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venerdì 16 marzo 2012

GLI SCACCHI DI MARX… O LO SCACCO DEL MARXISMO?, di Riccardo Vinciguerra (Mongo)

Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.
(San Carlos)

San Carlos è ovviamente Karl Marx.
Nel 1998 un intellettuale inglese, Lord Skidelsky, disse che Marx si era sbagliato nell’aver predetto l’imminente rivoluzione e per tale motivo le opere di Marx non meritavano più alcuna attenzione. La storia però è andata un po’ diversamente, infatti la rivoluzione scoppiò l’indomani della pubblicazione del Manifesto del partito comunista: dapprima a Parigi, per poi diffondersi rapidamente in gran parte dell’Europa. Fu tuttavia domata rapidamente e la borghesia ebbe così modo di dare inizio al suo lungo regno. Possiamo dire allora che l’ottimismo di Marx fosse fuori luogo, ma non che la sua visione del mercato globale fosse errata, tanto si è dimostrata straordinariamente preveggente.
Possibile che Marx avesse preso una cantonata del genere e nello stesso tempo, per molti versi, avere così ragione? Ebbene Marx si comportava, talvolta, come un giocatore di scacchi che progetta con 6 o più mosse d’anticipo un attacco a tenaglia fatale al re nemico, senza rendersi conto che nel frattempo l’avversario può anticiparlo dandogli scacco matto. Strategia brillante e tattica fragile, così sono i giocatori di scacchi e per Marx era la medesima cosa; imbattibile a dama, mancava però dell’astuta pazienza richiesta dalle infinite complessità della scacchiera. Giocava in modo rumoroso, polemico, quasi collerico. Dopo il 1850, stabilitosi a Londra, era abitudine che terminasse molte serate in preda all’ira dopo che qualche altro esule tedesco aveva costretto in un angolo il suo re. Scrisse Wilhelm Liebknecht: «Un giorno Marx annunciò trionfante di avere scoperto una nuova mossa, con la quale ci avrebbe sbaragliati tutti quanti. Accettammo la sfida e, detto fatto, ci mise fuori combattimento uno dopo l’altro. Ma, a poco a poco, la disfatta divenne maestra della vittoria, e riuscii a dargli scacco matto. Era già molto tardi e allora Marx chiese la rivincita per l’indomani, a casa sua».
La mattina dopo Liebknecht si presentò, come convenuto, all’appuntamento e scoprì che Marx era rimasto alzato tutta la notte per rifinire e perfezionare la sua “nuova mossa”. I due iniziarono a giocare e, come già successo in precedenza, all’inizio questa sembrò funzionare a meraviglia e Marx volle celebrare la vittoria ordinando da bere e da mangiare. Nel pomeriggio i due continuarono a sfidarsi fin quando a notte fonda Liebknecht riuscì a dare scacco matto all’avversario in due partite consecutive. Marx voleva la rivincita ed era disposto a giocare sino all’alba del giorno dopo, ma l’inflessibile governate ordinò ai due di smettere di giocare. Il giorno dopo Liebknecht ricevette questo messaggio dalla signora Marx: «La prego di non giocare più a scacchi con mio marito di sera. Il Moro, se perde, diventa insopportabile».
Quando giocava a scacchi Marx cercava di sopperire alla propria mancanza di abilità con la foga, l’impeto dell’attacco e la sorpresa; questa tecnica marxiana può ben essere applicata anche al Manifesto del partito comunista, dove re, regine, alfieri e cavalli prima o poi sarebbero stati costretti a capitolare di fronte alla tenace determinazione degli sfidanti.
Andiamo avanti di qualche anno e più precisamente al 1867 quando Karl, nel corso di un viaggio in Germania, partecipò ad un ricevimento dato dal maestro di scacchi Gustav R.L. Neumann. Quella sera Marx attendeva l’arrivo delle bozze del Capitale e nell’attesa decise di partecipare ad un torneo di scacchi organizzato per l’occasione. Quella sera il nostro giocò solo una partita, contro un certo Meyer (Francis Wheen, Karl Marx, Fourth Estate, 1999). Marx aveva i bianchi e optò per un gambetto di re, che venne accettato dal suo avversario. Forse perché in ansia per il ritardo del corriere Karl giocò maluccio per le prime 22 mosse, poi dopo che Meyer giocò la propria mossa, i due vennero interrotti per consentire ad uno dei camerieri di poter consegnare il pacco tanto atteso dal signor Marx che, come se avesse fatto una bella doccia, all’improvviso si mise a giocare bene, recuperando lo svantaggio e andando poi a vincere.
Ecco la posizione all’arrivo delle attesissime bozze:
Il nero qui ha appena giocato 22) …, a5;
23) Ce6+!!, Axe6; 24) Txf8+, Dxf8; 25) Dxe6, Ta6; 26) Tf 1, Dg7; 27) Ag4, Ccb8;
Il colpo di grazia: il bianco muove e vince.
28) Tf7 !!, 1 – 0.
Rivediamoci, con i potenti mezzi moderni, l’intera partita:


La veridicità di questa partita è stata più volte messa in dubbio perché agli esperti appare giocata troppo bene per un semplice amatore quale era Karl Marx. Come per altri casi c’è sicuramente lo zampino dei servizi segreti russi del 1926, anno della sua prima pubblicazione.
Una ricerca più approfondita ha portato alla scoperta che i bianchi erano mossi da Edward Marks o Mark Marks, l’errore può essere dovuto al fatto che in cirillico Marx e Marks si scrivono allo stesso modo.

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