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martedì 14 agosto 2018

GUEVARA E MARX

Quadrilingue ESPAÑOL-FRANÇAIS-ENGLISH-ITALIANO
ITALIANO

È il testo della relazione presentata dall'Autore alla Conferenza internazionale «Karl Marx: vita, idee, influenza. Un'analisi critica per il bicentenario». La Conferenza è stata organizzata dall'Asian Development Research Institute (Adri) a Patna (Bihar, India) il 16-20 giugno 2018.


GUEVARA E MARX.  Remake critico di un vecchio film
di Roberto Massari

Primo tempo:Ouverture:Scena 1 [La Paz, 1996] Scena 2 [Dar es Salaam, 1965] - Flashback:Scena 3 [Lima, 1952]) Scena 4 [Roma, 1969]
Intervallo:Scena 5 [Sierra Maestra, 1956-58]
Secondo tempo: Orthodoxy Story:Scena 6 [dall’Avana a Mosca, 1959-63] - Heresy Story:Scena 7 [da Mosca all’Avana, 1963-65] - Marxist Story:Scena 8 [Praga, 1966] - Fade-out:Scena 9 [Vallegrande, 9 ottobre 2017] - The end (Opere citate)

Primo tempo
OUVERTURE
Scena 1[La Paz, 1996]
Alle 10.30 del mattino di martedì 1° ottobre 1996 cinque persone visibilmente emozionate scesero in ascensore i 30 metri che portavano nel sotterraneo del Banco Central de Bolivia. Erano tre giornalisti, un fotografo e uno studioso di Guevara ai quali il Governo boliviano aveva dato per la prima volta libero accesso alla cassetta di sicurezza «A-73» in cui era ed è contenuto l’originale del Diario di guerriglia del Che.
Nella cassetta però vi erano altri materiali molto importanti, come scoprì con emozione Carlos Soria Galvarro Terán (n. 1944), mio grande amico, compagno di ricerche e principale studioso del Che in Bolivia (all’epoca lo era insieme a Humberto Vázquez Viaña [1937-2013]). Nella cassetta infatti trovarono a) l’originale in spagnolo del Diario di Pombo, che si credeva scomparso dopo la sua traduzione in inglese, b) le schede di valutazione dei membri della guerriglia, c) il quaderno rosso ad anelli con le pagine di diario dal 7 novembre al 31 dicembre 1966 (oltre a note e bozze di comunicati), d) l’agenda tedesca in similpelle con le pagine di diario dall’1 gennaio al 7 ottobre 1967.

Ma è proprio in fondo a questa agenda, nelle cinque pagine finali della rubrica, che Carlos compì la scoperta più sconvolgente per noi studiosi del Che e da cui prende le mosse questa mia riflessione sul rapporto di Guevara con Marx: erano infatti cinque pagine contenenti un elenco di 109 titoli di libri (15 dei quali contrassegnati da una crocetta in rosso), suddivisi per mesi (a calare in quantità) da novembre 1966 a settembre 1967. Era una documentazione del tutto inedita che dimostrava l’interessamento profondo che il Che aveva continuato a nutrire per lo studio e l’elaborazione teorica fino alle ultime ore della sua vita, pur trovandosi in circostanze disperate e pur sapendo di essere ormai destinato alla sconfitta (militare).
Carlos mi fece avere le foto dell’elenco ed io lo pubblicai a colori (per evidenziare le crocette in rosso) nel numero 2 di Che Guevara. Quaderni della Fondazione/Cuadernos de la Fundación [Cgqf], 1999, pp. 261-3.
I titoli citati abbracciavano un ampio arco di temi e non sembravano riconducibili a un particolare progetto bibliografico. A noi studiosi parve che si potessero suddividere grosso modo in sei categorie: 1) filosofia e scienza, 2) dottrina politica e militare, 3) storia e società latinoamericana, 4) storia, società e antropologia boliviana, 5) romanzi e narrativa mondiale, 6) strumenti di lavoro come dizionari, repertori statistici, questioni di medicina.
Il primo gruppo è quello che interessa in questa sede e in esso si potevano includere - oltre a N. Machiavelli (Il Principe e altri scritti politici), G.W.F. Hegel (Fenomenologia dello spirito) e L. Morgan (La società primitiva) - opere sul marxismo oppure di ispirazione marxista come le seguenti:
C.D.H. Cole, L’organizzazione politica;
B. Croce, La storia come pensiero e come azione[col titolo che si usa in spagnolo: La historia como hazaña de la libertad (simile all’inglese: The philosophy of history and the duty of freedom)];
M.A. Dinnik, Storia della filosofia I;
F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Dialettica della natura;
M. Gilas, La nuova classe
Lenin,Lo sviluppo del capitalismo in Russia,Materialismo ed empiriocriticismo, Alcune particolarità dello sviluppo storico del marxismo, Quaderni filosofici;
Liu Shao-chi/Liu Shaoqi, Internazionalismo e nazionalismo;
G. Lukács, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica;
Mao Tse-tung/Mao Zedong, Intorno alla pratica;
K. Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel;
R. Mondolfo, Il materialismo storico in F. Engels;
Trotsky,La rivoluzione permanente, Storia della rivoluzione russa I e II;
Stalin,Il marxismo e il problema nazionale e colonialeLa questione nazionale e il leninismo, Questioni del leninismo;
Ch. Wright Mills, I marxisti

L’ultimo nome della lista - unico per il mese di settembre 1967 - fu identificato in un primo momento come un approssimativo «F.O. Nitzsche», facendo brillare gli occhi a chi già sperava di poter scrivere un saggio su un eventuale «superomismo» del Che. Ma in seguito Carlos Soria decifrò meglio il nome e stabilì che si trattava del grande esperto militare Ferdinand Otto Miksche (1904-1992) e del suo lavoro Forze segrete[cfr. Cgqf. n. 8/2010, p. 273].
Per molto tempo non sapemmo che interpretazione dare di quella lista di libri, così ampia ma anche così apparentemente disordinata, tanto da far  sospettare che invece un proprio ordine dovesse averlo, anche se molto nascosto. Altrimenti come spiegare che essa fosse stata tracciata su un agenda facente funzioni di diario militare e in una situazione certamente non favorevole allo studio? Del resto, il quantitativo di oltre un centinaio di libri (alcuni in grossi volumi) sarebbe stato veramente eccessivo per pensare che il Che lo avesse potuto portare con sé durante gli spostamenti della guerriglia. E se quei libri li avesse lasciati nei nascondigli da lui fatti costruire negli accampamenti preparati nei primi mesi - e quindi di lì confiscati dall’esercito dopo il loro ritrovamento - sarebbero sicuramente riemersi nel mercato «clandestino» degli oggetti guevariani gestito per anni da alcuni degli ufficiali che avevano partecipato alle operazioni di controguerriglia: i militari, infatti, vendettero privatamente tutto ciò che era appartenuto al Che, e una sua eventuale «biblioteca ambulante» avrebbe avuto certamente una base d’«asta» molto elevata.
Non restava che pensare a una lista dei desideri formulata da uno studioso marxista come Guevara, dotato di un vasto campo d’interessi e già dimostratosi grande divoratore di libri in tutta la sua vita. Oppure pensare, in alternativa, che si trattasse di un preciso piano di letture, nel quale il settore «marxologico» rivestiva un’importanza particolare.
Questa seconda ipotesi si dimostrò esatta, ma la potemmo convalidare solo qualche tempo dopo, quando emerse un nuovo documento, rimasto inedito a lungo nonostante l’importanza che avrebbe avuto «a caldo» per una definizione accurata della più autentica dimensione teorica guevariana. La marea di sciocchezze che dopo la sua morte furono scritte in libri e articoli sul «marxismo-lenismo» del Che e sulla sua presunta ortodossia, si sarebbe potuta evitare anche grazie alla lettera che sto per esaminare e che fornisce la chiave esplicativa del progetto «boliviano» di letture qui menzionato.

