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sabato 20 giugno 2020

LA PANDEMIA DI COVID-19 COME SINTOMO DI UNA NUOVA TRANSIZIONE EPIDEMIOLOGICA

di Michele Nobile 

Dialettica di una pandemia: capitalismo-nella natura/natura-nel-capitalismo, n. 2. 
Continua la serie iniziata con «Dialettica di una pandemia: capitalismo-nella natura/natura-nel-capitalismo. Introduzione», http://utopiarossa.blogspot.com/2020/06/dialettica-di-una-pandemia-capitalismo.html

1. La pandemia di Covid-19 e il concetto di transizione epidemiologica: le implicazioni politiche
2. Il concetto di transizione epidemiologica e i suoi problemi 
3. Una proposta di periodizzazione delle transizioni epidemiologiche, fino a quella in corso

«Durante la lunga storia dell’evoluzione culturale umana, della dispersione della popolazione in tutto il mondo, dei successivi contatti e conflitti tra le popolazioni, nei rapporti dell’Homo sapiens con il mondo naturale si sono verificate diverse distinte transizioni. Ognuna di queste transizioni nell’ecologia umana e nell’interazione tra le popolazioni ha profondamente cambiato i modelli delle malattie infettive. Questi, a loro volta, hanno spesso influito sul corso della storia. Oggi, forse viviamo uno di questi grandi periodi di transizione» 
Tony A. J. McMichael, «Human culture, ecological change and infectious disease. Are we experiencing history's fourth great transition?», Ecosystem health, vol. 7, n. 2, 2001, p. 107 

1. La pandemia di Covid-19 e il concetto di transizione epidemiologica: le implicazioni politiche
Chi conosce il lavoro di William McNeill La peste nella storia1 ha familiarità con il succedersi di lunghe epoche dei rapporti tra umanità e malattie e con l’idea che gli scambi microbiologici tra popolazioni e aree ecologiche diverse hanno avuto enorme impatto su intere società e sulle generazioni a venire. La prima edizione del libro di McNeill è del 1976 (Anchor press, New York), quando era ortodosso pensare che la millenaria lotta tra umanità e malattie infettive fosse vicina alla fine, che presto sarebbe diventata una storia da relegare nel passato di nonni e bisnonni. Questa aspettativa venne presto smentita, innanzitutto dal dilagare della pandemia di Aids. Almeno da tre decenni - e con numerosi eventi di portata internazionale e mondiale - è chiaro (a meno di non essere accecati dall’ideologia) che questa lotta non è affatto terminata e che non può più neppure essere confinata - con rassicurante compatimento filantropico - a quella gran parte dell’umanità che vive in condizioni di povertà. 
Fonte: Public Health England
La pandemia di Covid-19 è solo l’ultimo fenomeno di una serie che segnala una nuova transizione della relazione tra umanità e malattie, in parte correlata agli effetti del cambiamento climatico globale (per quanto riguarda le aree di diffusione dei vettori di malattie infettive) e a modernissime attività umane quali, per fare solo alcuni esempi importanti, l’industrializzazione dell’allevamento, la deforestazione e l’estensione della frontiera agricola, l’intensificazione dei traffici commerciali e turistici internazionali, la generazione di patogeni resistenti ad antibiotici e pesticidi. All’origine di questa pandemia - e di altre infezioni meno note - è quasi certamente il commercio di animali; ma non si può escludere che, per quanto il coronavirus sia emerso in natura, esso sia in qualche modo «sfuggito» da un laboratorio di ricerca in Wuhan, evento che potrebbe verificarsi anche altrove2
Quindi, il problema della relazione tra l’umanità e i suoi parassiti è attualissimo e interessa il futuro delle prossime generazioni, benché le malattie infettive si distribuiscano in modo ineguale tra le classi sociali e le differenti aree socioeconomiche. Ed è problema che va al cuore delle questioni del cosa e del come produrre, della liberazione dallo sfruttamento economico e dal dominio politico, del controllo dell’umanità sul proprio destino. Esistono buone ragioni per ritenere che i problemi di fondo di una nuova transizione epidemiologica non siano risolvibili solo con la pur necessaria redistribuzione del reddito e più alti livelli di spesa per la sanità e i servizi sociali. 
La situazione pandemica costituisce un sociale totale, che investe tutte le dimensioni della vita sociale, addirittura su scala mondiale3. Guardando oltre la situazione pandemica, si deve dire che questa esperienza, vissuta simultaneamente nella vita quotidiana da molte centinaia di milioni di persone, sia una di quelle rare occasioni obiettivamente favorevoli alla riflessione sulle fondamenta della società e del mondo in cui viviamo, un’occasione straordinaria per sedimentare coscienza politica, che può essere impulso per movimenti sociali di massa in cui la lotta per determinati obiettivi parziali sia sentita e agita come parte di una necessaria trasformazione globale dell’esistenza.
Il concetto che tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI sia in corso una trasformazione del quadro complessivo delle malattie (in particolare di quelle infettive), quella che si dice una transizione epidemiologica, è dunque utile al fine di collocare la pandemia di Covid-19 in un contesto più ampio e a suscitare domande sulle ragioni di questa transizione epidemiologica, che è una componente dei rapporti socioecologici globali. Se, oltre l’idea minimalista della salute come assenza di malattia, la salute è intesa come il diritto a «uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale» (preambolo della Costituzione della Organizzazione mondiale della sanità) - in direzione dello sviluppo di tutte le potenzialità individuali e collettive - ci si deve chiedere cosa impedisce di conseguire tale finalità, quindi se esista una contraddizione tra l’ordine sociale e politico esistente e il diritto alla salute. La posta in gioco nella definizione delle cause sociali della transizione epidemiologica è la più alta possibile: coinvolge anche la visione della nuova società che si vuole costruire. 

