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sabato 24 luglio 2021

RIFLESSIONE SU ORIENTE/OCCIDENTE E TECNOLOGIA…

di Antonio Marchi

Una bella discussione con mio figlio, che ogni tanto ritorna a casa dal suo peregrinare in terre lontane, su Oriente e Occidente, tecnologia, religione e conoscenza umana e tanto altro.
Siamo convinti che si abbia sempre qualcosa da imparare dai “contrari” , dal “diverso” da sé, e questo vale per le persone quanto per le culture e la società.
L'unione dei contrari esige la totalità e la totalità è l'unico modo di vivere i contrari.
La nostra tensione è quindi nella direzione di quell'inflazionato “confronto costruttivo” che troppo spesso nelle nostre vite rimane solo una bella espressione letteraria.
Il mondo è diviso in rigidi ideali, i quali mortificano le infinite possibilità dell'uomo che potrebbero maturare e differenziarsi. Essi tendono a perpetuarsi, contraddicendo la realtà che determinerebbe una sostituzione continua e una produzione imperterrita di varianti; guardano con sospetto a ogni tendenza originale e cercano di sopprimere tutto ciò che di nuovo appare all'orizzonte, causando una grave diminuzione delle possibilità che si sarebbero offerte. Naturalmente ogni ideale protratto farà la fine dei frutti conservati: i tempi di disfacimento potranno essere lunghi, ma immancabilmente sarà il crollo di un tale ordinamento che da un certo momento in poi risulterà irrimediabilmente inadeguato. Tuttavia, abbattuto il primo giogo, se non riuscirà ad assumere padronanza delle idee e non imparerà a trattarle senza rendersene succubo, l'uomo finirà vittima di un nuovo sistema, più perfezionato del precedente ma ugualmente intollerante nei confronti del nuovo e del diverso. Finora l'uomo è passato da un dominio ideale a un altro, senza mai diventare l'autore delle proprie scelte.
Nel pensiero occidentale esistono a , nostro avviso, due “Orienti” distinti: quello “estremo” che tradizionalmente ci affascina con i suoi ( o nostri piuttosto) resoconti di viaggi improbabili e le sue filosofie trascendentali, il suo medioevo protratto, le sue leggende e i suoi profumi esotici; e un Oriente geograficamente a noi più prossimo ma con il quale da sempre viviamo rapporti controversi (dalle guerre puniche a quella del Golfo passando per quelle contro l'Impero ottomano ecc.) di commerci di scontri fisico culturali feroci assieme.
A quest'Oriente dobbiamo alcuni pilastri della nostra conoscenza (basti come esempi il sistema numerico, gli studi astronomici, il bitume e la ruota), ma volentieri ci dimentichiamo di questa superiorità di partenza quando non la ignoriamo del tutto.
Come risultato di tutto questo conglomerato ereditario inconscio, per noi occidentali, l'Oriente è oggi sostanzialmente una condizione mentale, assai contraddittoria, di attrazione e repulsione, di fascinazione e disprezzo allo stesso tempo.
Cosa ci ha resi quindi nei secoli tanto convinti della nostra superiorità?
Il potere della tecnologia: che noi non abbiamo inventato ma che abbiamo “laicizzato” estrapolandola dal contesto mitologico-esoterico della conoscenza orientale che diventa infatti per noi “filosofia” (amica della conoscenza), rinunciando già dalla denominazione all'identificazione col sapere, a sottolineare invece la dimensione di ricerca.
La dimensione trascendentale di ogni forma di conoscenza umana, in alcuni contesti persino magica, sopravvive a tutt'oggi a livello culturale con un atteggiamento religioso e/o sociale che vive l'esigenza, oserei dire scomparsa presso le nostre comunità di trascendere l'individualità riportandola a un grande tema collettivo (che può essere l'efficientismo produttivo giapponese , quello che noi consideriamo il fanatismo religioso musulmano o il misticismo buddista o indù).
La cultura occidentale ha sempre esteriorizzato l'esistenza, proiettando al di fuori dell'uomo e del mondo la divinità e il senso ultimo della vita.
La cultura orientale invece ha sempre privilegiato un cammino interiore di immersione, è come una piramide al contrario che giunge all'Essere attraverso i meandri della terra e le viscere dell'uomo, che vede la divinità all'interno della natura nel nocciolo più interno dell'uomo.
Le grandi identificazioni ideali paiono trovar posto ormai soltanto in Oriente; dal canto nostro noi abbiamo fatto della nostra capacità tecnologica (e oggi scientifica), l'unico valore assoluto sin dalla fine del nostro medioevo, con l'avvento del nostro antropocentrismo rinascimentale.
Ci ha sempre colpito che i cinesi che conoscevano la polvere da sparo assai prima di noi, la utilizzassero unicamente per i grandi spettacoli pirotecnici religioso-celebrativi, mentre il miglior uso che abbiamo ritenuto di farne noi è stato un ucciderci a vicenda.
Conclusioni personali: non vedo un grande futuro per il nostro tipo di società capitalistica se non a patto di modificare profondamente attitudini e mentalità di “utilizzo”, sviscerare le quali ci porterebbe molto lontano.
Di una cosa sono certo: la nostra storia (di aggressori e colonizzatori fra l'altro) è caratterizzata da un assoluto cieco etnocentrismo culturale.
La nostra società non uscirà mai dall'impasse in cui si trova se come prima cosa non rinuncerà proprio a questa assurda lettura unilaterale della storia e del mondo, che sopravvive caparbiamente nonostante poi noi ci si picchi di esplorare gli spazi infiniti del nostro sistema solare, il cui respiro – però – non siamo, con ritardo di millenni, ancora in grado di sentire.

Antonio


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