Scena 2[Dar es Salaam, 1965]
Chiuso nell’abitazione dell’ambasciatore cubano in Tanzania (Pablo Rivalta, 1925-2005), reduce dalla sconfitta della spedizione militare in Congo («la historia de un fracaso», la definì lo stesso Guevara) e prima di trasferirsi a Praga, il Che scrisse il 4 dicembre 1965 un’importante lettera ad Armando Hart Dávalos (1930-2017). Questi era un dirigente storico del Movimento 26 di Luglio [M26-7], marito della fondatrice di Casa de la Américas (Haydée Santamaría Cuadrado [1920-1980]) e padre della «trotskoguevarista» Celia Hart Santamaría (1963-2008), che così si autodefiniva negli ultimi anni, prima di morire in un incidente d’auto. Armando Hart era stato il primo ministro dell’Educazione nel governo cubano, dal 1959 al 1965. Sarà poi ministro della Cultura dal 1976 al 1997 e lascerà una serie di opere teoriche tra le quali vale la pena di citare in questa sede il saggio su Marx, Engels e la condizione umana(2005). Vedremo perché.
Dopo una premessa in cui Guevara informava Armando Hart della propria ripresa d’interesse per gli studi di filosofia, la lettera sviluppava due temi fondamentali: 1) la constatazione desolata dello stato in cui versavano gli studi sul marxismo a Cuba per mancanza di materiali che non fossero quelli prodotti dal mondo sovietico; 2) un piano di studi ben strutturato da far approvare e realizzare concretamente il prima possibile.
È da notare che nella premessa vi era l’ammissione da parte del Che di aver tentato in due «riprese» §[rounds]§ di approfondire la filosofia del «maestro Hegel», finendo sempre al tappeto, ma avendone ricavato la convinzione di dover ricominciare gli studi filosofici dagli inizi (vedi il punto 2).
Riguardo al primo punto Guevara affermava che a Cuba non esistevano materiali seri di marxismo, se si escludevano «los ladrillos soviéticos que tienen el inconveniente de no dejarte pensar, ya que el partido lo hizo per ti y tú debes digerir»§«i mattoni sovietici che hanno l’inconveniente di non lasciarti pensare, giacché il partito lo ha fatto per te e tu devi digerire»§. Un metodo che il Che definiva «antimarxista» e che si fondava sulla cattiva qualità dei libri disponibili (per lo più di matrice sovietica). Libri che si pubblicavano sia per comodità editoriale (visto che l’Urss contribuiva finanziariamente, aggiungo io) sia per «seguidismo ideológico»§«codismo ideologico»§ nei confronti degli «autori sovietici e francesi». Con i secondi Guevara intendeva riferirsi ai marxisti ufficiali del Pcf - che in quel periodo andavano per la maggiore non solo in Francia, ma anche in vari altri partiti comunisti - raccolti sotto la supervisione di Roger Garaudy (1913-2012) all’epoca ancora stalinista, prima di intraprendere le molte svolte che lo porteranno a convertirsi all’islamismo nel 1982.
Riguardo al secondo punto, non si fatica a riconoscere una griglia interpretativa applicabile a una parte importante del piano di letture che il Che redigerà in Bolivia circa un anno dopo e di cui si è parlato. Questo precedente progetto di studio (che era personale, ma che il Ministero avrebbe dovuto organizzare anche per il popolo cubano) appariva diviso in otto sezioni. E per ogni sezione venivano indicati alcuni autori da pubblicare o da approfondire:
1.La storia della filosofiada inquadrare nell’opera di uno studioso possibilmente marxista (si citava Michail Aleksandrovič Dinnik [1896-1971] autore di una storia della filosofia in 5 voll.), senza ovviamente trascurare Hegel.
2.I grandi dialettici e materialisti. Per cominciare, Guevara citava Democrito, Eraclito e Leucippo, ma gli appunti boliviani ci fanno capire che stava pensando anche all’opera di Rodolfo Mondolfo (1877-1976), noto marxista italiano emigrato in Argentina nel 1939 per sfuggire in quanto ebreo alle leggi razziali adottate dal fascismo. Una sua storia de El pensamiento antiguoera stata tradotta in spagnolo e pubblicata in varie edizioni, a partire dal 1942.
3.Filosofi moderni. Non venivano fatti nomi in particolare, ma il Che non escludeva la pubblicazione di «autori idealisti», purché li si accompagnasse a un apparato critico.
4.Classici dell’economia e precursori. Adam Smith, i Fisiocratici...
5.Marx e il pensiero marxista. Guevara lamentava l’inesistenza a Cuba di alcuni testi marxiani fondamentali e proponeva la pubblicazione di opere di Marx-Engels, Kautsky, Hilferding, Luxemburg, Lenin, Stalin «y muchos marxistas contemporáneos no totalmente escolásticos» §«e molti marxisti contemporanei non totalmente scolastici»§. Questo ultimo avviso si ricollegava al punto 7.
6.Costruzione del socialismo. Con particolare attenzione a governanti del passato e agli apporti di filosofi, economisti e studiosi di statistica.
7.Eterodossi e capitalisti(purtroppo raccolti sotto la stessa sezione [n.d.a.]). Oltre al revisionismo sovietico (per il quale Guevara non poteva non citare il Chruščëv dell’epoca sua), tra gli eterodossi veniva nominato Trotsky, accompagnandolo con una frase sibillina, quasi a dire che era arrivato il momento di prendere atto che anche luiera esistito e che «aveva scritto» delle cose. Mentre fra i teorici del capitalismo si citavano come esempi Marshall, Keynes e Schumpeter da «analizzare a fondo».
8.Polemiche. Con l’avvertenza che proprio grazie alle polemiche era avanzato il pensiero marxista, Guevara affermava che non si poteva continuare a conoscere la Filosofia della miseriadi Proudhon solo attraverso la Miseria della filosofiadi Marx. Occorreva andare alle fonti. Rodbertus, Dühring, il revisionismo (qui s’intendeva quello della socialdemocrazia tedesca), le controversie degli anni ‘20 nell’Urss. Questa sezione veniva indicata dal Che come la più importante ed era evidente l’intento di una polemica diretta contro il conformismo dilagante nel partito cubano e nell’insieme del mondo prosovietico. E non a caso il tema del «seguidismo» §«codismo»§ ricompariva nella conclusione della lettera, con un accenno di velata complicità rivolto fraternamente ad Armando Hart contro «los actuales responsables de la orientación ideológica»§«i responsabili attuali dell’orientamento ideologico»§ ai quali, secondo il Che, non sarebbe stato «prudente» inoltrare quel tipo di progetto di studi.
Un invito alla «prudenza» che Armando Hart prese un po’ troppo alla lettera, decidendo di tenere nascosto un testo così prezioso. Ma oltre alle preoccupazioni fondate del Che, egli aveva una ragione particolare tutta sua per non far circolare la lettera (e la figlia Celia mi disse [a ottobre 2006] di non averglielo potuto perdonare quando era venuta a saperlo): il ministro cubano dell’Educazione aveva avuto e forse ancora aveva delle simpatie particolari per Trotsky e le aveva mantenute gelosamente segrete visto che non erano mai affiorate in alcuno dei suoi libri. Ma Guevara - unico dirigente cubano che della questione Trotsky si era saltuariamente interessato - ne era venuto in qualche modo al corrente. Per questo quando nella lettera nominò il celebre «eretico», rivolgendosi ad Armando Hart lo definì «tu amigo Trotsky»§«il tuo amico Trotsky»§. Nella Cuba del 1965, a un mese dal Congresso della Tricontinentale (gennaio 1966), in cui il discorso conclusivo di Fidel Castro (1926-2016) avrebbe segnato anche in forma ufficiale e definitiva il passaggio di Cuba nel campo sovietico (già avvenuto da tempo nella sostanza), il sospetto di simpatie trotskiste sarebbe stato incompatibile con la carica governativa ricoperta. Per questo la lettera «scomparve» per oltre trent’anni.
Sarà pubblicata per la prima volta a settembre 1997 in Contracorriente(a. III, n. 9) e poi dallo stesso Hart nel 2005, nel libro su Marx ed Engels citato (pp. XLIII-XLVIII), con riproduzione fotostatica delle pagine originali. Fu così quindi, solo dopo aver preso visione di un testo così prezioso per stabilire il livello di riflessione sul marxismo raggiunto da Guevara, che per quelli di noi interessati a farlo divenne possibile fornire una spiegazione valida per il piano di letture abbozzato nell’agenda del diario di Bolivia. Nelle parole tratte da Otro mundo es posible, di Néstor Kohan (n. 1967), principale studioso del Che in Argentina:
«Esta carta permite observar el grado de madurez alcanzado por el Che en cuanto a la necesidad de búsqueda de una alternativa filosófica e ideológica autónoma frente a la “ortodoxia” marxista, incluyendo dentro de ella, tanto a la cultura oficial de la Unión Soviética como a la oficialidad por entonces en China» (Otro mundo es posible, p. 155) §«Questa lettera permettere di cogliere il grado di maturità raggiunto dal Che riguardo alla necessità di ricercare un’alternativa filosofica e ideologica autonoma nei confronti dell’“ortodossia” marxista, includendovi sia la cultura ufficiale dell’Unione Sovietica, sia l’ufficialismo esistente all’epoca in Cina».§
Nel momento in cui scriveva una lettera così importante, Guevara stava vivendo un periodo di transizione tumultuosa, forse il più instabile della sua vita, certamente il più drammatico: andato via da Cuba e sconfitto nel gran debate económico; dimissionario dagli incarichi governativi e senza più alcuna cittadinanza; privato del sostegno del suo grande amico Ahmed Ben Bella (1916-2012) rovesciato a giugno 1965 dal colpo di stato di Houari Boumédiène (1932-1978) con cui era iniziato il declino della rivoluzione algerina; reduce dal disastro congolese; ostile alla politica di coesistenza pacifica dei sovietici; critico lucido e agguerrito del modello di costruzione del socialismo in Urss; consapevole dell’involuzione che stava vivendo la rivoluzione cubana; ansioso di tornare a ciò che egli considerava un’autentica prassi rivoluzionaria (la guerra di guerriglia); diffidente verso le certezze teoriche propagandate come «marxismo ortodosso» e «leninismo».
Era evidente che la riflessione teorica che desiderava riprendere in forma sistematica e quasi «professionale» - e della quale aveva parlato per primo ad Armando Hart (forse perché anch’egli in vago odore di eresia...) - era a sua volta un prodotto delle delusioni politiche più recenti. Restava solo il dubbio su quanto antiche fossero in campo teorico le radici «genetiche» di quelle delusioni alle quali avrebbero dovuto porre riparo le nuove riflessioni.

FLASHBACK
Scena 3[Lima, 1952]
Per rispondere occorre fare un salto indietro nel tempo, al primo incontro con il marxismo che il giovane Ernesto aveva vissuto personalmente a Lima, in Perù, in un periodo della sua vita in cui aveva già deciso di impegnarsi nella ricerca di una propria strada al di fuori dell’Argentina. Al di fuori cioè di un grande Paese in cui, nei primi anni ‘50, l’alternativa ideologica per un giovane radicale intenzionato a lottare per ideali di emancipazione sociale rischiava di rimanere schiacciata fra due poli principali: il peronismo anticomunistao l’antiperonismo stalinista. Non mancavano certo alternative di terzo o quarto tipo, «migliori» ma minori, giacché la patria di Domingo Faustino Sarmiento (1811-1888) e del movimento continentale della Reforma Universitaria(«el Grito de Córdoba» del 1918) era stata il principale brodo di coltura per correnti eretiche o eterodosse più d’ogni altro paese latinoamericano, seconda forse solo al Messico. Ma per qualche tempo il giovane Ernesto non ne ebbe sentore o non ne avvertì la necessità.
Di un qualche interesse per la storia della sua formazione teorica è il fatto che alla fine del liceo aveva cominciato a compilare un «Dizionario filosofico», di cui ci restano alcuni stralci e la descrizione fornita dall’amico d’infanzia ad Alta Gracia, José (Pepe) González Aguilar (n. 1928?).
I coniugi Guevara erano antiperonisti ma non erano marxisti, cattolici ma non praticanti. La madre (Celia de la Serna y Llosa [1906-1965]) fu una donna molto indipendente, radicale e dotata di notevoli interessi intellettuali, anticonformistici per l’epoca e l’ambiente in cui visse: la sua influenza fu determinante sulla formazione di Ernesto e ciò è riconosciuto da molti, a cominciare dal secondo dei fratelli (Roberto Guevara [n. 1932]) che con grande enfasi me ne parlò una prima volta a novembre 1992.
Il gruppo degli amici apparteneva per lo più a famiglie antifasciste e antifranchiste, ma non comuniste. Faceva eccezione l’amica di università, Tita Infante (m. 1976) con la quale Ernesto mantenne un lungo e intenso scambio epistolare a partire dal 1947, da lei corrisposto con sentimenti che andavano oltre la semplice amicizia. Tita era iscritta alla Gioventù comunista della facoltà di Medicina di Buenos Aires e a lei Ernesto comunicava a volte i progressi compiuti nella lettura dei primi testi marxisti. Secondo la testimonianza di Celia Guevara de la Serna (sorella del Che, n. 1929) - riportata da Adys Cupull (n. 1937) e Froilán González (n. 1943) (in Cálida presencia, p. 12) - fu lei a introdurlo alle lettura di Aníbal Ponce (1898-1938), il grande psicologo argentino morto in Messico della cui estesa opera i due lessero in particolare le opere più propriamente marxiste: Educación y lucha de clasesEl viento en el mundoe soprattutto (fondamentale per la futura elaborazione di un’etica marxista da parte del Che)Humanismo burgués y humanismo proletario.
Nel giro delle amicizie, faceva eccezione anche il «Petiso», il compagno del celebre viaggio in motocicletta - Alberto Granado Jiménez (1922-2011) - il biochimico che fin dagli anni universitari si era legato al Partito comunista argentino già allora diretto da un famigerato esponente dello stalinismo, l’italiano Victorio Codovilla (1894-1970). 
E fu proprio durante il viaggio con Granado che il giovane Ernesto ebbe occasione di frequentare il dottor Hugo Pesce (1900-1969), leprologo di formazione medica italiana e di fama internazionale, specialista in fisiologia, appassionato di filosofia e intellettuale dotato di «una cultura marxista formidabile» - per come lo descrisse Ernesto in una lettera a suo padre (don Ernesto Guevara Lynch [1900-1987]). Pesce era membro del Partito comunista peruviano e nel 1929, alla Conferenza comunista di Buenos Aires, era stato uno dei due delegati mariateguiani, cioè seguaci di José Carlos Mariátegui (1894-1930), il principale marxista latinoamericano il cui pensiero cominciò da quel momento ad avere una notevole influenza sulla formazione del giovane Ernesto, soprattutto nello stimolare una sua precoce «scoperta» della questione sociale indigena, andina in modo particolare.
Non è escluso, infatti, che l’interesse teorico di Ernesto per gli indios(nato inizialmente dalla passione per l’archeologia precolombiana e solo in seguito trasformatosi in tema di lotta antimperialistica) e per l’opera di Mariátegui sia cominciata proprio in casa di Hugo Pesce. Questi fece alloggiare i due giovani amici in un ospedale, ma li ebbe spesso ospiti all’ora dei pasti. Dai loro diari sappiamo quanta influenza positiva ebbero su Ernesto le conversazioni con quell’allievo diretto di Mariátegui, a sua volta uomo di scienza e di dialettica marxista. Se veramente il marxismo di Guevara prese le mosse di lì - come sono propensi a pensare i principali biografi - occorre dire che non avrebbe potuto avere inizio migliore, in senso politico e filosofico.
«Coming at the right moment in his own quest for a guiding social philosophy, Pesce’s beliefs and personal example offered a potential structure to emulate. From then on, the idea that he should find something similar for himself began forming in Ernesto’s mind. As for Marxism-Leninism, he was interested, but he still had to acquire more knowledge before committing himself to a particular ideology» (Anderson, pp. 85-6).§«Giungendo al momento giusto della sua ricerca di una filosofia sociale che lo guidasse, le idee di Pesce e il suo esempio personale fornivano una struttura potenziale da emulare. Di lì in poi l’idea che dovesse trovare qualcosa simile per se stesso cominciò a formarsi nella mente di Ernesto. Riguardo al marxismo-leninismo egli era interessato, ma doveva ancora acquisire maggiori conoscenze prima di votarsi a un’ideologia in particolare».§
La stima che Guevara manterrà sino alla fine per questa complessa e affascinante figura di medico/militante/marxista (un riflesso evidente di ciò che lo stesso Ernesto aspirava a diventare, cogliendo in Pesce una sorta di «alter-super-ego»), è confermata dalle parole che gli scrisse nel 1962 come dedica al libro Guerra de guerrillas:
«Al Doctor Hugo Pesce que provocara, sin saberlo quizás, un gran cambio en mi actitud frente a la vida y la sociedad, con el entusiasmo aventurero de siempre, pero encaminado a fines más armónicos con las necesidades de América. Fraternalmente Che Guevara».§Al Dottor Hugo Pesce che produsse, forse senza saperlo, un gran cambio nel mio atteggiamento di fronte alla vita e alla società, con l’entusiasmo avventuriero di sempre, ma incamminato verso fini più armonici rispetto alle necessità dell’America [del Continente americano (n.d.a.)]. Fraternamente Che Guevara».§
Scena 4[Roma, 1969]
Per un caso fortuito della storia, la seconda influenza decisiva per l’adesione di Ernesto Guevara al marxismo fu anch’essa peruviana, nella persona di una giovane economista dagli inconfondibili tratti inca, militante dell’ala sinistra dell’Apra (l’Alianza popular revolucionaria americanafondata nel 1924 in Messico da Víctor Raúl Haya de la Torre [1895-1979]), rifugiata in Guatemala e attiva politicamente nel mondo degli esuli: Hilda Gadea Acosta (1925-1974), prima moglie del Che e madre di Hildita (1956-1995). La sua vicenda personale di donna dapprima lungamente corteggiata, poi moglie e  madre, di «professora» di marxismo per il Che, di compagna di lotta nel Guatemala del 1954 e in Messico fin quasi alla partenza del Granma nel 1956, s’intrecciò con anni fondamentali nell’itinerario teorico di Ernesto: gli anni in cui avvenne la sua adesione definitiva al marxismo, per motivi in primo luogo ideologici ma finalizzata anche a compiti politici e di lotta. Un perfetto connubio di teoria e prassi quale difficilmente si troverà esemplificato nei «Manuali» o in altri celebri esponenti del «marxismo-leninismo».
Furono «anni decisivi» per la nascita di questa figura divenuta ormai tra le più emblematiche del marxismo rivoluzionario novecentesco, come ripete giustamente il titolo del libro (Años decisivos, 1972) che Hilda decise di scrivere per raccontare quella vicenda umana e politica. Grazie a quella decisione (sofferta, come posso testimoniare personalmente) essa ci ha lasciato una testimonianza insostituibile, teoricamente elaborata, sincera e attendibile, arricchita dal pregio ulteriore di descrivere anche dall’interno, in termini quindi psicologici, una così importante trasformazione ideologica di Ernesto Guevara.
Oltre al compito di raccontare la vicenda guatemalteca-messicana del Che, Hilda si era però assunta un altro compito da assolvere, visto che suo fratello Ricardo Gadea (n. 1939, dirigente del Movimiento de izquierda revolucionaria[Mir]) era in carcere in Perù, insieme con altri famosi prigionieri politici come Hugo Blanco (n. 1934), Héctor Béjar (n. 1935), Elio Portocarrero Ríos, a rischio sempre delle loro vite. Dato che in Italia vi erano alcune personalità molto note del mondo della cultura (il compositore Luigi Nono [1924-1990], il pittore Ennio Calabria [n. 1937] e altri) disposte a impegnarsi in una campagna di denuncia, Hilda scelse il nostro Paese per dar vita a un Comitato di solidarietà con i prigionieri politici peruviani, trascorrendovi dei lunghi periodi tra il 1969 e il 1971. E poiché l’anno prima a Cuba (dove ero stato ospite del Governo da luglio a dicembre) era nata tra noi due una forte intesa e una bella amicizia, mi chiese di aiutarla a costituire e dirigere il Comitato. Il tutto fu facilitato dal fatto che a Roma Hilda viveva in casa di mia sorella Rossana (n. 1940), dove per qualche tempo alloggiai anch’io, non avendo ancora una stabile dimora. E fu proprio lì che essa cominciò a scrivere il libro di ricordi sul Che e fui io, per una serie fortuita di eventi, il primo o uno dei primi «lettori» al quale Hilda raccontò a voce ciò che in seguito si potrà leggere nel suo libro.
Tutto ciò che avvenne tra il Guatemala e il Messico è ormai storia nota, raccontata nelle principali biografie; ma in quel finire degli anni ‘60 Hilda era l’unica fonte diretta e attendibile riguardo alla formazione marxista del Che, visto che l’«insegnante» era stata lei: ciò poté avvenire perché era più preparata di Ernesto, essendo laureata in economia, e soprattutto perché aveva una formazione marxista antiortodossa, di provenienza aprista (quindi più genuinamente latinoamericana) e non sovietica (cioè staliniana e dogmatica).
Ho già fornito un resoconto di quelle conversazioni «romane» con Hilda nel mio Che Guevara. Pensiero e politica dell’utopia, e non è il caso di ripeterle in questa sede. Può essere interessante, tuttavia, riportare i titoli o i nomi degli autori che i due lessero, commentarono e discussero (a volte anche animatamente come scrisse il Che in una lettera ai famigliari): Tolstoj, Gor’kij, Dostoevskij, Kropotkin (Memorie di un rivoluzionario), Engels (AntidühringL’origine della famiglia, Il socialismo dall’utopia alla scienzaecc.), Lenin (Che fare?Imperialismo) e ovviamente varie opere di Marx, oltre al Manifestoe il Capitale. Riguardo a quest’ultimo scrisse Hilda:
«...yEl Capitalde Marx, con el que estaba yo más familiarizada por mis estudios de economía» (p. 36). §«...Il Capitaledi Marx, con il quale io avevo una maggiore familiarità per i miei studi di economia» (p. 29).§
Volendo riassumere il punto di vista di Hilda Gadea rispetto a quella fase d’intensa compartecipazione teorica e di fresca ed entusiastica adesione guevariana al marxismo, devo dire che nelle conversazioni che ebbe con me essa pose enfasi su due aspetti che all’epoca erano effettivamente cruciali e che il tempo ha invece disperso tra le brume delle divergenze teoriche ormai sorpassate e obsolete.
In primo luogo Hilda mantenne viva e trasmise a Ernesto la concezione per cui la rivoluzione nei paesi arretrati, dipendenti o in via di sviluppo, non può fare affidamento sulle borghesie nazionali, nè in quanto tali - cioè nel loro insieme come concrezioni storiche di determinate classi capitalistiche dipendenti (quelle che già parlando con lei io definivo come «subimperialistiche») - né su loro settori presuntamente progressisti. Questi settori apparivano inevitabilmente contrassegnati da interessi di classe che in ultima analisi li avrebbero sempre portati a scontrarsi con i processi di reale emancipazione sociale, sia nel mondo rurale sia con il proletariato urbano. A merito di Hilda e a onore di Guevara si deve riconoscere che egli non venne mai meno a questa fondamentale intuizione politica ricavabile dalla migliore tradizione teorica del marxismo rivoluzionario novecentesco.
In secondo luogo essa cercò di conquistare Ernesto a una critica radicale del marxismo sovietico, sia per le responsabilità che esso aveva avuto nel passato per il processo degenerativo della rivoluzione d’Ottobre, sia per la sua contemporanea politica di convergenza con l’imperialismo nel mantenimento dello statu quo mondiale. È vero però che Hilda nutriva illusioni sul comunismo cinese, e all’epoca il conflitto Urss-Cina era un tema di bruciante attualità. Vedremo che Guevara non le darà sempre ascolto su questo duplice aspetto di un’unica realtà internazionale nata a Jalta e passerà attraverso oscillazioni a favore e contro il marxismo sovietico, a favore e contro il cosiddetto «maoismo», perdendo la vita purtroppo prima di arrivare a una sintesi superiore di entrambi questi rifiuti.
Ma di questo parleremo più avanti.  

