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giovedì 27 ottobre 2011

UNA RIFLESSIONE SULLA CRISI COSTITUZIONALE DEL SISTEMA POLITICO BORGHESE, di Pier Francesco Zarcone

Il pensiero dominante, politicamente corretto, contrappone all’assolutismo regio del passato la democrazia basata su Costituzione e Parlamento, cioè un assetto istituzionalmente ancora in vigore. Purtroppo si tratta di pura dottrina scolastica e di propaganda, con scarso riscontro nella realtà dove si è progressivamente affermato e consolidato un nuovo assolutismo: questa volta non gestito da un monarca, bensì dal binomio Governo/Parlamento. Vediamo il perché di questa valutazione.
Originariamente il Parlamento (come ben sottolineò tempo fa lo storico marxista Eric Hobsbawm) aveva essenzialmente una funzione di controllo dell’attività normativa e amministrativa del Governo per conto e in difesa degli elettori. Da qui il detto – a cui la situazione attuale ha tolto gran parte del significato originario – no taxation without representation. Cioè a dire, il Governo non può imporre sacrifici economici senza il placet del Parlamento, che gli si contrappone essendo l’assemblea dei rappresentanti di sudditi desiderosi di passare al diverso status di cittadini.
Si trattava di una sostanziale diarchia, tra Governo legato alla figura del Re e sua espressione, e il Parlamento, organo di tutela del popolo. Per un certo periodo l’emergere di un contrasto fra Governo e Parlamento fu cosa seria e grave, e al riguardo si tenga conto del legame che univa i parlamentari con i propri elettori – molto pochi rispetto a oggi (borghesia, proprietari terrieri, ceti medi) – e li rendeva più attenti a tutelare (oltre ai propri) anche gli interessi di chi li aveva eletti. Certo, non sono mancate le oggettive valutazioni critiche di contemporanei, tra cui non si possono dimenticare le pagine di Bakunin sul profumo del potere che ottunde la sensibilità dei parlamentari quali rappresentanti del popolo. Ma per un certo tempo il sistema ha funzionato entro i suoi limiti.
In merito a queste trasformazioni non va sottaciuto che per il superamento dell’assolutismo regio, e per l’avvento di un parlamentarismo via via svincolato dal potere monarchico, il ruolo decisivo è stato svolto dalla mera maturazione dei cittadini che contavano e/o dal manifestarsi del loro scontento, dalle manifestazioni di malumore dei ceti più popolari divenute a volte vere e proprie spallate rivoluzionarie dal basso che hanno imposto il cambio istituzionale.

Declino delle funzioni del Parlamento

Un nuovo processo si è sviluppato a mano a mano che, in contrapposizione all’affievolirsi del potere regio, l’accrescersi del potere parlamentare si coniugava con il formarsi dei partiti di massa e il suffragio universale. Soprattutto l’avvento di tali partiti è stato importantissimo. È chiaro che i “partiti” intesi come fazioni più o meno organizzate esistevano anche prima: ma il partito dell’epoca contemporanea ha rappresentato un salto qualitativo determinante. Infatti, questo nuovo organismo ha finito col fagocitare i singoli parlamentari eletti nelle sue liste e con l’interporsi rispetto agli elettori. L’imposizione della “disciplina di partito” ha chiuso il cerchio.
Venute meno le monarchie (o ridottesi a ben poco i loro poteri) si è prodotta una nuova diarchia, stavolta non più (o non tanto) fra istituzioni statali: ora essa esiste fra potere governativo (del Governo organo collegiale, o del Presidente della Repubblica se vige il presidenzialismo) che controlla il Parlamento e popolo. Detto più semplicemente, se un Governo (o un Presidente) ha la maggioranza assoluta allora per x anni può fare quello che vuole, a prescindere dalle proteste dei cittadini, a meno che esse si trasformino in sommosse coinvolgenti anche settori dell’apparato poliziesco/militare, oppure riescano a paralizzare un intero paese (cosa non facile per la riduzione dei lavoratori del settore pubblico, anche a seguito delle massicce privatizzazioni: i lavoratori del settore privato sono infatti ben più ricattabili). Altrimenti si possono fare tutte le manifestazioni e gli scioperi possibili senza che necessariamente incidano sulle decisioni del Governo.
E nemmeno è detto che l’approssimarsi delle elezioni operi da spauracchio: oggi sono diffuse le leggi elettorali che hanno abbandonato il sistema proporzionale puro, al fine di blindare le maggioranze parlamentari. Inoltre, i governi possono contare su un particolare meccanismo psicologico di massa (meritevole di essere studiato da chi ne è capace) giustificato da varie motivazioni: l’esigenza di stabilità, del male minore e/o della cosiddetta mancanza di alternativa (che spesso e volentieri mascherano i timori di votare per partiti demonizzati dal “pensiero dominante”) i suffragi continuano ad andare a realtà politiche i cui danni sono tangibili. Non sembra che si sia molto riflettuto sul caso del Belgio: rimasto senza Governo per ben più di un anno, non è sprofondato nel caos e anzi la sua economia reale è stata caratterizzata da sviluppi di rilievo.
Allo stato delle cose, quindi, le società civili europee (e non solo) si trovano sotto attacco predatorio di Governi e Parlamenti che agiscono apertamente nell’interesse di poteri finanziari extranazionali e per questo sono pronti a distruggere l’economia reale – e non solo lo stato-sociale – in favore di interessi finanziari globalizzati.

