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mercoledì 25 luglio 2018


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PERMETTETEMI UNA DOMANDA, COMPAGNI… 
di Pagayo Matacuras

Il ministro degli Esteri nicaraguense, Denis Moncada Colindres, va ripetendo da tre mesi che gli Stati Uniti stanno continuando con il loro piano di colpo di Stato. A metà luglio ha ribadito questo concetto durante l’ultima riunione del Consiglio permanente dell’Organizzazione degli Stati americani (OAS), dove solo Cuba, Venezuela e San Vicente-Granadinas hanno sostenuto questa idea. Altri diciotto paesi hanno condannato la violenza del governo. Sgomberiamo il terreno di tutti i possibili fraintendimenti sulle idee che seguono: nella realtà storica e politica, l’Oea è l’Organizzazione degli Stati Inginocchiati (Arrodillados), come l’ha definita l’argentino Pino Solanas nel suo film del 1988 Sur.
Ora, torniamo al 2018... trent’anni dopo quel film.
Quali e quanti interessi economici hanno gli Stati Uniti in Nicaragua?

Secondo il ministro degli Esteri, il piano è esattamente lo stesso di quello del Venezuela. È la stessa sceneggiatura per un identico film.
Ma, ed è un ma grande come il nostro pianeta, il Venezuela ha le maggiori riserve di petrolio al mondo. L’interesse immediato è assai chiaro, non ci sono molti dubbi. Il Nicaragua può fare concorrenza commerciale al gigante economico del continente solo con fagioli, riso e mais. La guerra commerciale scatenata da Trump contro la Cina e l’Unione Europea si riferisce a prodotti assai più preziosi: acciaio, alluminio, tecnologia ...
Nei suoi primi 150 anni di indipendenza, la Bolivia ha subito oltre 150 colpi di Stato. Gli Stati Uniti avevano bisogno del loro stagno. Negli anni ‘70 avevano bisogno del rame dal Cile ... e possiamo continuare con un elenco di centinaia di pagine.
Adesso hanno bisogno di mais per nutrire il loro bestiame o per preparare un nacatamal o un indio viejo? Hanno bisogno di riso e fagioli per mangiare un gallopinto? Per quelli che non sanno nulla del Nicaragua, sono cibi tipici. I loro steack & chips sono finiti? Forse Mr Obama ha lasciato il suo paese in mutande bucate.
Mai nella loro storia gli Stati Uniti hanno esportato democrazia e libertà: hanno portato i loro interessi commerciali ed economici in tutto il mondo. Trasformando gli esseri umani in sudditi liberi all’interno di democrazie controllate. Ma parlare di un colpo di Stato organizzato da Washington in Nicaragua è solo il modo più semplice per evitare di dover ragionare e mettere così il cuore in pace. Un sistema consolatorio.
A tutti gli effetti, il ministro degli Esteri Moncada sta ripetendo le stesse parole pronunciate nel 1978 dal signor Julio Quintana a coloro che chiedevano la fine della dittatura. L’allora cancelliere di Tachito Somoza, in una riunione dell’Oea aveva affermato: quello che volete è un colpo di stato. Non pare triste al signor Moncada ripetere la stessa sceneggiatura quarant’anni dopo.
Parecchio tempo fa, un filosofo tedesco ha affermato che la storia si ripete due volte. Quel filosofo era Hegel. Ma nel film attuale ci sono molte diversità rispetto al 1978. A partire dalla mancanza di un gruppo guerrigliero che combatte contro il governo.
Fino a che punto possono agire gli Stati Uniti? Di certo possono finanziare o continuare a finanziare alcuni gruppi e organizzazioni, possono parlare di dittatura e convincere i paesi dell’OSA a condannare il governo di Ortega e possono applicare la legge Magnitsky a un certo numero di persone molto vicine alla famiglia presidenziale. Dal 2012 questa legge consente al governo gringo di imporre sanzioni economiche ai cittadini di tutto il mondo che hanno commesso violazioni ai diritti umani e atti di corruzione nei loro paesi di origine (sfacciata interferenza, lo sappiamo). E l’hanno già applicato. Ma, come dicono i nicaraguensi: costoro se ne fregano altamente.
