ACAB è un pugno nello
stomaco, dove l’uso della violenza sembra la normalità quotidiana, in un mondo
in cui oppressori e oppressi si scambiano rapidamente i ruoli e vengono
osservati da un punto di vista “umano”, che esclude pregiudizi e stereotipi, ma
lascia fuori casi isolati di altrettanta barbarie, per “rese dei conti”
assurde. Il film abbraccia quasi tutti i problemi dei nostri giorni -
dagli scioperi dei lavoratori, alla politica, passando per gli ultrà allo
stadio fino agli immigrati, agli sgomberi dei nomadi - riuscendo a farci
entrare nella parte non di semplici spettatori, ma di protagonisti, nella
contesa a volte esasperata e spettacolare dello scontro: "tifoseria” di
una o dell’altra parte, ci fa schierare (“dalla parte di chi ruba nei supermercati
o di chi li ha costruiti rubando”?- De Gregori), mostrandoci la violenza per
quello che è (sempre assurda) quando non ha sbocchi politici. Lo fa
senza eccessivo compiacimento ed enfatizzando il fascino oscuro della divisa e
delle simbologie che vi ruotano attorno.
In quel gesto
irrefrenabile di picchiare duro c’è tutta la frustrazione e la cattiveria di un
mestiere assurdo e incivile, ma c’è anche il disonore di una società
capitalistico-borghese che trova più semplice risolvere i problemi a
manganellate, piuttosto che affrontarli democraticamente. Inevitabile un comune
senso di nausea, odio, intolleranza, nei confronti del celerino, ma anche delle
istituzioni, politici, parlamento, Stato… che lo usano e lo sfruttano.
Il celerino, protetto
dall’uniforme, oltre che dallo Stato, è nel film una “macchina da guerra”,
usato contro chiunque reclami qualcosa, non stia alle regole conformistiche
della società, si trovi nel posto sbagliato (anche per caso), ma è abbandonato
al suo destino di reietto quando reclama diritti e precipita nella
parte dell'"oppresso”, con meraviglia, stupore e rabbia.
Nella sua
spettacolarizzazione degli scontri con le tifoserie, il film tralascia però i
casi isolati e poco si sofferma sul ruolo repressivo della forza armata dello
Stato contro le manifestazioni operaie e studentesche, contro le proteste dei
movimenti per la difesa dei diritti e del territorio. Lascia sgomenti e
increduli, la brutalità di fatti
vigliacchi e criminali che hanno portato alla morte giovani vite (Cucchi, Sarti, Frapporti ecc.) per un protagonismo
di mestiere e di ordine (fascista) che ha nella divisa, più che nella
"difesa" del cittadino, la sua maggior colpa. Di fronte alla
criminale arroganza di quella divisa - che dovrebbe essere (ma quando mai?!)
portata a rispetto dell’incolumità della persona che abbia o no commesso reato,
ma che invece il più delle volte intimidisce, interroga, umilia, toglie la
libertà, percuote e a volte ammazza - la ferita rimane aperta per sempre e
l’oltraggio non può essere dimenticato.
ACAB ha il merito di
ricordare episodi violenti e di poterli raccontare anche a distanza di tempo
per quel sangue dimenticato, perché ancora le ferite sanguinano (...)
Antonio Marchi
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Caro Antonio,
Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.comCaro Antonio,
la tua
quasi-recensione è bella e mi è piaciuta per la sua partecipazione accorata, il
tuo sdegno, il tuo sguardo lucido. Mi ha fatto, credo, un quadro genuino e
veritiero di ciò che esprime il film e, forse, del suo messaggio. Un film che,
penso, non ho andrò a vedere, perchè non ne posso più di violenza, sia di
quella cieca e irrazionale che nasce dalla disperazione di esistenze non
consapevoli ( dei celerini e delle loro vittime arrabbiate), sia di quella
cinica e razionale del sistema borghese che usa le forze dell'ordine come cieca
massa di manovra contro tutte le sue opposizioni. E non ne posso più in
generale della violenza sempre più cieca di un sistema mondiale basato sullo
sfruttamento selvaggio e sul profitto, che devasta il pianeta e che sta
distruggendo la terra in cui viviamo e la nostra stessa umanità. Non lo andrò a
vedere non perchè creda che film come questo mandino messaggi sbagliati, ma
perchè vedo così lucidamente la violenza montarci intorno che un film come
questo non può aggiungere altro a ciò di cui sono crudamente consapevole. Grazie
per le emozioni che hai voluto comunicarci.
Antonella