultato elettorale sulla base dell’insieme dei
cittadini con diritto di voto: la realtà - Il Kke, il Synaspismós
e Syriza - La crisi di un regime postdemocratico - Elezioni o
organizzazione dal basso?
Análisis de las elecciones y el mito de Syriza -
Análisis de los resultados de las elecciones sobre la base de todos los
ciudadanos con derecho de voto: la realidad - Kke, Synaspismós
y Syriza - La crisis de un régimen post democrático - ¿Elecciones u organización
desde la base?
Analysis of the Greek elections
and the myth of Syriza - The analysis of the electoral result on the base of
the citizens with right to vote: the reality - Kke, Synaspismós and
Syriza - The crisis of a postdemocratic regime - Elections or popular
organization?
L'analyse des élections et le
mythe de Syriza - L'analyse des résultats des élections sur la base de tous les
citoyens ayant le droit de vote: la réalité - Kke, Synaspismós
et Syriza - La crise d'un régime post-démocratique - Elections ou
organisation par le bas?
A análise do voto nas eleições gregas e o mito de
Syriza – A análise do resultado
eleitoral baseado no conjunto dos cidadãos com
direito de voto: a realidade - O
Kke, o Synaspismós e Syriza – A
crise dum regime post-democrático – Eleições ou
organização a partir de baixo?
L’analisi del voto delle elezioni greche e il mito di
Syriza
Nelle elezioni di giugno
2012 il voto per la coalizione della sinistra radicale Syriza (7)
ha compiuto un salto in avanti gigantesco.
Riassumo l’analisi dei risultati elettorali fatta
da Vernardakis
(8) per fasce d’età, sesso, professioni e geografia, leggibile nelle tabelle e
negli ideogrammi dell’allegato:
- Il voto per Nea Dimokratia si concentra
nella fascia d’eta dai 65 anni in avanti (49%), ovviamente corrispondente ai
pensionati (45%); è il partito che mostra di gran lunga il più ampio consenso
tra imprenditori e managers (35,9%) e agricoltori e
pescatori (35,3%).
- Il voto per Syriza è
caratterizzato innanzitutto dalla gioventù: il 45,5% nella fascia tra i 18-24
anni e il 51% tra gli studenti: in queste categorie le percentuali di Syriza
sono enormemente superiori a quelle degli altri partiti; ma è anche il partito
che ottiene le percentuali più alte tra i lavoratori salariati pubblici e
privati (32%), i disoccupati (32,7%) e i pensionati in anticipo (32,9%;
percentuali dimezzate invece per il resto dei pensionati).
- La struttura del voto
per il Pasok è quella di un partito pigliatutti ampiamente ridimensionato.
Riscuote i consensi maggiori tra i pensionati del settore pubblico (23%) e
privato (17,5%, alla pari con Syriza) e tra imprenditori e managers (17%); al
10% o poco meno il consenso tra i dipendenti pubblici, artigiani e
commercianti, lavoratori autonomi; l’8,9% tra i salariati del settore privato:
fatto notevole per un partito che aveva la maggioranza nei sindacati.
- Il Kke ha il consenso
maggiore nella fascia d’età 55-64 anni (6,3%), a cui corrisponde un modesto 6%
tra gli studenti. La categoria nella quale ottiene i consensi maggiori è quella
dei pensionati in anticipo (6,8%); il voto dei salariati del settore privato è
il 6%, del settore pubblico il 4,4%, un decimo sopra quello dei disoccupati;
ottiene percentuali superiori al 4% anche tra agricoltori, artigiani,
pensionati del settore privato, lavoratori non qualificati e saltuari.
Ridimensionata, conferma la tradizionale base elettorale.
- Il partito di estrema
destra Alba Dorata presenta una alta percentuale tra gruppi sociali opposti:
imprenditori e managers (20%) e i lavoratori non qualificati e saltuari
(24,5%): in queste due categorie è secondo soltanto, rispettivamente, a ND e a
Syriza.
