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sabato 19 febbraio 2011

DAL PRC A UTOPIA ROSSA: BIGLIETTO DI SOLA ANDATA, di Alessandro Gigli

Il seguente intervento di Alessandro Gigli è stato pubblicato nel libro Le false sinistre, Massari editore (2008), nella collana Utopia Rossa, dove compariva nella sezione "Con utopia rossa, variamente". Ci è sembrato utile pubblicarlo oggi qui.


Posso definirmi il compagno meno politicizzato di Utopia Rossa, ma non per questo meno determinato.
Ho iniziato molto tardi a interessarmi di politica, proprio nel momento in cui un imprenditore piduista aveva in pochissimi mesi costruito un partito e vinto le elezioni.
Fino a quel momento ero stato un ribelle, una scheggia impazzita della società dello spettacolo, che rifiutavo in ogni sua componente, in ogni suo dettaglio - dalla famiglia patriarcale autoritaria, al lavoro che non nobilitava nessuno, alla divisione in classi sociali distinte spesso inamovibili, alle gerarchie ecclesiastiche che dettavano legge, al consumismo compulsivo da cui eravamo attratti, alle guerre fatte per motivi economici e geopolitici, all’istruzione nozionistica e priva di pensiero critico, ai rapporti umani basati sul profitto, al denaro come mediatore universale, ecc.ecc.
Ma da qui ad essere un soggetto politico ce ne passava, anche se ero predisposto a intraprendere un certo percorso, certe letture e certe frequentazioni che, un bel giorno, mi avrebbero fatto decidere d’intraprendere un nuovo viaggio per me fino ad allora sconosciuto e di cui non mi fidavo neanche tanto:  la militanza in un partito politico.
L’unico partito che all’epoca poteva fare per me e per la mia voglia di rovesciare l’esistente era Rifondazione comunista. Non conoscevo altre realtà essendo, stato al di fuori di certe logiche per 40 anni - età in cui iniziò questo breve, ma intensissimo viaggio - diretto alla costruzione di una nuova coscienza sociale e di classe, di letture interessantissime, ma anche di tormenti interiori, rapporti umani falsi e ipocriti, cambiamenti di rotta politica del partito ogni semestre e distruzione di tutti  gli ideali che la falce e il martello storicamente hanno sempre rappresentato.
Dopo circa un paio di anni di militanza politica, discussioni riunioni e direttivi, iniziai a capire che molti di coloro che stavano nel partito lo faceva con l’unica motivazione di ritagliarsi un posticino di potere e fare carriera passando sopra i «cadaveri» dei compagni più meritevoli e più capaci.
Cominciai a farmi mille domande e a chiedermi che cosa volesse realmente il Prc, che tipo di società, quale comunismo, quale sorte per i lavoratori, gli immigrati, i pensionati, le donne e tutta la gente comune che riponeva ancora in questo partito la speranza per un mondo migliore.
Per non parlare poi della conversione alla teoria della non-violenza che per mesi ha intasato Liberazione e il manifesto, con articoli in cui tutti, chi più chi meno, difendevano a spada tratta questo cambiamento improvviso che aveva però come unica motivazione quella di liberarsi dalla storia del ‘900, dalle sue grandi rivoluzioni e dallo spirito rivoluzionario delle masse oppresse in ogni parte del mondo. Era un segnale forte che Bertinotti e il suo partito stavano dando all’establishment politico italiano (e d’oltreoceano) per spiegare la ormai sopraggiunta mutazione genetica in senso filocapitalistico di tutto un partito pronto ad entrare nella stanza dei bottoni per diventare casta come tutti gli altri.
Durante questo personale periodo di travaglio interiore, nasceva Utopia Rossa, un’associazione politica marxista rivoluzionaria e libertaria che faceva riferimento all’editore Roberto Massari. Mi accorsi della sua nascita leggendo il Manifesto e non potei credere ai miei occhi! Mentre scorrevo il contenuto della manchette (pubblicata a pagamento sul giornale) ebbi la stessa sensazione  di quando lessi il mio primo libro sul pensiero politico di Ernesto Guevara… Di lì in poi tutto cominciò finalmente ad essere più chiaro: avevo trovato chi ragionava sulla mia stessa lunghezza d’onda, riuscendo a dire molto meglio di me ciò che avevo dentro.
Utopia Rossa cambiò la mia vita politica perché fino ad allora mi era sembrato di urlare nel deserto. Ora, invece, c’era chi decriptava l’esistente chiamando col suo nome - «imperialistica» - la natura del governo Prodi: un governo antioperaio e antipopolare, con Rifondazione comunista e gli altri partiti comunemente chiamati «radicali» impegnati a tenerlo in piedi.
Non ero più solo e le cose che andavo dicendo ai compagni con cui mi capitava di parlare avevano la «copertura» di veri intellettuali marxisti, di gente che aveva fatto la storia dei movimenti di lotta dalla fine degli anni '60 ad oggi, che scrivevano alcuni dei migliori libri in circolazione e che mi avrebbero aiutato a formarmi e a capire il presente ed il futuro.