Sull’impegno messo da Ernesto nello studio del marxismo negli anni del Guatemala e Messico (1954-56) abbiamo anche tre testimonianze di suoi amici o futuri compagni della spedizione verso Cuba. Ne parla Mario Dalmau de la Cruz, un cubano esiliato in Guatemala dopo aver partecipato all’assalto al Cuartel Moncada (Ernesto «aveva letto tutta una biblioteca marxista», in Granmadel 29 ottobre 1967). Ne parla Darío López che invece ci informa che fu il Che a scegliere le opere di marxismo per la biblioteca del campo di addestramento dei partecipanti alla spedizione del Granma e che la polizia messicana sequestrerà (in Granmadel 16 ottobre 1967).
E ne parla l’argentino Ricardo Rojo (1923-1996), il compagno di viaggio che scrisse la prima contestatissima biografia di Guevara e che inventò la celebre frase attribuita erroneamente al Che («Hay que endurecerse, pero sin perder la ternura jamás»). Rojo ci informa che grazie all’amicizia con Arnaldo Orfina Reynal (1897-1997), l’argentino che dirigeva la più grande impresa editoriale del Messico (il Fondo de Cultura Económica), Guevara poté mettersi a vendere libri e quindi ebbe a disposizione molte opere che altrimenti non avrebbe avuto la possibilità di comprare:
«Los clásicos del marxismo, la colección de obras de Lenin, textos relativos a la estrategia militar de la Guerra civil española, pasaban antes los ávidos ojos de Guevara por la noche, y a la mañana volvían a l’interior de la cartera de cuero con la que recorría oficinas y casas particulares» (Mi amigo el Che, p. 87).§[«I classici del marxismo, la collezione delle opere di Lenin, testi relativi alla strategia militare della Guerra civile spagnola passavano davanti agli occhi avidi di Guevara durante la notte, e al mattino tornavano dentro la cartella di cuoio con la quale vistiva uffici e case private».]§
Il direttore del Fcefornì i tre volumi del Capitalea Guevara e questi - che li avesse letti integralmente o no, visto lo scarso tempo a disposizione e le difficoltà di studio che essi implicavano - si ritrovò nel giro di pochi mesi a impartire lezioni ai cubani del Movimento 26 di luglio sul marxismo e su Marx. Quest’ultimo egli lo chiamava ora scherzosamente «San Carlos», rifacendo il verso agli «eroi» della Sacra famiglia.
Ernesto comunica questo suo nuovo impegno in una lettera un po’ cifrata inviata alla madre il 17 giugno 1955. E analogamente scrive all’adorata zia Beatriz Guevara Lynch l’8 gennaio 1956:
«...leo frecuentemente a San Carlos y sus discípulos, sueño con ir a estudiar la cortisona con una francesita de ésas que se las sepan todas...». [«...leggo spesso San Carlo e i suoi discepoli, sogno di andare a studiare il cortisone [i paesi d’oltrecortina (n.d.a.)] con una di queste francesine che sanno tutto...».]
Il tema di «San Carlos» compare in varie altre lettere del periodo inviate a persone care: il 15 aprile 1956 al padre; tra agosto e settembre alla madre; verso ottobre a Tita Infante («asiduo lector de Carlitos y Federiquitos y otros itos»§«lettore assiduo di Carletti e Fedrichetti e altri etti»§); ancora a ottobre alla madre («Ahora San Carlos es primordial, es el eje, y será por los años que el esferoide me admita en su capa más externa»§[«Ora San Carlo è primordiale, è l’asse, e lo sarà negli anni in cui lo sferoide mi ammetterà nel suo strato più esterno».]§
Non possono esservi dubbi, quindi, che se l’adesione al marxismo fu iniziata nelle conversazioni con Hugo Pesce, essa fu però realmente costruita con la valanga di letture compiute in Guatemala e in Messico, in parte sotto la guida di Hilda Gadea, in parte sotto la pressione degli eventi e dei nuovi impegni politici tra i quali l’addestramento militare impartito dal generale della Guerra civile spagnola Alberto Bayo y Giroud (1892-1967), l’arresto e il carcere messicano, la preparazione definitiva della spedizione del Granma.
In mezzo c’era stata anche la «scoperta» della lotta di classe, quella vera, armata e di massa, operaia nella composizione sociale e nelle rivendicazioni: era stata la rivoluzione boliviana iniziata nel 1952 e che Guevara visse come testimone diretto nell’estate del 1953. E anche tale esperienza decisiva andrebbe messa nel novero degli elementi che conquistarono Guevara al marxismo, soprattutto a una concezione sua caratteristica e più autentica, per cui l’impegno nella pratica non si sarebbe mai dovuto disgiungere dall’elaborazione teorica. Ma sull’importanza della prima esperienza boliviana del giovane Ernesto non si può che rimandare ad altri lavori.
Lo stesso dicasi per l’esperienza della fallita rivoluzione nel Guatemala di Jacobo Árbenz (1913-1971): una vicenda in cui Guevara vide frustrato il suo primo vero sogno rivoluzionario e in cui per la prima volta partecipò attivamente a una lotta di massa. Disilluso dal comportamento conciliatorio e remissivo del locale partito comunista (il Partido guatemalteco del trabajo[Pgt]) tirò un bilancio negativo di quell’esperienza nel suo primo articolo politico. Bloccò anche la propria adesione al partito in cui stava per entrare, avendo capito che non bastava definirsi «marxisti» per esserlo veramente: da quel momento iniziava la sua diffidenza verso la forma partito in quanto tale. Nel corso della sua intensa vita politica di combattente per la causa della rivoluzione non aderirà ad alcun partito che fosse realmente tale. Fu membro, invece, attivo e dirigente del M26-7 e della sua espressione armata (l’Exército Rebelde) fintantoché tale movimento sopravvisse. È noto, infatti, che Guevara lasciò Cuba prima che si formalizzasse la costituzione del Partito comunista cubano [Pcc] e la designazione a ottobre 1965 del suo Comitato centrale di cui il Che non fece mai parte.