La conclusione di Vernardakis è che Nea Dimokratia ha ricostituito un’alleanza borghese ma pagando un
prezzo nei confronti dei ceti medi e degli strati tradizionali della piccola
proprietà, mentre il Pasok è in piena crisi di rappresentatività, nel senso che
non rappresenta alcuna classe o categoria sociale particolare. Inoltre ritiene
che la Syriza e il Synaspimos centrati elettoralmente sulla piccola borghesia
siano cosa del passato e che ora Syriza rappresenti un’alleanza di salariati,
disoccupati e sottoccupati, professionisti e piccoli imprenditori, avendo così
la possibilità di divenire il partito più rappresentativo dei lavoratori in
Grecia (peraltro con una buona presenza tra imprenditori e quadri intermedi del
settore privato e pubblico).
La dinamica di Syriza
potrebbe dunque essere quella di un partito popolare e di sinistra nel quale
confluisce elettoralmente una stagione di grande scontento e di opposizione
sociale.
Senza essere falsa,
questa è però solo parte della storia, quella che può essere raccontata
considerando le percentuali ottenute sulla base dei cittadini che hanno votato
e dell’analisi della distribuzione del voto per gruppi sociali. I risultati
elettorali sulla base dei voti validi, eventualmente corretti in modo
non-proporzionale, sono quelli pertinenti per decretare chi viene eletto e
quindi le possibili maggioranze istituzionali. Fermarsi a questi risultati può
servire a creare un mito, ma non corrisponde necessariamente alla realtà.
L’analisi del risultato elettorale sulla base dell’insieme
dei cittadini con diritto di voto: la realtà
Occorre prestare la
massima attenzione al fatto che l’astensionismo
è in aumento in tutti i paesi a capitalismo avanzato. Quando
l’astensionismo oltrepassa il 10-15% degli elettori basarsi sui soli votanti e
sui voti validi produce un’immagine distorta degli orientamenti dell’opinione
pubblica, tanto più falsa più ampia è l’ampiezza dell’astensione. Ne consegue
che per un ragionamento realistico sulle dimensioni del consenso ai partiti
occorre ricalcolare le percentuali di voto sull’insieme dei cittadini che hanno
diritto di voto, astensionisti compresi.
Il 17 giugno 2012 Syriza
ha ottenuto 1 milione e 600 mila voti, moltiplicando di un fattore superiore a
cinque il risultato delle legislative del 2009, quando raccolse il consenso di
315 mila elettori (con 46 mila voti in meno sulle legislative del 2007 e 13 deputati,
uno in meno). Sull’insieme dei cittadini con diritto di voto questo significa
che tra il 2009 e il 2012 la percentuale di consenso per Syriza è aumentata dal
3% (4,6% dei votanti) al 16,6% degli elettori. Un risultato elettorale
sbalorditivo, ma pur molto lontano da quel 26,8% calcolato sui votanti che, con
una spintarella dell’immaginazione, suggerisce l’idea che dei cittadini greci
uno su tre sia con Syriza. Non è così. La matematica dice che Syriza ha
attratto il consenso di una minoranza dell’elettorato, che è certamente ampia
ma pur sempre minoranza; e che in termini di consenso reale non ha alcuna
possibilità di formare un governo monocolore né di essere l’asse portante di un
governo delle sinistre. Data la preesistente forte tendenza alla crescita
dell’astensionismo non era impossibile prevedere un risultato simile e valutare
in modo diverso l’opportunità della presentazione elettorale; sicuramente era
possibile e necessario non alimentare l’aspettativa della costituzione per via
parlamentare di un governo che ponesse fine alle politiche antipopolari.
Tra le due ultime
elezioni politiche il Kke ha quasi dimezzato i voti (circa -240 mila voti,
scendendo al 2,8% sul totale degli elettori) e anche le altre formazioni di
sinistra hanno perso consenso nelle elezioni del 17 giugno rispetto a quelle
del 6 maggio (9). All’ingrosso è ragionevole pensare che questi voti si siano
diretti verso Syriza: un processo analogo, ferme restando le differenze tra i
partiti, al sorpasso del Partito comunista francese da parte del Partito
socialista di Mitterand e delle due principali formazioni di origine trotskista
(Lutte Ouvrière e Ligue Communiste, ora Npa – Nouveau parti anticapitaliste).
Il Kke ha (meritatamente) perso un’occasione storica ed è probabile che in
futuro rimanga una formazione marginale, più preoccupata di attaccare Syriza
che il governo.
