Anche in Egitto si è votato e l’evento era attesissimo, trattandosi (sotto
tutti i profili) del più importante paese arabo. Questa tornata elettorale è
stata solo la prima nel complicato sistema di voto voluto dai militari. Per ora
si è votato in solo 9 delle 27 regioni egiziane. Nel gennaio prossimo voteranno
le restanti regioni, per la Camera Bassa; poi ci saranno le elezioni per il Senato
e infine, a giugno (se tutto va bene) verrà eletto il Presidente della
Repubblica (si ricordi che l’Egitto è Repubblica presidenziale). Fino a
quest’ultimo evento i militari non sembrano affatto disposti a mettersi da
parte; e infatti il Consiglio Supremo delle Forze Armate ha fatto presente che
continuerà a detenere il potere di nomina del governo anche dopo le elezioni
politiche e fino all’avvento del nuovo Capo dello Stato eletto.
Alle elezioni si è presentato un ampio ventaglio di partiti e alleanze, di
cui le principali entità sono: l’Alleanza Democratica (ha il principale nucleo
nel Partito Libertà e Giustizia, braccio politico della Fratellanza Musulmana,
ci sono poi i partiti al-Ghad e al-Karama);l’Alleanza Islamica salafita, fra al-Nur, al-Asala, al-Fadila e il partito
Costruzione e Sviluppo; il Blocco Egiziano (al-Kutla
al-Masriya), laico, guidato dal copto Samuel Essam, riunisce gruppi
liberali e di sinistra (Tagamu,
Partito Socialdemocratico Egiziano, al-Masrin
al-Ahrar o Egiziani Liberi; il giovane blocco rivoluzionario al-Zaura al-Mustamira; che riunisce
gruppi marxisti; al-Kifaya, che fu
attivissimo nei moti di piazza; la Associazione Nazionale per il Cambiamento,
di orientamento laico e democratico fondata da Mohamed el Baradei; il Movimento
6 Aprile, espressione del mondo giovanile e universitario; la Coalizione della
Giovane Rivoluzione, attiva sul piano sociale.
Il risultato della tornata elettorale parziale testè svoltasi non dà adito
a giochi interpretativi: la vittoria è del Partito
Libertà e Giustizia. Quindi, la Fratellanza Musulmana (oggetto di forti
repressioni da parte di Nasser, Sadāt e Mubarāk), sostanzialmente assente nei
moti di piazza, dal comportamento ambiguo verso i militari, e oggi
probabilmente in combutta con essi, si è rivelata espressione dell’Egitto
maggioritario.
I sospetti sul “moderatismo” di questi vincitori sono plausibili ed è
meglio riservarsi il beneficio d’inventario. Il quadro però si oscura se si
pensa al successo del partito estremista dei Salafiti (al-Nur; la luce!) che ha riscosso un buon pacchetto di voti, tali
da fare ottenere – sulla carta, però, e se nella seconda tornata l’esito sarà
dello stesso tipo – la maggioranza governativa al fronte islamico che comprende
gli estremisti. Ricordiamo che i Salafiti vogliono l’applicazione integrale
della legge islamica (e con interpretazioni restrittive), per cui si oppongono
all’emancipazione della donna, alla musica, al ballo e chi più ne ha ne metta.
Essendo difficile che le altre regioni egiziane ribaltino il risultato,
dobbiamo prendere atto di una schiacciante sconfitta storica dei partiti laici.
Ancora una volta, dopo la Tunisia e il Marocco. C’è da scommettere senza
rischio che in Libia le cose non andranno diversamente (o forse andranno
peggio); ci sarà da piangere quando la stessa sorte toccherà all’Algeria e –
per quanto cinico sia, un osservatore non può tacerlo – in Siria dopo la
probabile caduta di al-Assad (qui ci saranno ripercussioni a catena dagli esiti
difficilmente positivi).
Che manovre si profilano?
Restando all’Egitto, in apparenza si profilerebbe il complicarsi della
situazione politica con la contrapposizione fra islamici e militari. Tuttavia
questa ipotesi potrebbe non essere realistica, in quanto – al di là della
sommatoria fatta a tavolino fra i voti del Partito Libertà e Giustizia e quelli
di al-Nur – un fronte islamico unito
al momento non esiste affatto. I rapporti fra i predetti due partiti sono
pessimi (al-Nur si contrappone alla
Fratellanza Musulmana e l’accusa di essersi accordata con i militari); è in
ballo il potere e in queste condizioni non pare proprio che la Fratellanza
Musulmana sia disposta a spartirlo con al-Nur,
e magari correre il rischio che un’alleanza con esso le faccia fare una fine
analoga – tanto per intenderci fra italiani – a quella del Psi unito al Pci nel
Fronte Popolare.