Intervallo
Scena 5[Sierra Maestra, 1956-58]
L’intervallo fu reale: un’autentica rottura «epistemologica» si potrebbe dire con una vena d’ironia althusseriana, giacché tra la partenza per la spedizione del Granma e la conclusione vittoriosa della campagna di Las Villas - che Guevara terminò con la battaglia di Santa Clara da cui ebbe inizio la sua «leggenda» - s’interruppela riflessione filosofica su testi di marxismo e la lettura stessa dei testi. L’interruzione durò un po’ più di un biennio, iniziando con la partenza da Tuxpan (quando l’unico dotato di una precedente esperienza militare era l’italiano Gino Doné [1924-2008] per il fatto di aver partecipato  alla Resistenza in Veneto), passando attraverso l’occupazione  delle due principali roccaforti militari all’Avana - sotto la guida del Che e di Camilo Cienfuegos (1932-1959) - e concludendosi con l’instaurazione del nuovo regime diretto da Fidel Castro. Furono tempi di guerriglia sui monti e attentati nelle città, di scioperi, di riforma agraria, di espropri e nazionalizzazioni, di creazione di una nuova struttura statale. Non certo tempi di riflessione teorica, di studio o di approfondimento del messaggio marxiano.
DaiPassaggi della guerra rivoluzionariae dalle memorie di vari combattenti si ricava la percezione di un profondo disinteresse verso i problemi di teoria politica da parte della direzione castrista - in questo molto diversamente da quanto era accaduto nel primo periodo della rivoluzione russa - e si ha l’impressione che il Che fosse chiuso in una sorta di autoisolamento teorico. Lo ammise egli stesso scrivendo alla figura politica che personalmente ho sempre considerato la più rappresentativa della rivoluzione cubana (il comandante René Ramos Latour [«Daniel», 1932-1958]), morto in combattimento, ma solo dopo aver tenuto testa al Che in una polemica che meriterebbe la massima attenzione e invece, per ipocrisia politica, viene quasi sempre ignorata o comunque sminuita.
Il 14 dicembre 1957 il Che gli scrisse una lunga lettera, molto critica delle posizioni del llano(il M26-7 nelle città di cui Daniel era stato il principale dirigente dopo la morte di Frank País [1934-1957]), affermando:
«Pertenezco, por mi preparación ideológica, a aquellos que creen que la solución de los problemas del mundo está tras el llamado telón de aceroy considero este movimiento como uno de los tantos provocados por el afán de la burguesía de liberarse de las cadenas económicas del imperialismo.
Siempre he considerado a Fidel como un auténtico líder de la burguesía de izquierda, aunque su personalidad está caracterizada por cualidades personales de extraordinario valor, que lo ponen muy por encima de su clase. 
Con aquel espíritu inicié la lucha: honestidad sin la esperanza de ir más allá de la liberación del paísdispuesto a irmecuando las siguientes condiciones de lucha hicieran girar hacia la derecha (hacia lo que ustedes representan) toda la acción del Movimiento» (corsivi miei).
§«Appartengo,per la mia preparazione ideologica, a quelli che credono che la soluzione dei problemi nel mondo si trovi dietro la cosiddetta cortina di ferroe considero questo movimento come uno dei tanti provocati dall’affanno della borghesia di liberarsi dalle catene economiche dell’imperialismo.
Ho sempre considerato Fidel come un autentico leader della borghesia di sinistra, anche se la sua personalità è caratterizzata da qualità personali di straordinario valore, che lo pongono molto al di sopra della sua classe.
Con questo spirito ho iniziato la lotta: onestamente senza la speranza di andare al di là della liberazione del paesedisposto ad andarmenequando le condizioni della lotta successiva facessero girare a destra (verso quello che voi rappresentate) tutta l’azione del Movimento»§
Sarebbe lungo qui spiegare l’oggetto della polemica che è del massimo interesse per capire la dinamica della rivoluzione cubana, e comunque l’ho già fatto dettagliatamente in altre occasioni. Ma vanno tenute a mente almeno due aspetti: a) Guevara era arrivato a considerarsi definitivamente parte del campo comunista (sovietico) e come marxistasi considerava un militante isolato all’interno di un movimento democratico-borghese come il M26-7 e, benché questo fosse impegnato in una lotta armata, era disposto a riporvi fiducia solo fino a un certo punto (era evidente l’insegnamento di Hilda Gadea). b) Già nel 1957 riteneva di non poter esaurire la propria azione rivoluzionaria all’interno del movimento cubano e annunciava, con autentico spirito profetico, l’intenzione di partire per «altre terre del mondo», come accadrà meno di dieci anni dopo, se la sua formazione ideologica fosse diventata incompatibile col processo rivoluzionario in atto. Era una prova inequivocabile dello spirito internazionalistico che animava la sua recente adesione al comunismo, benché per il momento essa coincidesse con l’orientamento sovietico.
Era molto, ma era anche tutto. Non c’è altro d’interesse per la nostra riflessione sull’evoluzione del suo marxismo che si possa ricavare dagli anni sulla Sierra Maestra e della prima formazione del nuovo regime cubano.