Sull’opposto versante è
palese che i circa 290 mila voti persi dal Laos costituiscano quasi il 70% dei
voti ottenuti da Alba Dorata. La crescita dei voti di questa formazione di
estrema destra rispetto alle elezioni 2009 è molto superiore a quella di
Syriza, ma deve essere relativizzata tenendo conto del rimescolamento interno
all’estrema destra (i votanti per Alba dorata sono ora il 4,3% dell’elettorato,
quelli del Laos nel 2009 erano il 3,8%). È interessante il fatto che, per la
prima volta dal 1974, il Laos fosse entrato nel governo di coalizione di Lucas
Papademos, formato dopo le dimissioni di Papandreou il 6 novembre 2011, con un
ministro e due viceministri. Evidentemente stare al governo fa male anche ai
forchettoni neri.
Tra le legislative del
2009 e giugno 2012 Nea Dimokratia ha
perso circa 470 mila voti, ma è il Pasok il grande perdente: oltre due milioni
e due centomila voti in meno. Insieme questi partiti hanno ora il consenso del
26% degli elettori (da contrastare col 42% dei votanti), contro il 52% del 2009
(da contrastare col 77% dei votanti; nelle politiche tra il 1977 e il 2007 i
due partiti totalizzavano tra l’80% e l’86% dei voti): il che la dice lunga
sulla crisi di rappresentanza dei partiti dominanti e sul grado di
rappresentatività dell’attuale governo di coalizione. Di questo è giusto dire
che rappresenta un cittadino greco su quattro, essendosi gli altri pronunciati
contro, o apertamente col voto o con l’astensione.
Il lettore avrà notato lo
scarto tra risultati elettorali espressi come percentuali dei votanti o come
percentuali dell’intero corpo elettorale. Naturalmente non è detto che i
risultati elettorali esprimano fedelmente il ruolo politico nella lotta
sociale, che può essere qualitativamente maggiore o minore di quanto appaia dal
volume dei voti; ma se si ragiona a partire da questi risultati, allora sarà
bene farlo nel modo corretto.
Nel caso delle elezioni
greche i cittadini astensionisti sono aumentati dai 2,3 milioni del 2009, il
29% del corpo elettorale, ai 3,7 milioni, il 37,5%. È questo degli
astensionisti il più grande «partito» della Grecia, il cui successo
non-elettorale nel 2012 è il risultato della massiccia astensione degli ex
elettori del Pasok. E non si può neanche ridurre quest’ampia parte dei
cittadini greci alla categoria degli indifferenti e degli apatici: stante
l’ampiezza della mobilitazione, si tratta in gran parte di persone che hanno
scioperato, manifestato e magari partecipato agli scontri di piazza. È anche
probabile che una parte degli astensionisti sia non meno, forse anche più
radicale, dell’elettore medio di Syriza: nel senso che, prescindendo
dall’ideologia, sarebbe disposta a mettere in atto il motto della rivolta
argentina del 2001 ¡que se vayan
todos!, ad andare fino alla radice dei
problemi, a farla finita col capitalismo greco e la sua casta politica.
La verità è che nel 2012
Syriza ha ottenuto poco più di metà del consenso che ebbe il Pasok nel 2009:
gli sono sfuggiti circa 1,2 milioni di cittadini che avevano votato per i
socialisti.
Al di là dei trionfalismi
propagandistici (che indubbiamente possono far leva su un successo reale) o
autoconsolatori e della sterile discussione se Syriza abbia perso oppure
moralmente vinto le elezioni, è questo il dato obiettivo importante per il
futuro: Syriza ha assorbito meno di metà degli ex elettori del Pasok e non ha
spostato verso sinistra quei settori dell’elettorato popolare e piccolo
borghese di Nea Dimokratia che pure sono stati duramente colpiti dalla
crisi economica e hanno anche partecipato alle manifestazioni di protesta, le
quali hanno avuto carattere amplissimo e veramente nazional-popolare; è noto
che molti piccoli imprenditori e commercianti hanno spinto i dipendenti a
scioperare. In termini elettorali Syriza ha mietuto solo una frazione del
raccolto potenziale cresciuto sulla grave crisi di legittimità e di rappresentatività dei
partiti di governo (circa ¼ sull’astensione totale, circa 1/3 sui voti persi
tra il 2009 e il 2012 dal Pasok e Nea Dimokratia ).
