di Antonio Marchi
L'articolo che qui presento - scritto da Sara De Carli per il sito di Vita Bookazine - anche se «vecchio» di parecchi mesi, rimane di grave e urgente attualità. E questo perchè nonostante il cambio di Governo continuano le logiche criminali che da tempo noi di Utopia rossa stiamo denunciando riguardo al traffico di esseri umani che sta alla base degli imbarchi con i relativi sbarchi (si vedano gli interventi di Roberto Massari e del medico del Ghana in un precedente articolo di UR). È la logica del «salviamoli quando sono a bordo delle navi», senza alzare lo sguardo oltre i mareggi del Mediterraneo, su come e perché quella povera gente si è venuta a trovare in condizioni ancor più disperate di quelle in cui normalmente vive. Non si vuole capire che le persone a bordo delle navi (comprese quelle delle Ong integralmente inserite nella tratta) sono vittime di organizzazioni criminali che da anni hanno avviato questo traffico, proficuo solo per loro e certamente per i governi africani locali che non fanno nulla per porvi termine.
L’articolo di Sara De Carli porta in evidenza una delle tante realtà che si nascondono dietro questo traffico di esseri umani. Le vittime - che per ora sono decine e decine di migliaia ma col tempo e con la connivenza dei governi europei (italiano in prima fila) diventeranno centinaia di migliaia - sono povere persone, tradite nei loro giusti intenti dalla propaganda di viaggi facili, di approdi a un futuro luminoso. Credono al racconto favolistico di una vita degna di essere vissuta per poi scoprire le varie fasi dell’inganno: dai lagher di attesa nel Nordafrica (dove vengono depredati/e di ogni cosa, costretti/e a lavoro schiavistico e a prostituirsi), alla traversata su imbarcazioni di fortuna o a bordo delle complici Ong. I dati forniti di recente sulle migliaia di persone morte in mare fino ad oggi (quindi prima di arrivare ai porti europei!) sono mostruose, dovrebbero rivoltare la coscienza di qualsiasi essere umano e basterebbero da sole a giustificare un intervento contro le mafie euro-africane che gestiscono la tratta.
Con il buonismo non si spezza una simile rete criminale. La storia ce lo ha insegnato. Un crimine contro l’umanità va affrontato e risolto con altri mezzi. Massari ne aveva indicato uno abbastanza semplice ed efficace: formare una task force che uccida gli «scafisti» appena usciti in acque internazionali e poi sequestrare tutte le imbarcazioni (Ong comprese) che partecipano al traffico. Basterebbe uccidere una prima dozzina di scafisti su due o tre imbarcazioni uscite dalle acque libiche o tunisine e immediatamente il traffico cesserebbe. Gli scafisti, infatti, sono tutto meno che degli eroi. Di recente invece un tribunale di Palermo ha mandato assolti 7 scafisti che erano arrivati in Sicilia con 36 cadaveri a bordo… Altro che buonismo e rispetto della legge! Qui siamo alla più infame connivenza.
Ovviamente l’eliminazione fisica degli scafisti dev'essere seguìta dallo sbarco in Italia dei poveracci che sono a bordo, impegnandoisi a offrire loro un’alternativa di vita civile e non minacciandoli di rimpatrio come avviene ora per molti di loro.
Attenzione al rimpatrio, perché con i suoi costi esosi e irrazionali (come gli straordinari in massa alle forze dell’ordine che al momento lo Stato non riesce nemmeno a pagare o i viaggi in prima classe dei poliziotti al ritorno) anche il rimpatrio rientra nella logica «economica» del traffico di esseri umani.
A volte sembra che si lascino sbarcare questi poveracci proprio per speculare sul loro rimpatrio. E ci si chiede quale sadismo può spingere a rimpatriare della gente che per giungere fin qui si è privata di tutto ciò che possedeva, ha fatto prostituire le proprie donne, ha rubato i soldi da pagare ai negrieri e ha vissuto per periodi in condizioni di schiavitù. Sembra incredibile, ma c’è chi guadagna anche sui rimpatri.