Secondo tempo

ORTHODOXY STORY
Scena 6 [dall’Avana a Mosca, 1959-63]
Come è noto, il governo rivoluzionario assegnò al comandante Guevara compiti di grande rilievo, ma tutti interni alla sfera economica come presidente del Banco Nacional de Cuba, in una prima fase, e poi come ministro dell’Industria (all’epoca unificata in un solo dicastero) fino al giorno delle sue dimissioni divenute operative tra la fine del 1964 e la primavera del 1965.
Gli furono anche affidate importanti missioni all’estero che egli assolse quasi nelle vesti di un vero e proprio ministro degli Esteri - presso l’Onu, l’Oea (Organizzazione degli Stati americani), i paesi del Comecon, le nuove nazioni africane, vari movimenti di liberazione nazionale - diventando una sorta di «ambasciatore ambulante» della rivoluzione cubana. Questa parte importantissima della sua attività governativa esula dalla nostra riflessione. Ne parlano praticamente tutte le biografie, ma per averne un quadro d’insieme e una testimonianza diretta, consiglio in particolare il libro Caminos del Che, del comandante «Papito» Jorge Serguera (1932-2009) che, proprio grazie alla sua totale identificazione con le direttive segrete del governo cubano, si trovò ad assolvere un ruolo di primo piano in operazioni molto «delicate»: per es. come ambasciatore ad Algeri all’epoca di Ben Bella o incaricato dei rapporti con Juan Domingo Perón (1895-1974) nell’esilio spagnolo.
Gli anni del Che ministro dell’Industria sono anni di grande ripresa dei suoi studi di marxismo, oltre che delle varie altre materie necessarie per la gestione del suo Ministero: un campo in cui dovette imparare tutto partendo da zero, dimostrando però delle capacità di apprendimento veramente eccezionali. È ovvio che la natura particolare dell’incarico lo portò ad approfondire lo studio di Marx e degli epigoni soprattutto nel campo della critica dell’economia politica. Ma come vedremo nella prossima scena ciò non produsse in lui derive di tipo economicistico. Tutt’altro.
E anche la sua frequentazione assidua e iperattiva delle fabbriche e di altri centri produttivi non fece di lui un operaista. Da questo punto di vista la sua formazione marxista antidogmatica e originariamente non ortodossa costituì un efficace vaccino contro deformazioni che sarebbero state «naturali» in un neofita dello statalismo comunista, ammiratore per tutta una prima fase del modello sovietico e delle opere dei suoi ideologi in campo economico; queste a Cuba cominciarono a circolare in spagnolo molto prima che il paese entrasse ufficialmente nel Came (Comecon, 1972). Questa parte dell’azione e formazione economica guevariana è stata ricostruita ampiamente dal suo ex viceministro, Orlando Borrego (n. 1936) nel libro Che, el camino del fuegodel 2001 (in particolare nei primi cinque capitoli).
La migliore antologia di testi del Che dedicati a questioni economiche fu invece pubblicata in occasione del ventennale della morte, a cura dello storico Juan José Soto Valdespino (Temas económicos, 1988). Essa non poteva contenere ovviamente i testi guevariani dedicati alla polemica con le concezioni economiche sovietiche la cui pubblicazione fu ritardata dal governo cubano sino al 2006, quando l’Urss non esisteva più da circa quindici anni (ne parlo più avanti). Per uno studio più aggiornato delle idee economiche del Che si può ricorrere alla Introducción al pensamiento marxistacurata da Néstor Kohan per la Cátedra Ernesto Che Guevara delle Madres de la Plaza de Mayo
Al di fuori dell’impegno in campo economico, il Che continuò a leggere quanto più possibile di Marx e del marxismo ufficiale, essendo totalmente identificato per questa fase nella politica di avvicinamento ai sovietici che Fidel Castro intraprese nell’Isola a partire dai primi mesi dopo la vittoria rivoluzionaria. Su questa strada Guevara ebbe un ruolo trascinatore innanzitutto nel proporre all’editoria di Stato la pubblicazione di testi teorici prodotti oltre la «cortina di ferro», ma soprattutto nel difficile compito di «riabilitare» il locale Partito comunista (il Partido socialista popular[Psp]). Oltre all’originaria ostilità verso il M26-7 e l’assenza come gruppo dirigente (ma non come militanti di base) dal processo rivoluzionario, questo partito doveva farsi perdonare anche il sostegno dato nel 1940-44 al primo governo di Fulgencio Batista (1901-1973) - del quale aveva fatto parte con due ministri - e i successivi rapporti di ambigua collaborazione intrattenuti col secondo governo (dopo il golpe batistiano del 1952), giungendo persino a contrastare i tentativi di abbatterlo, come per es. l’assalto al Cuartel Moncada.
Conosceva Guevara questi trascorsi collaborazionistici del Psp? È difficile dire in che misura e fino a che punto, anche perché dopo la vittoria del 1959 erano stati fatti scomparire dalle biblioteche tutti i possibili documenti compromettenti sul Psp di Blas Roca (1908-1987), come potei verificare di persona nel 1968. Ma all’indomani della presa del potere era così forte l’identificazione di Guevara con il modello sovietico da spingerlo a sottovalutare questi trascorsi dello stalinismo cubano. Se ne pentirà amaramente in seguito, quando proprio dagli ex Psp verranno gli attacchi più duri alla sua gestione dell’industria, mentre l’apparato di propaganda sovietico internazionale avvierà dopo la sua scomparsa una campagna di calunnie riguardo a una sua presunta perdita della ragione, tanto da essere diventato... trotskista.
Ma nei primi anni ‘60 tutto ciò non sembra nemmeno delinearsi all’orizzonte per il ministro Guevara. Sono infatti gli anni in cui il suo marxismo si omologa agli standard dogmatici e scolastici del «materialismo dialettico» di marca sovietica - il famigerato Diamat- spingendolo a formulazioni intrise di evoluzionismo volgare e meccanicismo che solo in seguito egli rigetterà.
Il testo base e più celebre per questa riduzione «scientistica» del marxismo è «Note per lo studio dell’ideologia della Rivoluzione cubana» (in Verde Olivo, ottobre 1960) in cui l’adesione al marxismo nell’àmbito delle scienze sociali viene equiparata alla definizione che si autoattribuisce lo scienziato nel campo delle scienze naturali, fisiche o matematiche. I paragoni che fornisce Guevara sono molto significativi, quando egli afferma che a un fisico nessuno chiederà se sia «newtoniano» o a un biologo se sia «pasteuriano» perché tali essi sono per definizione e per impulso naturale. E anche se nuove ricerche e nuovi fatti porteranno a cambiare le posizioni iniziali, resterà sempre un sottofondo di verità negli strumenti impiegati per giungere a delle presunte certezze scientifiche. E questo è quanto accade a chi si considera marxista e lo è effettivamente. Il paragone «scientifico-naturalistico» con il marxismo continua citando Einstein con la relatività e Planck con la teoria dei quanti che secndo Guevara nulla hanno tolto alla grandezza di Newton: lo hannosuperatoma solo nel senso che ««el sabio inglés es el escalón necesario» per questo ulteriore sviluppo (Escritos y discursos, IV, p.  203).§«lo scienziato inglese rappresenta il passaggio necessario» per questo ulteriore sviluppo (Scritti scelti, II, p. 402).§
Guevara non sfugge a una conclusione definibile come deterministica ed evoluzionistica allo stesso tempo quando afferma che vi sono «verdades tan evidentes, tan incorporadas al conocimiento de los pueblos que ya es inútil discutirlas. Se debe ser “marxista” con la misma naturalidad con que se es “newtoniano” en física, o “pasteuriano” en biología» (pp. 202-3).§ci sono «delle verità così evidenti, così connaturate alla coscienza dei popoli, che è inutile discuterle. Si deve essere marxisti con la stessa naturalezza con la quale si è “newtoniani” in fisica o “pasteuriani” in biologia» (p. 401)§. Che è un modo nemmeno tanto raffinato di affermare una concezione dogmatica della scienza sociale, vale a dire nella fattispecie del marxismo.
Proseguendo l’analogia con la matematica in cui si è avuto «un Pitagora greco, un Galileo italiano, un Newton inglese, un Gauss tedesco, un Lobačevskij russo, un Einstein ecc.», Guevara afferma che anche nel campo delle scienze sociali si potrebbe tracciare l’itinerario di un grande processo di accumulazione del sapere da Democrito fino a Marx - ma questo, aggiungo io, in totale spregio della discontinuità che il marxismo attribuisce alla dialettica storica contrassegnata da rotture, salti, ricomposizioni e sintesi. Ma ormai per il Che Marx è diventato non solo lo studioso che «interpreta la storia e ne comprende la dinamica», ma anche colui che «prevede gli eventi futuri», che «profetizza» (più avanti si parla addirittura di «previsioni del Marx scienziato»), che è «artefice del proprio destino» e oltre a interpretare la natura dispone ormai degli strumenti per «trasformarla». Di qui l’ovvio riferimento alla necessità dell’azione rivoluzionaria come logica conseguenza di tanta scientifica conoscenza della natura, della storia e del mondo resa possibile dal marxismo, ormai considerato alla stregua di una scienza.
Questa visione piattamente materialistica era stata ricavata certamente da interpretazioni molto semplicistiche di opere di Engels (Anti-DühringDialettica della natura, Il socialismo dall’utopia alla scienza) e di Lenin (Materialismo ed empiriocriticismo) che qui non vengono citate, ma che Ernesto aveva letto in Guatemala e in Messico. L’equiparazione del marxismo alle scienze matematiche, fisiche o biologiche - che era stata moneta corrente per la marxologia di epoca staliniana - sfocia ora nel più grossolano evoluzionismo filosofico quando Guevara traccia una linea di continuità tra «Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao Tse-tung», arrivando addirittura a includere i «nuovi governanti sovietici e cinesi» in questa catena di Sant’Antonio del pensiero presuntamente marxista (Escritos y discursos, p. 204 §[Scritti scelti, p. 403]§): di tutti costoro, secondo il Che, si sarebbe dovuto seguire «il corpo di dottrina» e addirittura «l’esempio» (ma su Chruščëv avrebbe cambiato idea di lì a poco...).
Sarebbe ingeneroso proseguire con altre citazioni da questa ingenua elencazione dei presunti meriti scientifico-naturalistici del marxismo - che però stranamente qui non viene mai chiamato «materialismo dialettico», secondo quanto invece avrebbe prescritto la tradizione staliniana - e casomai bisognerebbe prendersela con quanti (molti, troppi) hanno indicato in questo articolo uno dei vertici sommi raggiunti da Guevara nella sua rielaborazione del marxismo. Tra questi purtroppo rientra Ch. Wrigth Mills (1916-1962) che incluse questo unico testo del Che nella sua celebre antologia The Marxists(1962). (Guevara ricambierà includendo tra i propri Apuntesdel 1966 - di cui parleremo - vari brani tratti da The Marxists.)
Riguardo al «marxismo» di Marx non vi è molto di più, perché il resto dell’articolo si lancia in un’analisi molto fantasiosa dello svolgimento della rivoluzione cubana che qui tralascio senza rimorsi. A suo tempo però dedicai una certa attenzione alla maniera sbrigativa con cui in quel testo il Che aveva liquidato alcune affermazioni dei due padri fondatori riferite al Messico e a Bolívar. Qui mi limito a riportare il brano di Guevara, ma per il mio commento rinvio all’analisi dettagliata che ne feci in Che Guevara. Pensamiento y política de la utopía, pp. 54-9) §in Che Guevara. Pensiero e politica dell’utopia, pp. 57-63.§. Con un’avvertenza: per quanto incredibile possa sembrare, il brano di critica a Marx che sto per citare fu soppresso, con evidente intento censorio, dai curatori degli Escritos y discursosin 9 volumi dell’Editorial de Ciencias Sociales (che è la raccolta che normalmente s’impiega per le opere del Che dopo il 1957): vedere per credere il vol. IV a p. 203. Del resto, nel passato la Fondazione Guevara ha individuato varie altre censure in questa raccolta «ufficiale» e in altre edizioni cubane delle Opere del Che, rendendo poi pubblica la denuncia di una tale scandalosa e ridicola situazione (vedi Cgqfn. 6/2006, pp. 73-84).
Ma poiché la mano destra della burocrazia ignora spesso ciò che fa la sinistra, il brano lo si può trovare integralmente riprodotto nella raccolta delle Obras 1957-1967, curata non a caso dalla Casa de las Américas nel 1970, quando la dirigeva una donna intelligente e anticonformista come Haydée Santamaría. Di lì lo riporto per intero, sia perché è un brano bello del Che (cosa che sembra non aver intenerito affatto l’animo dei censori), sia come umile omaggio per Marx in occasione del suo 200° compleanno:
«A Marx, como pensador, como investigador de las doctrinas sociales y del sistema capitalista que le tocó vivir, puede, evidentemente, objetársele ciertas incorrecciones. Nosotros, los latinoamericanos, podemos, por ejemplo, no estar de acuerdo con su interpretación de Bolívar o con el análisis que hicieran Engels y él de los mexicanos, dando per sentadas incluso ciertas teorías de las razas o las nacionalidades inadmisibles hoy. Pero los grandes hombres descubridores de verdades luminosas, viven a pesar de sus pequeñas faltas, y éstas sirven solamente para demostrarnos que son humanos, es decir, seres que pueden incurrir en errores, aun con la clara conciencia de la altura alcanzada por estos gigantes del pensamiento. Es por ello que reconocemos las verdades esenciales del marxismo como incorporadas al acervo cultural que nos da algo que ya no necesita discusión» (pp. 93-4).
§«A Marx come pensatore, come studioso delle scienze sociali e del sistema capitalistico in cui visse, si possono evidentemente addebitare alcune inesattezze. Noi latinoaemricani, per esempio, possiamo non essere d’accordo con il suo giudizio su Bolívar e con l’analisi che, insieme a Engels, Marx fece dei messicani, dando per scontate certe teorie sulla razza o la nazionalità, oggi inammissibili. Ma i grandi uomini, scopritori di luminose verità, sopravvivono nonostante i loro piccoli errori, che servono a renderli più umani: essi possono incorrere nell’errore senza che ciò incrini la nostra chiara consapevolezza del livello raggiunto da questi giganti del pensiero. E per questo diciamo che le verità essenziali del marxismo sono parte integrante della comunità culturale e scientifica dei popoli e le accettiamo con la naturalezza che ci deriva da qualcosa che non ha bisogno di ulteriori discussioni» (Scritti scelti, II, p.402).§
Le critiche che Guevara rivolgeva a testi marxengelsiani sull’America latina potevano far riferimento ad alcune entries§voci§ compilate da Marx ed Engels per la New American Cyclopaedia(pubblicata a New York in 16 voll, tra il 1858 e il 1863, sotto la direzione di Charles Anderson Dana [1819-1897], direttore per un ventennio anche del New York Daily Tribune), ma soprattutto a una lettera di Marx a Engels del 2 dicembre 1854 (in Opere complete, XXXIX, p. 434).
Dopo aver ricostruito la complicata vicenda, nel mio commento davo apertamente ragione ai due grandi amici e torto a Guevara. Ma aggiungevo una considerazione molto più grave riguardo al fatto che, nel saggio dedicato dal Che all’analisi dell’ideologia della rivoluzione cubana, non compariva nessuno dei grandi libertadores, nessun pensatore o scrittore latinoamericano impegnato nella lotta ideologica antispagnola, addirittura nemmeno lo stesso José Martí (1853-1895). Vi si citavano filosofi greci, fisici e matematici di varie epoche, oltre ovviamente a molto Marx, ma niente di autoctono in senso cubano o latinoamericano. Una insensatezza prodotta certamente dall’ansia del neofita che voleva dimostrarsi più marxista di Marx, ostentando un’acquisita familiarità con l’opera sua, ma che non può che lasciare interdetti. Più della concezione materialista volgare del marxismo ivi esposta, è l’assenza di riferimenti a ideologie o a concezioni politiche latinoamericane che costituisce la carenza più grave di quel testo infelice, che tanto piacque a suo tempo e magari continua ancora a piacere.
Non si trattava comunque di un caso isolato perché in altri testi dell’epoca comparivano analoghe visioni riduttive e distorte del metodo dell’analisi marxista, accompagnate a una palese ignoranza della grande tradizione di dibattito che nel corso di tutto il Novecento si era sviluppata a partire dall’originario lascito marxiano.
Si veda, per esempio, l’intervista più interessante che sia mai stata fatta a Guevara. Mi riferisco ovviamente al mio amico Maurice Zeitlin (n. 1935) che intervistò il Che il 14 settembre 1961 e pubblicò subito l’intervista in Root and Branch(copia fotostatica in Cgqfn. 9/2014, pp. 219-26), una rivista con base all’università di Berkeley in California, da dove fu variamente ripresa (v. Cuba, an American tragedy). Per l’occasione, pur avendo toccato temi politici di grande attualità teorica, Guevara ripeté in sintesi la vulgata materialistica precedente, ivi compreso il paragone con la biologia, al quale in quanto medico era evidentemente affezionato:
«We regard Marxism as a science in development, just as, say, biology is a science. One biologist adds to what others have done, while working in his own special field. Our specialty is Cuba» §«Noi guardiamo al marxismo come a una scienza in via di sviluppo, come è una scienza, diciamo, la biologia. Un biologo aggiunge il proprio contributo a ciò che altri hanno fatto, mentre lavora nel proprio campo specifico. La nostra specialità è Cuba».§
Nella risposta successiva, a rendere ancora più chiaro (e più grave) il paragone con la biologia, Guevara lo estese anche a Lenin: un «elogio» di cui dovrà pentirsi in seguito (nel 1964) quando prenderà nettamente le distanze da aspetti fondamentali della vulgata leninista:
«The value of Lenin is enormous - in the same sense in which a major biologist’s work is valuable to other biologists. He is probably the leader who has brought the most to the theory of revolution. He was able to apply Marxism in a given moment to the problems of the State, and to emerge with laws of universal validity»§«Il valore di Lenin è enorme - nello stesso senso in cui il lavoro di un grande biologo ha valore per altri biologi. Fu probabilmente il leader che più ha contribuito alla teoria della rivoluzione. A un determinato momento fu capace di applicare il marxismo ai problemi dello Stato e di emergerne con leggi di validità universale».§
È questa l’intervista in cui Guevara, incalzato da Zeitlin (che nella circostanza offrì un modello esemplare di comportamento per un autentico «intervistatore» che non voglia restare passivo e supino davanti alle risposte dell’intervistato), dovette riconoscere di non avere familiarità con grandi figure del socialismo come Eugene Debs (1855-1926) o Rosa Luxemburg (1871-1919). Riguardo a quest’ultima formulò solo una sorta di epitaffio ingeneroso dicendo che «she was a great revolutionary and she died a revolutionary, as a consequence of her political mistakes»§«fu una grande rivoluzionaria e morì da rivoluzionaria come conseguenza dei suoi errori politici».§ Sei anni dopo, le stesse parole si sarebbero potuto applicare al Guevara boliviano, altrettanto ingenerosamente.
L’impiego della formula «materialismo dialettico» ricorre ampiamente in un discorso fatto da Guevara in una consegna di premi al ministero dell’Industria, il 31 gennaio 1962 (Escritos y discursos, VI, pp. 79-90). Dopo aver elogiato entusiasticamente un libro di Blas Roca, il Che presenta una sorta di sintesi del grado di comprensione del marxismo da lui raggiunto in quella fase, totalmente sbilanciato dalla parte dell’ultimo Engels, come era ormai acquisito nella marxologia sovietica.
Nel brano che segue (p. 81) si colgano a) la teoria ingenuamente materialistica (e comunque infondata) dell’esistenza di duescienze, la borghese e la proletaria, b) l’attribuzione a Engels addirittura di una sua teoria per l’origine della vita sulla terra, c) l’applicabilità del metodo materialista dialettico a tutti gli aspetti della realtà (con Stalin si era arrivati sino alla linguistica e alla genetica), d) la sua identificazione di fatto con la scienza non capitalistica, quindi con quella «proletaria», anche se non viene ulteriormente specificato.
Insomma, si verifica da parte di Guevara un’adesione integrale alla teoria del Diamat e alle sue pretese di egemonia culturale su ogni aspetto della vita individuale e sociale.
«El concepto de la vida que da el materialismo dialéctico es diferente al concepto de la vida que da el idealismo; el concepto de las ciencias del materialismo dialéctico es también diferente. Desde hace muchos años Engels se había planteado que la vida era el modo de ser de la materia albuminoide; es una nueva concepción, es algo que en aquella época revolucionaba las ideas [...]. Por eso debemos ir buscando estas bases, ir aprendiendo a pensar con propiedad con el método del materialismo dialéctico en todo, no para una discusión política, no para un momento determinado, sino para aplicarlo como método en cada una de las tareas científicas o prácticas que tengamos que realizar. Todas las interpretaciones de la técnica, y por sobre todas las cosas la interpretación de la economía, tienen un cambio enorme, si se los ve a la luz del materialismo dialéctico o bajo las falsas luces de los conceptos capitalistas».
§«Il concetto della vita che ci offre il materialismo dialettico è diverso dal concetto della vita che ci offre il capitalismo: anche il concetto delle scienze del materialismo dialettico è diverso. Molti anni fa Engels aveva definito la vita come un modo d’essere della materia albuminoide; era una nuova concezione, qualcosa che all’epoca rivoluzionava le idee [...]. Per questo dobbiamo cercare tali basi, imparare a pensare con proprietà grazie al metodo del materialismo dialettico in ogni campo, non solo nelle discussioni politiche o in occasioni determinate, ma per applicarlo come metodo in ogni compito scientifico o pratico che dobbiamo assolvere. Tutte le interpretazioni della tecnica, e soprattutto l’interpretazione dell’economia cambiano enormemente, se si esaminano alla luce del materialismo dialettico o sotto le false luci delle concezioni capitalistiche».§
Del resto, se il Che ministro dell’Industria manifestò nei primi anni della rivoluzione un’adesione acritica alle concezioni del marxismo sovietico, ciò si dovette anche al fatto che quelle concezioni furono importate e accettate ingenuamente in tutto il loro grezzo e brutale meccanicismo dall’intero gruppo dirigente cubano. Da alcuni passivamente, da altri attivamente: tra questi e in primis Guevara e Raúl Castro (n. 1931), considerato fin dagli inizi l’unico altro «comunista» presente nella direzione del M26-7. A loro si aggiungerà poi Osmany Cienfuegos (n. 1931), subito dopo la morte del fratello Camilo, proveniente dal Psp e futuro dirigente della Ospaaal (Organización de solidaridad de los pueblos de África, Asia y América Latina).
Sono anche gli anni in cui il lavoro ideologico (di propaganda, scuole quadri e pubblicazione delle principali riviste) finì in mano ai dirigenti formatisi nel vecchio Psp che nel frattempo erano stati chiamati a far parte della nuova direzione cubana. A loro fu affidata praticamente e per alcuni anni cruciali la gestione dell’attività propriamente «culturale» del partito in considerazione di un fatto vero: e cioè che erano gli unici ad avere una qualche forma di preparazione teorica.
Ma anche questa è una pagina che il Che riscriverà radicalmente nel suo testamento ideale del marzo 1965 (Il socialismo e l’uomo a Cuba, si veda l’edizione curata dall’argentino José «Pancho» Aricó [1931-1991]), denunciando il «realismo socialista» e la cultura ufficiale che, col pretesto di essere «lo que entiende todo el mundo»§«alla portata di tutti»§, era in realtà «lo que entienden los funcionarios»§«alla portata dei funzionari»§, cioè della burocrazia. In quel testo criticherà aspramente anche «el escolasticismo que ha frenado el desarrollo de la filosofía marxista»§«lo scolasticismo che ha frenato lo sviluppo della filosofia marxista»§ e il fatto che «una representación formalmente exacta de la naturaleza» si sia convertita in «una representación mecánica de la realidad social que se quería hacer ver»§una «rappresentazione formalmente esatta della natura» si sia convertita in «una rappresentazione meccanica della realtà sociale che si voleva mostrare»§.
Il 30 maggio 1963 Guevara aveva scritto una prefazione elogiativa, al limite tra l’ingenuità e l’intento apologetico, per un libro pubblicato a Cuba a cura del Partido unido de la revolución socialista de Cuba[Pursc]. Questo fu il nome del partito intermedio esistito praticamente quasi solo sulla carta - da marzo 1962 a ottobre 1965 - nella fase in cui Fidel Castro impose l’unificazione all’interno di un’unica organizzazione delle tre principali correnti politiche sopravvissute a Cuba: i comunisti prosovietci del Psp, il Directorio revolucionario 13 de Marzoe il M26-7. Chi non condivise quella scelta (il caso più celebre fu Carlos Franqui [1921-2010], l’autore del Libro de lo Doce) fu escluso o emigrò all’estero.
Il titolo era altisononante (El Partido Marxista-leninista), ma in realtà si trattava di alcuni discorsi di Fidel Castro aggiunti a uno dei testi liturgici più «celebri» nel mondo sovietico e cioè il Manuale di Marxismo-leninismodi Otto Wilhelm Kuusinen (1881-1964). Questi era stato il leader storico dello stalinismo finlandese sfuggito indenne a decenni di purghe e giravolte politiche, «celebre» per esser stato posto a capo del governo fantoccio creato dai sovietici quando avevano tentato vanamente di occupare la Finlandia (1939-40) in accordo alle clausole del Protocollo segreto che aveva accompagnato il Patto siglato da Stalin (Molotov) con Hitler (von Ribbentrop).
La Prefazione di Guevara a quel libello può essere considerato come il punto più basso da lui raggiunto nell’esaltazione del «materialismo naturalistico», cioè del marxismo-leninismo di tipo sovietico. Una data che segna il limite nel degrado teorico del suo marxismo e dopo la quale comincerà a riemergere affannosamente il marxista anticonformista, lucido e antidogmatico che anni prima aveva ammirato il mariateguiano Hugo Pesce e aveva dato ascolto, ma non abbastanza, ai consigli teorici della giovane aprista di sinistra Hilda Gadea.
L’impegno profuso da Guevara per avvicinare Cuba all’Urss e per identificare le finalità ideologiche della rivoluzione cubana con la vulgata marxista diffusa dall’apparato di propaganda sovietica fu entusiasticamente ricostruito (e in larga parte inventato) in un libro di «paleontologia guevarologico-marxista», pubblicato in russo nel 1972 e in spagnolo (Editorial Progreso di Mosca) nel 1975. Il titolo era semplice - Årn∂sto C∂ G∂vara(Ernesto Če Gevara [Ernesto Che Guevara]) - ma meno semplice era la traiettoria dell’autore, Iosif P. Lavretskij, trattandosi dello pseudonimo di un agente della polizia segreta sovietica, celato anche dietro un altro nome come avemmo modo di dimostrare in Cgqfn. 4/2001 (si veda la nota)*. Le pagine in cui l’emissario del Kgb celebrava maggiormente l’impegno prosovietico del Che sono 183-205 dell’edizione russa e 178-98 dell’edizione in lingua spagnola.
§*Per qualche tempo si era creduto che Iosif P. Lavretskij fosse uno studioso sovietico, pur permanendo il sospetto di poterlo identificare con un lituano-russo, autore di opere su Guevara: Iosif Romual’dovič Grigulevič (1913-1988). A un certo punto fu chiaro che Grigulevič e Lavretskij erano due diversi nomi e cognomi di un solo autore: il primo era una persona fisica, agente del Nkvd e poi del Kgb (col nome di «Teodoro Castro Bonnefil»), coinvolto in vari assassinii importanti (Nin, Trotsky ecc.) e incaricato a un certo punto di uccidere anche il presidente della Jugoslavia Tito; il secondo era un suo pseudonimo. I cataloghi della biblioteca della Harvard University (statunitense) segnalano che i due nomi identificano lo stesso autore. A p. 427 del suo libro Compañero(Mondadori, 1997) Jorge Castañeda (n. 1953) scrisse che «Lavretskij» era lo pseudonimo dietro cui si celava Josef Grigulevič, storico sovietico e agente del Kgb. Zbigniew M. Kowalewski (n. 1943), principale studioso polacco del Che, confermò a giugno del 2001, in un intervento al convegno della Fondazione Guevara ad Acquapendente, che «Lavretskij» era lo pseudonimo di Grigulevič, ex funzionario della polizia segreta sovietica. Nel medesimo incontro lo studioso ceco Vladimír Klofáč (n. 1952) riferí che Miloslav Ransdorf (1953-2016), vicepresidente del Partito comunista di Boemia e Moravia, aveva indicato il nome Lavretskij/Grigulevič (associando così i due nomi) nella nota di p. 50 del libro Muž Svědomí (Uomo di coscienza). Ernesto Che Guevara, Nakladatelství Futura, Praha 2000. Tutte queste ipotesi furono definitivamente confermate dalla pubblicazione dell’Archivio di Vasilij Nikitič) Mitrochin (1922-2004), avvenuta nel 1999-2000 e, postuma, nel 2005. Aggiungo una piccola curiosità: nel «Piano di letture in Bolivia», il Che incluse tra i libri elencati a novembre del 1966, il Pancho Villadello stesso I. Lavretski.§

