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domenica 4 dicembre 2011

LE ELEZIONI EGIZIANE, di Pier Francesco Zarcone (Mondo arabo in rivolta XXV)

Fatti salvi eventuali futuri sconvogimenti di rilievo, questa è l’ultima corrispondenza sul mondo arabo in rivolta e sulla cosiddetta “primavera araba”. Essa è scritta con innegabile amarezza perché le aspettative erano altre; ma forse si è commesso il non infrequente errore di confondere le minoranze attive con le maggioranze votanti.
Anche in Egitto si è votato e l’evento era attesissimo, trattandosi (sotto tutti i profili) del più importante paese arabo. Questa tornata elettorale è stata solo la prima nel complicato sistema di voto voluto dai militari. Per ora si è votato in solo 9 delle 27 regioni egiziane. Nel gennaio prossimo voteranno le restanti regioni, per la Camera Bassa; poi ci saranno le elezioni per il Senato e infine, a giugno (se tutto va bene) verrà eletto il Presidente della Repubblica (si ricordi che l’Egitto è Repubblica presidenziale). Fino a quest’ultimo evento i militari non sembrano affatto disposti a mettersi da parte; e infatti il Consiglio Supremo delle Forze Armate ha fatto presente che continuerà a detenere il potere di nomina del governo anche dopo le elezioni politiche e fino all’avvento del nuovo Capo dello Stato eletto. 
Alle elezioni si è presentato un ampio ventaglio di partiti e alleanze, di cui le principali entità sono: l’Alleanza Democratica (ha il principale nucleo nel Partito Libertà e Giustizia, braccio politico della Fratellanza Musulmana, ci sono poi i partiti al-Ghad e al-Karama);l’Alleanza Islamica salafita, fra al-Nur, al-Asala, al-Fadila e il partito Costruzione e Sviluppo; il Blocco Egiziano (al-Kutla al-Masriya), laico, guidato dal copto Samuel Essam, riunisce gruppi liberali e di sinistra (Tagamu, Partito Socialdemocratico Egiziano, al-Masrin al-Ahrar o Egiziani Liberi; il giovane blocco rivoluzionario al-Zaura al-Mustamira; che riunisce gruppi marxisti; al-Kifaya, che fu attivissimo nei moti di piazza; la Associazione Nazionale per il Cambiamento, di orientamento laico e democratico fondata da Mohamed el Baradei; il Movimento 6 Aprile, espressione del mondo giovanile e universitario; la Coalizione della Giovane Rivoluzione, attiva sul piano sociale.
Il risultato della tornata elettorale parziale testè svoltasi non dà adito a giochi interpretativi: la vittoria è del Partito Libertà e Giustizia. Quindi, la Fratellanza Musulmana (oggetto di forti repressioni da parte di Nasser, Sadāt e Mubarāk), sostanzialmente assente nei moti di piazza, dal comportamento ambiguo verso i militari, e oggi probabilmente in combutta con essi, si è rivelata espressione dell’Egitto maggioritario.
I sospetti sul “moderatismo” di questi vincitori sono plausibili ed è meglio riservarsi il beneficio d’inventario. Il quadro però si oscura se si pensa al successo del partito estremista dei Salafiti (al-Nur; la luce!) che ha riscosso un buon pacchetto di voti, tali da fare ottenere – sulla carta, però, e se nella seconda tornata l’esito sarà dello stesso tipo – la maggioranza governativa al fronte islamico che comprende gli estremisti. Ricordiamo che i Salafiti vogliono l’applicazione integrale della legge islamica (e con interpretazioni restrittive), per cui si oppongono all’emancipazione della donna, alla musica, al ballo e chi più ne ha ne metta.
Essendo difficile che le altre regioni egiziane ribaltino il risultato, dobbiamo prendere atto di una schiacciante sconfitta storica dei partiti laici. Ancora una volta, dopo la Tunisia e il Marocco. C’è da scommettere senza rischio che in Libia le cose non andranno diversamente (o forse andranno peggio); ci sarà da piangere quando la stessa sorte toccherà all’Algeria e – per quanto cinico sia, un osservatore non può tacerlo – in Siria dopo la probabile caduta di al-Assad (qui ci saranno ripercussioni a catena dagli esiti difficilmente positivi).