Giorni fa ho fatto un appello perché si smetta di essere moralmente complici di questo crimine contro l’umanità. Ho ricevuto molti attestati di solidarietà ma continuiamo a trovarci nell'impotenza, a fare da semplici spettatori mentre l’attenzione viene concentrata tutta - volutamente - sul dilemma sbarchi sì o sbarchi no. E il risultato per il momento è che si riapre la filiera dei «trasporti» assistiti dalle Ong e dalla Marina militare, che è come dire al traffico di esseri umani: forza, moltiplicatevi. E questo messaggio sta già arrivando aille centinaia di miiioni di africani e asiatici che stanno cercando a loro volta di arrivare in Tunisia o in Libia, cosdti quel che costi. Mi vergogno per i politici (parlamentari, membri del Governo, responsabii dei partiti, ma anche dirigenti delle forze dell’ordine) che ne hanno la responsabilità in prima persona.
Racconto la tratta, perché nei villaggi della Nigeria nessuno sa la verità13 febbraio 2017Blessing Okoedion è nigeriana, ha trent'anni ed è una mediatrice culturale. È stata vittima della tratta, ingannata, nonostante la sua laurea. In Italia sono 70mila le donne vittime della tratta, di cui la metà giovani nigeriane. «Nei villaggi i trafficanti appaiono come salvatori, con 40 euro si prendono una ragazza. Ma è forse una colpa vivere in un villaggio e non sapere l'inglese?». Lei si è liberata e ha raccontato la sua storia in un libro
Come ho fatto ad essere così stupida? Come ho fatto a fidarmi e a non accorgermene? Inizia con queste domande la testimonianza di Blessing Okoedion, una ragazza di trent’anni, nigeriana. Oggi è una mediatrice culturale, nel suo passato ci sono la strada e la prostituzione. Blessing è una ex vittima della tratta. È arrivata in Italia nel 2013, ingannata da una donna che lei ora definisce un «lupo travestito da agnello». Ha una laurea in informatica Blessing, ma non è bastato a riconoscere l’inganno, tanto era studiato il “travestimento”: «appena ho capito quale lavoro avrei dovuto fare, qui in Italia, non facevo altro che ripetermi “come ho fatto”, “come può essermi successa questa cosa”». La catena di Blessing era un debito da 65mila euro, così le disse quella donna che l’aveva ingannata. Lei ha avuto la forza di romperla, denunciando e ricominciando una nuova vita. E raccontando la sua storia in un libro appena pubblicato, Il coraggio della libertà (edizioni Paoline) scritto insieme alla giornalista Anna Pozzi.Nel mondo sono almeno 21 milioni le persone vittime di tratta, per il 70% donne e bambini. «Tratta» significa persone trafficate e sfruttate, prevalentemente per sesso e lavoro servile: ogni due minuti, nel mondo, c’è un bambino che viene sfruttato sessualmente. È un giro d’affari che vale 32 miliardi di dollari l’anno e che in Europa vale più del traffico di droga o d’armi. Se ne è parlato nel convegno «Migrazioni e traffico di persone», a Milano. È un fenomeno che tocca anche l’Italia, in ogni sua zona. Solo in Italia sono 50-70mila le donne vittime della tratta, circa la metà giovani nigeriane: ogni mese qui in Italia da loro si acquistano 9-10 milioni di prestazioni sessuali. Lo sfruttamento del lavoro riguarda invece 150mila persone: lavoro schiavo, non semplicemente lavoro nero, con sottrazione di documenti, salario di poche decine di euro per 12 ore di lavoro, condizioni abitative disumane, fornitura di beni di prima necessità obbligatoria e a caro prezzo. Basta un dato per capire quanto la tratta ci riguardi: le donne nigeriane sbarcate in Italia nel 2016 sono state 11mila: erano la metà (5.600) l’anno prima. Molte di loro, come Blessing, si chiedono «come