2. Il concetto di transizione epidemiologica e i suoi problemi 
Da quanto prima si può intuire che la definizione del concetto di transizione epidemiologica non è affatto ovvia. Al contrario, è oggetto di controversie sulla precisa periodizzazione di epoche e fasi, sulla struttura geografica delle transizioni, sulla possibilità di usare in modo generalizzato il concetto, sul ruolo e l’interazione dei diversi fattori sociali. Il motivo, in fondo, è che si confrontano visioni diverse della struttura e del funzionamento della società, della profondità della rete delle cause sociali delle malattie e della loro ineguale distribuzione nelle popolazioni, dei poteri economici e statali in cui risiedono quelle cause, della logica strutturale che presiede alla dinamica dei rapporti tra società, natura, corpi umani. Si consideri la prima versione del concetto di transizione epidemiologica, proposta da Abdel Omran all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso: «la teoria della transizione epidemiologica si concentra sul complesso cambiamento nei modelli della salute e della malattia e sulle interazioni tra i loro determinanti e le loro conseguenze demografiche, economiche e sociologiche»4.
Per Omran la storia epidemiologica dell’umanità si riassume in tre epoche: delle pestilenze e delle carestie; della recessione delle pandemie; della progressiva prevalenza delle malattie degenerative e causate dall'uomo, specialmente forte dopo la Seconda guerra mondiale; al succedersi di queste epoche corrisponde l’alzarsi delle aspettative di vita alla nascita. Quindi, i cambiamenti dell’epidemiologia, in particolare nella mortalità, contribuiscono a spiegare i passaggi dal regime demografico caratterizzato da alta mortalità e alta natalità (detto antico, con popolazione stazionaria) a quelli in cui si riduce la mortalità ma persiste un tasso alto di natalità (detto transitorio, con popolazione in crescita), fino a quello in cui si riducono entrambi i tassi (detto moderno, con popolazione stazionaria e poi in riduzione). 
https://www.researchgate.net/figure
/Countries-divided-in-stages-according-
to-epidemiologic-transition-theory-6_fig2_298735043
Il modello è criticabile per la sua linearità stadiale, per una logica «progressista» e universale, non diversa da quella della teoria sociologica della modernizzazione che estende normativamente al resto del mondo il modello di sviluppo europeo (cioè capitalistico); per l’assumere le società come un tutto, non considerando l’ineguale distribuzione della salute e delle malattie tra le classi sociali, ma anche per sottovalutare l’importanza della politica sanitaria, nonché per la dicotomia rigida tra malattie infettive e non-infettive. In effetti, la periodizzazione di Omran appare orientata a definire quella che allora era l’ottimistica ortodossia: che lo sviluppo economico e la compiuta modernizzazione sociale implicassero anche l’avvento di un’epoca di forte declino o sradicamento delle malattie infettive. Quanto questa idea fosse diffusa s’intende anche da questo passo del libro di McNeill:

«quasi ovunque l’importanza delle malattie epidemiche è diventata trascurabile, e molte specie d’infezione sono divenute rare proprio in quei luoghi in cui nel passato erano gravi e diffuse. È improbabile che l’aumento netto della salute e della gioia di vivere dell’umanità sia sopravvalutato; anzi, attualmente è necessaria una certa dose di fantasia per comprendere quali malattie infettive in passato abbiano avuto un significato per il genere umano, o anche solo per i nostri nonni».  

Tuttavia, proprio alla fine del libro precisò

«ma per il presente e il futuro immediato rimane evidente che l’umanità sta attraversando uno dei più massicci e straordinari sconvolgimenti ecologici mai conosciuti dal nostro pianeta. Non la stabilità, ma una serie di profonde alterazioni e di improvvise oscillazioni degli equilibri esistenti fra micro e macroparassitismo possiamo quindi attenderci nel futuro prossimo, come è avvenuto nel passato recente.
In ogni tentativo di comprendere sia cosa ci aspetta che quanto è già avvenuto, sarebbe errato trascurare il ruolo delle malattie infettive»5.

Parole poi ampiamente confermate: l’oscillazione dell’equilibrio corrisponde al concetto di una nuova transizione epidemiologica, che rimanda alla forza del macroparassitismo, che McNeill intendeva come fenomeno sociale, lo sfruttamento e il dominio da parte di uomini su altri uomini. 
Tornando a Omran: la sua argomentazione si basava esplicitamente sulla modernizzazione dell’Occidente e sulla tendenza alla riduzione della mortalità dopo la Rivoluzione industriale, a partire dalla metà del XIX secolo. Per i Paesi «in via di sviluppo» Omran scrisse di «transizione relativamente recente e ancora da completare»6. Egli indicò le tre più importanti categorie di fattori determinanti delle transizioni - ecobiologici; socioeconomici, politici, culturali; miglioramenti della medicina e della politica sanitaria - ma senza alcuna precisazione dei nessi. Ne escluse esplicitamente la discussione dettagliata. Si confronti questo con quanto invece ha scritto Nancy Krieger, sostenitrice di una teoria epidemiologica ecosociale, in diretta polemica con le tesi di Omran:   

«Al contrario, la teoria ecosociale - come la teoria ecologica contemporanea - non presume la successione ordinata come norma o “legge”. Invece anticipa l’esistenza - e fornisce la base per la comprensione - di molteplici profili epidemiologici coesistenti nel tempo, all'interno e tra le società. Ci si aspetterebbe che tali profili, storicamente e geograficamente contingenti, siano modellati dall’ampiezza delle divisioni sociali di ciascuna società e dalla misura in cui i diversi gruppi sociali hanno accesso a un’infrastruttura sanitaria pubblica funzionale (compresi i servizi igienico-sanitari e l’acqua potabile), siano impiegati in lavori sicuri, siano liberi nella democrazia, e non vivano in regioni inquinate ed ecologicamente degradate.
A sostegno di questa concettualizzazione alternativa, le prove esistenti indicano che l’entità dei declini della mortalità e il contributo delle cause specifiche di mortalità all’interno dei Paesi mostrano marcate disuguaglianze sociali (specialmente in relazione alla classe e alla razza/etnia), con i poveri che in tutto il mondo muoiono sempre più di malattie croniche non trasmissibili benché continuino a sopportare in modo sproporzionato il peso della mortalità per malattie infettive»7