Che manovre si profilano?
Restando all’Egitto, in apparenza si profilerebbe il complicarsi della situazione politica con la contrapposizione fra islamici e militari. Tuttavia questa ipotesi potrebbe non essere realistica, in quanto – al di là della sommatoria fatta a tavolino fra i voti del Partito Libertà e Giustizia e quelli di al-Nur – un fronte islamico unito al momento non esiste affatto. I rapporti fra i predetti due partiti sono pessimi (al-Nur si contrappone alla Fratellanza Musulmana e l’accusa di essersi accordata con i militari); è in ballo il potere e in queste condizioni non pare proprio che la Fratellanza Musulmana sia disposta a spartirlo con al-Nur, e magari correre il rischio che un’alleanza con esso le faccia fare una fine analoga – tanto per intenderci fra italiani – a quella del Psi unito al Pci nel Fronte Popolare.
E poi – non da ultima – una considerazione: i dirigenti della Fratellanza Musulmana sanno bene di avere a portata di mano un’occasione d’oro: legittimarsi di fronte all’Egitto e al mondo come gli adeguati governanti del paese. Imbarcare i Salafiti – e quindi subirne il condizionamento, trattandosi di una fazione per niente malleabile – vorrebbe dire, oltre alla rottura della tregua con i militari o addirittura dell’accordo con essi, portare il paese al disastro economico, innanzi tutto. Vorranno correre questo rischio? Una radicale svolta islamista avrebbe come immediata coseguenza, sul piano economico, il sostanziale azzeramento del turismo, settore fondamentale per le finanze egiziane e per l’enorme massa dei suoi operatori (e relative famiglie) diretti e indiretti (venditori ambulanti inclusi). Finora i dirigenti della Fratellanza hanno assicurato di non voler imporre la sharía e di rispettare il pluralismo politico. D’altro canto il carattere non antislamico dell’ordinamento giuridico egiziano – con la sharía fondamento della legislazione - è già sancito dall’attuale Costituzione.
L’alleanza con i Salafiti equivarrebbe a creare, a partire dalle urne elettorali, un sistema fortemente autoritario, anche sul piano della vita quotidiana: già ci sono elementi salafiti che (come in Tunisia) cominciano a interrompere concerti e riunioni musicali (anche private) per tutelare il bene spirituale dei musulmani. Una tale alleanza potrebbe riaprire la via agli scontri di piazza, alle repressioni e altro.
Il coordinatore del Blocco Egiziano si è dichiarato, a caldo, sicuro che se la Fratellanza Musulmana non rispetterà la linea proposta alle elezioni, andrà al fallimento: auspicio o certezza?
Dal canto loro i vertici delle Forze Armate non si trovano in una situazione agevole: da un lato la Fratellanza Musulmana con la sua imprevista capacità di mobilitazione di una “maggioranza silenziosa”, dall’altro il dominus statunitense, che inevitabilmente si farà sentire, anche se è difficile prevedere come.
Non si può non rilevare che nella “rivoluzione” egiziana si è verificato un moto circolare da vera e propria rivoluzione astronomica in relazione all’Egitto laico. Cioè a dire, politicamente, e con tutta l’anomalia del caso, per gli Egiziani laici le Forze Armate restano l’ombrello di protezione dall’estremismo islamico. Ombrello autoritario però, e con tanti saluti alle speranze di rinnovamento “democratico”.
C’è da chiedersi: ma i milititari ci staranno ancora a svolgere un ruolo del genere? Fermo restando che nessuno ha un magica palla di vetro, si può pensare di sì, per il semplice motivo che altrimenti le loro sfere di potere (economico e non solo politico) saranno implacabilmente erose e occupate dalla famelica e assolutista volontà degli islamisti. Con le conseguenze facilmente intuibili.

Che dire, alla fin fine, nel vedere l’Egitto – il primo paese arabo ad aprirsi alla modernizzazione nel secolo XIX – volgersi agli islamisti? E non solo: in certe circoscrizioni i Salafiti hanno “stracciato” perfino i candidati della Fratellanza Musulmana. In primo luogo “ringraziamo” per questo risultato le conseguenze di tutte le manovre sporche dell’imperialismo, britannico prima e statunitense poi. In secondo luogo, restiamo in attesa di vedere se hanno ragione i mass-media che continuano ad accreditare valido il modello turco di Erdoğan anche per la Fratellanza Musulmana. Il corollario è che nelle società islamiche i laici sono e restano minoranza, che l’orientamento culturale delle masse è ancora radicato in una dimensione che per i laici d’Occidente – quand’anche “credenti” – appartiene al Medio Evo.
Certo è che se il modello turco non si affermerà, allora si dovrà fronteggiare la situazione della crescita vittoriosa degli islamisti in tutto il Nordafrica e delle sue ripercussioni sul Vicino Oriente. Prevedendo anche scenari peggiori, se si dovesse scivolare verso il cosiddetto “scontro di civiltà”, e mettendo in conto disastrosi colpi di testa degli Usa in appoggio a Israele (Stato alieno al contesto di inserimento e oggi senza più alleati nell’area).

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