HERESY STORY
Scena 7[da Mosca all’Avana, 1963-65]
La scena da cui partire per descrivere questa ripresa intellettuale del marxismo di Guevara si svolge a Mosca e ce l’ha descritta egli stesso in uno dei Resoconti stenograficidelle conversazioni bimestrali da lui tenute al ministero dell’Industria dal 1962 al 1964. A noi qui interessano soprattutto alcune resgistrazioni dell’ultimo anno di permanenza del Che a Cuba come ministro. Sono materiali informali, ma preziosi; ancor più preziosi perché non essendo stati rielaborati né rivisti riflettono pensieri immediati e per nulla diplomatici del Che. Queste registrazioni furono pubblicate nel 1967 (ma già nel 1966 Guevara ebbe modo di vedere le bozze) nel vol. VI della prima edizione a tiratura limitatissima (intorno alle duecento copie) delle proprie opere, curata da Orlando Borrego (El Che en la Revolución cubana). A Cuba non furono mai ripubblicate, né mai inserite in raccolte di sue opere e quindi per molto tempo sono state leggibili soprattutto nelle edizioni e traduzioni fatte all’estero: le prime furono in francese, a cura di Michael Löwy (n. 1938) e dell’editore Maspero (1932-2015), e in italiano da il Manifestonel 1969 e poi nella mia raccolta di Scritti sceltidel Che nel 1993. Finché sono state finalmente inserite nel volume degli Apuntes, pubblicato a Cuba nel 2006.
La scena si svolge il 5 dicembre 1964 nell’ambasciata cubana a Mosca dove il Che viene ascoltato da una cinquantina di studenti sovietici, ma anche contestato da alcuni di loro riguardo alla sua teoria della priorità degli incentivi morali, fondata sulla crescita di coscienza dei lavoratori più che sul ricorso agli incentivi materiali.
«Ahí ed donde se empezó a plantear [?], claro, era una cosa violenta. La Biblia - que es el Manual- porque desgraciadamente la Biblia no es El Capitalaquí, sino es el Manual. De pronto estaba impugnada en algunos puntos y otra serie de cosas peligrosamente capitalistas, entonces de ahí surge el asunto de revisionismo» (Apuntes, p. 369)§«A quel punto, quando si cominciò a porre [i problemi], lo scontro si fece violento. La Bibbia - vale a dire il Manuale- perché disgraziatamente la Bibbia qui non era Il Capitalema il Manuale. Dei punti cominciarono ad essere impugnati, mentre venivano dette però anche cose pericolosamente capitalistiche: fu allora che emerse la questione del revisionismo» (Scritti scelti, II, p. 565).§
È importante puntualizzare che il «Manuale» di cui qui si parla ironicamente è ilManuale di Economia politicadell’Accademia delle Scienze dell’Urss, al quale Guevara dedicherà un intero volume di critica devastante all’inizio del 1966 e su cui quindi torneremo.
Per ora è importante stabilire che a Mosca è cambiata l’atmosfera nei riguardi del Comandante Guevara (considerato «glorioso» soprattutto per le sue imprese militari e non  per il suo marxismo) e che le critiche che nel frattempo egli ha rivolto alle concezioni economiche sovietiche hanno lasciato il segno. Non è più l’apologeta ultrasovietico, pedissequo sostenitore della superiorità quasi metafisica del materialismo dialettico, ma un intellettuale in piena crisi «revisionistica», come gli viene imputato a Mosca, che ha ormai capito che per l’emancipazione dell’essere umano «el método exacto no se ha podido encontrar en ningún país y en algunos casos se caía en los extremos de lo que se llama hoy “estalinistas”» (12 settembre 1964)§«il metodo esatto per riuscirci non è stato trovato in nessun paese e in alcuni casi si è caduto negli estremi che oggi chiamiamo“stalinisti”» (p. 548)§.
E poiché a Mosca non è consentito il dubbio su questioni fondamentali di tale natura, si può immaginare quale reazione potevano aver provocato i giudizi negativi sulla gestione economica sovietica che il Che aveva formulato durante il gran debate económico. La sentenza non poteva essere altro che la damnatio iudiciiclassica, propedeutica alla damnatio memoriae: si trattava chiaramente di «trotskismo».
«Y como a mí me identifican con el Sistema presupuestario, también lo del trotskismo surge mezclado. Dicen que los chinos también son fraccionalistas y trotskistas y a mí también me meten el “San Benito”» (p. 370)§«Ma poiché mi identificano con il Sistema di finanziamento di bilancio, vengo confuso con questa del trotskimo. Dicono che anche i cinesi sono frazionisti e trotskisti, e l’etichetta l’appicciano pure a me» (p. 567)».§
«De manera que es allí, precisamente en la Unión Soviética, donde se pudo precisar más claramente. ¿Quiere decir eso de revisionismo hasta trotskismo, pasando por el medio? [...] El trotskismo surge por dos lados, uno - que es el que menos gracia me hace - por el lado de los trotskistas, que dicen que hay una serie de cosas que ya Trotsky dijo. Lo único que creo es una cosa, que nosotros tenemos que tener la suficiente capacidad como para destruir todas las opiniones contrarias sobre el argumento o si no dejar que las opiniones se expresen. Opinión que haya que destruirla a palos es opinión que no lleva ventaja a nosotros» (p. 369).§«E quindi è stato lì, proprio in Unione Sovietica, che si è potuta ottenere una maggiore chiarezza. Vuol dire questo che si tratta di revisionismo fino al trotskismo, passando per il mezzo? [...] Il trotsksimo emerge invece da due lati: uno (quello che meno mi attrae) viene dal lato dei trotskisti che dicono che vi è una serie di cose che Trotsky aveva già detto. Io credo solo una cosa, ed è che si deve avere la capacità sufficiente per distruggere tutte le idee contrarie su un determinato argomento oppure lasciare che le idee si esprimano. L’opinione secondo cui andrebbero distrutte a bastonate non è un’opinione che ci porti dei vantaggi» (pp. 565-6).§
Per capire la vera maturazione marxista del Che è indispensabile leggere con attenzione e approfondire le idee che sono sparse tra le regitrazioni stenografiche, mescolate a mille altri problemi (funzionamento delle fabbriche, problemi degli operai, polemiche degli oppositori, giudizi negativi ma non ancora drastici sulle idee economiche dei sovietici). Non è facile ricostruire il filo rosso della riflessione guevariana e non è possibile nemmeno fornirne qui una sintesi. Mi limiterò a segnalare due riferimenti a opere di Marx che hanno una grande importanza qualitativa per questa nostra riflessione.
Il primo riguarda il «giovane Marx». Era la metà degli anni ‘60 e in Francia non si era spento ancora il rumore prodotto dalla grande polemica sull’umanismo marxiano (ricostruibile appunto a partire dalle Opere filosofiche giovanilie dai Manoscritti del 1944), sia per le posizioni rigidamente antiumanistiche di Althusser (1918-1990) sia per la posizione assunta dagli ideologi sovietici. Guevara appare chiaramente affascinato dalla polemica e spezza qualche lancia a favore dell’umanismo del giovane Marx. Lo aveva già fatto nel corso del dibattito economico, citandolo esplicitamente: vi torna nella conversazione praticamente coeva del 21 dicembre 1963.
Egli ricostruisce i termini della polemica, ammette che il linguaggio «hegeliano» del giovane Marx non è quello del Marx «maturo» (autore de il Capitale), ma afferma che la tesi marxiana di fondo, per la quale lo sviluppo della società corrisponde allo sviluppo delle sue contraddizoni economiche in rapporto alla lotta di classe, era già contenuto nel Marx del 1944.
La ricostruzione fatta da Guevara di tale punto di partenza acquista una valenza particolare perché la riconduce al Marx della massima maturità acquisita, espressa nel testo in cui il filosofo di Treviri aveva fornito una propria concezione della società socialista e della transizone ad essa: la Critica del programma di Gotha. Ed è questo il secondo importante riferimento a Marx che scorre attraverso varie conversazioni (per es. pp. 270, 309, 311-12).
L’attenzione prestata dal Che al Marx del 1944 e al Marx della Critica al programma di Gotha, lo porta a sviluppare un proprio personale cavallo di battaglia, e cioè l’importanza dell’elemento soggettivoper il marxismo non solo nel corso della lotta rivoluzionaria, ma anche nella fase di transizione al socialismo, di costruzione della nuova società e dell’uomo nuovo. Non può esservi comunismo, secondo Guevara, che non faccia proprie le «inquietudini» marxiane rispetto al carattere umanisticodella rivoluzione. Anzi, non può esservi rivoluzione se non si attribuisce il giusto ruolo e la giusta importanza all’impegno soggettivo - in senso etico- del lavoratore inteso come classe.
Questa posizione caratteristica del marxismo guevariano consentì a Michael Löwy di parlare per primo dell’umanismo rivoluzionariodel Che (La pensée de Che Guevara, l970). Sarà poi il mio turno di riprendere il concetto e di svilupparlo ampiamente nella mia monografia del 1987 più volte citata: l’intera filosofia o visione del mondo del Che si può riassumere proprio in questa formula - umanismo rivoluzionario.
Col tempo mi sono convinto in forma via via crescente che qualsiasi tentativo di collocare il patrimonio teorico del Che al di fuori del suo personale e originale umanismo rivoluzionario, non consente di spiegare praticamente nulla del suo comportamento: non solo del suo rapporto vissuto esistenzialmente e con coerenza estrema fra teoria e prassi, ma nemmeno la sua etica del socialismo e dell’impegno personale. Impegno che fu molto sartriano, sotto questo profilo, e non a caso J.-P. Sartre (1905-1980) seppe riconoscere in lui delle grandi dote personali e intellettuali già nel 1960 (Visita a Cuba).
Nelle conversazioni e in altri testi Guevara fa sua anche la problematica marxiana dell’alienazione, che come sappiamo era stato un elemento fondante della critica marxiana a Hegel e, a mio personale avviso, il principale elemento di differenziazione filosoficadallo statalismo hegeliano, per tutta una prima fase, e di differenziazione politica,per il resto della vita di Marx.
Non rientra nel tema di questa mia riflessione, ma è interessante ricordare che Guevara contrappone la concezione di transizione al socialismo di Marx (a partire dal rapporto tra il dato coscienziale soggettivo e il processo di autoemancipazione dai meccanismi dell’alienazione capitalistica) alle incertezze e vere e proprie svolte che giustamente attribuisce a Lenin, senza però dare alla questione l’importanza che invece meriterebbe.
Nel corso delle conversazioni Guevara parla del proprio mutamento di giudizio rispetto a Lenin. La vulgata del «marxismo-leninismo» non appartiene più al suo bagaglio di idee, anche se il procedimento che lo ha portato a tale visione è in un certo senso storicisticamente rovesciato: a Guevara non piace la Nep, perché non piace l’idea che in un’economia di transizione al socialismo si reintroducano elementi di mercato, metodi di funzionamento capitalistico. Non lo accetta per l’Urss e la Cuba sue contemporanee, e retrospettivamente non lo accetta per la Russia degli anni ‘20. Di qui una drastica revisione del giudizo su Lenin che ora viene presentato in conflitto con la problematica della Critica del programma di Gotha(pp. 310-12, 316, 324-6) se non addirittura con il suo Stato e rivoluzione, da Guevara sempre ammirato e citato.
Molte delle idee espresse nelle conversazioni al ministero dell’Industria si trovano riflesse negli articoli scritti quasi in contemporanea per il gran debate económico. La discussione si svolse grosso modo tra l’inizio del 1963 e la fine del 1964. Gli interventi apparvero liberamentesu varie riviste cubane e alla discussione parteciparono non solo i principali responsabili di ciascun settore dell’economia - dall’industria alla banca, con l’unica eccezione di Fidel Castro che non vi prese parte - ma anche alcuni celebri economisti europei come Charles Bettelheim (1913-2006) ed Ernest Mandel (1923-1995) senza dimenticare l’importanza attribuita a quella discussione dalla Monthly Reviewdi Paul Sweezy (1910-2004) e Leo Huberman (1903-1968) La migliore presentazione di quella storica discussione è stata fornita in O debate econômico em Cuba da Luiz Bernardo Pericás (n. 1969).