Il menefreghismo fa parte dell’essenza psicologica nazionale, è la filosofia di vita dalla nascita fino all’ultimo respiro. Quali sanzioni puoi attuare nei confronti di chi ha i propri conti nei cosiddetti paradisi fiscali? Se ne fregano, completamente.
In questi ultimi giorni Mr Trump ha deciso di cambiare il rappresentante diplomatico a Managua: la signora Laura Dogu, nominata dal presidente democratico nel 2015, è stata sostituita da Kevin K. Sullivan, capo della delegazione gringa all’Oea. Forse, quando arrivà nella capitale del Nicaragua, pronuncerà le stesse parole del vecchio ambasciatore Richard Melton negli anni ‘80: io sì rappresento davvero gli Stati Uniti. E forse, proprio come Melton nel luglio del 1988, Daniel lo dichiarerà "non grato".
Questa è la contingenza. Ma poniamoci di nuovo la domanda: fino a che limite possono giungere gli Yunais nell’attuale crisi del paese centroamericano?
Al di là di ciò che hanno già fatto e stanno facendo, non possono andare. Non possono stabilire un blocco o montare un gruppo armato simile alla contra. Non esistono le condizioni per farlo. Del resto, nel paese vivono e fanno affari lucrosi molti imprenditori gringos, grazie alle leggi in vigore e alla protezione governativa, che in questi anni hanno avuto la possibilità di arricchirsi sfruttando i lavoratori con stipendi non sufficienti per mettere insieme il pranzo con la cena e con condizioni lavorative assolutamente pessime.
Una delle leggi non scritte del mercato è che per rendere redditizie e sicuri gli investimenti è necessaria la stabilità politica e sociale. Poli-ciale, c’est plus facile [gioco di parole in spagnolo poli-cial: poliziesco (n.d.r.)]. Fino alla metà di aprile di questo 2018, il Nicaragua era il paese più tranquillo e sicuro dell’area centroamericana, grazie al controllo della polizia. Dove gli uomini d’affari locali e stranieri si arricchivano, la Chiesa continuava nel suo costante lavaggio dei cervelli e Chayo Murillo pregava quotidianamente per la pace sociale nelle sue omelie televisive. "Vogliamo solo il lavoro e la pace", cantavano con un testo sovrapposto alle parole originarie di Give peace a chance di John Lennon.
Dal 19 aprile, il Nicaragua non è più lo stesso. Né può essere lo stesso in futuro.
Se Daniel Ortega e Chayo Murillo se ne andranno, insieme al loro seguito di cortigiani, nessuno sa quale potrà essere il risultato delle elezioni, anticipate o meno è irrilevante. Nonostante le frodi segnalate nel 2016, nel loro complesso i partiti di opposizione hanno ottenuto il 30% dei voti. Con ciò che è avvenuto in quei mesi e le elezioni monitorate a livello internazionale, si può affermare che il Fronte sandinista di liberazione nazionale (FSLN) non può ottenere più della metà, o meno, di quanto ha ricevuto un paio di anni fa. Ma è sempre intorno al 30%. Cioè: un pareggio.
E per gli Stati Uniti questo significherebbe un paese in cui non possono fare affari con tranquillità. Dove l’instabilità sarebbe quotidiana. Non ci si può arricchire con sicurezza, come è successo nel 2007-2017. Questo è l’unico interesse che hanno in Nicaragua: che vi sia stabilità. Ecco perché temono un vuoto del potere. E un popolo in costante protesta è l’ultima cosa che vogliono.
Ma nell’attualità questo vuoto è già ben presente. Tutti i rapporti economici ci dicono che negli ultimi tre mesi hanno chiuso o ridotto i loro profitti una buona parte di attività in tutti i settori, a partire dall’aeroporto internazionale di Managua dove arrivano oggi meno aerei, fino al mercato informale. Un segnale che ci dà il senso del momento che si sta vivendo.