La conclusione è che non
è obiettivamente corretto parlare di polarizzazione tra Syriza e i partiti di
governo. I risultati del voto sono più ambigui. Quel che è sicuro, invece, è
che la stragrande maggioranza degli elettori greci ha espresso una decisa
opposizione alle misure d’austerità e una forte alienazione nei confronti dei
partiti che hanno dominato la scena politica greca dalla caduta della
dittatura. A 38 anni da quell’evento le vicende del 2010-2012 sono
periodizzanti per la storia greca del secondo dopoguerra. È un momento
rivelatore di come i lunghi anni di governo del Pasok abbiano sovrapposto al
capitalismo greco, relativamente sottosviluppato dal punto di vista industriale
ma con un forte carattere commerciale, marinaresco e turistico, un sistema
clientelare, assistenziale e corrotto.
La crisi di un regime postdemocratico
La crisi politica greca è
infatti innanzitutto la crisi del regime postdemocratico formatosi negli anni
Novanta, centrato sulla pretesa di modernizzare il paese secondo i criteri
definiti dal Trattato di Maastricht e dagli orientamenti delle istituzioni
europee.
Come negli altri paesi
europei, in Grecia la postdemocrazia non è qualcosa che viene imposto dall’esterno:
al contrario, le misure modernizzatrici e l’adesione all’eurosistema sono state
fortemente volute dalla casta politica greca, al punto che essa ha
ripetutamente manipolato i bilanci pubblici pur di conseguire l’obiettivo.
D’altra parte, proprio per la sua criticità
il caso greco illustra bene cosa sia quel fenomeno internazionale che è
la postdemocrazia.
Come gli altri regimi
postdemocratici europei, quello greco non è una dittatura o una forma di
bonapartismo o d’altro regime d’eccezione che sospenda i diritti e le garanzie
fondamentali: il sistema politico rimane parlamentare e pluripartitico, le
libertà politiche e sindacali restano in vigore, per quanto lese. Come il
governo Monti in Italia, il governo Papademos era sostenuto dai due partiti
maggiori; anzi, per la prima volta comprendeva il Laos e questa fu l’unica
ragione per cui Papademos non ottenne la fiducia anche da Dimokratiki Aristera
e dai verdi (il ministro del Laos che decise di rimanere nel governo venne
espulso dal partito nel febbraio 2012, passando poi a ND: un esempio di
forchettonismo «nero»); e nell’attuale governo presieduto da Antonis Samaras,
leader di ND che a suo tempo appariva come un outsider, Pasok e Dimokratiki
Aristera sono presenti con indipendenti designati.
La postdemocrazia non è
affatto antiparlamentare o antipartitica come può esserlo un regime
dittatoriale o bonapartista, per il semplice motivo che il parlamento è già da
tempo subordinato ai vertici della burocrazia partitico-statale e i partiti
sono oramai integralmente statizzati, sia nel senso dell’interpenetrazione tra
apparati politici e alta burocrazia statale che per la loro dipendenza dal
finanziamento pubblico; le funzioni di
governo sono assolutamente prevalenti rispetto a quelle rappresentative,
l’immagine domina sulla sostanza dei programmi e il sistema dei partiti diviene
fortemente auto-referenziale nell’elaborare le politiche pubbliche.
Per di più, questi
sistemi di partito hanno ampiamente dimostrato una grande capacità di
incorporare i nuovi partiti «alternativi» (esemplare il caso di Rifondazione
comunista) o, nel migliore dei casi, di saper esercitare una fortissima
attrazione gravitazionale nei loro confronti, tanto da separarne, anche a più
riprese, le frazioni di «destra» volta a volta disponibili a sostenere i
governi (in Italia esemplari i casi degli ingraiani, del Pdci e di Sel e in
Grecia di Dimokratiki Aristera).
Al di là del vicendevole
incolparsi per l’eccesso di spesa e i conti truccati e di temporanee polemiche
nazionalistiche (da parte di ND), in Grecia i partiti di governo sono concordi
nell’attacco ai diritti economico-sociali della cittadinanza: questo è il
contenuto sociale della postdemocrazia, la sostanza della convergenza
programmatica tra i partiti e dell’obsolescenza della distinzione
destra/sinistra sul piano istituzionale (in particolare nelle politiche
economiche e sociali e in politica estera).
