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Offensiva turca nel distretto siriano di Afrin © Syria Live Map |
La decisione statunitense di addestrare specificamente circa 30.000 uomini di una milizia curda alla frontiera turco-siriana era considerabile un’iniziativa avventata e dalle conseguenze catastrofiche - e tale si è subito rivelata - ma, paradossalmente, è anche comprensibile nella globale situazione siriana. Lasciamo stare i profili di violazione della sovranità dello Stato siriano, giacché gli Usa fanno e disfanno il diritto internazionale a loro piacimento e i media presentano ciò come se fosse normale.
I motivi del giudizio di avventatezza sono facilmente individuabili. Il minore di essi sta nella notoria inaffidabilità delle organizzazioni politico-militari curde, accompagnata da un opportunismo pasticcione e tuttavia di continuo strumentalizzato e tradito dai loro alleati del momento.
Dato che l’iniziativa in questione significa il rafforzamento della presenza curda nel nord siriano - cioè sotto il confine turco - era peraltro ovvio che il governo di Ankara non avrebbe mai lasciato correre un tale precedente in favore di un nucleo armato che considera affiliato al Pkk di Turchia.
Se si vuol essere davvero realisti, anche a costo di sembrare brutali, è ormai assodato che esclusivamente in presenza di particolari condizioni storiche - come è accaduto in Iraq - risulta possibile per una popolazione curda conseguire forme di autonomia all’interno dello Stato in cui risiede. Ma di indipendenza non se ne parla: lo si è visto con la misera fine del referendum indipendentista curdo-iracheno messo in non cale dall’immediata posizione di blocco attuata dai governi di Baghdad, Ankara e Teheran.
Non era quindi difficile prevedere che per i Curdi di Siria una risposta positiva alle lusinghe statunitensi li avrebbe esposti alla reazione turca. E non pare che Washington li stia aiutando, così come rimase silente quando il referendum indipendentista del Kurdistan iracheno provocò le suddette reazioni.
L’ulteriore profilo di avventatezza (e di lesionismo per i Curdi), se davvero negli Usa si pensava di rafforzare l’autonomia curda nella Siria settentrionale, riguarda il fatto che - anche a prescindere dall’inevitabile reazione turca - l’ostilità di Damasco, Ankara e Baghdad di fronte a questa iniziativa imposta da Washington avrebbe portato ancora una volta al blocco militare-economico dell’area in questione, che non avrebbe potuto sopravvivere a lungo.
Inoltre - e non meno importante - c’è da notare che ancora una volta gli Stati Uniti hanno confezionato un bel regalo per la politica estera russa. La Turchia sarà pure un alleato nella Nato, ma non da ieri cura in proprio i suoi interessi politici ed economici.
Di specifico oggi c’è il fatto che la reazione militare turca costituisce una vera e propria sfida agli Usa, che attualmente hanno cinque basi militari nella zona controllata dai Curdi siriani (alla faccia del governo di Damasco!), tanto più che Washington aveva sollecitato il governo turco a non intervenire in armi contro le milizie curde.
Forse Ankara avrebbe chiuso un occhio sul mero progetto statunitense di utilizzare le zone siriane controllate dai Curdi come punto di partenza per ulteriori azioni in Siria e Iraq, ma rafforzare militarmente questa enclave significa anche creare una base di appoggio per i separatisti curdi in Turchia - e sotto ombrello statunitense.
Nel frattempo si registra che nel corso di una telefonata col suo omologo turco, Hulusi Akar, il capo di Stato maggiore delle Forze armate iraniane, il maggior-generale Mohammad Hossein Bagheri, ha chiesto garanzie circa l’integrità territoriale siriana e la salvaguardia dei negoziati di pace di Astana.
Che Damasco protesti per l’azione turca è più che naturale, ma è molto probabile che Assad e Putin resteranno a guardare il corso degli eventi: in fin dei conti, Erdoğan lavora anche per loro. Non solo il deterioramento dei rapporti Ankara-Washington va benissimo a Damasco e Mosca, ma soprattutto, se la Turchia schiacciasse le milizie curde siriane, la conseguenza sarebbe la necessità per gli Stati Uniti di ritirarsi fisicamente dalla Siria.
Anche Teheran gongolerebbe, poiché in quest’eventualità il piano statunitense-israeliano contro l’Iran si indebolirebbe di molto. Ancora una volta, staremo a vedere, ma se la Turchia riuscisse a sferrare colpi pesanti agli alleati curdi di Washington in Siria, Trump & Co. riceverebbero un duro colpo d’immagine. Intanto Ankara continua tranquillamente a cooperare con Mosca nella preparazione del Congresso per il Dialogo Nazionale Siriano (fra rappresentanti governativi e dell’opposizione), previsto a Sochi tra il 29 e il 30 gennaio.
Ci troviamo di fronte a un’iniziativa disperata e comprensibile allo stesso tempo. Infatti, nella situazione determinata dal deciso e decisivo intervento russo, ormai agli Stati Uniti non rimane che “attaccarsi ai Curdi” pur di mantenere una presenza física in Siria.
La scelta di privilegiare un fantomatico Esercito Libero Siriano si era rivelata fallimentare, a motivo dell’inconsistenza militare e politica di quest’opposizione - perdipiù “pseudomoderata” - rapidamente travolta dai jihadisti di varia tendenza e infine dall’Isis; e anche lo sdoganamento di al-Nusra (affiliata ad al-Qaida!) non ha portato a nulla, con le sue milizie conciate male dall’azione dell’esercito di Assad e dai colpi dell’Isis.
In astratto la convergenza verso i Curdi sarebbe potuta essere una carta utilizzabile, senza dubbio pericolosa, ma non priva di qualche utilità se giocata con accortezza, vale a dire senza strafare. Così non è stato, e ancora una volta gli Stati Uniti si sono comportati come se al mondo esistessero solo loro.
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