Una postilla va aggiunta riguardo alle fonti utilizzate dal Che per familiarizzarsi con la storia personale di Marx ed Engels. Egli lesse certamente parte dell’epistolario tra i due disponibile da tempo in lingua spagnola, ma la sua fonte favorita fu La vita di Marxdi Franz Mehring (1846-1919). Egli la cita espressamente più volte. Per es. nella conversazione del 2 ottobre 1964 (p. 325) quando afferma la necessità di pubblicare anche a Cuba la celebre biografia (che definisce «commovente») e sottolinea in particolare l’importanza da Mehring attribuita alla polemica di Marx con Ferdinand Lassalle (1825-1864). Purtroppo il Che non sviluppa il tema ed è un vero peccato perché avremmo potuto capire meglio il suo atteggiamento verso la concezione statalistica del socialismo della quale ho sempre avuto dubbi che Guevara fosse un adepto convinto.
Non mi risulta, invece, che Guevara abbia potuto leggere la monumentale biografia dedicata a Karl Marx e Friedrich Engelsda Auguste Cornu (1888-1981), la cui prima metà della traduzione in spagnolo fu pubblicata dell’Instituto del Libro dell’Avana in un enorme volume di oltre 700 pagine solo nel 1967, anche se - mi fu detto - su esplicita richiesta fatta dal Che prima di partire.
Ma della biografia di Mehring Guevara fece qualcosa di più che raccomandarla semplicemente. Ne fece un vero e proprio compendio, ormai leggibile come «Síntesis biográfica de Marx y Engels», sia nella sua sede naturale - all’interno degli Apuntescome capitolo dotato di una funzione teorica propedeutica rispetto alla successiva polemica con i sovietici - sia come operazione banalmente commerciale, cioè come libretto a parte, privo di apparato di note e di informazioni che spieghino le ragioni dell’estrapolazione: un ennesimo danno che si aggiunge ai molti altri fatti alla possibilità di un’edizione scientifica delle Opere del Che. In questo caso è stato colpito anche il progetto guevariano di attualizzazione del patrimonio di Marx ed Engels finalizzato al fuoco della polemica con i sovietici.

