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venerdì 28 febbraio 2020

La Wuhan "de noantri"

Ovvero: fa più disastri il coronavirus o il virus del panico indotto?
di Piero Bernocchi

Per un paio di giorni sono stato incerto se scrivere quanto qui leggerete. Ne ero vieppiù convinto, via via che studiavo la stampa nazionale e internazionale, le dichiarazioni degli scienziati e degli esperti e tutto il materiale disponibile in materia. Al punto che se fossi stato un qualsiasi cittadino/a senza ruoli specifici o quello che in politica si chiama “un cane sciolto” non avrei avuto dubbi. Ma farlo in qualità di portavoce Cobas, in un clima isterico  e paranoico - ove gli opinion makers, come succede quasi sempre in Italia, sono esperti di camaleontismo, trasformismo e dunque assecondano la corrente dominante -  rende l’andare controcorrente, pur sempre faticoso in Italia, particolarmente improbo quando si rischia di passare per “untori” o per “complici” dell’espansione dell’epidemia. Però ieri mi ha convinto definitivamente Attilio Fontana, governatore della Lombardia e leghista doc (quello della difesa della "razza bianca", che dopo la dichiarazione ha dovuto mettersi in autoisolamento poichè una sua collaboratrice è risultata positiva al tampone) che così ha parlato al Consiglio regionale lombardo: “ Cerchiamo di sdrammatizzare: questa è una situazione senza dubbio difficile ma non così pericolosa. Il virus è aggressivo e rapido nella diffusione ma molto meno nelle conseguenze: è poco più di una normale influenza, e questo lo dicono i tecnici”. Diavolo, ma se Fontana, che rischia ben di più di me per dichiarazioni del genere, ha deciso di parlare in tal modo, perché mai io dovrei autocensurarmi?
Dunque, entro nel merito. E parto da alcuni titoloni di Repubblica degli ultimi giorni, che monitora minuto per minuto l’andamento dell’epidemia:" Sesta vittima, paziente oncologico di Crema" (n.d.s. di 80 anni); "Tre morti in Lombardia, malato terminale di cancro e due ultraottantenni affetti da gravi patologie"; "Virus letale per chi ha gravi patologie". Come avrebbe dovuto apparire chiaro per questi e altri titoli squillanti, strombazzati da giornali e TV con cadenza ossessiva, cose simili si sarebbero potute scrivere in qualsiasi mese e in qualsiasi anno del Ventunesimo secolo italiano. Come infatti ha spiegato un paio di giorni fa Nicola Acone, specialista in malattie infettive e primario al Moscati di Avellino “Il coronavirus provoca gli stessi sintomi di un'influenza ed ha lo stesso decorso nell'85% dei casi, mentre nel 15% provoca problemi respiratori come una polmonite; tra questi un 2%, che ha tumori avanzati, malattie cardiache o polmonari ed è in età avanzata ha più probabilità di morire rispetto all'influenza tradizionale". Una descrizione analoga l’ha fatta ieri Walter Ricciardi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): “Dobbiamo ridimensionare questo grande allarme, la malattia va posta nei giusti termini…Su 100 persone malate 80 guariscono spontaneamente, 15 hanno problemi seri ma gestibili in ambiente sanitario e solo il 5% è davvero grave…ma tutte le persone decedute avevano già gravi problemi di salute”. Ora, pur essendo questi numeri orientativi perché in materia non si può essere precisi al 100%, il dato di fondo è limpido: praticamente muoiono solo quelli che hanno gravi patologie, esattamente come è sempre successo tutti gli anni durante le ondate di “normale” influenza nel nostro Paese. Anzi: secondo le stime del Ministero della Salute e dell’Istituto superiore della Sanità, in Italia dall’inizio del Ventunesimo secolo ogni anno in media il 9 % della popolazione è colpito da sindrome influenzale (circa 5 milioni e mezzo di persone) con un numero di decessi tra i 4 mila e i 10 mila (nel 2019 circa 8 mila) tra chi, già vittima di serie patologie pre-esistenti, muore per le complicanze gravi del virus influenzale (e tra questi l’anno scorso il nostro caro Bonaventura De Carolis). Mentre, qui ed ora, dopo una circolazione probabile del virus in Italia di circa una cinquantina di giorni, i morti sono 12 e tutti con patologie gravi e/o decisamente anziani, mentre gli infettati arrivano ad oggi a 485, di contro, ad esempio, al milione e mezzo (più o meno) di italiani “allettati” con l’influenza tradizionale tra l’inizio di  novembre 2019 e l’inizio di gennaio 2020. Un ulteriore elemento, per valutare la letalità del coronavirus, lo possiamo ricavare da un confronto, per quel che riguarda i malati a rischio, con precedenti epidemie: la SARS, ad esempio, aveva una mortalità intorno al 10%, mentre la Ebola addirittura dell'80-90%. Anche se, per quel che riguarda la diffusione del virus, c’è una differenza notevole, a favore del mimetismo del coronavirus rispetto ai suoi predecessori: sia il virus SARS e tanto più Ebola non si nascondevano, aggredivano rapidamente (e assai violentemente nel caso di Ebola) i pazienti, che, oltre a morire incomparabilmente di più, erano riconoscibili e isolabili: e il virus "sciocco", evidenziandosi clamorosamente, si faceva individuare senza equivoci, veniva circoscritto e moriva con il malato.