Nonostante non avessi più lo slancio iniziale, per un po’ di tempo rimasi ancora in Rifondazione, all’interno dell’area di Erre, ora Sinistra Critica, ma iniziai a interessarmi sempre di più a Utopia Rossa e alle sue iniziative, leggendo i dialoghi su internet tra i vari «iscritti», tenendo rapporti diretti con Roberto Massari, fino al giorno in cui decisi che tutto ciò che girava dentro e nel perimetro del Prc era così negativo che non l’avrei mai più sostenuto.
Per amore di verità, però, devo dire che sono stato l’unico di Utopia Rossa a non volersi astenere dal voto alle primarie e a alle politiche. Volevo aspettare qualche mese per verificare che tipo di governo stesse nascendo, con quali prospettive e quali punti qualificanti, prima di decidere di non votarli più.
Aveva ragione però Utopia Rossa e torto io; ma avevo messo così tanta energia in quel partito per la sua valorizzazione che ho voluto aspettato fino all’ultimo prima di capire come sarebbe andata a finire: rigassificatori, Tav, Dal Molin, nessun rispetto per l’ambiente, 4 morti al giorno sul lavoro, nessun cambiamento della Legge 30, della Legge Moratti, dei Cpt; scippo del Tfr, nessuna inchiesta su Genova anzi premiati gli autori della mattanza, persone che non arrivano a fine mese e poi aumento esponenziale delle spese militari e del commercio di armi fino alle guerre chiamate spudoratamente «missioni di pace».
Tutto come prima, anzi peggio, visto che a fare i danni sono proprio quelli che in campagna elettorale dicevano di volerli rimediare. Da quel momento in poi, la storia di questo governo la conoscete tutti e tutti avrete potuto notare la continuità mortifera tra centrodestra e centro sinistra, in un mondo in cui l’economia (capitalismo assoluto neoliberista e guerrafondaio) comanda sulla politica che quindi finisce col non esistere più se non come amministratrice dell’esistente.
La corsa sfrenata all’accalappiamento del «votante medio» ha trasformato quella che un tempo chiamavamo politica, in una frenesia maniacale alla ricerca del consenso superficiale ed epidermico della popolazione, con proclami pubblicitari indegni persino di Carosello che arrivano a colpire direttamente lo stomaco delle masse bulimico televisive bypassando il cervello e il cuore.
La società dello spettacolo e della compulsione, dove il cittadino non è più tale, ma è un consumatore, sussume a sé anche i resti della politica svuotandola di quelle idee e utopie che sempre hanno tracciato la via per la costruzione di un futuro migliore.
La lotta contro questo governo è una lotta per un recupero dell’Utopia, affinché la storia delle grandi sconfitte del movimento operaio di questi ultimi 40 anni non ci pesi da sopra ma ci spinga da dietro per ritrovare nuove forze per la costruzione di una nuova identità di classe che combatta anche contro chi, riparandosi dietro una falce e un martello, attua politiche che disgregano la coscienza di classe in questo paese.
Gli esponenti al governo dei tre partiti radicali li abbiamo chiamati «Forchettoni rossi» e nessun termine è più appropriato di questo per significare che hanno barattato la loro storia per una poltrona in Parlamento e per tutti quei privilegi che ne derivano.
Niente è stato fatto di quello che si urlava nei comizi, niente è stato cambiato delle leggi vergogna del centrodestra, nessuna forma di cambiamento si è potuta notare in questo esecutivo che mantiene in piedi l’Italia voluta dalla Confindustria, dal Vaticano, da mafie e logge segrete d’ogni genere. Lottare oggi per la caduta di questo governo oltre a richiedere coraggio, perché gli elettori di sinistra ci disapproveranno, significa avere ancora dentro di noi quei valori storici cari alla sinistra storicamente intesa (giustizia sociale, solidarietà, emancipazione dei ceti subordinati) che non vanno cancellati come invece sta facendo l’attuale governo di centrosinistra, col sostegno della «sinistra radicale».
Utopia Rossa, concludendo, potrebbe cambiare la prospettiva politica a molti, se solo la potessero conoscere. Questo piccolo libro serve anche a questo: a far circolare le nostre idee, la nostra tensione ideale, etica, fatta di rapporti umani oltre che politici. La lettura, non tanto del mio scritto, ma di questo libro vi aprirà gli occhi sulla vera natura di questo governo, dei partiti della sinistra c.d. radicale e dei presunti «leader di movimento»: potrete continuare a sbagliare, ma sapendo di farlo.
Hasta la victoria siempre
                                                               Alessandro
(Jesi, 30 dic. 2007)

P.S. Sono usciti tre libri della collana Utopia Rossa: Imperialismo, La sinistra rivelata e i Forchettoni rossi. In un paese civile, realmente democratico ed effettivamente pluralista, si sarebbe dovuto fare i conti con loro almeno sui giornali di sinistra e quelli che si autodefiniscono «comunisti»: e invece niente, il nulla totale, come se non esistessero. Per capire le dinamiche politiche nel nostro paese e nel mondo in cui viviamo consiglio la lettura di tutti e tre i volumi (quattro con questo) a quei compagni che abbiano un indomito desiderio di rivolta, di conoscenza per la formazione di una vera coscienza di classe.