Ora, e nonostante i
cittadini greci gli abbiano urlato in tutti i modi che non ci stanno, Pasok e
ND stanno realizzando quella «modernizzazione» preconizzata a metà anni
Novanta, nei tempi e nelle condizioni peggiori, con il sostegno e il pungolo
dei governi esteri, della Bce e del Fmi.
È un chiaro esempio della
riduzione della democrazia a procedura formale di designazione dell’élite di
governo: e scrivo designazione perché dati il consenso a governare insieme e la
sostanziale omogeneità dei programmi non si può neanche intendere il rito
elettorale come selezione tra gruppi elitari alternativi. All’oligarchia
postdemocratica è sufficiente eseguire correttamente la procedura elettorale,
arrivando a disporre di una maggioranza parlamentare nonostante questa sia
evidentemente minoranza nel paese. Tuttavia, la divaricazione tra la
legittimazione istituzionale attraverso la procedura elettorale e il rigetto da
parte dei cittadini delle politiche dei governi e dei partiti che li sostengono
è un grave fattore destabilizzante per la postdemocrazia greca: concretamente
esso si esprime attraverso la lotta sociale.
Tornando alla questione
posta all’inizio dell’articolo circa la differenza delle risposte popolari in
Grecia rispetto agli altri paesi europei, penso che la ragione fondamentale sia
il fatto che in Grecia la transizione alla postdemocrazia sia iniziata più
tardi e senza una preliminare sconfitta sul campo dei salariati. Certamente il
Pasok, che a lungo rappresentò i ceti popolari, ha tradito le grandi speranze
di democratizzazione e giustizia sociale del cambiamento di regime dopo la
dittatura militare o metapolitefsi
ma, mentre in Italia o nel Regno Unito nella prima metà degli anni Ottanta i
salariati subivano pesanti sconfitte, in Grecia - sia pur a fini e in modi
clientelari - si estendevano la
protezione sociale e il pubblico impiego. Benché declinante, fino a metà del
decennio successivo Papandreou padre incarnava il populismo interclassista e
nazionalista di sinistra, non il cosiddetto neoliberismo. La linea
modernizzatrice di Simitis e la convergenza postdemocratica di Pasok e ND
iniziò a erodere le acquisizioni della metapolitefsi,
ma generando una crisi strisciante di rappresentatività e, specialmente con i
governi di ND, conflitto sociale. Questo anche a causa del relativo
sottosviluppo del capitalismo greco, dal quale sono particolarmente colpiti i
giovani, che certamente hanno contribuito alla politicizzazione dello scontro
mantenendo viva nel tempo la rivolta del Politecnico ateniese del 1973,
l’inizio della fine della dittatura.
L’altra faccia di questo
sottosviluppo relativo è l’ampiezza della corruzione combinata all’inefficienza:
una miscela pericolosa, che alimenta la rabbia e che in determinate circostanze
può fare da detonatore di crisi politiche, come nell’attacco al governo
Karamanlis per la gestione degli incendi nell’estate del 2007, o aggravare le
tensioni, come fu per le rivelazioni circa le menzogne sull’ampiezza del
deficit pubblico.
Il Kke, il Synaspismós e
Syriza
La principale
organizzazione di Syriza è il partito Synaspismós
che anch’esso era in origine un cartello elettorale fra i due partiti comunisti
della Grecia, il Kke completamente dipendente dall’Unione Sovietica, e l’erede
del partito eurocomunista detto «dell’interno». Fu attraverso il Synaspismós
(cartello elettorale) che nel 1989 il Kke fece parte di governi di coalizione,
prima con Nea Dimokratia e poi con la destra e il
Pasok. Il Kke segue una logica staliniana «frontista»: negli anni Ottanta
appoggiò a singhiozzo i governi del Pasok (in funzione della politica estera
sovietica), dimostrando poi di poter collaborare, in certe condizioni, anche con
la destra. È un partito estremamente settario nei confronti delle
organizzazioni alla sua sinistra e che possono incidere sulla sua nicchia
elettorale. Come reazione di autodifesa identitaria il settarismo della
direzione del Kke si inasprì dopo il crollo sovietico: ruppe con il cartello
elettorale e da allora Synaspismós divenne organizzazione autonoma.