domenica 23 febbraio 2020

BUON CARNEVALE!

da Laris Massari


Buon Carnevale!

Bom Carnaval!
Happy Carnival!
Feliz Carnaval!
Schöne Karneval!
Joyeux Carnaval! 







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mercoledì 19 febbraio 2020

CAPITALISMO: PELIGRO PARA LA HUMANIDAD

por Marcelo Colussi
Capitalismo: ganancia para pocos


El sistema capitalista ha impulsado prodigiosos avances en la historia de la humanidad. El portentoso desarrollo científico-técnico que se viene registrando desde hace dos o tres siglos a la fecha -y que ha cambiado la fisonomía del mundo-, va de la mano de la industria moderna surgida a la luz de este sistema. Problemas ancestrales de los seres humanos comenzaron a resolverse con esos nuevos aires que, del Renacimiento europeo en adelante, se expandieron por todo el planeta.


Pero ese monumental crecimiento tiene un alto precio: el modo de producción capitalista sigue siendo tan pernicioso para las grandes mayorías como lo fue elesclavismo en la antigüedad. Para que, exagerando la cifra, un 15% de la población mundial goce hoy de las mieles del “progreso” y la “prosperidad” (oligarquías de todos los países y masa trabajadora del Norte), la inmensa mayoría planetaria padece penurias. Con el agravante -que la historia humana anterior no registró- de la catástrofe medioambiental consecuencia del insaciable afán de lucro, y la posibilidad cierta de una posible extinción de la especie humana si se activaran todas las armas de destrucción masiva (energía nuclear) de que actualmente se dispone.

No debe olvidarse nunca que, para constituirse como sistema con mayoría de edad, el capitalismo debió masacrar a millones de nativos americanos y africanos, generando así la acumulación originaria que dio paso a la industria moderna en Europa. En síntesis: el capitalismo es sinónimo, no tanto de desarrollo y prosperidad, sino más bien de destrucción y muerte para las grandes mayorías, beneficiando en realidad a poca gente en el planeta.

Y es que ese desarrollo material fabuloso no logra el reparto equitativo -con auténtica solidaridad- de los productos derivados de una colosal producción: se llega a la Luna o se desarrolla una inteligencia artificialque nos deja pasmados, pero no se acaba con el hambre. Se busca agua en el planeta Marte, pero no se puede terminar con la sed en la Tierra. Todo esto no se trata de un error coyuntural: el problema es estructural, de base. El sistema capitalista no puede ofrecer soluciones reales a los problemas de toda la humanidad. No puede, aunque quiera, pues en su esencia misma están fijados los límites. Como se produce en función de la ganancia, del descarnado lucro (que es para muy pocos), el bien común queda relegado.