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martedì 28 marzo 2023

IL REGIME DI PUTIN: DITTATURA O TOTALITARISMO?

di Roberto Massari

 

(Anticipiamo questa voce tratta dall’abbecedario in corso di stampa - Ucraina dalla A alla Z– la cui edizione italiana è stata curata da R. Massari e M. Nobile, con contributi di Giorgio Amico,  Andrea Furlan, Antonella Marazzi, Laris Massari, Pagayo Matacuras.)


All’inizio dell’aggressione all’Ucraina discussi con compagni russi se il regime di Putin fosse da definire semidittatura (come all’epoca ritenevo) o dittatura integrale (come ritenevano alcuni di loro).Da allora però si sono susseguiti processi di trasformazione autoritaria sempre più rapidi e onnipervasivi, tali da far sembrare un po’ poco  anche definire solo «dittatura» il regime di Putin.

Lo si potrebbe caratterizzare, infatti, come un regime intrinsecamente reazionario, cioè reazionario nella sua essenza, oltre che nelle manifestazioni esterne (istituzionali e operative), che sono comunque antidemocratiche e dittatoriali anche secondo parametri classici. Il connotato di «reazionario» per la Russia che Putin governa ininterrottamente da quasi un quarto di secolo (dal 1999) si può invece intendere in un senso medievale del termine. Occorre cioè far riferimento al «lungo medioevo» dell’autocrazia zarista - etnicamente russa ben prima dell’avvento di Ivan IV il Terribile nel 1547 - che era sembrato concludersi nel 1917, ma poi riaffiorò in tratti caratteristici del «neozarismo» staliniano.

Fatte le debite distinzioni, alcuni fondamenti ideologici del putinismo sono sostanzialmente analoghi con quelli dell’Impero zarista: 1) potere personale assoluto del sovrano; 2) suo attorniamento con una corte di boiardi (gli oligarchi e i siloviki) la cui «fedeltà al sovrano» è mantenuta con ricatti e concessioni extraistituzionali; 3) mito etnico dell’euroasiatismo impregnato di misticismo geopolitico (col conseguente antioccidentalismo, xenofobo e antimoderno); 4) integralismo religioso (fondato su una Chiesa ortodossa rimasta in sostanziale continuità anche liturgica con le origini nel Patriarcato della Rus’ di Kiev); 5) fanatismo escatologico con l’etica del sacrificio patriottico (garanzia di salvazione, secondo il Patriarca moscovita, per chi muore in battaglia); 6) utilizzo della polizia segreta e ricorso al delitto (anche col medievalissimo veleno) per la soluzione delle contraddizioni politiche interne; 7) il disprezzo per le donne e un’arcaica omofobia assolutamente anacronistica nel mondo capitalistico moderno.

E qualcosa forse si potrebbe aggiungere sul carattere ultrarepressivo del sistema scolastico, ormai improntato al più ingenuo sciovinismo (falso mito della «grande guerra patriottica») e al più grossolano falsificazionismo nell’insegnamento della storia.

Il quadro descrittivo di questa versione aggiornata dello zarismo putiniano si completa però individuandovi anche alcuni tratti dello stalinismo, benché la Russia oggi sia una società capitalistica (oligarchico-mafiosa) con rapporti sociali di produzione totalmente diversi da quelli dello Stato burocratico totalitario e pseudosocialista della ex Urss. In realtà, i tratti «stalinisti» del sistema di Putin sono più vicini al «nazional-bolscevismo», che vedeva nello statalismo sovietico qualcosa d’affine al fascismo: un fatto che gli hitlerocomunisti e più in generale i campisti nostalgici dell’Urss non riusciranno mai a capire.

Effettivamente, ad alcuni osservatori non stanno sfuggendo anche gli aspetti più propriamente fascistoidi del putinismo, per i quali non mancano i relativi «consulenti» ideologici presso la corte del nuovo Zar (ne parla Michele Nobile alla voce corrispondente). Comune col nazifascismo, per esempio, è l’irreggimentazione organizzativa e gerarchica della gioventù, con la militarizzazione dei miti instillati fin dalla più tenera infanzia. E ovviamente il fanatismo nazionalistico. Ma questi aspetti - i valori fondanti Dio, Patria e Famiglia - benché comuni con l’ideologia nazifascista, erano già presenti nel sistema staliniano, come parte dei fondamenti che permisero la sopravvivenza epocale del totalitarismo sovietico al di là dei suoi drammatici limiti storici ed economici.

In base a quanto qui sintetizzato, si può dire che in Russia a lungo andare la dittatura putiniana ha prodotto una sorta di sistema totalitario, per quanto nel suo insieme da definire più precisamente e di certo imperfetto (vedi le sacche di opposizione democratica, eterogenee ma resistenti nonostante la spietata repressione). All’interno di tale ibrido sistema si mescolano elementi tradizionali del medievalismo zarista e del totalitarismo staliniano.

Definire tale regime solo «dittatura» non basta perché può far pensare a Pinochet, ai colonnelli greci e ad altri regimi più o meno ferocemente autoritari, che ebbero però esistenze temporanee e non furono in grado d’incidere profondamente in senso reazionario nelle coscienze a livello di massa - fenomeno degenerativo che invece si considera caratteristica principe del totalitarismo.

Se corrisponde alla realtà, anche solo approssimativamente, la percentuale presunta di coloro che approvano l’attuale corso guerrafondaio, omofobo e dittatoriale di Putin (valutata intorno al 70%), dovremmo concludere che il popolo russo sta vivendo nella sua stragrande maggioranza una profonda trasformazione ideologica, culturale e in ultima analisi psicologica - nel senso di una omologazione reazionaria della psicologia delle masse, con adesione plurigenerazionale a modelli totalitari a loro volta ispiratori di miti e comportamenti reazionari.

Il quadro è fosco, ma si può anche prevedere che una sconfitta di Putin in Ucraina (con conseguente ripresa dei movimenti indipendentistici anche in Cecenia, Georgia e Bielorussia) potrebbe infrangere tale processo di trasformazione totalitaria, minandone i fondamenti. E questa è un’altra degnissima ragione per la quale i democratici russi devono schierarsi - per ora anche solo moralmente se non si può far di meglio, più avanti si vedrà - con la resistenza ucraina: di un popolo storicamente loro fratello, risolutamente impegnato a combattere per la propria libertà. (Dei primi effetti «benefici», in senso democratico e collettivistico-autogestionale, che tale lotta di liberazione sta avendo sullo stesso regime ucraino, parlano varie altre voci in questo abbecedario solidale.)



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