La prima
presidentessa del Synaspismós fu Maria Damanaki (1991-1993), che era stata la voce
della radio installata nel Politecnico ateniese durante la rivolta del 1973 e
che aveva iniziato una lunga carriera parlamentare nel 1977, a 25 anni: in seguito al fallimento totale del partito nelle elezioni del
1993 passò al Pasok ed è ora Commissaria europea per gli Affari marittimi e
pesca. Una storia indicativa di quanto fossero forti le tendenze partito a
collaborare con il Pasok.
Nei dieci
anni in cui presidente fu Nikos Konstantopoulos, già
ministro degli interni nel governo Synaspismós-ND del
luglio-ottobre 1989, il Synaspismós rimase schiacciato tra il Kke e il Pasok.
Nelle elezioni del 1996 il partito ottenne quello che rimase il suo migliore
risultato fino al 2012 (comprendendo nei suoi voti anche quelli di Syriza): 347
mila voti, il 5% dei votanti o il 3,8% degli elettori (poco meno del Kke) e 10
eletti; ma nelle politiche del 2000 perse 128 mila voti (e 4 deputati; costante
invece il Kke) di cui solo 22 mila vennero recuperati in quelle del 2004
(mentre il Kke aumentava i voti e i deputati portandoli a 12, il doppio del
Synaspismós): in entrambe le elezioni il Synaspismós rischiò di non superare lo
sbarramento del 3% dei voti (ottenne il 3,2% dei voti, pari al 2,4%
dell’elettorato del 2004). Fu in seguito a questa situazione critica che la
direzione venne assunta dalla componente (relativamente) di sinistra, prima con
Alekos
Alavanos e dal 2008 con Alexis Tsipras, e che il Synaspismós
operò una svolta movimentista, analoga a quella contemporanea di Rifondazione
comunista in Italia, proponendo un ampio cartello elettorale, Syriza appunto. È
da tener presente che fino al 2012 nelle elezioni il Kke ebbe sempre risultati
significativamente migliori di Syriza: è solo nella fase più acuta della crisi
che i rapporti si sono invertiti.
Scambiare
il settarismo ideologico e organizzativo del Kke con un orientamento
rivoluzionario è come prendere per vero un miraggio. Il settarismo di questo
partito, tutto volto a proteggere e possibilmente estendere il proprio orto, è
uno dei fattori che hanno impedito ai movimenti di lotta di questi anni di fare
un salto di qualità nell’autorganizzazione. Il crollismo economico e politico,
il dogmatismo ideologico, il settarismo politico e sindacale e il bollare come
piccolo-borghese la rivolta degli studenti contro la polizia, attaccando Syriza
perché indulgente con i «provocatori», sono tra le ragioni per cui è stata
Syriza a trarre maggior beneficio dalle lotte sociali, specialmente tra i
giovani. Molto meglio dell’arcaico Kke, la coalizione della sinistra radicale
può far da catalizzatore di un’opposizione sociale ampia e variegata,
politicizzata ma non legata a identità nostalgiche ed ideologiche.
A suo merito, il Synaspismós comprese l’importanza dei giovani e delle
campagne no-global e contro la guerra dell’inizio del nuovo secolo. A differenza del Kke,
Tsipras e Syriza non hanno bollato le proteste giovanili e gli scontri con la
polizia come azioni di «incappucciati»; né hanno qualificato come antipolitico
il movimento di occupazione delle piazze. Al contrario, pur pagando un iniziale
prezzo elettorale e con qualche oscillazione politica e tensioni interne,
Syriza è riuscita a identificarsi col movimento complessivo antigovernativo e
con quanto di nuovo in esso si esprimeva. Questo e l’inequivoca rottura con il
Pasok hanno permesso al cartello di giovarsi elettoralmente della crisi
politica, non dall’inizio ma a partire dal 2010, dopo l’ultimo e sfrontato
voltafaccia di Papandreou.
Elezioni o organizzazione dal basso?