Al momento, nessuna delle due parti ha la capacità di sconfiggere l’altra. Gli orteghisti gestiscono ancora l’apparato dello stato, ma nella società valgono meno di un soldo bucato. Nonostante la notevole quantità di gente presente alla celebrazione del 19 luglio: per lo più dipendenti statali e pubblici, con le loro famiglie, timorosi di perdere il lavoro se non fossero stati presenti. La cosiddetta società civile, o “protestanti”, non riesce a cacciare gli Ortega. Nonostante il sostegno che hanno dal Cosep [la locale Confindustria (n.d.r.)] e dalla Chiesa cattolica. E non si può sperare in altro da parte dei gringos o di queste due forze interne. Si sa che cosa vogliono: mettere la parola fine alla storia della Rivoluzione e costituire un governo di destra che cancelli le conquiste sociali ottenute in questi anni. Mentre i morti continuano con una media di quattro al giorno.
Un altro aspetto della mentalità nicaraguense è la visione del mondo in bianco e nero. Il grigio non esiste. E se è vero che molti di coloro che ora innalzano i tranques [barricate (n.d.r.)] e li difendono come possono, sono gli stessi negli anni dei governi neoliberali erigevano e difendevano i tranques ordinati da Ortega, e domani faranno la stessa cosa contro qualsiasi governo di destra. Senza alcuna pace sociale. I gringos non sono così stupidi da non saperlo, ma quale alternativa hanno?
Non possono sopportare il caos attuale, a causa della non rinuncia degli Ortega, che si aggrappano con le unghie e i denti a un potere che non hanno più. Né hanno un’immediata alternativa praticabile. Quindi, cosa?
L’unica via d’uscita sarebbe la messa in opera di qualcosa di già visto e simile alla Unione nazionale di opposizione (Uno) con cui doña Violeta B. de Chamorro ha vinto nel 1990. Forse nel sepolcro imbiancato di Washington, come ho definiva Sandino, stanno lavorando in questo senso o ci stanno pensando. Il problema è al tempo stesso semplice e complesso: chi guiderà questa alleanza? In un paese simile, non può essere una destra dichiarata o camuffata, né un Arnoldo Alemán né un Churruco Bolaños hanno spazio. Doña Violeta era la vedova di un martire, il Martire delle libertà civili. E chissà quanti sandinisti votarono per questa donna, con l’intento di penalizzare il Fronte che agiva con troppa arroganza e sfacciataggine. La gente, il popolo, è ancora sandinista, sebbene non sia orteghista. E nelle elezioni, con facilità, non andranno ai seggi elettorali o non metteranno la loro crocetta.
Può essere fattibile un governo provvisorio, come fece l’FSLN nel 1979? Che possa essere riconosciuto da alcuni paesi a livello internazionale e annullare le relazioni diplomatiche con l’attuale governo? E nel frattempo questo governo provvisorio può emanare leggi che rompano con l’attuale unità di interessi tra il partito e lo Stato, avviando un percorso sicuro per il cambiamento. Cancellando la pratica del partito che controlla lo Stato e dello Stato che controlla il paese.
Sarebbe possibile, sebbene molto complesso. Nel 1978-79 le condizioni erano un po’ diverse da quelle attuali, poiché nella realtà la storia non si ripete mai, nonostante il pensiero di Hegel. La storia ci insegna che tutto è possibile, se lo vogliamo. Trenta ribelli utopisti riuscirono a costituire un esercito popolare che cacciò i gringos e il loro fantoccio traditore Chema Moncada nel 1933. Nell’attualità, gli imprenditori hanno i loro interessi, la Chiesa ha i suoi, i contadini anti-canale anche. E così pure gli Stati Uniti. Mettere d’accordo questi interessi non sarà semplice come bere una Coca Cola. Gli studenti e la gente comune in maniera massiccia partecipano alle marce e agli scioperi, ma non hanno un programma, né un progetto per il futuro, ma solo per la contingenza (che nella situazione attuale è una mera speranza). Non hanno neppure dei leader riconosciuti, e ciò potrebbe rappresentare un vantaggio e uno svantaggio allo stesso tempo. Un vantaggio perché non si può decapitare un movimento nel quale nessuno comanda e tutti comandano, un problema perché manca un comune progetto generale in cui riconoscersi. E non basta il Che se ne vadano! Occorre pensare a che fare dopo.
