Il dottor Giorgio Albani è autore di alcune delle schede inserite nell’Archivio di Utopia Rossa dedicato alla psicopatologia politica. [la Redazione]
Mi sono formato alla medicina negli anni ‘80. È stato un periodo piuttosto contraddittorio. L’economia, in seguito alla crisi di metà anni ‘70 e dopo gli anni di piombo, aveva riacquistato vigore, ma il boom economico era ormai lontano. L’apparente ripresa, va detto, si basava anche su rapporti oscuri fra imprenditoria, politica e istituzioni. Con l’inchiesta di «Mani pulite» sarebbe emerso il calderone di corruzione su cui era basato l’intero sistema.
In qualche modo si arrivò comunque agli anni ‘90, in cui, tuttavia, sul piano della ricerca medica, della buona salute e dell’igiene di vita furono compiuti notevoli progressi. L’industria farmaceutica aveva già stretti legami economici con la sanità ed era in grado di condizionare il mercato. Ricordo ancora il periodo in cui venivano regalati televisori e perfino automobili ai medici che prescrivevano con compiacenza.
Nell’epoca di De Lorenzo e Poggiolini, dagli atti processuali emersero chiaramente livelli insospettabili di corruzione fra industria del farmaco, politica e istituzioni. Ben noto è pure l’episodio di offerta di denaro da parte di una lobby farmaceutica all’onorevole Tina Anselmi - che ella stessa denunciò - affinché ritirasse un decreto che avrebbe eliminato dal commercio alcuni farmaci totalmente inutili e assai dispendiosi. Poco tempo dopo, ad opera di ignoti, la macchina di Anselmi saltò in aria, lasciandola miracolosamente incolume.
Nonostante ciò, tirando una buona economia, le lobby farmaceutiche non avevano ancora preso di mira le medicine non convenzionali. Più tardi, in periodo di vacche magre, qualcuno pensò bene che queste potessero sottrarre delle fette di mercato e cominciò l’attacco. In quegli anni, però, fu possibile instaurare un dialogo virtuoso e nacquero progetti di ricerca che permisero una vasta espansione delle medicine non convenzionali e forme di integrazione di vario genere con la medicina «classica».
Le medicine non convenzionali parlavano di un’idea diversa della malattia e della buona salute. Per la prima volta portavano al centro del problema il dibattito sugli stili di vita. Permettevano di curare con princìpi efficaci e a basso impatto. In un clima di entusiasmo e collaborazione si organizzavano incontri con i cittadini e con il personale sanitario per scambiare idee e ampliare la consapevolezza collettiva sulla questione della salute.
L’apertura mentale di quell’epoca permise di stabilire relazioni con istituti di medicina tradizionale cinese e di far partire negli ospedali la pratica dell’agopuntura. Praticamente in tutta Italia aprirono centri dedicati, con soddisfazione di cittadini e medici. Sì approfondì pure la conoscenza della medicina ayurvedica e dei suoi princìpi.
Iniziò la collaborazione fra la fisioterapia tradizionale e le figure dei posturologi e dei chiropratici (manipolatori vertebrali). Il risultato fu una riduzione drastica degli interventi chirurgici (quelli per le ernie discali erano materia ordinaria) e dell’uso di farmaci antinfiammatori e antidolorifici. Anche la fitoterapia entrò nei laboratori di ricerca e fece progressi. Diversi medici cominciarono a prescriverla per varie patologie.
La regina delle medicine non convenzionali era senza dubbio quella omeopatica, la seconda medicina degli europei. Numerose università ospitarono congressi di medicina omeopatica. Furono istituiti corsi e master per medici e farmacisti. Il ministero della Sanità, l’Istituto superiore di sanità e altre istituzioni addette alla salute si mostrarono decisamente propositive nell’adozione di nuove forme di terapia non convenzionale.
Del resto l’Organizzazione mondiale della sanità stimolava da tempo i vari governi ad operare forme di integrazione virtuose fra la medicina «classica» e le medicine non convenzionali. Ove ciò avvenne si registrarono miglioramenti nella salute dei pazienti e una riduzione delle spese sanitarie. Le agenzie assicurative, sempre attente ai fenomeni sociali, proponevano polizze sanitarie a minor costo a tutti coloro che dimostravano di servirsi anche di pratiche di medicina non convenzionale. Sui loro tavoli erano giunte statistiche che dimostravano che chi ne faceva uso aveva una salute migliore. Proprio in quel periodo si raggiunse una forte consapevolezza dell’esistenza di una medicina unica e integrata che poteva comprendere medicina tradizionale e medicine non convenzionali.
Oggi l’Istituto superiore di sanità è uno dei principali nemici dell’omeopatia. Nel 2009, invece, pubblicava studi sull’utilizzo delle medicine non convenzionali per la cura dei bambini iperattivi, omeopatia inclusa… (Cfr. Pietro Panei-Andrea Geraci, «Il Disturbo da deficit attentivo con iperattività (Adhd): terapie classiche e complementari», in Notiziario dell’Iss, vol. 22, n. 1, pp. 11-15.)