Krieger è un’epidemiologa: ricostruisce criticamente nascita e contrastanti concezioni dell’epidemiologia moderna ma non tratta del passato remoto, come invece ha fatto Tony McMichael, altro epidemiologo con una posizione vicinissima a quella di Krieger ma che ha teorizzato una nuova transizione epidemiologica, né come McNeill, che del concetto fece un uso implicito. Per questi studiosi la transizione epidemiologica è un fenomeno distinguibile per novità e portata degli effetti, riferito ad aree geografiche ampie ma comunque determinate, secondo meccanismi che si ripetono più volte nel tempo. S’intende che per l’epoca preistorica il materiale su cui basarsi per esami sperimentali è limitato, i processi possono essere definiti solo con ampia approssimazione, il ragionamento è in gran parte ipotetico e indiretto, rimandando anche all’esperienza delle società di caccia e raccolta in epoca moderna; per l’antichità del Vecchio mondo la situazione è relativamente migliore ma, anche in questo caso, è più facile definire alcuni meccanismi che eventi precisi. Liberato dalla unilinearità, il concetto di transizione epidemiologica torna comunque utile per evidenziare la complessità della dialettica società-nella-natura/natura-nella-società, che nella nostra epoca si pone come dialettica capitalismo-nella-natura/natura-nel-capitalismo. È utile per comprendere come alcuni fenomeni biologici di base si sono intensificati ed estesi a cavallo dei secoli XX e XXI, quindi la specificità della transizione epidemiologica nel Capitalocene e gli ostacoli posti - dallo sviluppo ineguale e combinato dell’economia mondiale e dalla frammentazione in Stati dell’umanità - anchealla risoluzione di questo problema globale. 