Non è affatto detto, però, che il percorso a venire di
Syriza debba essere lineare.
Innanzitutto, e questo è il meno, il successo del 2012
potrebbe non replicarsi in un’altra tornata elettorale. La protesta elettorale
è stata forte, ma forte può essere anche la volatilità del voto.
Mi pare che la direzione di Syriza,
in sostanza il Synaspismós, abbia compreso
meglio degli apologeti esteri il significato dei limiti del consenso elettorale
segnalati prima. Il punto è: in quale direzione muovere?
In autunno probabilmente
Syriza non sarà più una coalizione ma si trasformerà in partito. L’intento è
coinvolgere i nuovi elettori, in gran parte ex Pasok, capitalizzando
nell’organizzazione parte del consenso elettorale. Stando alle dichiarazioni di
Panos Skourletis (Athens News, 8 luglio 2012) il cambiamento dovrebbe permettere a
una base ideologicamente diversa di potersi esprimere meglio. Vedremo se
e come si realizzerà questa operazione; tuttavia si può prevedere che
l’allargamento quantitativo vada a scapito della qualità politica.
A parte questo si pongono
altre questioni. Una è che l’eventuale unificazione in partito ridurrà la
dialettica tra le organizzazioni che costituiscono l’attuale cartello. Per
quanto aperto e democratico possa essere un partito, l’unificazione
organizzativa non può avere che un effetto disciplinante, limitando anche la
libertà d’azione, tanto più se la fusione è tra organizzazioni di peso molto
diverso, come sarebbe in questo caso.
Non si deve
dimenticare che la matrice originaria
del Synaspismós è il Partito comunista dell’interno, eurocomunista, non
dogmatico e stalinista come il Kke, ma pur sempre un partito riformista. Le
tendenze inclini a collaborare col Pasok (e anche a liquidare Syriza) sono
sempre state forti, anche in piena crisi politica ed economica: tanto che nel
2010 poco meno di un quarto dei delegati abbandonò il congresso del Synaspismós
per poi costituire Dimokratiki Aristera, presieduta da Fotis Kouvelis,
già segretario del Kke dell’interno e ministro della giustizia nel governo ND-Synaspismós del 1989.
Nelle
elezioni di giugno 2012 Dimokratiki Aristera ha ottenuto
il 6% dei voti ed è ora al governo con ND e il Pasok. E non tutta la destra è
uscita dal Synaspismós.
Occorre
tempo perché l’effetto «corruttore» (in senso politico, non personale) del
parlamentarismo e del finanziamento pubblico maturi i suoi frutti; è chiaro,
però, che il successo elettorale e i fondi conseguenti accelerano il
processo...
Intanto, l’opposizione di
Syriza in parlamento sembra si possa caratterizzare come «responsabile», in
linea con l’atteggiamento mantenuto durante la campagna elettorale.
Il punto critico non è la
disponibilità a votare per provvedimenti specifici del governo che possano
alleviare il peso delle manovre attuate. Sarebbe cinico e assurdo che una forza
presente in parlamento perseguisse la logica del tanto peggio tanto meglio e
non cercasse di ottenere qualche successo parziale, purché questo non sia parte
di un mercanteggiamento politico. Per le ragioni indicate in altri articoli su
questo blog non ritengo neanche sbagliato che Syriza non abbia sostenuto la
necessità a priori di uscire dall’eurosistema (10).
Il discorso a mio parere
va spostato a monte. Proprio le recenti elezioni greche dovrebbero spingere a
chiedersi molto seriamente, invece di darlo per scontato, se in regime
postdemocratico partecipare alle elezioni serva ancora a qualcosa. Non è una
domanda che nasca solo sul terreno teorico: quando milioni di cittadini
rispondono negativamente, astenendosi o annullando la scheda, e quando molti
altri nell’occupazione delle piazze esprimono un bisogno radicale di poter decidere,
questa domanda è urgente. Si potrà obiettare che quello degli astensionisti è
il settore meno cosciente e politicizzato dei lavoratori e della cittadinanza
greca, ma è sbagliato: i veri illusi o
demoralizzati o cinici sono quelli che hanno continuato a votare per ND e il
Pasok o per Dimokratiki Aristera. L’alienazione nei confronti del sistema
dei partiti è invece significativa di un livello più alto di coscienza, che
deve essere valorizzato con scelte coerenti, che non diano adito a dubbi sulla
volontà di contrapporsi frontalmente allo Stato esistente in quanto esso non è
riformabile.