è possibile».Come è possibile? «Tante persone in Nigeria hanno sentito parlare della tratta. Ma nelle città. Nessuno va nei villaggi a raccontare. I trafficanti sanno che non possono più prendere ragazze in città, ma nei villaggi questi appaiono come gli unici salvatori. I nostri villaggi sono abbandonati dalle autorità, i trafficanti arrivano, promettono un lavoro, magari come baby sitter. Sono una mano tesa per persone abbandonate a loro stesse, l’unica mano tesa. Con quaranta euro si prendono una ragazza», racconta Blessing. La sua voce si leva forte, potente: «Ma è forse un peccato vivere in un villaggio? Non parlare inglese? Perché lì nessuno racconta la verità? Perché nessuno spiega a queste ragazze e alle loro famiglie cosa sia la tratta?».Il problema che Blessing denuncia - tecnicamente lo chiamano «gap informativo» - è un nodo cruciale delle migrazioni odierne e dei tentativi di arginare i numeri del traffico di esseri umani, tant'è che l'OIM-Organizzazione Mondiale per le Migrazioni ha avviato una campagna informativa sui social chiedendo a migranti arrivati in Italia di registrare una brevissima testimonianza in cui raccontino la verità su ciò che hanno passato in Libia, perché «chi parte non sa cosa lo aspetta», afferma Flavio Di Giacomo, portavoce OIM. Il progetto si chiama Aware Migrants. Non sanno, dice Di Giacomo senza mezzi termini, che «la Libia è inferno. I migranti vengono picchiati, rinchiusi nei campi, gli viene chiesto di pagare un riscatto, a volte lavorano ma non vengono pagati. Molti vorrebbero tornare indietro, ma a i trafficanti non vogliono che chi vede le reali condizioni della migrazione e soprattutto della traversata torni indietro per raccontarlo. Chi parte non sa, parla del Mediterraneo come di un fiume, the river, c'è una sorta di marketing incentrato sulla facilità della traversata. Quando arrivano sulla spiaggia e vedono il mare e i gommoni con cui dovrebbero attraversarlo hanno paura e vorrebbero tornare indietro: ma non possono, una volta che hai pagato devi partire. Tanti hanno sul corpo i segni delle violenze, tagli su braccia e gambe, tanti hano raccontato di persone uccise perché non volevano più partire».Ecco perché la distinzione fra migranti economici e rifugiati è stata superata dalla storia: queste persone sono partite per motivi economici, tecnicamente non sono rifugiati e non hanno diritto alla protezione internazionale, però nel loro percorso nei fatti hanno subìto una violazione dei loro diritti umani. E sono costretti a imbarcarsi. Questa è la realtà. «Non abbiamo il diritto di dire "non partite"», spiega Di Giacomo, tornando alla campagna sui social, «ma abbiamo il dovere di informare, perché tanti oggi ci dicono "non immaginavo"».Una mano tesa Blessing l’ha trovata da suor Rita Giaretta, a Casa Rut, a Caserta. «Non volevo stare lì da loro. Altre donne, come quella che mi aveva tradita. Perché questa donna mi tende la mano? Cosa vuole da me? Io non avevo mai pensato prima che una donna e una donna cristiana potesse vendere un’altra donna: avevo paura. Non è facile avere fiducia quando sei stata tradita», racconta. Poi pian piano ha capito che Casa Rut «era una mano tesa vera, che non dà false speranze. Nelle parole delle suore di Casa Rut ho visto un messaggio, “siete capaci di cose belle, non siete condannate alla tristezza della morte, dentro di voi c’è la possibilità di una rinascita». Oggi è questo il messaggio che Blessing grida forte: «mi sto facendo voce per dire a tutte le ragazze trafficate che c’è una possibilità di rinascita. E di gioia».
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