Non facciamo nomi o cognomi per questo governo provvisorio. Sarebbe davvero sciocco. Poniamo solo la questione fondamentale, dal nostro punto di vista: i componenti devono avere una storia di lotta per la sovranità del popolo, così come pensavano Sandino e Fonseca. Ma sarebbero graditi al Cosep, alla Chiesa, agli Stati Uniti? Potrebbero accettare un governo anti-Ortega ma non anti-sandinista? Assolutamente no. Tutto ciò che odora di sinistra, anche se socialdemocratico, dà loro l’orticaria. È nel loro Dna.
A loro piaceva l’orteghismo, che non aveva nulla di sinistra, per non parlare di rivoluzionario. C’erano solo le parole "cristiano, socialista, solidale", ma agiscono come qualsiasi governante borghese. E lo sviluppo che il paese ha avuto in questi ultimi undici anni si può riassumere in un numero: il Nicaragua del 1978, quello il Somoza, era il secondo paese più povero del continente, oggi è ancora il secondo paese più povero del continente. Nonostante l’aiuto milionario che ha dato il Venezuela: un milione di dollari al giorno dal 2007 al 2016. La crisi che ha colpito il Venezuela ha lasciato il Nicaragua senza tale sostegno, e senza il sostegno del prezzo favorevole per la benzina (attualmente deve essere acquistata sul mercato, con i prezzi di mercato, per coprire l’80% della necessità).
Torniamo alla questione governativa. Certamente una cosa che i nuovi leader dovrebbero fare, tra le prime, sarebbe chiedere all’Esercito se sta con il governo provvisorio o con il governo squalificato. Finora, il non intervento delle Forze Armate corrisponde a un sostegno indiretto al governo di Ortega. Ma se si pone come interposizione tra le due parti, per porre fine alle morti e alle distruzioni quotidiane, agirebbe per un futuro diverso dal presente.
Certo, c’è l’incognita della polizia: può esserci uno scontro tra questa istituzione e l’esercito. E sappiamo che i poliziotti sono più dei militari, e si trovano in ogni angolo del paese. Ma in quei mesi molti poliziotti e antisommossa si sono rifiutati di sparare sul popolo e si sono dimessi o congedati. Altri sono stati imprigionati e non sappiamo se sono ancora in carcere. Nell’eventualità di uno scontro con l’esercito potrebbe essere che molti altri rinuncino a obbedire agli ordini di Paco Díaz, capo della polizia e per pura casualità consuocero degli Ortega.
Sarebbe stata un’ottima cosa avere anche una capitale provvisoria. Perché non Masaya-Monimbó "llama pura del pueblo"? Però le forze orteghiste l’hanno riconquistata con la forza e oggi non esiste alcun "territorio libero", come León nel 1979. L’azione militare realizzata dagli orteghisti dimostra senza ombra di dubbio che gli insorti non sono così tanto armati, come Daniel e Chayo continuano a sostenere. E non si può fare un colpo di Stato senza armi, se hai la pretesa di vincere lo scontro. Alcuni mortai fatti in casa e alcune fionde non fanno un golpe né una rivoluzione.
Nel frattempo, la base sandinista, che non è coinvolta con l’orteghismo e in questi anni ha inghiottito molte amarezze, è necessario che ricostruisca il Fronte, affinché torni alle sue radici e possa avere un ruolo positivo nel futuro del paese. Per far sì che esista ancora una sinistra vera, non a parole. Una sinistra che dovrà lottare contro tutte le spinte che vorranno far tornare il Nicaragua a quarant’anni fa.
Possono gli Stati Uniti, il Cosep e la Chiesa accettare questa possibilità, che è l’unica per uscire dalla palude in cui si trova il Nicaragua?

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