3. Una proposta di periodizzazione delle transizioni epidemiologiche, fino a quella in corso
Dunque, qui presuppongo diverse aree socioecologiche, con differenti endemismi ed equilibri tra patogeni e società, variazioni nel tempo in conseguenza degli scambi microbiologici con altre aree e società, non necessariamente simmetrici. Dall’inizio del XVI secolo un fatto fondamentale è l’accelerazione degli scambi biologici su scala mondiale e la formazione di un’economia mondiale sempre più dominata dalla logica strutturale del capitalismo e dallo sviluppo ineguale e combinato, che si esprime sia nella differente distribuzione delle malattie tra le classi sociali all’interno di ciascun Paese, sia nelle notevoli differenze epidemiologiche tra Paesi con forti dislivelli nello sviluppo del capitalismo e nella gerarchia del potere mondiale.
Si deve tener conto del fatto che la numerazione delle transizioni epidemiologiche varia a seconda degli approcci, dell’arco di tempo e della scala geografica che si considerano. Ad esempio, quanto a periodo e localizzazione, quella che qui indico come quarta transizione corrisponde alla seconda di Omran (e d’altri); e sono state proposte suddivisioni o precisazioni circa la terza transizione proposta da Omran. D’altra parte, McMichael ha trattato come un tutto l’epoca moderna (dal XVI secolo), ipotizzando però una quarta transizione a cavallo dei secoli XX e XXI: come si vedrà, qui ne accetto il rilievo dato alla conquista dei Nuovi mondi, ma distinguo da questa la transizione iniziata a metà del XIX secolo nei Paesi a capitalismo avanzato. La periodizzazione delle transizioni epidemiologiche che propongo è dunque questa: 
prima transizione, corrispondente alla Rivoluzione neolitica, all’inizio dell’agricoltura, dell’allevamento e dei primi insediamenti umani, allo sviluppo delle malattie infettive, specialmente di origine animale (zoonosi), caratterizzata da endemismi ed epidemie acute;
seconda transizione, in epoca antica, caratterizzata dallo scambio microbiologico tra società diverse, che ha creato le condizioni e i meccanismi fondamentali operanti nel Vecchio mondo per quasi due millenni. 
Di solito si discute di transizioni epidemiologiche a proposito dell’Europa e degli Stati Uniti a partire dalla Rivoluzione industriale, comparando poi le trasformazioni dell’epidemiologia dei Paesi a capitalismo avanzato con il quadro delle malattie dei Paesi coloniali ed ex coloniali, detti anche «in via di sviluppo». Ritengo sia importante evidenziare che la conquista europea dei Nuovi mondi a partire dal XVI secolo diede origine a una 
terza transizione epidemiologica, nell’immediato caratterizzata dall’ineguaglianza dello scambio biologico e specialmente microbiologico tra i continenti. Complessivamente, nel Vecchio mondo il quadro epidemiologico e demografico si presentava come una continuazione di quello precedente, ma non senza l’incontro con nuove malattie. La questione cruciale è però quella della scala geografica che si considera e dell’asimmetria dell’impatto microbiologico. Con l’inizio della conquista dei Nuovi mondi e dell’espansione coloniale europea, per la prima volta nella sua storia l’intera umanità venne gradualmente coinvolta e spesso travolta nello sviluppo di una società mondiale, caratterizzata dall’intensificazione dei flussi di merci, persone e malattie. Tuttavia, questa società mondiale, sempre più dominata dalla specifica logica del capitalismo, era ed è strutturalmente gerarchica, ragion per cui essa è rimasta eterogenea - non solo per motivi ecologici - anche per quanto riguarda la distribuzione geografica delle malattie. 
Seppur in tempi e con ritmi diversi, la quarta transizione epidemiologica riguarda principalmente i Paesi europei, gli Stati Uniti, il Giappone, cioè i Paesi a capitalismo avanzato. Questa comprende diverse fasi: tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII, si ridussero gli alti picchi di mortalità dovuti a estese epidemie; dalla metà del XIX secolo si verificò una tendenza generale alla riduzione della mortalità e all’allungamento delle aspettative di vita; dopo la Seconda guerra mondiale, si ridusse il peso relativo delle malattie infettive e aumentò quello delle malattie legate all’allungamento della vita e dovute ai cambiamenti ambientali prodotti dall’uomo. Dunque, non abbiamo una lineare successione di stadi ma il gioco di tendenze diverse e la coesistenza nello spazio geografico e sociale di quadri epidemiologici diversi, se si vuole, la combinazione di temporalità differenti. Su scala mondiale questo è evidenziato dal fatto che il «resto del mondo», cioè i Paesi detti «sottosviluppati» e anche quelli detti «emergenti», ora o è sostanzialmente fermo al quadro epidemiologico della terza transizione (con un forte rilievo delle malattie infettive) o, specialmente nei Paesi «emergenti» - Cina inclusa - mostra la combinazione di aspetti della terza e della quarta transizione, distribuiti in modo ineguale a seconda delle classi sociali e/o delle aree geografiche.  
Retrospettivamente, quella che appariva come una vera e propria epoca, caratterizzata dalla prevalenza delle malattie degenerative e causate dall'uomo, risulta essere invece un’importante tendenza all’interno di un quadro più ampio, variegato e contraddittorio. L’illusione della definitiva sconfitta delle malattie infettive, già criticabile al momento in cui venne formulata, è stata duramente colpita prima dall’epidemia di Aids negli anni Ottanta del secolo scorso e poi distrutta all’inizio del decennio successivo dalla constatazione del riemergere e/o dall’estendersi dell’area di malattie infettive già note e dall’emergere di nuove malattie. In termini ancora soltanto descrittivi, questi sono alcuni dei motivi che giustificano l’idea di una quinta transizione epidemiologica in corso. Nel 2001 McMichael scrisse che