E poi – non da ultima – una considerazione: i dirigenti della Fratellanza
Musulmana sanno bene di avere a portata di mano un’occasione d’oro:
legittimarsi di fronte all’Egitto e al mondo come gli adeguati governanti del
paese. Imbarcare i Salafiti – e quindi subirne il condizionamento, trattandosi
di una fazione per niente malleabile – vorrebbe dire, oltre alla rottura della
tregua con i militari o addirittura dell’accordo con essi, portare il paese al
disastro economico, innanzi tutto. Vorranno correre questo rischio? Una
radicale svolta islamista avrebbe come immediata coseguenza, sul piano
economico, il sostanziale azzeramento del turismo, settore fondamentale per le
finanze egiziane e per l’enorme massa dei suoi operatori (e relative famiglie)
diretti e indiretti (venditori ambulanti inclusi). Finora i dirigenti della
Fratellanza hanno assicurato di non voler imporre la sharía e di rispettare il pluralismo politico. D’altro canto il
carattere non antislamico dell’ordinamento giuridico egiziano – con la sharía fondamento della legislazione - è
già sancito dall’attuale Costituzione.
L’alleanza con i Salafiti equivarrebbe a creare, a partire dalle urne
elettorali, un sistema fortemente autoritario, anche sul piano della vita
quotidiana: già ci sono elementi salafiti che (come in Tunisia) cominciano a
interrompere concerti e riunioni musicali (anche private) per tutelare il bene
spirituale dei musulmani. Una tale alleanza potrebbe riaprire la via agli
scontri di piazza, alle repressioni e altro.
Il coordinatore del Blocco Egiziano si è dichiarato, a caldo, sicuro che se
la Fratellanza Musulmana non rispetterà la linea proposta alle elezioni, andrà
al fallimento: auspicio o certezza?
Dal canto loro i vertici delle Forze Armate non si trovano in una
situazione agevole: da un lato la Fratellanza Musulmana con la sua imprevista
capacità di mobilitazione di una “maggioranza silenziosa”, dall’altro il dominus statunitense, che
inevitabilmente si farà sentire, anche se è difficile prevedere come.
Non si può non rilevare che nella “rivoluzione” egiziana si è verificato un
moto circolare da vera e propria rivoluzione astronomica in relazione
all’Egitto laico. Cioè a dire, politicamente, e con tutta l’anomalia del caso,
per gli Egiziani laici le Forze Armate restano l’ombrello di protezione
dall’estremismo islamico. Ombrello autoritario però, e con tanti saluti alle
speranze di rinnovamento “democratico”.
C’è da chiedersi: ma i milititari ci staranno ancora a svolgere un ruolo
del genere? Fermo restando che nessuno ha un magica palla di vetro, si può
pensare di sì, per il semplice motivo che altrimenti le loro sfere di potere
(economico e non solo politico) saranno implacabilmente erose e occupate dalla
famelica e assolutista volontà degli islamisti. Con le conseguenze facilmente
intuibili.
Che dire, alla fin fine, nel vedere l’Egitto – il primo paese arabo ad
aprirsi alla modernizzazione nel secolo XIX – volgersi agli islamisti? E non
solo: in certe circoscrizioni i Salafiti hanno “stracciato” perfino i candidati
della Fratellanza Musulmana. In primo luogo “ringraziamo” per questo risultato
le conseguenze di tutte le manovre sporche dell’imperialismo, britannico prima
e statunitense poi. In secondo luogo, restiamo in attesa di vedere se hanno
ragione i mass-media che continuano
ad accreditare valido il modello turco di Erdoğan anche per la Fratellanza
Musulmana. Il corollario è che nelle società islamiche i laici sono e restano
minoranza, che l’orientamento culturale delle masse è ancora radicato in una
dimensione che per i laici d’Occidente – quand’anche “credenti” – appartiene al
Medio Evo.
Certo è che se il modello turco non si affermerà, allora si dovrà
fronteggiare la situazione della crescita vittoriosa degli islamisti in tutto
il Nordafrica e delle sue ripercussioni sul Vicino Oriente. Prevedendo anche
scenari peggiori, se si dovesse scivolare verso il cosiddetto “scontro di
civiltà”, e mettendo in conto disastrosi colpi di testa degli Usa in appoggio a
Israele (Stato alieno al contesto di inserimento e oggi senza più alleati
nell’area).
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