I Governi come agenti esecutivi delle grandi istituzioni finanziarie

Ormai i Governi non sono nemmeno più il “comitato d’affari della borghesia” (come si diceva una volta, allorché ancora esisteva una sinistra politica): sono diventati gli agenti esecutivi di grandi istituzioni finanziarie (come quelle che dominano il Fondo monetario internazionale) che mantenendo gli Stati indebitati sotto il torchio di interessi ultrabanditeschi e imponendo “misure di salvataggio” il cui fallimento concreto è ormai di portata universale, hanno la possibilità di estorcere loro le ricchezze attuali e di impadronirsi con le privatizzazioni di imprese pubbliche a pressi di ultrasaldo. Con ciò altresì espropriano i paesi in questione dei possibili progressi futuri.
Nel tragico gioco di questi interessi tutto ciò che attiene alle vite umane perde di significato; e continuare a celebrare la giornata per lo sradicamento della povertà ha solo il sapore di una ipocrita e tragica beffa.
È assai probabile che a furia di “cure” economico/sociali idonee ad ammazzare il paziente senza guarirlo finiscano col morire anche la mal concepita moneta unica e per conseguenza l’ormai agonizzante progetto di Unione Europea. In un’ottica di classe i problemi a ciò inerenti sono questioni delle borghesie coinvolte, trattandosi di una crisi che mette in discussione ciò che tali borghesie hanno voluto e/o appoggiato. Tuttavia, sempre in tale ottica, la gamma delle conseguenze riguarda le vere vittime. Tra le quali oggi ci sono anche le classi medie. E qui si apre lo spazio per un problema politico tremendo in sé, e ancora di più nella situazione attuale. Cerchiamo quanto meno di introdurlo e per comodità espositiva non consideriamo qui i precedenti storici di situazioni analoghe conclusesi con recessione/inflazione di portata devastante, con guerre o con derive autoritarie, vuoi a scopo reattivo vuoi a scopo preventivo.
Diciamo che – se le cose restassero sui binari attuali - probabilmente prima o poi le borghesie continentali dovranno favorire l’apertura di una nuova fase costituente, cioè riorganizzativa sul piano istituzionale pubblico, nel duplice livello nazionale ed europeo. E qui va parafrasato il detto di Clemenceau per cui la guerra è cosa troppo seria perché sia monopolio dei generali: la parafrasi è che sarebbe esiziale se il possibile processo costituente restasse gestito autarchicamente dalle borghesie nazionali (tanto più che esse non sono in grado di sfuggire a pressioni e ricatti del potere finanziario globalizzato). Il fatto è che sono in gioco questioni di importanza capitale, come una blindatura delle economie nazionali ed europee rispetto ai mercati finanziari, la difesa dei cittadini dall’assolutismo dei Governi, e l’avvento di istituzioni strumentali per una democrazia più partecipativa, così come chiedono i popoli d’Europa.
Il drammatico è che questo immane problema si profila su un vuoto politico di base che i movimenti attuali non paiono in grado di colmare. Ma quanto meno l’allarme va lanciato, per una più ampia consapevolezza dell’esserci dietro l’angolo la barbarie assoluta, e che se non ci si organizza per lottare essa preverrà per lungo tempo fra lacrime, sangue e vite rubate.


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