«mentre entriamo nel XXI secolo, in conseguenza del massiccio impatto aggregato dell’umanità, nella biosfera si verificano cambiamenti ambientali su larga scala e senza precedenti. Questi cambiamenti ambientali globali stanno gettando un’ombra lunga sulle future prospettive della salute umana. I futuri modelli di malattie infettive - nell’uomo, negli animali e nelle piante - saranno probabilmente influenzati dai cambiamenti del clima mondiale, dagli sconvolgimenti delle riserve di acqua dolce e dal loro esaurimento, dalla continua perdita della biodiversità che stabilizza gli ecosistemi, dalla diffusione accelerata di specie esotiche (tra cui microbi) e dal consolidamento della povertà in un mondo dominato dal mercato»8.

Tesi niente affatto sorprendente se si ammette che l’umanità abbia acquisito la capacità d’influenzare il clima planetario e di dare origine ai segni marcatori di una nuova era geologica, l’Antropocene o, come preferisco dire, il Capitalocene (non senza il tardivo contributo di un pugno di grandi Stati pseudosocialisti o ex pseudosocialisti). La nuova transizione epidemiologica ha molteplici cause e canali, ma questi sono riconducibili all’attività umana nelle sue forme più progredite e orientate al massimo profitto. 

Note
         1) Il libro è tuttora un importante riferimento della letteratura internazionale: William Hardy McNeillLa peste nella storia. Epidemie, morbi e contagio dall’antichità all’età contemporaneaEinaudi, Torino 1981.
         2) A smentita di un’origine del nuovo coronavirus in laboratorio: Kristian G. Andersen-Andrew Rambaut-W. Ian Lipkin-Edward C. Holmes-Robert F. Garry, «The proximal origin of SARS-CoV-2», Nature medicine, 17 marzo 2020, https://www.nature.com/articles/s41591-020-0820-9#article-info; sulla possibilità che sia però «fuggito» da un laboratorio di Wuhan, da una fonte certamente non sospettabile di simpatia per l’amministrazione statunitense: Matt Field, «Experts know the new coronavirus is not a bioweapon. They disagree on whether it could have leaked from a research lab» e Milton Leitenberg, «Did the SARS-CoV-2 virus arise from a bat coronavirus research program in a Chinese laboratory? Very possibly», rispettivamente in Bulletin of the atomic scientists, del 30 marzo 2020 e del 4 giugno 2020, https://thebulletin.org
3) Sulla situazione pandemica: Michele Nobile, «12 Tesi contro la pandemia politica e sociale», 25 marzo 2020, http://utopiarossa.blogspot.com/2020/03/12-tesi-contro-la-pandemia-politica-e.html «Un solo mondo, una sola salute, una sola umanità», 9 aprile 2020, http://utopiarossa.blogspot.com/2020/04/un-solo-mondo-una-sola-salute-una-sola.html
4) Abdel R. Omran, «The epidemiologic transition. A theory of epidemiology of population change», The Milbank quarterly, vol. 49, n. 4, 1971, citazione dalla ristampa del 2005, https://web.archive.org/web/20130412164958/http://www.milbank.org/uploads/documents/QuarterlyCentennialEdition/The%20Epidemiologic%20Trans.pdf
5) W. H. McNeillLa peste nella storia. Epidemie, morbi e contagio dall’antichità all’età contemporaneaop. cit., p. 262 e p. 265.
6) A. R. Omran, «The epidemiologic transition. A theory of epidemiology of population change», op. cit., p. 754. 
7) Nancy Krieger, Epidemiology and the people's health. Theory and context, Oxford University Press, New York 2011, p. 223.
8) Tony A. J. McMichael, «Human culture, ecological change and infectious disease. Are we experiencing history's fourth great transition?», Ecosystem health, vol. 7, n. 2, 2001. Di McMichael anche: Human frontiers, environments and disease. Past patterns, uncertain futures, Cambridge University Press, Cambridge 2001, che è però molto più focalizzato sul rapporto tra cambiamenti climatici e salute e malattie.  


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