Già in passato molte
illusioni e molte tragedie sono state consumate sul terreno elettorale o anche
della conquista parlamentare del governo lasciando però intatto l’insieme dello
Stato e in particolare l’apparato repressivo. Ma quando l’astensione raggiunge
e supera il 40% degli elettori, di cui una gran parte ha partecipato in qualche
modo alle proteste di strada e alle lotte sociali, obiettivamente cade
l’argomento più forte che un tempo giustificava la partecipazione alle
elezioni: la concentrazione dell’opposizione sociale sul terreno politico e la
verifica dei rapporti di forza tra le classi. Ora, in regime postdemocratico,
questo non è più vero: il caso della Grecia dimostra che in una situazione
critica la partecipazione alle elezioni divide l’opposizione e trasforma una
maggioranza reale in una minoranza legale. Un partito che si è conquistato
credibilità nel movimento di massa può avere l’autorevolezza per conferire
esplicito significato politico all’astensione di massa, tanto più se muove nel
senso dell’organizzazione di un’alternativa.
Non senza ragione,
Tsipras sostiene che è proprio la strada intrapresa con i Memorandum che può portare al default dello Stato greco: ma ha consigliato il proprio governo e
quelli esteri di seguire una via più ragionevole, meno pericolosa nei suoi
effetti di destabilizzazione politica e sociale. Di certo Syriza non rinuncia
alla mobilitazione: ma se la lotta sociale è intesa come uno strumento di
pressione piuttosto che il modo per rovesciare il governo e il potere
capitalistico allora non è necessario impegnarsi per costruire organismi dei
movimenti di massa che espandano la democrazia e diano vita a un coordinamento
o antiparlamento da contrapporre al teatro degli attori postdemocratici. Questa
è una strada più lunga e difficile di quella elettorale.
NOTE
7) Oltre al Synaspismós, di gran lunga il partito più importante,
fanno parte di Syriza una dozzina di organizzazioni, tra cui: la maoista Koe (5
eletti nel 2012), Akoa (Sinistra rinnovatrice comunista ecologista, scissione
del Kke dell’interno), i trotskisti di Dea e Kokkino (scissione della prima),
Dikki (scissione del Pasok del 1995), Ecosocialisti di Grecia (scissione di
fine 2007 di altra organizzazione ecologista), Keda (Movimento per l’unità
d’azione della sinistra, costituito da ex del Kke), Cittadini attivi, di cui Manolis Glezos è l’esponente
più noto. Xekinima
ha dato indicazione di voto per Syriza ma ne era uscita nel 2011. Anche Antarsya è
una coalizione di una decina di organizzazioni, tra cui maoisti e due
trotskiste. Nel quadro di una sinistra con la passione della scissione la
ricomposizione intorno a Syriza è un fenomeno in controtendenza, alla quale è
estraneo il Kke, il più stalinoide tra partiti comunisti vecchi e nuovi
europei.
8) Xristoforos Vernardakis,
«The June 17 elections and
new alignments in the party system», luglio 2012, versione
in inglese http://www.marxist.com/revealing-study-clases-and-parties-greek-electiosn.htm
9)
Ad esempio, a maggio 2012 la radicale Antarsya ha ottenuto
51 mila voti in più sulle elezioni del 2009, ma ne ha persi 55 mila il 17
giugno, totalizzando in definitiva lo 0,2% dell’elettorato; Oikologoi prasinoi
è stato votato da 185 mila elettori a maggio (12 mila più del 2009) ma da 54
mila a giugno, lo 0,5% dell’elettorato. Invece Dimokratiki Aristera, scissione
di destra del Synaspismós realizzata nel 2010, è rimasta stabile tra le due
elezioni del 2012.
10) «Tornare alla lira e cancellare il debito? Quando si vuole gestire il capitalismo meglio della propria borghesia e
si finisce invece nel più ingenuo nazionalsciovinismo», http://www.utopiarossa.blogspot.it/2011/09/tornare-la-lira-e-cancellare-il-debito.html
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