Tutta la società civile di quegli anni (‘80-‘90 e oltre), pertanto, era ben disposta verso le medicine non convenzionali e il livello di consapevolezza che portavano con sé. Aiutarono a capire l’importanza della prevenzione intesa in senso proprio. Si cominciò a parlare di intolleranze alimentari, di diete di detossificazione, di pratiche e attività fisiche finalizzate al miglioramento delle funzioni corporee, al rilassamento e al recupero della salute.
Nacque un nuovo interesse per lo yoga ed emersero metodi efficaci come l’Alexander, il Pilates, il Feldenkrais e altri. Niente a che vedere con il superficiale pensiero new age, che imperversava negli Stati Uniti come residuo del pensiero hippie ma che lasciò indenne la vecchia Europa, ben più profonda e concreta. Si condussero pertanto studi approfonditi sulle reali possibilità terapeutiche offerte da ciascun metodo.
Scienziati come il biologo di formazione Jon Kabat-Zinn studiarono alla risonanza magnetica encefalica e alla elettroencefalografia i cambiamenti indotti nell’encefalo dalla pratica della meditazione (pur in assenza di riferimenti religiosi), facendo scoperte interessantissime. Nei meditanti si attivavano in risonanza magnetica delle aree del cervello che gestiscono il controllo neuroendocrino e la stabilità del tono dell’umore. La pratica fu utilizzata con successo nella cura degli stati depressivi e di altre problematiche psichiatriche, in associazione con cure di medicina «classica», ottenendo un miglioramento della salute dei pazienti, una loro migliore stabilità nel tempo e una riduzione nell’uso dei farmaci. A parte la digressione sulla meditazione, che può essere considerata una cosa a sé stante, le medicine non convenzionali - omeopatia in primis - studiate seriamente nei laboratori di ricerca dimostrarono le loro potenzialità.
Le medicine non convenzionali ebbero il merito di portare al centro del dibattito la salute. A quel tempo era un piacere parlare con le persone, perché tutte erano profondamente informate e consapevoli. E gli organi di comunicazione di massa contribuirono a diffondere questa cultura attraverso un atteggiamento aperto, tollerante e razionale. In certi casi non mancava di spirito critico, ma non c’era preconcetto.
Oggi cosa è rimasto di tutto questo? Non molto, purtroppo. La grande crisi economica che ha coinvolto pure l’industria del farmaco ha messo quest’ultima nella condizione di costruire una battaglia senza quartiere contro tutte quelle pratiche terapeutiche di buona salute colpevoli di toglierle fette di mercato e insidiarne i profitti. Ciò ha finito per influenzare la politica, i vari potentati economici e i settori della ricerca sanitaria, fortemente condizionata in quanto basata essenzialmente sui proventi dell’industria farmaceutica.
La maggior parte della stampa, infine, ha subìto analogo condizionamento. Alcuni amici giornalisti mi hanno serenamente rivelato di non poter parlare in senso positivo delle medicine non convenzionali, pena la perdita del lavoro. Questo è il motivo per cui oggi ci sono ben poche trasmissioni che ne parlano favorevolmente. Le recenti puntate di Presa Diretta e di Piazza Pulita riguardanti la medicina omeopatica sono prova di giornalismo pessimo e a senso unico. È buon giornalismo quello che per ogni argomento permette di accedere a più punti di vista, consentendo agli spettatori di assumere decisioni libere, indipendenti e non condizionate. A quest’ultimo riguardo invito a vedere un programma trasmesso il 1º luglio scorso da Rai 1.
Di fatto, grazie al clima di ostilità che è stato creato anche con il contributo colpevole dei media, chiunque si serva di medicine non convenzionali o di mezzi terapeutici non graditi all’apparato è visto come una sorta di eretico e/o oscurantista. Pertanto la società è stata condotta, per condizionamento, a una regressione che ha fatto perdere ai cittadini molte possibilità di gestire efficacemente la propria salute, riportando la consapevolezza, le libertà personali e il pensiero a una dimensione di antica chiusura. Si può dire che i progressi conquistati dagli anni ‘60 in poi siano andati perduti.
Sono all’ordine del giorno l’intimidazione indiscriminata, l’uso aggressivo di provvedimenti legislativi di interdizione e la minaccia di togliere la patria potestà a genitori che si servono ANCHE di mezzi non convenzionali per la cura dei propri figli. Siamo davvero felici del livello sociale cui siamo giunti?
Concludo questa breve pezzo con una nota positiva. Nelle ultime settimane sono tornati a comparire sulla stampa, assieme ai soliti attacchi alle medicine non convenzionali, articoli più equi, aperti e razionali sulla questione. Che stia veramente cambiando qualcosa?
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