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giovedì 30 giugno 2011

MONDO ARABO IN RIVOLTA XX, di Pier Francesco Zarcone


Siria: sbocchi non se ne vedono
Di recente il giornale libanese L’Orient le Jour ha scritto che la macchina siriana per uccidere ha perso i freni. Sacrosantamente vero. Il regime continua a uccidere ma non si capisce che strategia abbia; sempre ammesso che ne abbia una, perché l’unica cosa chiara è che i massacri non fermano la rivolta di una parte almeno della popolazione. Nel 1982 il padre di Bashar al-Assad, con il massacro degli integralisti nella città di Hama, giocò sulla rapidità del fatto compiuto; o per lo meno fu in grado di farlo. Il figlio, invece, non ne ha avuto o la possibilità o la capacità. Sta di fatto che ha dato luogo a una repressione a 360° senza recuperare il controllo della situazione.
Ma se la strategia di al-Assad non si vede, la tattica è invece chiarissima: una repressione selettiva che ha colpito in primo luogo gli originari di Dera e Homs (due città particolarmente ribelli), i membri delle comunità più a rischio e gli studenti più contestatori. Ma l’effetto è stato minimo e ormai sono passati più di 100 giorni dall’inizio della rivolta.

E l’economia siriana piange
Si può dubitare, a questo punto, che il tempo lavori in favore di al-Assad, e non solo per taluni segnali di sfilacciamento in alcuni reparti dell’esercito, ma soprattutto a causa di quella realtà molto concreta che si chiama “economia”.
Da questo versante viene la più pericolosa minaccia per il regime. L’economia siriana ristagna, gli affari di industriali e commercianti calano sensibilmente, i licenziamenti aumentano, e il Fmi ha rivisto al ribasso le stime sui possibili sviluppi economici della Siria, valutando per quest’anno una crescita del 3,% a fronte del 5,5% dello scorso anno. Ma non finisce qui. La preziosa fonte economica data dal turismo è in grande e ovvia crisi. Si tratta di un settore che copre il 12 % del Pil, porta introiti per 6 milliardi e mezzo di dollari e dà lavoro a circa l’11 % della forza lavoro siriana. Non c’è bisogno di spendere parole sul danno economico e sulla crisi sociale che ne derivano.
A tutto questo deve aggiungersi il forte calo degli investimenti esteri, e in particolare di quelli derivanti dai ricchi paesi del Golfo persico. Dulcis in fundo il costante calo degli introiti petroliferi.
In questo scenario risalta un dato: finora la borghesia e i commercianti di Damasco e Aleppo - le più importanti “piazze” economiche siriane - sono rimasti o leali al regime o almeno neutrali, a differenza di quanto accaduto in altre regioni. Chiedersi fino a quando ciò continuerà è del tutto naturale, ed è un elemento di estrema criticità per il regime.
Le recenti promesse di al-Assad riguardanti benefici economici - ma in particolare per funzionari e studenti – rischiano di essere misure a doppio taglio, perché suscettibili di aumentare la rabbia degli esclusi oltre che di aumentare le ingiustizie sociali e lo svantaggio delle regioni meno sviluppate.

Hezbollāh: alleato sì, ma previdente
L’asse politico che lega la Siria all’Iran e all’Hezbollāh libanese è un fatto notorio, e finora non esiste alcun segnale idoneo a far pensare a una crisi di tale alleanza. Per Hezbollāh la Siria è un fondamentale punto di passaggio delle armi di provenienza iraniana, oltre che zona di parcheggio per il materiale bellico che esso ritiene opportuno non trasferire subito in Libano. La situazione di stallo in cui si è cacciato al-Assad preoccupa Hezbollāh - per le prospettive derivabili dal suo perdurare – ed è significativo che la stampa libanese abbia dato notizia di un intenso movimento di camion tra la Siria e la valle della Bekaa attestante che tale organizzazione sta portando in Libano i depositi di armi esistenti in Siria. La cosa è confermata dall’Onu. Questo vorrebbe dire che i depositi libanesi di Hezbollāh  si arricchiranno di missili terra-terra Zelzal e di razzi Fajr 3 et Fajr 5.
Una tale iniziativa, tenuto conto della maggiore accessibilità dei depositi in Libano per eventuali attacchi israeliani, è un ulteriore brutto segnale per al-Assad.

Assad tende un dito all’opposizione: è tardi? Basterà?
Il 28 giugno il governo siriano ha annunciato di voler iniziare il 10 luglio un dialogo nazionale con le varie fazioni dell’opposizione per introdurre riforme politiche riguardanti il ruolo di partito-guida costituzionalemente sancito per il Bāth, il sistema elettorale, l’amministrazione locale e la comunicazione sociale. L’annuncio viene il giorno dopo che circa 200 oppositori - però non coinvolti nei disordini che sconvolgono il Paese – hanno tenuto una riunione autorizzata dal regime. Parallelamente a Mosca si è svolto un incontro fra oppositori in esilio e un collaboratore del presidente Dmitrij Medvedev per sollecitare un intervento russo su al-Assad per sollecitarne l’abbandono del potere.
L’iniziativa è interessante, ma non perché costituisca un’apertura proiettata all’avvento della democrazia rappresentativa. Fermo restando che fino al 10 luglio il campo è libero solo per le illazioni, è alla luce di questa categoria che vanno lette le seguenti osservazioni.
Pur dando per scontato che gli oppositori moderati riunitisi a Damasco non siano rappresentativi delle masse in rivolta, e che al-Assad non abbia alcuna intenzione di dimettersi, non si può escludere che egli riesca a presentare un pacchetto di modifiche legislative capaci di rafforzarlo. E questo in un duplice senso: a) contentare sia i settori meno convinti dello schieramento che ancora lo sostiene sia settori moderati/pragmatici di quell’opposizione che è scesa in piazza, dividendola; b) se si tratterà di modifiche legislative apparentemente di rilievo, ma poi tradotte in pratica scarsamente incisive, conseguire allora il gattopardesco risultato di cambiare le norme (anche costituzionali) senza modificare la situazione politica.
A spiegare il secondo punto basti un esempio: togliere al Bāth l’attuale ruolo di partito-guida ed effettuare elezioni formalmente libere sembra una svolta decisiva, ma poi chi sarà a gestire la macchina elettorale e quindi i risultati? Se ci penseranno sempre gli uomini del regime non cambierà nulla; e se inoltre costoro opereranno in modo non troppo grossolano e arrogante, al-Assad potrebbe trovarsi addirittura rafforzato nei confronti dell’estero e in grado di accusare gli avversari di essere antidemocratici e nemici della volontà popolare.
La tragicommedia siriana continua. Arrivederci dopo il 10 luglio.