MARXIST STORY
Scena 8 [Praga, 1966]
Ed è ormai a questa polemica che dobbiamo dedicare attenzione, cercando in primo luogo di immaginare la scena: dopo la lunga reclusione nella casa dell’ambasciatore cubano a Dar es Salaam avviene un drastico cambio di continente, dall’Africa al cuore della vecchia Europa; una grande villa alla periferia di Praga; la convivenza semiclandestina (Operazione «Manuel» cubano-cecoslovacca) con alcuni dei compagni più stretti («Pombo» [n. 1940] e «Tuma» [1940-1967]); le partite a scacchi; lo studio e la scrittura.
Il Che vi rimane da marzo fin verso luglio del 1966, quando rientrerà a Cuba per prepararsi all’impresa in Bolivia che nel frattempo è stata definitivamente decisa come meta politica, avendo abbandonato nel corso dell’estate l’obiettivo scelto in precedenza, vale a dire il Perù. (Tutto ciò è ricostruito e documentato dettagliatamente da Humberto Vázquez Viaña, Una guerrilla para el Che). E lì Guevara scrive l’opera che si usa definire «Quaderni di Praga»(ma pubblicati come Apuntes críticos a la Economía política, anche se in realtà il bersaglio del Che era il Manuale di Economia politica dell’Accademia delle Scienze dell’Urss). Un enorme lavoro di ricopilazione di testi (a partire dal compendio biografico di Marx-Engels di cui si è detto), con lunghi brani ricopiati a mano da opere soprattutto di Marx-Engels e di Lenin, ma un brano anche da Mao Tse-tung. Mi sembra giusto, però, aggiungere a questo lavoro di ricopilazione antologica anche i brani che Guevara copia in un libretto a parte, negli stessi mesi o in un periodo di poco successivo che non si è riusciti purtroppo a definire meglio. Questo libretto, insieme al «libro verde» con i brani poetici, ricomparirà tra i suoi oggetti personali venduti in Bolivia dopo la sua morte: in questo caso comprato dalla casa editrice Feltrinelli, ma senza ulteriori specificazioni.
Il libretto è stato pubblicato in una pessima edizione dalla stessa casa editrice con errori e con un titolo ridicolo (Prima di morire. Appunti e note di lettura). Va però preso sul serio perché contiene brani tratti da The Marxistsdi Ch. Wright MIlls, dalle Opere di Marx-Engels, di Lenin e di Stalin, da Lukács, dal M.A. Dinnik già ricordato e da varie opere di Trotsky. Sotto il profilo quantitativo i brani di Trotsky prevalgono di molto su tutti gli altri autori citati e il brano tratto dalla sua Storia della rivoluzione russaè accompagnato dal seguente commento:
«È un libro appassionante ma di cui è impossibile stilare una critica poiché va considerato che lo storiografo è anche protagonistadegli eventi. Comunque, fa luce su tutta una serie di eventi della grande rivoluzione che erano rimasti offuscati dal mito. Al tempo stesso, fa affermazioni isolate la cui validità resta ancora oggi assoluta. In definitiva, se tralasciamo la personalità dell’autore e ci atteniamo al libro, questo va considerato una fonte di primaria importanza per lo studio della rivoluzione russa» (p. 94).
Il governo cubano è riuscito a impedire fino al 2006 che si pubblicassero i Quaderni di Praga (gli Apuntes), ma ha poi dovuto cedere non solo alle pressioni esercitate dalla Fondazionee Guevara internazionale, ma anche perché alcune parti salienti di critica all’Urss erano già apparse nel 2001 nel libro di Orlando Borrego, Che, el camino del fuego. E tra i brani riportati e commentati dall’ex ministro dell’Azúcar figurava il prologo («Necesidad de este libro») in cui, in aggiunta alle tante affermazioni guevariane ispirate al marxismo che liquidavano la pretesa sovietica di marciare verso il socialismo, spiccava la seguente lapidaria affermazione riferita all’Urss:
«La superestructura capitalista fue influenciando cada vez en forma más marcada las relaciones de producción y los conflictos provocados por la hibridación que significó la Nep se están resolviendo hoy a favor de la superestructura: se está regresando al capitalismo» (Apuntes, p. 27; Borrego, p. 382).§«La sovrastruttura capitalistica è venuta influenzando in forma sempre più marcata i rapporti di produzione, e i conflitti provocati dall’ibridazione che significò la Nep si stanno risolvendo oggi a favore della sovrastruttura: si sta tornando al capitalismo».§
Una simile profezia formulata negli stessi mesi in cui Fidel Castro decideva di entrare definitivamente nel blocco sovietico può forse lasciare indifferenti oggigiorno, giacché ognuno può vedere come si sia effettivamente avverata. All’epoca, però, implicava un grande coraggio intellettuale da parte di una sorta di vicecapo di Stato, leggendario comandante per il mondo militare sovietico, che aveva maturato la seconda fase della sua adesione giovanile al marxismo in prona ammirazione dell’Urss come patria del socialismo. Qualunque analisi del pensiero del Che che non tenga conto di questa profonda trasformazione e presenti invece una visione unilaterale e stabile nel tempo delle sue concezioni economiche non merita la benché minima considerazone. Ma purtroppo, i libri dedicati a Guevara che offrono una tale visione monocromatica e quindi profondamente errata del suo pensiero hanno rappresentato per vari anni quasi la regola nella produzione editoriale di Cuba o da parte di autori ad essa legati. Ne potrei citare esempi cubani, cileni, italiani, statunitensi ecc. ma sarebbe un modo poco generoso di infierire sulla povertà intellettuale di un’intera generazione che nel passato definivo «nomenklatura latinoamericana» e che ormai comincia finalmente ad estinguersi.
GliApuntessono un’opera molto impegnativa sotto il profilo teorico e andrebbero esaminati brano per brano, visto che ogni paragrafo si riferisce criticamente ad altro paragrafo del famigerato Manualesovietico. Il linguaggio è molto tecnico e dimostra una nuova acquisita familiarità con i testi base del marxismo: il Capitalesoprattutto. Abbondano anche i riferimenti a Lenin, citato in parte positivamente e in parte per contestare determinate scelte compiute dopo la fine del comunismo di guerra (tema di cui Guevara non parla, anche se si potrebbe presumere che sulle grandi linee ne fosse tendenzialmente a favore). È però evidente che il Che ignorava totalmente la letturatura «eretica» dedicata alla Russia dei soviet fin da quando era in vita lo stesso Lenin. Di questo grande laboratorio teorico, contrassegnato da nomi celebri del marxismo e non solo, Guevara non ebbe sentore e questo fu un suo grande limite teorico.
Va però anche detto che il Che visse solo 39 anni, molti dei quali viaggiando o combattendo armi alla mano per i suoi ideali.
Riguardo agli Apuntes, ciò che a noi può interessare di più è che vi è un ampio ricorso alla Critica del programma di Gotha, sia come riferimenti diretti, sia soprattutto come adesione alla sua sostanza. Quest’opera dell’ultimo Marx è comunemente considerata come il massimo concentrato della sua visione utopistica (così l’ho interpretata anch’io nella mia introduzione a una sua edizione italiana bilingue del 2008) e non vi sono dubbi che anche per il Che fu questo il suo significato più caratteristico. Non dimentichiamo che un anno prima (marzo 1965), tornando dal viaggio in Africa, egli aveva consegnato alla rivista Marchadi Montevideo il suo testo utopistico per eccellenza - Il socialismo e l’uomo a Cuba- in cui si avvertiva chiaramente l’ispirazione da quel celebre testo di Marx.
Va infine detto che anche tra i Quaderni di Praga è incluso il manoscritto di un programma di studi (il «Plan tentativo» [Abbozzo di piano]). Abbiamo già ricordato altri due piani di studio redatti nello stesso biennio, e questo è il secondo in ordine di tempo. È anche il più organico e il più dettagliato, visto che ha la forma di indice generale di un libro da scrivere, una sorta di schema per una grande monografia sulla storia sociale dell’umanità: dai modi di produzione precapitalistici all’imperialismo, passando per le società schiavistiche e il feudalesimo; dalle categorie marxiane d’interpretazione dello sviluppo capitalistico (compresa un’ampia sintesi del Capitale) a una definizione dell’economia della fase di transizione (tutta la terza parte); per arrivare infine alla problematica di costruzione del socialismo (quarta e ultima parte). La morte gli impedirà di portare a termine questo progetto ambizioso, al quale avrà certamente continuato a pensare durante la guerriglia in Bolivia, come dimostra il piano di letture citato all’inizio e che ora si conferma come serie di appunti bibliografici redatti mese per mese, parte di una lista dei desideri delle letture da compiere.
Pubblicati troppo tardi per avere qualche influenza sulla formazione teorica delle nuove generazioni di intellettuali cubani, gli Apuntesresteranno per sempre nella storia del marxismo come prova del massimo livello di comprensione del patrimonio teorico marxiano raggiunto da Guevara. Verranno però considerati anche come la più completa testimonianza della sua lucida capacità di previsione analitica, in rapporto a un mondo politico - il suomondo politico - che brillò per ottusità se non vera e propria cecità riguardo al destino imminente del regime burocratico sovietico.

FADE-OUT... §DISSOLVENZA...§
Scena 9[Vallegrande, 9 ottobre 2017]
La scena è composita, policroma e multisonora. Nella grande spianata di quello che un tempo sarebbe dovuto diventare l’aeroporto di Vallegrande in Bolivia sono raccolte alcune migliaia di persone convocate dal governo del presidente Evo Morales per celebrare il 50° anniversario della caduta del Che in combattimento. Tante bandiere multicolori ma per lo più rosse con la silhouette della celebre foto di Korda, musiche andine e caraibiche, striscioni di associazioni politiche, sindacali e culturali di varia provenienza latinoamericana. Nei giorni precedenti sono stati ascoltati studiosi del guevarismo fatti confluire da varie parti del mondo: il sottoscritto dall’Italia ma incredibilmente anche l’unico dall’Europa.
«Il Che vive» è lo slogan più ripetuto, ma l’edificio a forma di chiesa costruito sul luogo in cui furono ritrovate le ossa di Guevara sta lì a testimoniare il contrario. E quella tomba si associa mentalmente al Mausoleo cubano di Santa Clara al cui interno l’atmosfera è ancor più accentuatamente mistico-religiosa secondo una tradizione agiografica cubana, iniziata già dall’ottobre 1967. Per chi volesse approfondire il discorso su questa evoluzione della figura di Guevara - antimaterialistica (quindi antimarxiana), misticheggiante e popolar-irrazionale - è disponibile un’affascinante ricerca condotta per anni da un docente emerito di storia dell’arte della University of California (Los Angeles): David Kunzle (n. 1936), Chesucristo. The fusion in image and word of Che Guevara and Jesus Christ§[Chesucristo. La fusione in immagini e parole tra Guevara e Gesù].§ 
Il Che è morto, non c’è dubbio. Ma per la riflessione condotta fin qui è morto soprattutto il suo rapporto con Marx. E questo non è accaduto a cinquant’anni dalla Higuera, ma mentre il celebre Comandante era ancora in vita. Infatti, dopo la ricchezza di riferimenti teorici contenuti nei Quaderni di Praga non si trovano ulteriori riflessioni del Che su problematiche riconducibili al marxismo. Abbiamo i titoli delle opere che egli avrebbe voluto leggere o rileggere in fondo al Diario di Bolivia, ma proprio da tale Diario sono totalmente assenti i nomi di Marx, di Lenin o di altri celebri marxisti. Sfugge Trotsky ma solo perché quel giorno (31 luglio 1967) si accusa la perdita di un suo libro. Il lettore può verificare facilmente tutto ciò perché dal 1996 esiste un indice dei nomi anche per il Diario boliviano: l’ho elaborato io per l’edizione da me curata del Diario di Bolivia illustratoed è l’unico esistente al mondo. E mi sono sempre chiesto se questa incredibile manchevolezza - che non esista cioè alcuna edizione del Diario (nemmeno a Cuba) con un doveroso indice dei nomi - non sia un sintomo del disinteresse teorico verso l’ultima evoluzione ideologica del Che.
Se nei primi anni dopo la sconfitta in Bolivia il disinteresse poteva avere ragioni politiche - giacché Guevara era totalmente indigeribile per i paesi capitalistici, ma ancor di più per i paesi del presunto «socialismo reale» (Cina inclusa e anzi in prima fila visto che lì non fu mai data nemmeno la notizia della sua morte) - col passare del tempo furono altre le ragioni che potevano spiegare perché il connubio Guevara/Marx avesse perso molto della sua potenziale attrattiva teorica.
In primo luogo c’era il fatto che la polemica del Che contro l’Urss aveva perso gran parte del suo interesse e del suo potenziale eversivo dopo il crollo dell’Impero sovietico nel 1989-1991 (e comunque a Cuba era stato a lungo proibito parlarne sin dalla fine degli anni ‘60). Si aggiunga poi che la riflessione guevariana sul tema dell’alienazione (marxiana, sartriana o umanistica che fosse) fu ben presto travolta dalla nascita del mito della sua persona e dall’appropriazione fattane dalla società spettacolare di massa.
Questo riassorbimento della figura del Che che non poteva non travolgere il suo rapporto col marxismo è stato magnificamente descritto da uno dei più bei libri scritti sul «guevarismo» contemporaneo, cioè su come il mondo della cultura e dello spettacolo vive e sfrutta la sua figura a tanti anni dalla morte: si veda Michael Casey (n. 1967),Che’s afterlife. The legacy of an image§[La seconda vita del Che. Storia di un’icona contemporanea]§.
Se si è perso il connotato comunista e internazionalistico della sua azione politica, se si è perso il fascino della sua ribellione contro ogni conformismo, se si è perso il valore etico della sua rinuncia alla gestione del potere (caso unico nella storia del Novecento), se si è persa la sua originale teorizzazione del rapporto teoria-priassi da me definita come «umanismo rivoluzionario», poteva forse sopravvivere il suo rapporto con Marx?
No di certo.
Non resta quindi che concludere il nostro remake del vecchio film con un celebre aforisma di Woody Allen:
«Marx is dead, Guevara is dead... and I’m not feeling too well myself».
§«Marx è morto, Guevara è morto... e anch’io non mi sento troppo bene».§
THE END

Opere citate

Anderson, Jon Lee,Che Guevara. A revolutionary life, Bantam Press, London 1997 [Che Guevara. Una vita rivoluzionaria, Fandango, Roma 2009]
Borrego, Orlando,Che, el camino del fuego, Imagen Contemporánea, La Habana 2001
Borrego, Orlando(a cura di),El Che en la Revolución cubana, 6 voll., Minaz [Ministerio del Azúcar], La Habana 1967
Casey, Michael,Che’s afterlife. The legacy of an image, Vintage Books, New York 2009 [La seconda vita del Che. Storia di un’icona contemporanea, Feltrinelli, Milano 2010]
Cátedra Ernesto Che Guevara,Introducción al pensamiento marxista, a cura di Néstor Kohan, Ediciones Madres de Plaza de Mayo/La Rosa Blindada, Buenos Aires 2003
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Cupull, Adys-González, FroilánCálida presencia. Su amistad con Tita Infante, Ed. Oriente, Santiago de Cuba 1995
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Guevara, Ernesto Che,Apuntes críticos a la economía política, Ciencias Sociales, La Habana 2006
Guevara, Ernesto Che,Diario di Bolivia illustrato, a cura di Roberto Massari, Editora política (La Habana)/Massari editore (Roma) 1996
Guevara, Ernesto Che,Escritos y discursos,9 voll.,Ciencias Sociales, La Habana 1977
Guevara, Ernesto Che, Marx y Engels. Una síntesis biográfica, Centro de Estudios Che Guevara (La Habana)/Ocean Press (Sur), 2007
Guevara, Ernesto Che, Obras 1957-1967, 2 voll., Casa de las Américas, La Habana 1970
Guevara, Ernesto Che,Prima di morire. Appunti e note di lettura, Feltrinelli, Milano 1998 
Guevara, Ernesto Che, Scritti scelti, a cura di Roberto Massari, 2 voll., Erre emme (Massari ed.), Roma 19963
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Zeitlin, Maurice-Sheer, Robert,Cuba. Tragedy in our hemisphere, Grove Press, New York 1963 [Cuba, an American tragedy(enlarged edition) Harmondsworth, Penguin Books, 1964, pp. 186-95]


Tra i vari studiosi citati nel testo, molti sono membri della Fondazione Guevara Internazionale. Per consentire al lettore di identificarli, viene data qui di seguito la composizione del Comitato di redazione dei Quaderni/Cuadernos Che Guevara, organo teorico della Fondazione:
Roberto Massari [dir.], Aldo Garzia [dir. resp.], Enrica Matricoti, Roberto Savio, Aldo Zanchetta (Italia), Néstor Kohan (Argentina), Michael Casey (Australia), Carlos Soria Galvarro Terán (Bolivia), Luiz Bernardo Pericás (Brasile), Adys Cupull, Froilán González (Cuba), Michael Löwy (Francia), Richard Harris (Hawaii), Ricardo Gadea Acosta (Perù), Zbigniew Marcin Kowalewski (Polonia), David Kunzle, James Petras, Margaret Randall, Maurice Zeitlin (Usa), Douglas Bravo (Venezuela), Antonella Marazzi (segr. di redazione)
In memoriam: Humberto Vázquez Viaña (Bolivia), Celia Hart Santamaría, Fernando Martínez Heredia (Cuba), Sergio De Santis, Giulio Girardi (Italia).

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